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Autore: Orso Scrive    28/10/2022    2 recensioni
Il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani, del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, devono occuparsi di una nuova grana: un vandalo dall’improbabile nome di Sukker ha preso di mira i graffiti rupestri della Valle Camonica, in provincia di Brescia, imbrattandoli con bombolette spray.
Riusciranno i nostri eroi a fermare Sukker, prima che i suoi danni divengano irreparabili? Ma, soprattutto, scopriranno il mistero che si cela dietro ai graffiti rupestri, un mistero che sembra parlare di antichissime visite di esseri provenienti da altri pianeti e da altri universi? Alberto e Aurora scorgeranno questa antica verità, o il mistero resterà celato ai loro occhi?
Genere: Fantasy, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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1.

 

 

Val Camonica, provincia di Brescia, settembre 2021

 

 

«Non capisco perché ci siamo dovuti portare anche i due agenti», sbottò il sottotenente Aurora Bresciani, guardando di sbieco i due uomini in divisa che procedevano a qualche metro di distanza dietro di loro. Da come sbuffavano e arrancavano, non sembravano molto abituati a camminare in montagna. «Bastavo io da sola, per occuparmi di chi ha combinato questo scempio.»

Anche il tenente Alberto Manfredi gettò un breve sguardo ai due agenti. Erano attempati e con pance piuttosto prominenti, ma era il massimo che fosse riuscito a farsi prestare dalla stazione di Capo di Ponte. Tutti gli altri, erano già di pattuglia o impegnati con altri incarichi. Il suo sguardo scivolò dalla valle lungo la parete frastagliata della Concarena imponente e, da lì, si spostò per un breve istante sul didietro del sottotenente.

Sempre una bella visione, non poté fare a meno di pensare. Ma mica glielo dico. Sarebbe capace di uccidermi se solo sospettasse che le ho guardato il culo.

Di altezza media, magro, i capelli castani scompigliati e la barba che aveva urgente bisogno di una regolata, Manfredi indossava jeans, camicia a motivi scozzesi dai toni variegati e scarponi. In testa aveva un cappellino blu con la fiamma dorata dell’Arma dei Carabinieri. I suoi occhi erano nascosti dietro le lenti scure degli occhiali da sole a goccia.

«È proprio per evitare che fossi tu sola a occupartene, che ho voluto portarli», rispose il tenente. «Se becchiamo quei tipi, saresti capace di prenderli per le palle e strizzargliele fino a candidarli al coro delle voci bianche. E ti ricordo che torturare i sospettati è contro il regolamento.»

Aurora si voltò a guardarlo. Nei suoi occhi verdi, passò una strana scintilla. Sempre vestita di nero – dai jeans agli anfibi, fino alla maglietta, sul cui davanti, quel giorno, capeggiava il logo del gruppo musicale dei Lordi – svettava su tutti i presenti dall’alto del suo metro e ottanta, aumentato dalla suola spessa delle scarpe. Slanciata e robusta, pallida e con il viso spruzzato di lentiggini, era resa ancora più appariscente dalla cascata di capelli rossi che le scivolavano fin sotto le spalle.

«Non dire così, Manfredino. Sai bene che non lo farei mai», rispose.

Le sue labbra si allargarono in un sogghigno pericoloso.

«Sai bene che il solo che mi piaccia prendere per le palle sei tu», precisò. «Quei tizi li avrei semplicemente strapazzati un pochino, tutto qui.»

Manfredi sbuffò.

«Non so se esserne lusingato o prenderla come una minaccia», sottolineò.

Meglio non indagare troppo oltre, si disse.

Tenente e sottotenente facevano parte del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Erano stati inviati in quella zona montana perché, da qualche settimana, alcuni vandali avevano preso l’abitudine di deturpare con bombolette e pennarelli alcuni dei graffiti rupestri che il popolo dei Camuni aveva lasciato in eredità ai posteri. Gli esperti, per fortuna, avevano assicurato che il danno non sarebbe stato irreversibile e che, con qualche restauro, tutto sarebbe tornato come prima. Ma questa non era una scusante: i vandali andavano identificati e arrestati. Anche perché, a qualcuno, bisogna pur presentare il conto – salato – dei restauri.

Tanto diranno che sono nullatenenti o robe così, pensò Manfredi. Alla fine, non tireranno fuori nemmeno mezza lira.

Continuarono a camminare.

L’aria fresca della montagna, che l’imminenza dell’autunno aveva mitigato e profumato di umidità, era un vero toccasana, dopo la canicola che aveva oppresso i mesi precedenti. Un’estate torrida. Alberto sperò con tutto il cuore che, quella dell’anno successivo, sarebbe stata meno invivibile di quella appena trascorsa. In cuor suo, nutriva profondi dubbi.

Di anno in anno, andava sempre peggio.

Sembra di stare ai tropici, in estate. Con la sola differenza che qui non ci sono spiagge di sabbia finissima, palme, acqua cristallina e belle ragazze abbronzatissime e con le tette di fuori.

Lui, al massimo, durante le ferie di agosto poteva concedersi la sponda del Po, all’ombra di un qualche pioppo che non allontanava per nulla l’afa e le zanzare. Ogni tanto si domandava chi mai glielo facesse fare, di continuare ad abitare in mezzo alla Pianura Padana, anziché scapparsene al Tropico del Capricorno o da quelle parti lì. Non era ancora riuscito a darsi una risposta precisa.

Il terreno era ripido, cosparso di erbe verdi e fruscianti. Qua e là, spuntavano delicati fiorellini bianchi, violetti oppure gialli, che occhieggiavano in mezzo agli steli. La zona in cui erano stati vandalizzati i graffiti rupestri si trovava un poco più in alto, nei pressi dei contrafforti rocciosi della montagna. Per raggiungerlo, avrebbero dovuto imboccare un sentiero che si trovava più avanti e che si inerpicava in mezzo a una foresta di castagni.

«E comunque», riprese Alberto, dopo che ebbero proceduto in silenzio per qualche minuto, «non credere che non sia meno incazzato di te. Uno dei graffiti che hanno preso di mira…»

«…è stato scoperto dal tuo vecchio professore di liceo, sì», concluse Aurora al suo posto. «Me l’hai già detto e ripetuto non so quante volte, tenente. Ormai, questa “parete Lancellotti” è diventata la mia ossessione. Giuro che se becco quei tizi mentre la sporcano, gli strappo le budella e gliele faccio mangiare! E sai che non parlo mai in senso figurato.»

Manfredi grugnì. Si voltò di nuovo verso i due agenti che, a quell’uscita, si erano scambiati una breve occhiata ricolma di incertezza.

«Ovviamente scherza», li rassicurò.

Non fu certo di essere riuscito ad apparire sincero. Sapeva più che bene che Aurora faceva uno strano effetto su chiunque la incontrasse. A prima vista, il sottotenente Bresciani poteva attrarre l’attenzione, con il suo aspetto elfico da donna nordica. Ma le bastavano poche parole e ancor meno gesti, perché chiunque avvertisse la necessità di girarle al largo. Emanava qualcosa di pericoloso, da tutto il suo essere. Sembrava nata per disprezzare il mondo intero. E, di conseguenza, il mondo intero disprezzava lei.

Il solo capace di starle vicino era proprio lui, Alberto.

Anzi.

A essere sincero, Manfredi non sarebbe mai riuscito a stare troppo a lungo lontano da lei. Senza Aurora si sentiva perduto, come se gli mancasse una parte di se stesso. Quelli che per gli altri erano difetti profondi, per Alberto Manfredi erano qualcosa di unico e di speciale, che gli permettevano di riconoscere all’istante la sua grande amica.

Alberto era certo che, senza Aurora, non sarebbe mai riuscito a combinare nulla.

Erano cresciuti insieme, erano diventati carabinieri insieme. Insieme erano entrati a far parte del Nucleo Tutela del Patrimonio, contro il parere del padre di Aurora – il maggiore Bresciani – che, per la figlia, avrebbe sognato un ruolo nel RIS. Invece lei, come lui, nascondeva la vocazione a custodire e a proteggere quanto di bello e di prezioso gli antenati avevano lasciato in eredità Così, il loro cammino era stato segnato.

Erano sempre stati insieme, nei momenti belli e nei momenti brutti. Si tenevano su a vicenda, in un certo senso.

E anche adesso erano insieme, a risalire quel versante erboso, alla ricerca di vandali che non avevano nessun rispetto per un patrimonio appartenente al mondo intero.

Questa cosa mi fa girare i coglioni in una maniera che non so dire, pensò Alberto.

Gli erano sempre piaciuti i graffiti che gli artisti di strada creavano su vecchi muri scrostati, su anonime pareti di cemento, sulle cabine dell’Enel e su altri esempi di quello che lui era solito chiamare “post-realismo decadente”. Trovava che dessero un tocco di colore e di spensieratezza in città altrimenti condannate a un grigio anonimato. Erano vere e proprie opere d’arte, da preservare alla pari delle loro controparti considerate maggiori. Ma che qualcuno si arrogasse il diritto di rovinare monumenti o altri lasciti del passato – per di più, con sciocchi scarabocchi, giusto per poter dire “di qui sono passato io” – era qualcosa che gli faceva fremere le dita dalla voglia di mettersi a menare le mani.

Sono in completa sintonia con Aurora, quando vorrebbe compiere stragi e ridurre la gente in poltiglia.

Ma era un Carabiniere. Aveva giurato. Aveva un dovere e degli obblighi. E uno di questi era che i vandali o i delinquenti di qualsiasi risma venissero arrestati con tutte le garanzie che non accadesse loro nulla di male. Poi sarebbe spettato al magistrato di turno decidere che cosa farne.

Nella maggior parte dei casi, in meno di ventiquattro ore il delinquente sarebbe tornato in libertà. Così funzionavano le cose in Italia.

«Bah», sbottò.

Aurora si girò di nuovo a guardarlo.

«Non prendertela, Manfredino, perché farsi venire il sangue velenoso non salverà il mondo e non cambierà le cose.»

Come al solito, lei sembrava essere in grado di leggergli nella mente. Una capacità su cui il tenente Manfredi non aveva mai voluto indagare troppo. In un qualche modo, era certo che la sua amica possedesse strane facoltà medianiche.

Non aveva ancora deciso se la cosa gli facesse paura o lo rincuorasse.

«Non me la prendo, figurati», replicò. «Vivo in una specie di nirvana, sai? Il mondo intero non mi sfiora nemmeno.»

«Anche perché, se soltanto osasse farlo, poi dovrebbe vedersela con me», rimarcò lei.

Entrambi sorrisero.

Continuarono a camminare, Aurora in testa, Manfredi dietro di lei e i due agenti in coda.

La Concarena e il Pizzo Badile li vigilarono in silenzio.

 
   
 
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