Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Brume    02/11/2022    4 recensioni
"…Ho passato anni immersa nella mia missione, nel mio mondo.
Ho sempre guardato avanti e accettato le sfide, combattuto contro nemici in forma umana e verso i miei demoni finché, ad un certo punto della mia vita, mi sono accorta che - come lama il cui filo è rovinato da chissà cosa - anche io ho cominciato ad osservare piccole crepe, pertugi che aprendosi nel cuore e nell’ anima si andavano a dilatare ed allargarsi sempre più, facendosi contaminare da una serie di cose… dal sentimento, dalle passioni…Ecco; per questo motivo, ad un certo punto, non me la sono più sentita di portare avanti la mia missione: stavo cambiando, inesorabilmente.
Ma non ho in ogni caso dimenticato chi sono, né ho mortificato me stessa.
Ho solo accettato alcune cose, ho lasciato che i sentimenti si avvicinassero sempre più al raziocinio. Ho aperto il mio cuore, ho amato, sono stata amata. Ho portato avanti i miei ideali, accettando questo cambiamento, lasciando che la vita mi travolgesse…e ne è uscito un quadro fantastico. "
NB: Aggiornamenti settimanali, compatibilmente con impegni lavorativi.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto, grazie per le vostre recensioni; mi scuso, non ho risposto e questo purtroppo dipende fino ad un certo punto da me.  E' un periodo intenso ma soprattutto ho qualche problema alla vista e il tempo dedicato alla scrittura è contato, limitato. Ciò non esclude che in futuro e con calma possa finalmente dedicare qualche momento in più ma per ora è davvero una fatica anche solo pubblicare...ma non vado oltre, non voglio tediarvi!

Grazie ancora per il vostro apporto, grazie Dorabella27! Con affetto! 




14 settebre 1789


Mi risveglio da un breve riposo -durante il quale ho perfino sognato di noi -  che è mattino.
Mi sfrego gli occhi, sono un po' confuso e, per un attimo, mi chiedo dove sia finito perché non riconosco questa stanza, inizialmente.  E’ strano, dovrei esserci abituato, ormai: da un mese viviamo qui, al pian terreno di un palazzo borghese con tanto di cortile interno e portone che, di fatto, ci separa dal mondo intero….eppure…ancora, a fatica, i miei occhi riconoscono questi angoli e questi spazi.

Tu non ci sei.

Forse ti sei già alzata e sei al piano di sopra insieme a Yvette, la sorella di Luc.
Da qualche tempo  hai preso questa abitudine e  ne sono felice.
Così ti svaghi un po'.

Io faccio con calma.
Guardo l’ orologio e noto che è quasi mezzogiorno ed è domenica mattina, non si lavora: con calma, mi do una sistemata. Ogni mio movimento è sofferenza; le ossa mi fanno male perché stanotte ho dormito malissimo ma, per il resto, cerco di sorridere a questo nuovo giorno.
Quando sono pronto esco e passo sotto il piccolo porticato per raggiungere l’ entrata che conduce del primo piano, la porta è aperta e salgo le scale in fretta, fermandomi solo quando ti vedo lungo il corridoio, intenta  ad osservare non so ché.

“Oscar, buongiorno” dico.
Sollevi lo sguardo ed il tuo sorriso mi scalda il cuore. Ti raggiungo, ti abbraccio, aspiro profondamente il profumo del sapone che ti piace tanto.
“Dormivi così bene che… ti ho lasciato riposare. Non ti sei offeso, vero?” mi domandi ed io torno a sorridere perché , così facendo, mi sembri una bambina.
“No, Oscar, no…” rispondo guardandoti negli occhi.
Le tue mani afferrano le mie e poi inizi a camminare, mi porti un paio di stanze più avanti, verso la cucina.
“Yvette mi sta insegnando a cucinare” dici.
Lei, la sorella di Luc, è intenta ad osservare una grossa terrina che cuoce su di una stufa a legna e non appena mi vede mi saluta.
“Ben svegliato, André. Oggi io e la tua Oscar abbiamo cucinato insieme; prendi posto, tra poco arriverà anche Luc e poi mangeremo” dice.
E’ una ragazza sveglia, Yvette, ed appare più grande dei suoi vent’ anni: non per un fatto estetico, ma per il modo di essere e fare. Minore di età rispetto a Luc di una decina d’anni, si è dovuta occupare della casa di famiglia – una modesta famiglia borghese di ideali filo rivoluzionari – fin da piccola, quando i genitori perirono in un incendio scoppiato in una locanda presso la quale si trovavano per un viaggio…e lo fa con passione, trovando il tempo per portare avanti, comunque, i suoi studi, con l’ aiuto del fratello.
“Grazie, Yvette…” dico; tu ripeti le mie parole e mentre mi siedo chiedi alla donna se le serve una mano.
 Non stai mai ferma ed è cosi fin dal momento che ti sei ripresa, un mesetto fa. Meglio così penso. Almeno, in questo modo non hai modo di pensare.

Un mese…penso.

“Andrè, qualcosa ti preoccupa?” mi chiedi. Faccio segno di no con la testa e penso, ancora, che
dovrei essere io a prendermi cura di te, invece… ultimamente sei tu a farlo, quasi toccassi con mano la mia stanchezza fatta di notti insonni e di un lavoro che spacca la schiena per quattordici ore al giorno…
“No, Oscar. Solo pensieri. “rispondo. 
Dalla porta spunta Luc.
“Fratello, avete già concluso?” domanda Yvette guardandolo mentre recupera la territa dalla stufa e la porta in tavola.
“Si, non c’ era molto di cui discutere, a parte un paio di faccende riguardanti Camille  e un discorso del cittadino Marat” risponde lui.  Ultimamente è molto preso, le riunioni dell’assemblea sono all’ordine del giorno. Infine si volta verso di noi e ci saluta.
“Bernard chiede quando passerete a trovarlo”
Io ed Oscar ci guardiamo.
“Passeremo da loro presto” rispondi pronta ma so che stai dicendo una bugia, te lo leggo negli occhi. Il fatto che Rosalie aspetti un figlio , per quanto umanamente ti renda felice, ti reca una sorta di fastidio, di disturbo.
“…forza, mangiamo” dice Yvette, cambiando argomento “non voglio che si freddi. Ho trovato questa carne per miracolo…”
Luc è il primo, affonda le posate nella terrina dove un sugo emana un profumo divino.
“L’abbiamo cucinata insieme io ed Oscar” dice la giovane. Luc vi fa i complimenti: iniziamo a mangiare.
“Di cosa avete parlato? Alain era presente?” domando, dopo appena cinque minuti. Luc si asciuga le labbra con un tovagliolo e deglutisce il boccone.
“…del solito…tuttavia, ci sono state alcune discussioni. Alcune persone pur apprezzando il lavoro della nostra fazione dicono che…dovremmo essere più decisi, avvicinarci ancora di più a Robespierre...il quale, ma questo lo sapevamo già, sta decisamente imboccando una strada che a lungo andare sarà la sua rovina.”
Ci guardiamo, io e te. Sono parole pesanti, quelle che Luc pronuncia.
“…e pensare che spesso si è trovato a condannare Saint- Just per i suoi modi… “ ti lasci sfuggire. Posi la forchetta, prendi un bicchiere d’ acqua.
“Li avete lasciati andare?” chiedo.
Luc mi guarda, alza le spalle.
“Sono uomini liberi” risponde “…onestamente, se la pensano così, meglio che si allontanino. Non si è fatta una rivolta per ritrovarsi poi con un uomo solo al comando. La rivolta è del popolo, per il popolo. Di regnanti ne abbiamo avuto abbastanza”
Ti guardo, Oscar.
So quanto eri legata alla tua regina; non faccio domande, non vado oltre perché ho timore della risposta. Lascio cadere l’argomento; il nostro benefattore fa lo stesso.
Concludiamo il pranzo in silenzio, una parola di tanto in tanto riguardo questo autunno che sta arrivando in anticipo. Ti propongo una passeggiata; usciremo con Yvette e Luc, se vogliono, oppure noi due da soli.
“…sarebbe bello, ma devo dedicarmi ad alcuni aggiornamenti “risponde il giovane medico. Yvette è un po' delusa, ci teneva a venire con noi, ma subito precisa che non lo farà.
“Non voglio recare disturbo” dice.
Ci lasciamo così, quindi, con la promessa di ritrovarci per la cena. Luc ci chiede di prestare attenzione e di non allontanarci troppo.
“…Staremo qui nei dintorni” rispondi tu; anche perché le tue forze sono sempre un po' limitate e tutto dipende dal tuo umore. Torniamo quindi nella nostra stanza.
“Te la senti, Oscar?” chiedo mentre ti siedi alla toeletta ed inizi a pettinare i capelli.
“Si, sono stanca di starmene sempre chiusa tra queste quattro mura…ho passato settimane a letto e giorni a guardare fuori da una finestra..” rispondi. Annuisco.
 
Un mese….E’ passato un solo mese da quel giorno ed a me sembra un secolo…


“…smettila di pensarci, André. Lo sto facendo anche io: è andata così, non possiamo farci nulla” dici, spiazzandomi. Mi volto nella tua direzione e ti trovo ad osservarmi.

“Non ci riesco, Oscar” rispondo.
“Dobbiamo riuscirci” dici. Non so quanto tu ne sia convinta tuttavia ciò che mi arriva è una forte determinazione. Hai passato tu il peggio e…mi stai facendo forza?
Mi alzo, infilo le scarpe che ho lasciato vicino all’ armadio. Anche tu fai lo stesso; afferri la giacca, sistemi la camicia nei pantaloni, vieni verso di me. Mi abbracci.
“… siamo qui, siamo vivi. Non ti preoccupare per me, André; il dolore che porto non se ne andrà mai e sto imparando a conviverci. Inutile continuare a pensarci, dobbiamo riprendere in mano la nostra vita” sussurri al mio orecchio. Sei sempre stata forte, Oscar…
Mano nella mano usciamo. Si è sollevato un po' di vento e l’ aria sa di pioggia; alzo gli occhi al cielo e vedo nuvole scure oltre i tetti e le case.

“Ricordi, Oscar? Ricordi questo cielo plumbeo e l’ oro dei cancelli sfiorato da quell’ unico raggio di sole, alla Reggia?”
Ti fermi, il tuo sguardo vaga.
So che anche tu pensi la stessa cosa.
“…il giorno in cui decidemmo di fuggire. Con una scusa riuscimmo ad andare alla Reggia per comunicare qualcosa alla regina. Nei giardini osservammo qualcosa di straordinario…” rispondi.
“Si. Sembra passata una eternità eppure…”
“Dopo sei settimane abbiamo deciso che avremmo combattuto con il popolo e per il popolo” dici.
In silenzio scendiamo ancora di qualche passo poi, questa volta sei tu a fermarti.
“…di ciò che volevamo fare…”
Ti fermo subito.
“Oscar, non è colpa tua, non è colpa nostra. Le cose sono andate in maniera diversa da quanto previsto…”
Ci fermiamo, nel mezzo del piccolo cortile. Le gocce di pioggia si posano delicate sui capelli.

“André, tu pensi che i miei genitori siano ancora vivi?”
Passo una mano intorno alla tua vita.
“Spero di si, così come spero che sia viva mia nonna.” rispondo ascoltando il cuore battere sempre più forte. Ci guardiamo negli occhi, carichi di speranze e…capisco cosa vuoi fare.

“…non possiamo andare la, lo sai benissimo. E’ troppo pericoloso e nelle tue condizioni….”
Il tuo sguardo si fa d’ un tratto acceso.
“Io sto bene, André. Se tu non vuoi farlo, non accampare scuse a mio nome” mi dici e la tua voce è piena di rabbia. Chino il capo.
“…sono solo preoccupato, Oscar. Inoltre, non abbiamo armi, cavalli… e raggiungere palazzo con una carrozza non mi pare il caso” rispondo…
La pioggia inizia a scendere consistente.
Ci spostiamo verso il muro di cinta ,che è un poco riparato, per non essere colpiti. Inavvertitamente scivoli, ti prendo per un soffio e ti stringo.
Forte.

Lasci andare il capo contro il mio petto.

“Non so più chi sono, André” mormori a mezza voce, come una bambina…e il mio cuore si allarga, vorrebbe prendersi anche il tuo per scaldarlo…
“Vuoi tornare a casa?” chiedo. Non abbiamo neppure raggiunto il portone.

“Si.”

Torniamo sui nostri passi, dunque, passando davanti ad Yvette che sta finendo di spazzare il portico. Non fa caso a noi.

“Ti dispiace, André, non essere uscito?” mi domandi una volta davanti alla porta della stanza.
“No, affatto” ti rispondo “la mia priorità sei tu.”

Giro la chiave, entriamo.
Tolgo giacca e scarpe e li lascio vicino alla porta, dove c’è l’appendiabiti.
Tu fai lo stesso poi ti accomodi, seduta davanti allo specchio.

“Avremo mai un’ altra opportunità? Potremo mai avere un altro figlio?” domandi.
Non mi guardi; fissi la tua immagine. Vuoi che sia quest’ultima a rispondere o vuoi lo faccia io?

“Ne abbiamo parlato, Oscar; certo che avremo un’ altra opportunità, anche Luc  lo pensa” rispondo. Nel frattempo mi siedo sul letto, ti do la schiena, mi prendo la testa tra le mani.

“Tutto bene?” chiedi.

Dovrei essere io  a farti questa domanda ma d’ un tratto e senza che possa controllare tutto quanto, le mie difese calano. Un momento prima ho arginato pensieri e parole, facendoci forza ed ora….cosa è questo immenso fiume di pensieri che mi raggiunge?

“….non lo so, Oscar. Si, tutto bene ma…a volte mi pare di impazzire”.

Non mi rendo conto di aver detto una frase del genere eppure si, l’ ho appena fatto; mi ero ripromesso di non lasciarmi andare invece…
Sento il rumore di una sedia che si sposta e dopo pochi attimi ti sento accanto a me quindi volto il capo ed incrocio i tuoi occhi.
“Avevamo sognato qualcosa di diverso, ricordi? La rivoluzione, un futuro insieme, costruire insieme ai nostri amici qualcosa di nuovo…io invece…mi sento inutile, torno sempre a ripetere gli stessi discorsi…non so darmi pace… “
Mi accarezzi il viso mentre dici tutto ciò ed io mi sento male…avrei dovuto essere quello forte…non ho più domande, aspettative, risposte.
Ti guardo e non so che dire.
Resto in silenzio, come un ebete.
“Scusa, io…” faccio per dire.
Mi interrompi.

“Promettimi un a cosa: prima di andarcene di qui, perché io ormai non riesco più a stare in una città che ho perso, che mi manca, che non è più mia….vorrei solo fare una cosa: andare a palazzo. Non è un capriccio, è una necessità; so benissimo che andarci a breve sarebbe un azzardo però, promettimelo: ci andremo, vero, André?” domandi.
Guardo i tuoi occhi, mi perdo nel blu profondo.
 Ti faccio un cenno.
Si, ti dico a mio modo.

Ci stendiamo sul letto, la pioggia si fa più forte; non diciamo più una parola ed osserviamo quel lembo di cielo che la finestra ci permette di vedere, oltre il palazzo all’ angolo. Non riesco più ad arginare i pensieri, chiudo gli occhi e basta.
Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto.



***



Meno di due settimane più tardi, mentre sto tornando dal turno di notte al mattatoio – situazione temporanea che mi ha trovato Alain – per strada incontro Germain: sono stanco e devo aguzzare la vista ma si! è lui! penso; non potrei non riconoscerlo, con quella cicatrice che attraversa metà testa dividendo a metà la zazzera rossa e spelacchiata che si ostina a portare.
“Grandier! Sei vivo!” esclama non appena mi riconosce.
E’ fermo con quelli che sembrano suoi compagni di lavoro e tiene tra le mani una grossa pinta colma di birra.
“Germain! Si, sono io…che ci fai in città? Ti credevo a Lille, dai parenti di tua moglie” rispondo. Ricordo la loro partenza, otto mesi fa, prima che accadesse tutto; il padre di Oscar, considerando i servigi che lui e la moglie avevano reso fino ad allora, aveva concesso il benestare per la libertà…
“Mia moglie…è morta poco dopo il nostro arrivo a Lille, nel dare alla luce nostra figlia” dice come se niente fosse, o questo è ciò che mi sembra,  in preda ai fumi dell’ alcol “ così…sono rimasto li ancora un po', ho sistemato i più grandi da mia sorella e mi sono messo a girare le varie contee finchè non sono tornato a Parigi ma…tu, piuttosto? Ho saputo che tu e Madamigella Oscar….siete…fuggiti! La vecchia Sabine non parlava d’ altro…”
Improvvisamente mi ritrovo pure io con una birra in mano.
La bevo con piacere.
“E’ vero. Ora viviamo da alcuni nostri amici ma presto, spero, lasceremo la città” rispondo. Non ho nulla da nascondere e lui…di lui mi fido, è un povero cristo.
Germain mi mette un braccio sulle spalle, il suo alito pesante mi arriva addosso talmente all’ improvviso che per poco non mi sento male.

“E’ stata una pazzia ma, a ben vedere, avete fatto bene. Anche i Signori Conti se ne sono andati…lo so per certo. A Palazzo Jarjayes è rimasto solo il vecchio custode.”

La notizia mi coglie alla sprovvista, per poco non mollo la caraffa di birra.

“…e dove sarebbero andati?” chiedo, fingendo indifferenza. Non ottengo risposta:  i compari di Germain lo portano via,  dietro ad una biondina che sta entrando alla locanda; io li seguo e quando riesco a raggiungerlo, finalmente, cerco di carpire qualche informazione.
“Allora, Germain? Che mi dici?” urlo sopra altre voci e canzoncine oscene.
“…Non lo so. E’ da molto che non vedo Didier, è lui che mi ha informato di tutto…però una cosa posso dirtela: con loro c’è anche tua nonna” dice. La biondina di prima è ormai avvinghiata a lui quindi non vado oltre. E’ già una botta di fortuna aver scoperto tutto ciò….
Finisco allora la mia birra , saluto e riprendo l’ uscita, ancora intontito da tutte queste notizie; la strada di casa è vicina e non vedo l’ ora di riferire tutto quanto ad Oscar.



 
***
 
 
“Andrè, dici davvero?”

Sei stesa a letto, ti sei svegliata non appena dono entrato in camera; il cielo comincia a schiarirsi.
“Si. Non credevo prima ai miei occhi, poi alle mie orecchie” rispondo infilandomi a letto dopo essermi lavato per togliere  l’ odore di morte; mi accogli come al solito, passando una mano tra i capelli umidi. Il tuo sguardo si è come acceso.
Mi sistemo su un fianco.
“Se le cose stanno così…potremo cercarli, se vuoi” ti dico. Cerco di reprimere uno sbadiglio ma non ce la faccio.
“…e’ una bella notizia, il mio cuore è ora un poco più sollevato. Mentirei se dicessi il contrario… e sono felice che anche Nanny stia bene. Più di una volta ho pensato al peggio…”
I miei occhi sono pesanti ma riesco a vedere il tuo viso sereno.
“ Una bella notizia…davvero…” borbotto “…Oscar, ascolta…se vuoi, tra due giorni…se te la senti…possiamo comunque passare da Palazzo. Ci vive ancora il vecchio custode…”
Sono davvero stanco, la tua voce mi appare così lontana! Sento le tue mani accarezzarmi ancora e poi sistemarmi le coperte; i miei occhi sono chiusi, il mio naso accoglie il tuo profumo. Scivolo presto in un sonno profondo, contento di averti dato la notizia che, in cuor tuo, anelavi da moltissimo tempo.
Quando mi sveglio, di pomeriggio poco dopo che gli occupanti di casa si sono ritirati dopo il pranzo, ti trovo seduta alla finestra con in mano un libro, intenta a leggere credo qualche libercolo che Bernard ti ha passato.
Come ti accorgi di me, lo posi sulle tue ginocchia.
“Buongiorno André. Sei riposato? Hai dormito come un sasso” mi dici con una voce serena, quasi squillante, che non ascoltavo da tempo.
“Buongiorno, Oscar…ero distrutto, davvero ! Pensare che stasera dovrò ricominciare….” ti rispondo ancora disteso a letto, stiracchiandomi.
“E’ passato Alain. Ha detto che stasera non ci sarà da lavorare: stamattina non è arrivata la carne” dici ed io sorrido amaramente.
“Ah!...Già…e non credo arriverà, per un po'” rispondo.
 Non aggiungo altro. Questo lavoro è durato fin troppo per i tempi che corriamo…
“Luc e Yvette sono usciti, torneranno tra un paio di ore. Hanno preso il calesse perché dovevano allontanarsi dalla città, ma la giovane Gillard ti ha lasciato un piatto colmo di prelibatezze, se vuoi mangiare.” dici
Mi alzo e tu fai lo stesso; mi vieni incontro, mi abbracci.
“Ti lascio solo a fare ciò che devi, io ti aspetto nelle cucine”. Profumi di buono, Yvette ti ha aiutato a lavare i capelli, immagino.
“Lavanda e… “
“Lavanda e verbena. Te ne sei accorto!” dici, e ridi.

Da quanto tempo non ti sentivo ridere così, Oscar? Da quanto?

“Come potrei non accorgermi ? “
rispondo; ti bacio, prima le guance, poi gli occhi, infine le labbra.
“Sto cercando di… riprendere in mano la mia vita. E’ una sciocchezza ma da qualche parte devo pur iniziare” dici.

Lo so che è dura, Oscar, che un giorno è bello ed il giorno dopo potrebbe essere d’ inferno…

“Ti amo Oscar, ricordalo sempre…”
Il tuo sguardo mi ripaga di tutto. E’ ossigeno puro.
“Anche io, André. Anche io ti amo” rispondi.

Mi fissi, forse hai ancora qualcosa da dirmi…ti conosco, percepisco ogni sfumatura di te. Ma non chiedo nulla: se avrai voglia sarai tu a parlarmene, questi mesi sono stati così delicati, strani…non voglio forzare nulla.

Forse stai pensando ai tuoi genitori, forse a nostro figlio…

Ti stringo forte la mano.
Sorridi.

Infine, ti rechi verso la porta ed esci ed io spero, con tutto il cuore, che questa parvenza di serenità raggiunta con così tanta sofferenza possa accompagnarci ancora per molto, molto tempo.
   
 
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