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Autore: Orso Scrive    07/11/2022    2 recensioni
Il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani, del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, devono occuparsi di una nuova grana: un vandalo dall’improbabile nome di Sukker ha preso di mira i graffiti rupestri della Valle Camonica, in provincia di Brescia, imbrattandoli con bombolette spray.
Riusciranno i nostri eroi a fermare Sukker, prima che i suoi danni divengano irreparabili? Ma, soprattutto, scopriranno il mistero che si cela dietro ai graffiti rupestri, un mistero che sembra parlare di antichissime visite di esseri provenienti da altri pianeti e da altri universi? Alberto e Aurora scorgeranno questa antica verità, o il mistero resterà celato ai loro occhi?
Genere: Fantasy, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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12.

 

 

Reggio Emilia, maggio 2013

 

 

Nell’aula del liceo serpeggiava un forte entusiasmo. I ragazzi e le ragazze non facevano che sporgersi l’uno verso l’altro, parlottando tra di loro. Un brusio che non mancò di arrivare alle orecchie del professor Lancellotti che, con le spalle rivolte ai suoi studenti, stava tracciando sulla lavagna uno schema riassuntivo della filosofia di Marx applicata al modello sovietico.

Di scatto, si voltò a fronteggiare i suoi giovani alunni.

«Si può sapere che cosa avete, oggi?» sbottò. «Guardate che Marx è molto probabile che vi venga chiesto all’esame di maturità, eh…»

Capelli e barba bianchi, occhiali dalla montatura dorata, giacca, camicia e pantaloni eleganti ma lisi, il professor Lancellotti aveva tutta l’aria di un vecchio topo di biblioteca. Nonostante questo, i suoi studenti lo rispettavano: prima di tutto, perché durante le interrogazioni amava ascoltare il suono della propria voce, finendo così quasi sempre per rispondersi da solo alle domande che aveva posto, gratificando poi l’interrogato di turno con un voto altissimo; e, in secondo luogo, perché era un uomo con cui si poteva parlare di qualsiasi argomento, non soltanto di Storia e di Filosofia, che erano i suoi campi di insegnamento.

«Stavamo parlando dell’avvistamento UFO che c’è stato ieri sera qui nella provincia, professore», replicò Costanza. La ragazza, seduta in prima fila, era sempre la prima a rispondere alle domande.

«Sì, lo ha visto anche lei?» chiese Claudia.

«Ne hanno parlato al telegiornale», aggiunse Federica.

Fu tutto un cinguettare di voci femminili. Le ragazze sembravano provare un’attrazione irresistibile, per quell’uomo maturo e affascinante, di età indefinibile.

Il professor Lancellotti ammiccò.

«Ho sentito qualcosa, sì», ammise. «Ma ora pensiamo a Marx e a Lenin, eh…»

Fece per voltarsi di nuovo alla lavagna, ma un coro di lamentele lo inseguì.

«Ma quello è il passato!» si levò chiara la voce di Costanza. «Gli UFO potrebbero essere il nostro futuro, no?»

«Lei crede che potrebbe avvenire un contatto tra popolazioni della Terra e esseri extraterrestri, professore?» disse Gabriele.

«Ci sarà pure qualche filosofo che ha trattato l’argomento, no?» domandò Lucrezia.

Con un sospiro, il professor Lancellotti tornò a guardare ancora i suoi studenti. Era chiaro che, per quella mattina, la filosofia collettivista avrebbe dovuto essere messa da parte. Non che al docente dispiacesse: trovava sempre piacevole cogliere l’entusiasmo e l’interesse dei giovani, fosse anche per un argomento assai al di fuori dei programmi ministeriali.

«Vari uomini illustri se ne sono occupati, sì», rispose.

Infilò il gessetto in tasca, si pulì alla meglio le mani e cominciò a camminare avanti e indietro per l’aula, a passo lento. Tutti gli occhi si focalizzarono su di lui. Il professor Lancellotti aveva scoperto da tempo che, a fare così, si raccoglieva maggiore attenzione, rispetto al starsene tutto il tempo seduto dietro la cattedra.

«Uno dei primi uomini di scienza a prendere in esame la questione degli avvistamenti UFO, pochi anni dopo che il fenomeno dei cosiddetti dischi volanti era salito agli onori delle cronache, fu Carl Gustav Jung, lo psicanalista allievo di Freud, eh…»

Il professore avanzò fino al fondo dell’aula e toccò il muro con la mano. Fece una breve pausa, Rimise le mani dietro la schiena e ricominciò la sua lenta avanzata in mezzo alla selva dei banchi.

«Jung, in un primo momento, parlò di fenomeno psichico. A suo dire, la gente credeva soltanto di vedere i dischi volanti. Una proiezione della mente, in pratica, eh… ma dovette ricredersi quando il fenomeno assunse una portata globale e decine di migliaia – se non milioni – di persone, cominciarono a raccontare di aver osservato strani fenomeni celesti, eh…»

Lancellotti si fermò davanti al banco di Carolina. Fissò la ragazza senza realmente vederla, e ricominciò a camminare e a parlare.

«Verso la fine della sua vita, Jung riconobbe l’autenticità del fenomeno UFO, pur vedendosi costretto ad ammettere di non sapere di che cosa si trattasse per davvero, eh…»

Tornato davanti alla lavagna, il professore si fermò. Ripreso in mano il gessetto, cominciò a tracciare qualche ghirigoro. Tutti gli occhi si focalizzarono sulla sua mano, mentre le menti rincorrevano ancora le sue parole.

«Quella di Jung, fu una specie di benedizione scientifica al fenomeno: per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, ingegneri, scienziati e militari stilarono rapporti su rapporti, cercando di dare un senso concreto a ciò che la gente aveva visto, eh… e si cominciarono anche a compiere tentativi di contatto: in pratica, da certe potenti stazioni, venivano inviati nello spazio dei segnali radio, con la speranza che qualcuno li intercettasse e rispondesse, eh…»

Rimesso in tasca il gessetto, il professore ricominciò la sua lenta marcia. Transitò accanto al banco di David, diede uno sguardo veloce alle mani di Michela e si spostò in direzione della finestra affacciata sul cortile.

«Poi, però, verso la fine degli anni ‘60, le cose cominciarono a mutare», riprese. «La scienza abbandonò lo studio degli UFO, che venne quasi ridicolizzato, eh… soltanto gli appassionati – i cosiddetti ufologi: un termine che, per certe persone, risulta ridicolo – continuarono a occuparsene, tramite la pubblicazione di libri e studi su riviste specializzate. Ma non sono mancati, comunque, anche i filosofi, che hanno deciso di occuparsi della questione: soprattutto, si sono domandati che cosa accadrebbe, in caso di un incontro tra civiltà, eh…»

Lo sguardo di Lancellotti si perse nel cielo azzurro, che splendeva fuori dalla finestra. Dal cortile, entravano voci umane e grida di rondini. Ogni tanto, dalla strada poco lontana, risuonava il rumore di un motore.

L’avvistamento della sera prima, che tanto aveva fatto parlare, era stato davvero impressionante. Sospese nel cielo, sopra tutta la provincia di Reggio Emilia ancora in buona parte devastata dal terribile terremoto dell’anno prima, erano state viste decine di luci colorate, di cui nessuno aveva saputo dare una spiegazione. Le luci erano rimaste visibili per parecchi minuti – c’era persino chi sosteneva di averle osservate per delle ore intere – prima di spegnersi e svanire a poco a poco.

Ora il cielo sembrava essere tornato normale, ma gli occhi di Lancellotti lo scandagliarono comunque con molta attenzione. Non si poteva mai sapere.

«Un filosofo, in particolare, ha trattato l’argomento in diversi suoi libri», ricominciò a dire il professore. «Si tratta di Euprepio Filelozio, eh…»

Un nuovo brusio corse tra i banchi. Al liceo Ariosto girava voce che, dietro quel nome, si nascondesse niente altri che il professor Lancellotti in persona. Lui non si era mai curato di smentire. E nemmeno si curò di quel brusio, che si interruppe non appena si fu voltato.

Riprese a parlare e a camminare piano per l’aula.

«Filelozio, in particolare, si è posto una serie di domande, alle quali, a suo dire, sarebbe necessario rispondere prima di avventurarsi in un incontro con esseri provenienti da un altro pianeta, eh…» disse.

Si fermò davanti al banco di Alma che, come al solito, sfoggiava una vertiginosa scollatura, che convogliava su di sé parecchi sguardi, tanto maschili quanto femminili. Gli occhi di Lancellotti, ignorando quella visione, scivolarono su tutto il resto della classe.

«Perché è bene sapere che ci vuole una mente aperta, per affrontare un simile incontro, eh… guardate cos’è successo in passato, sul nostro pianeta: ogni volta che uomini di culture e credi diversi si sono incontrati, ne sono scaturite stragi insensate che ci hanno privato di chissà quali tesori della conoscenza, eh… bisogna evitare a tutti i costi che un simile errore marchiano si compia di nuovo, eh…»

Il professore tornò verso la cattedra e si chinò sulla sua valigetta di pelle, tutta consunta e consumata agli angoli. Ci frugò dentro e ne estrasse un libro dalla copertina rossa e sgualcita. A giudicare dalla grafica tutta squadrata, doveva essere un’edizione risalente agli anni ‘90.

«Per pura casualità, ho qui con me il libro di Filelozio, Vrillon e gli antichi, in cui il nostro filosofo si pone le sue domande sul cosmo, eh…» Sfogliò le pagine ingiallite, che doveva aver letto e riletto parecchie volte. «Vediamole insieme, eh…»

Tenendo il libro aperto tra il pollice e l’indice della mano sinistra, Lancellotti ricominciò a muoversi avanti e indietro tra i banchi. Il suono pacato della sua voce accompagnò quel viavai, mentre pian piano elencava i vari quesiti.

«La prima domanda che il nostro filosofo si pone è quella fondamentale: esistono altre forme di vita, nell’Universo? Chiaro che, senza partire proprio da questa, non si va da nessuna parte, eh…»

Il professore contemplò per un istante la parete a cui erano incollati cartelloni e bigliettini di vario genere.

«La seconda domanda è: se queste forme di vita esistono, sono rimaste a livello unicellulare o si sono evolute a uno stadio pluricellulare? Non possiamo infatti dimenticare il modo in cui si è formata la vita sul nostro pianeta, e dovremmo partire dall’assunto che, certe regole, siano universali, eh…»

Si fermò davanti al banco di Mirko. Prese in mano il suo astuccio, lo sollevò verso il soffitto e lo osservò, restando in silenzio per alcuni secondi. Lo rimise a posto.

«Terza domanda di Filelozio. Se queste forme di vita si sono evolute, hanno raggiunto uno stadio tale da creare una civiltà intelligente? È necessario, infatti, tenere in considerazione il fatto che, gli extraterrestri, potrebbero essere dei semplici animali privi di intelligenza, e questo, lo so, deluderebbe molta gente, eh…»

Raggiunta la sedia di Gisella, tamburellò per un istante sullo schienale con le dita della mano destra.

«Vediamo la quarta domanda. Con essa, Filelozio si domanda: se questi esseri extraterrestri hanno creato una civiltà intelligente, essa è pari, superiore oppure inferiore alla nostra? Tutte e tre le possibilità sono realistiche, e partendo da esse si determinerebbero anche molti dei nostri comportamenti, eh… potremmo, infatti, trovarci di volta in volta in condizioni differenti, eh… e non dimentichiamo che, per l’uomo, che si è sempre creduto un po’ il padrone dell’intero Universo, la prospettiva di trovarsi in inferiorità sarebbe devastante, da un punto di vista psichico, eh…»

Lancellotti, camminando, aveva raggiunto la porta dell’aula. L’aprì, si affacciò sul corridoio da cui sopraggiungeva il brusio delle lezioni nelle altre classi e guardò a destra e a sinistra. Richiuse.

«Quinta domanda. Al di là del suo stadio evolutivo, tale civiltà esiste ancora? Ecco, questo è un vero dilemma, eh… le distanze cosmiche sono tanto vaste, e i tempi tanto dilatati, che due o più civiltà potrebbero sorgere ed estinguersi senza mai venire in contatto o sapere nulla l’una dell’altra a causa della lontananza, eh… oppure, riprendendo le teorie degli antichi astronauti, questi popoli potrebbero averci visitato in passato, e poi essere scomparsi, eh… una prospettiva molto triste, lo ammetto: ci farebbe sentire davvero soli, nell’Universo, eh…»

Il professore compì un periplo della cattedra. Sistemò meglio la sua borsa, che aveva lasciato sul ripiano del tavolo.

«Veniamo adesso alla sesta domanda sui nostri ipotetici amici alieni. Qui, Filelozio si chiede: se questa civiltà esiste ancora, si pone le stesse domande che ci poniamo noi? Qui si entra nel filosofico, lo riconosco, ma è importante ragionarci, eh… dobbiamo infatti pensare a questo, che se noi ci interroghiamo sul cosmo, e sui suoi ipotetici abitanti, non è affatto certo che anche altri lo facciano, eh…»

Lancellotti raggiunse di nuovo il fondo dell’aula e, come sempre faceva in quei casi, toccò il muro. Per un istante, parve sinceramente interessato a un graffito a matita che raffigurava quella che sembrava essere la professoressa Albieri, l’insegnante di educazione fisica, nei panni di una terribile strega. Riprese a parlare.

«La domanda successiva è: se questa civiltà si pone le stesse domande che ci poniamo noi, ha sviluppato l’interesse per un incontro, oppure preferisce rimanere nascosta? Non dobbiamo dimenticare, infatti, che noi esseri umani siamo un popolo micidiale, da sempre votato all’autodistruzione, eh… e, oltretutto, incapaci di accettare il diverso in mezzo a noi, le diversità che esistono tra i nostri simili, figuriamoci quindi se queste differenze provenissero dal cosmo, eh… potremmo diventare davvero pericolosi, nei confronti di eventuali visitatori, eh…»

Lo sguardo del professore, ammantato di severità, corse su tutti i suoi studenti. Ogni ragazza e ogni ragazzo sembrava davvero pendere dalle sue labbra. Trascorsa una manciata di secondi, ricominciò a parlare.

«E siamo all’ottava domanda. Questa dice: se questa civiltà avesse interesse a incontrarci, come si comporterebbe, in caso di contatto? In altre parole: verrebbe in pace, oppure sarebbe ostile? Il cinema, negli ultimi decenni, ci ha mostrato entrambe le possibilità, eh… certo, potremmo dirci che, una civiltà evoluta, dovrebbe muoversi con intenzioni pacifiche, ma anche noi umani, a conti fatti, ci riteniamo evoluti, eppure… eh…»

Lancellotti caracollò tra il banco di Ginevra e quello di Assunta. Con fare quasi casuale, chiuse i libri aperti davanti alle due ragazze.

«Nona domanda: ma soprattutto, in caso di contatto, come reagiremmo noi? Eh… eh… eh… ne abbiamo già accennato prima, e temo che tutti conosciamo la risposta: non reagiremmo affatto bene, eh… siamo tanto ostili verso noi stessi: basta un colore della pelle che non ci piace, o un atteggiamento che ci pare sbagliato, o il fatto che a qualcuno piacciano persone del suo stesso sesso, oppure che qualcuno abbia un fisico che non riteniamo bello, e diventiamo cattivi, eh… cattivi, sì. Se ci capitasse davanti un marziano, che cosa mai combineremmo, eh…? Non oso nemmeno immaginarlo, lo ammetto, eh…»

Tornato nei pressi della porta, il professore ci bussò sopra. Restò in attesa, quasi che si aspettasse che, da fuori, qualcuno rispondesse. Si girò di nuovo verso la sua piccola ma attenta platea.

«Dunque… domanda numero dieci: in caso di un contatto, quali misure dovremmo adottare, per evitare un rischio di contaminazione biologica? Può sembrare una domanda molto tecnica, ma non va presa sottogamba, eh… prendete, per esempio, il primo contatto tra gli europei e gli indios americani: malattie sconosciute si diffusero da una parte e dall’altra dell’Atlantico, eh… malattie per cui, ancora, non esistevano gli anticorpi. Il raffreddore quasi sterminò le popolazioni dell’America precolombiana, e l’Europa fu messa in crisi da malattie quali la sifilide, eh… dobbiamo tenerlo presente. Non possiamo incontrare faccia a faccia un essere extraterrestre, abbracciarlo o, chi può dirlo, averci persino dei rapporti sessuali, senza prima aver preso tutte le misure del caso, eh…»

A quelle ultime parole, seguirono alcune risatine. Risatine che gli occhi inflessibili del professore fecero subito scemare in un silenzio carico di aspettative.

«Risolto questo problema, sorge l’undicesimo quesito: chi si dovrebbe occupare, del primo incontro? In altre parole, a chi verrebbe delegato il compito del primo contatto? Il cinema ci ha abituato a vedere gli statunitensi interagire per primi con gli alieni, eh… ma questo accade solo perché, in Italia, non sappiamo fare film decenti. Non dobbiamo prendere i film come una verità, eh… certo, a livello mondiale gli USA sono una superpotenza, ma questa non potrebbe essere una reale giustificazione. Cosa succederebbe, per esempio, se gli extraterrestri decidessero di atterrare, che ne so, in Cina? O a Roma, eh…? O, magari, in Siria? Insomma, bisognerà tenerne conto, di questa cosa, eh… magari evitando di scatenare l’ennesima guerra per poter stabilire il primato, eh…»

Il professore raggiunse l’armadio di metallo in cui erano contenuti i materiali che potevano tornare utili nel corso delle lezioni. Aprì l’anta scorrevole, ci guardò dentro con vivo interesse. Chiuse di nuovo.

«Ora vi dico la dodicesima domanda, l’ultima, per ora, anche se si potrebbe andare avanti praticamente all’infinito, eh… chiede Filelozio: per la popolazione umana, che cosa comporterebbe davvero, un contatto? Nazioni e religioni manterrebbero ancora il loro attuale significato? Riterremmo ancora validi i confini? E ci sentiremmo più uniti e affratellati, di fronte alla prospettiva dell’esistenza di altre civiltà intelligenti? Questa è una domanda veramente filosofica, eh… una domanda a cui non esiste una risposta, per il momento, ma che non dobbiamo affatto dimenticare, eh…»

Con un lungo sospiro, il professor Lancellotti tornò verso la cattedra e vi si sedette dietro. Le sue dita continuarono a giocare con il libro di Euprepio Filelozio.

«E ora a voi, ragazzi, eh… domande? Risposte? Considerazioni?»

 

 
   
 
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