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Autore: RiccRoss    07/11/2022    0 recensioni
Alexander Flinch non è l'uomo che tutti credono e Petra ha seri dubbi riguardo il contenuto della sua stiva. Tabacco? Come no... Deve trovare delle prove convincenti che dimostrino quanto sia disumano quell'uomo. Tuttavia Petra si ritroverà a fronteggiare qualcosa che non poteva aver pianificato: l'odio di un uomo che teme le donne. Ma il mare, eterno testimone, le darà la possibilità di riscattarsi.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3 - IL MARE APPARTIENE ALLE DONNE

Le sembrava di galleggiare sia nel corpo che nella mente, la stessa sensazione che provava al risveglio dopo una lunga dormita, e qualcosa la avvolgeva stretta come una coperta.
Dopo un breve momento in cui godette di quella inaspettata sensazione di piacere—sarebbe potuta rimanere così per sempre—si sentì scuotere per le spalle con forza.
«Oh, speravamo davvero che ce la facessi.»
Di cosa diavolo stava blaterando? Petra emise un verso contrariato e cercò di trattenere gli ultimi brandelli di sonno, ma chiunque fosse stato a parlare era deciso a non concederle tregua.
«Ti abbiamo tenuto d’occhio per tutto il tempo. Non mi hanno permesso di aiutarti, continuavano a ripetere che era una faccenda solo tua.»
Petra si costrinse a mettersi a sedere. La proprietaria della voce, una ragazzina dai capelli corvini che galleggiavano sinuosamente, la scrutava in volto cercando tracce di qualcosa che solo lei poteva conoscere.
«Dacci un taglio, Huda. Non avremmo potuto decidere per lei» ribatté una seconda voce in tono esausto. «Vorrei soltanto che non accadesse così spesso come negli ultimi tempi, solo una settimana fa ne è arrivata un’altra. Secondo le mie statistiche…»
«Aveva il diritto di stare su quella nave tanto quanto lui!» protestò la prima ragazza, Huda.
«Come se non lo sapessi» replicò aspramente. «Ho solo detto che sarebbe bello se nessuno si facesse male una volta tanto. Ad ogni modo, hai ragione, non è stata colpa sua. Non lasciarlo entrare nella tua testa» disse in tono minaccioso, l’attenzione di entrambe nuovamente rivolta a Petra.
«Ben detto, Farah. Quello che stiamo cercando di dire è… beh, benvenuta!» Huda tese una mano, affabile, ma Petra venne attraversata da un fremito, quasi avesse preso la scossa. Le dita della sconosciuta. Avevano qualcosa di sbagliato.

Tutto ciò che la circondava era sbagliato.
«Cos’è tutto questo?» chiese allarmata, le sue prima parole dopo il lungo silenzio, e solo quando ebbe parlato realizzò che in effetti non era morta. Per niente morta. Eppure avrebbe dovuto esserlo, o no? I conti non le tornavano: ricordava con discreta chiarezza di essere annegata a causa di quel peso che le avevano legato alle caviglie. Abbassò lo sguardo, ma della zavorra non c’era traccia e anche le funi si erano volatilizzate. Così come le sue stesse gambe.
«Cosa è diavolo questo?» chiese ancora con voce strozzata e desiderò con tutta se stessa allontanarsi da quella cosa, ma sembrava fosse indissolubilmente connessa al suo busto. Ogni piacevole sensazione sparì, lasciando posto a un senso di panico e di soffocamento.
Quelle che un tempo erano state le sue gambe, adesso erano imprigionate in una membrana gelatinosa color latte. Guardando con attenzione se ne poteva ancora indovinare il profilo, ma per quanto ci provasse, pur mettendoci tutta la forza, Petra non riuscì a separarle. Tentò di sgusciare via da quella membrana, ma si ritrovò a stringere una manciata di scaglie opalescenti. Le fissò sconcertata. Anche i piedi si erano allungati orribilmente diventando scheletrici e flessibili, come se fossero fatti di cartilagine.
Gli abiti si erano misteriosamente volatilizzati, ma nonostante la nudità non sentiva freddo, anzi fisicamente non era mai stata meglio in tutta la sua vita. Beh, adesso che ne era diventata consapevole, sentì collo e guance infiammarsi per la vergogna, ma la sua nudità era nulla a confronto del suo corpo impazzito che senza alcun motivo logico aveva deciso sviluppare una…  
«Coda di pesce, primo stadio.»
Quell’affermazione impiegò qualche secondo prima di far breccia nel suo cervello. «C-coda?» I suoi occhi sgranati imploravano un chiarimento. «Dovrebbe essere uno scherzo? Perché non è affatto divertente.»
«Qual è stato il tuo ultimo desiderio prima di arrivare qui?» le chiese invece Farah, più seria che mai.
«Non ricordo, stavo annegando. Probabilmente il mio ultimo pensiero sarà stato, aiuto» sbottò. Stava iniziando ad arrabbiarsi: non sopportava che una sua domanda venisse ignorata, ma ciò che ancora di più le dava ai nervi era non capire. «Questo cosa c’entra con—»
«E se ti dicessi» la interruppe ancora Farah, la cui pazienza pareva essere agli sgoccioli tanto quanto quella di Petra  «che stavi pensando di uccidere: ti viene in mente qualcosa?» Calò un silenzio grave. Uccidere?

Perché avrebbe dovuto pensare a una cosa simile, si chiese Petra. Era una cosa sbagliata, innaturale… o forse si sbagliava? La gente dava per scontato che in punto di morte si dovesse ripensare a tutte le cose amate in vita. Poco prima di morire lei aveva amato la possibilità di smascherare Alexander Flinch. Adesso dubitava di aver amato anche l’idea di ucciderlo…
Una voce le sussurrò all’orecchio, non esattamente una voce, piuttosto il ricordo di un pensiero. Prego che tu muoia. L’inglés aveva monopolizzato persino i suoi ultimi desideri, e lo odiava per questo.
«Non sei morta» riprese Farah. «Vivi in un’altra forma, lo facciamo tutte.»
«Io sono… viva?»
Petra studiò le due ragazze. Huda dai capelli corvini ondeggiò leggermente imbarazzata sulla sua coda di un verde opaco. Al contrario di Petra, le gambe di una volta non si intravedevano affatto, tuttavia le squame non erano tanto lucenti quanto quelle della coda di Farah. Notò anche alcuni tagli lungo i lati del collo, più o meno profondi a seconda del ritmo del respiro.
«Secondo stadio.» Huda sollevò allegramente un braccio come se stesse rispondendo a un appello immaginario.
«Stadio finale» disse Farah e finalmente Petra si spiegò quel tono sempre autoritario e grave, anche se non poteva dire che le piacesse.  
«Quindi mi sono salvata perché il mio ultimo desiderio è stato di uccidere qualcuno?» azzardò Petra.
«Non qualcuno, un uomo senza rispetto. Di questi tempi ce ne sono molto in giro.» Il volto di Huda si rabbuiò.
«Tutte noi avevamo dei conti in sospeso, ecco perché il mare ci ha portate in salvo: da secoli ci è testimone.»
«Lui aveva detto che le donne non appartenevano al mare… »
«E aveva dannatamente torto: noi possediamo il mare. Hai mai notato che chiamano le loro navi con nomi da donna? Cercano di lusingarci, ma così tentano di ingannare un potere che è più antico dell’umanità stessa.»
«Cosa siamo noi?» chiese Petra dopo una breve pausa.
«Ogni uomo ha la sua personale definizione. Dalle mie parti ci chiamano fate del mare, nelle regioni del nord siamo sirene. Tutti nomi così delicati. Non è raro che gli uomini romanticizzino un omicidio—li fa sentire in pace con se stessi—ma la unica, cruda verità è che noi siamo le donne che gli uomini hanno ucciso per paura di perdere potere e autorità.» La voce di Farah era carica di disprezzo.

Odiava Alexander Flinch perché aveva preferito usare una scusa, perché aveva preferito passare per un uomo superstizioso, piuttosto che ammettere di temere le minacce di una donna. Probabilmente aveva voluto sbarazzarsi di lei dal primo momento in cui l’aveva vista nella stiva, ma si era vergognato che una donna avesse scoperto i suoi traffici, che una donna avesse addirittura il potere di spaventarlo… All’improvviso seppe con assoluta certezza, come se fosse stato Flinch stesso ad affermarlo, che avrebbe preferito essere minacciato da un altro uomo.
Farah aveva ragione: l’inglés le era entrato nella testa. Doveva trovare un modo per liberarsene.
Ebbe una visione improvvisa, così tangibile che le parve un presagio. La nave negriera stava imbarcando acqua, uno dei fianchi della nave era stato squarciato dagli scogli. Nella sua visione Petra sapeva di esserne responsabile. Tra i marinai non era rimasto un briciolo di fraternità e di umanità: avrebbero assalito un proprio pari e usato il suo corpo come galleggiante, se ciò avesse potuto assicurare loro un’ora di vita in più. Infine c’era l’inglés che correva su e giù per il ponte nel tentativo di tenere sotto controllo quella tragedia.
Lei lo avrebbe aspettato senza distogliere lo sguardo—al contrario di Flinch lei aveva  ancora tutto il tempo del mondo—e quando l’ultima asse di legno, l’ultimo brandello di vela sarebbe finito sott’acqua, Petra gli avrebbe tolto prima la dignità e poi la vita.
Mentre nuotava più rapida di qualsiasi altro essere umano, seguendo le tracce dell’uomo che l’aveva uccisa per vigliaccheria, l’assenza di ogni dubbio la sorprese. In quella nuova vita il mare sarebbe stato dalla sua parte.
In fondo l’inglés aveva ragione. Una donna a bordo di una nave era davvero una portatrice di sventure, specialmente quando finiva affogata senza compassione. Quando le veniva impedito di occupare spazio, di gridare e di pretendere rispetto.
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Note dell'autore
Gran fianle e (spero) colpo di scena. Le sirene sono le mie creature preferite in assoluto e questa storia incarna un po' la mia storia del cuore, quella che magari... un giorno... scriverò seriamente: una storia di ragazze e sirene. Grazie per il tempo che mi avete dedicato e spero di avervi tenuto compagnia! Alla prossima :D
  
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