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Autore: Orso Scrive    10/11/2022    1 recensioni
Il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani, del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, devono occuparsi di una nuova grana: un vandalo dall’improbabile nome di Sukker ha preso di mira i graffiti rupestri della Valle Camonica, in provincia di Brescia, imbrattandoli con bombolette spray.
Riusciranno i nostri eroi a fermare Sukker, prima che i suoi danni divengano irreparabili? Ma, soprattutto, scopriranno il mistero che si cela dietro ai graffiti rupestri, un mistero che sembra parlare di antichissime visite di esseri provenienti da altri pianeti e da altri universi? Alberto e Aurora scorgeranno questa antica verità, o il mistero resterà celato ai loro occhi?
Genere: Fantasy, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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19.

 

 

Val Camonica, settembre 2021

 

 

«Non fa esattamente caldissimo, vero?»

Aurora, che stava fumando, non rispose subito. Continuò ad aspirare il fumo e a sospingerlo fuori in lente volute che salivano verso il cielo nero e stellato, prima di dissiparsi nel vuoto. Si domandava sempre se, una parte di lei, se ne andasse con il fumo, dopo che questo era stato nei suoi polmoni. La cosa, dopotutto, non le dispiaceva: voleva dire che stava spargendo se stessa, ovunque nel mondo.

Dopo l’ennesima boccata, lanciò uno sguardo a Manfredi, sagoma oscura distesa accanto a lei.

«Me lo hai detto perché stai dicendo che dobbiamo tenerci abbracciati, oppure soltanto perché sei noioso e hai la mentalità di un vecchio pantofolaio che a quest’ora vorrebbe essere già a letto, con un materasso sotto il culo?»

«Io non…» borbottò il tenente. Si interruppe.

«Ecco, bravo, non rispondere, è meglio», disse Aurora, rimettendosi a fumare.

Tutto in un momento, Manfredi la sorprese. Rotolò su se stesso, finendole sopra. Mancò poco che la punta della sigaretta gli scottasse il viso. Le passò le mani sulle spalle e la tenne stretta.

«Era per questo che te l’ho detto», precisò lui.

«Mmmmh, Manfredino, non dirmi che l’aria di montagna ti ha risvegliato gli istinti primordiali», mugolò Aurora. «O è la tua pistola, che sento premere là sotto?»

«La pistola?» ripeté Alberto, sogghignando. «Temo di essermela dimenticata in macchina.»

«Strano», ridacchiò Aurora.

Il tenente Manfredi aveva un difficile rapporto, con le armi da fuoco. Dimenticava sempre di portare con sé la pistola d’ordinanza. Aurora, per prenderlo in giro, diceva che lo faceva apposta perché aveva paura di sparare. Lui, a dire il vero, non si era mai preso la briga di negarlo.

«Allora sono proprio gli istinti primordiali e animali», sussurrò lei. «Che onore! Chi avrebbe mai detto che anche tu, qualche volta, ti ricordi di essere fatto di carne. Sono davvero lusingata di essere stata io la fortunata ad avertelo fatto tornare in mente.»

Si guardarono negli occhi. La mano di Aurora – quella libera dalla sigaretta – si posò sulla schiena di Manfredi e le sue dita seguirono il corso della spina dorsale, attraverso la tela della camicia. Risalì fino alla nuca e affondò tra i suoi capelli. Lui si mosse piano sopra di lei, facendole capire quanto stesse apprezzando.

A un punto simile, c’erano già arrivati innumerevoli volte. Solo che, di solito, per un motivo o per l’altro, non andavano mai oltre. C’era sempre qualcosa a mettersi in mezzo: un telefono che suonava, qualche rompiballe… ma erano in cima a una montagna, non c’era ricezione e nessuno in giro. Chissà che non fosse la volta buona…?

Aurora mosse il viso. Voleva avvicinare la bocca a quella di Alberto. Chissà, magari avrebbero cominciato con un bacio e avrebbero finito chissà dove. Chi poteva mai dirlo?

Nel muoversi, i suoi occhi notarono un guizzo nel cielo, qualcosa di luminoso…

«Cazzo, Manfredino, guarda!»

Si levò a sedere con tale impeto che Alberto fu scagliato di lato e si trovò a rotolare nell’erba. La sigaretta sfuggì dalle dita di Aurora. Scottandosi, la giovane donna riuscì a recuperarla prima che potesse provocare qualche disastro.

«Che minchia…» borbottò Alberto, sollevandosi sulle ginocchia. Aveva picchiato la testa contro una radice sporgente e, per qualche secondo, vide stelline e costellazioni esplodergli tutto attorno. «Guarda che bastava dirlo, se non avevi voglia…»

«Lascia perdere e guarda lassù, tenente!»

Alberto seguì il dito dell’amica, che puntava verso il cielo. Per un istante, non notò nulla di particolare. Poi, però, lo vide anche lui.

Era un disco volante, nero e rosso, circondato da puntini luminosi. Non potevano esserci dubbi. Era la copia esatta del disco che, proprio loro due, avevano visto da adolescenti, diversi anni prima. Solo che, questa volta, ne riconobbero la forma.

Era come gli aveva detto innumerevoli volte il professor Lancellotti. Lunghe chiacchierate – o, meglio, monologhi – in cui il suo ex insegnate del liceo gli aveva esposto le sue strambe teorie sull’origine dell’umanità.

Solo che, adesso, non sembravano più tanto strambe.

Era uguale a una rosa camuna, come quelle raffigurate nei graffiti rupestri che si rincorrevano per tutta la vallata. Volava leggero, lento, senza fretta, sopra le vette nere e aguzze delle montagne.

Alberto Manfredi e Aurora Bresciani si guardarono negli occhi.

Sorrisero.

 
   
 
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