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Autore: LaserGar    14/11/2022    0 recensioni
Yunix Braviery ha 16 anni. Dopo aver perso la memoria in circostanze ignote, il ragazzo, completamente solo, si è ritrovato a vagare in un mondo dominato dai Quirk, alla ricerca di una sistemazione stabile. La sua unica certezza è di aver commesso un crimine terribile, perciò mantiene un profilo basso, cercando di non avere contatti con nessuno. Dopo due mesi di vagabondaggio giunge alla sua meta che spera ponga fine alla sua 'fuga' intercontinentale: lo stato/città indipendente di Temigor, nella punta meridionale dell'isola del Kyushu. La città in questione, chiamata Kotetsu dai Giapponesi, per l'acciaio speciale che vi si ricava all'interno, è una metropoli ricca di persone provenienti da ogni dove. L'HG è l'accademia per eroi della città, capace di rivaleggiare contro lo U.A, per il titolo di scuola migliore per eroi. Nel frattempo, un cimelio del passato rinvenuto nella giungla sudamericana rischia di far sprofondare nel caos non solo Temigor, ma tutta la società degli Heroes. Yunix non sa ancora cosa l'aspetta quando si ritroverà faccia a faccia con il suo futuro e ovviamente il suo passato.
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Una Strada per il Futuro - Parte Seconda: Risentimento


Coal era completamente rapito dalla vista che aveva di fronte. Altro che rave party e street disco, altro che Las Vegas. Nonono! Centomila volte meglio lì. Lì si respirava il divino e il conviviale, lì si assaporava nettare e ambrosia. Lì c’era un simposio, anzi, ancor meglio, un banchetto di satiri e ninfe, occasione d’oro per il palato.
«Guarda che munificenza! Pietanze in ogni dove, tutte per noi!» esclamò, con la bava alla bocca per la vista estasiante.
Raramente le descrizioni degli almanacchi si erano avvicinate così tanto alla realtà. “Da immortalare, da tramandare in eterno. Farò foto, su foto, su foto e quando avrò la memoria piena, chiederò a una bella fanciulla di prestarmi il suo smartphone. A quel punto, già che ci sono, ne approfitterò per chiederle l'istagram. Non potrà rifiutarsi di fronte al mio rango, hihihi. Due piccioni con una fava... hmm, forse dovrei iniziare subito”.
«Keep calm, dolce biscottino, non vorrai farti venire un’erezione» s’intromise una voce svenevole sopra la sua nuca, che fece andare Coal leggermente su di giri. Quasi temette di aver pronunciato i suoi pensieri ad alta voce, ma no... la sua lingua era un’arma e scattava solo quando glielo richiedeva: questo era il bello di essere lui. Ciò detto, chi...
La ragazza alta dagli interminabili capelli viola lo superò, facendogli un sorriso meschino. Camminava leggiadra e incisiva come una modella, con la chioma che strusciava lungo il manto erboso, come se fosse un velo da sposa. Il ragazzo sorrise a sua volta, grattandosi il collo.
«Beh, beh, che ci posso fare? Cascano tutte ai miei piedi...» disse innocente all’aria notturna, per poi scrollare le spalle e avventarsi smanioso sul buffet.

Yunix si sporse, muto, dalla posizione sopraelevata in cui si trovava un secondo prima il giovane. Lo stava pedinando da un po’, incerto se interagire o meno.
“Fatti coraggio, è solo un ragazzo come te... e ti ha salvato”.
Seguì la lingua di fiamme bluastra con lo sguardo, fino a che non si perse in mezzo alle centinaia di figure che ridevano e scherzavano allegramente. Non avevano idea di cosa avessero passato lassù a Infection, ma in fondo era acqua passata, o almeno... era meglio che lo diventasse al più presto, per il bene della sua salute mentale e per il bene di tutti.

Discese lungo il pendio, fra i cespugli di azalee e cotogni rosso fuoco. Ben presto s’imbatté nelle prime luci artificiali. Erano fiammelle, annidate in graziose lanterne di carta, davvero splendide. Ognuna di esse rappresentava un diverso animale del mondo, dalla zebra al canguro, e, appese a fili di cuoio tesi in una rete, sembravano ondeggiare nel venticello proveniente dal Mar Cinese Orientale, più ancorato al terreno rispetto che in quella mattina assolata.
Si stava da Dio: non c’era né troppo caldo, né troppo freddo e per di più le dense nuvole scure sembravano trattenere insistentemente il pianto, per permettere ai quaranta fortunati di godersi una serata di gozzoviglio sfrenato (così gentile da parte loro, dopo due giorni di pioggia). Lo stuolo di tavoli era poco più in basso della villa, lontano dal trambusto di Temigor, in una radura dove s’insinuava pian pianino un’atmosfera brumosa e sonnacchiosa, come se un mago avesse disperso nelle foreste prospicenti una polvere sonnifera. Della musica se ne occupavano gli abitanti della radura: i grilli, le mantidi, le cavallette, i coleotteri smeraldini, che Yunix aveva incontrato in gran numero da quando era giunto sulle sponde dell’isola, anche se non ne conosceva ancora il nome. Il ragazzo quasi non riusciva a credere che era stato a tanto così da togliersi la vita nelle vicinanze di un tale paradiso giusto tre giorni prima, sarebbe stato quasi un sacrilegio (verso chi ancora non lo sapeva).
Rabbrividì al ricordo e si affrettò più in basso, dove il baccano incominciava a sfiorare il cielo stellato. I tavoli erano stati disposti su otto file parallele, con una dozzina di panche, lunghe venti o più braccia su ogni lato, in modo che ci fosse posto per oltre un migliaio di persone (anche se Yunix ne contava al massimo duecento sparpagliate in giro). Al ragazzo, i cui occhi erano infallibili, non passarono certo inosservati gli insegnanti, che a passo lento e giudizioso, disegnavano lunghi cerchi attorno al limitare degli alberi. Per sicurezza o per altre mire? Non c’era modo di dirlo, non con i ragazzi che davano di matto attorno alle pietanze e al bere. Si erano già dimenticati di lui, poteva scommetterci. E dire che mentre era sul parco gli avevano urlato contro fino allo sfinimento. Quantomeno, più tardi nella serata avrebbe potuto sgattaiolare via senza essere notato. Sul palco si era sentito coraggioso, ma col senno di poi sfidare un’intera platea di ragazzi inferociti con lui non era stata una genialata. Aveva ancora il cuore in subbuglio per quel discorso interminabile. Parlare così fomentatamene, così a lungo, dopo così tanto tempo, non era stato semplice, ma gratificante... wow se lo era stato. Ci aveva messo tutto sé stesso in quelle parole, e anche conoscenze grammaticali che non pensava di avere. Se solo esse fossero state sufficienti a non farlo passare come l’approfittatore della situazione, sarebbe stato pure meglio.

Furtivamente si diresse verso le pietanze, al riparo di una roccia e senza farsi vedere afferrò una manciata di mandorle. Aveva una fame nera. Non fece in tempo a mandarle giù che un latrato ferino gliele fece andare di traverso. Figurarsi se non c’erano i lupi, fu il suo primo pensiero, poi si rese conto che non era un lupo a fare quei versi, né un altro animale. Era un ragazzo... se così si poteva definire. Con delle lunghe braccia muscolose e irsute stava facendo a pezzi un tacchino. Aveva il viso nascosto nel piatto, da cui provenivano truculenti rumori di carne staccata e trangugiata, sminuzzata con denti affilati. Era insudiciato di sugo, dalla sommità dei capelli color aranciata, fino alle bizzarre pantofole in pelle che indossava, provviste di zanne d’avorio. I versi che emetteva non erano certo umani, quanto più che altro stonati, striduli e a tratti quasi acuti, ferini. Non vide Yunix dall’altra parte del tavolo. Come avrebbe potuto? Eppure, il ragazzo era sicuro che ne avvertisse la presenza, solo che non gl’importava. Continuò a fare selvaggiamente a brandelli il povero volatile anche quando si avvicinò un altro ragazzo, attirato dagli strepiti.
Yunix si fece subito indietro, nella sicurezza della sua roccia. Chi poteva dire se quei due erano passati al test o meno? Di essere confrontato per il discorso che aveva incautamente pronunciato aveva zero voglia. In fondo, era sua la decisione, cosa c’entravano loro? Era stato anche troppo crudele verso sé stesso. Uno più furbo si sarebbe fatto ammettere, punto. Lui invece l’accesso avrebbe dovuto guadagnarselo con fatica e olio di gomito.

“Mentre loro non l’avranno mai...” lo provocò una voce nella sua testa. “Sta zitto. Ho fatto la mia scelta”.

Il ragazzo che si era avvicinato lo aveva già visto. Era nella strana scatola che li aveva portati su ad Infection. Guardandolo meglio, continuò a pensare che avesse la stessa pessima cera di quella mattina. Che non fosse passato? Le rughe a spirale che lo avvolgevano erano nascoste nella luce serale, ma le occhiaie risaltavano vivide sotto quella delle candele. Anche la sua forma fisica lasciava a desiderare. Il collo taurino del giovane era segnato da lunghe striature emaciate, di chissà quale origine e la schiena inarcata si fece più evidente, mentre il ragazzo appoggiava le mani esili sul tavolo, quasi come se non riuscisse a stare in piedi da solo. Lungi dal voler giudicare qualcuno, ma Yunix lo trovò totalmente fuori età e tremendamente spossato. Gli fece un po’ pena. Inoltre, la sua espressione era di uno sconforto infinito, ma spesso l’apparenza ingannava, perché parlò con voce piuttosto dolce e delicata, pur se vagamente malaticcia.
«Ehm, ehm... hai per caso scambiato questa per la nostra ultima cena?»

Il ragazzo bestiale sollevò il piatto dal tavolo e spazzolò gli ultimi rimasugli con feroce ingordigia, non curandosi di far cadere a terra dei brandelli di carne. Prima ruttò, poi palesò il voltò insozzato al ragazzo, che dovette trattenere un conato. Era un putiferio di sugo e schizzi di unto, che gli avevano macchiato tutto il colletto.
«Qualcosa da ridire? Nihihaa!» fece una risata sguaiata, così assordante da far paura.
«N- no! Speravo che... sai... io stessi sognando e che l’incubo si sarebbe chiuso con una congiura ai nostri danni. Io vorrei solo farmi assassinare in questo momento, non so se rendo l'idea».
«Uh?» fece la belva.
Yunix non poté biasimarlo.

Svelto, il ragazzo si giustificò.
«Sì, cioè... di questo passo il fatto che diventerò un eroe sarà assodato ed è una cosa che non avevo preventivato quando mi sono iscritto al test». L’altro fece una faccia intontita, segno che non aveva capito nulla. «Nel senso... pensavo che avrei fatto schifo. Non ho mai pensato al dopo».

«Uh?»

Il ragazzo dinoccolato arrivò alla conclusione che l’altro non avrebbe mai capito e ne prese atto.
«Lascia stare. Ti lascio alle tue leccornie» lo tranquillizzò, facendo un pigro sorriso.
Yunix sbatté le palpebre. Quello si era iscritto al test e ora sperava che averlo passato fosse solo un incubo? Una seconda risata sguaiata penetrò la dolce calma del pianale.

«Ti faccio paura, dì la verità! Provi disgusto per me! Sei inorridito! È chiaro! È così! Ne sono certo!»
«No, ti dico... cioè in parte, cioè sì e no».
«ECCO! Lo sapevo!» Altra risata.
«Sì, ma non è per te... è che sono debole di stomaco capisci, inoltre sono allergico a... a...» il ragazzo ricurvo starnutì, «alle pellicce» concluse passandosi le dita sotto al naso.

Yunix scosse la testa. “Via da questa gabbia di matti...” Mentre si allontanava sentì continuare lo scambio.
«Beh, peggio per te!» ruggì il selvaggio, senza un minimo di sensibilità.
«Non c’è bisogno che tu lo dica, me n’ero reso conto del fatto che sono un reietto» piagnucolò il ragazzino.
Ennesima risata.

Se erano tutti così all’HG, c’era ben poco da sentirsi tranquilli. Di soppiatto, oltrepassò un ragazzo e una ragazza che facevano la corte a Ennenissa, la terza classificata, i cui capelli viola lunghissimi si erano riempiti di fiori e foglie nel giro di pochi minuti. Si fece strada verso un tavolo vuoto, già meditando se ritirarsi nell’edificio. Voleva, in particolare, tentare di manifestare ancora il suo quirk. Quei raggi opalescenti che aveva scatenato su Infection potevano significare tutto o niente, sempre se fosse riuscito a emetterli ancora. Aveva notato, tra l’altro, che molti dei peli del suo braccio erano rimasti strinati, ma per qualche motivo in maniera estremamente regolare, con un pattern definito. Forse i raggi laser non erano sorti dal nulla come pensava.

Continuò a muoversi nell’ombra.
«Da chi ti nascondi, Yunix?»
Lex Zeero era a braccia incrociate in un anfratto. Tra le mani, una lattina di Pepsi quasi vuota. Figurarsi se non era lui che lo beccava.

«Io?» rispose con finta naturalezza. «Che dici? Nascondermi? Sto solo facendo due passi vicino alla boscaglia».

Il viso innocente di Lex si colorava di tempera fredda, sotto le sagome dei rami spogli.
«Non me la racconti giusta. Dovresti essere lì a festeggiare. Hai vinto, oggi».
«Senti chi parla. Tu ti sei aggiudicato un’ottima posizione. Che ci fai qui, solo soletto?» ribatté Yunix, con aria di sfida.
Il ragazzo dal mantello sbrindellato alzò le spalle.
«Mi piace stare in disparte e contemplare ciò che vedo. Te l’ho detto quando ci siamo conosciuti, circa sei o sette ore fa».
Tacque.

“È passato così poco?”
Yunix si perse nei suoi pensieri, guardando Lex, così mansueto, innocuo, eppure così forte e coraggioso. Le foglie che teneva intarsiate alla frangetta verde erano state spazzate via, nella furia dello scontro. Chissà quanto tempo ci avrebbe messo a ritrovarne altre cinque che figurassero bene come quelle precedenti, in una stagione come la primavera, in cui tutto rifioriva.

«Inizialmente sei stato l’unico a non voler schierarsi con la scuola per insabbiare l’accaduto. Uno solo in un banco di stupide sardine». «Tsk, e questo farebbe di me una persona originale?»
Non sembrò una domanda retorica, voleva davvero sapere la sua opinione in proposito.
Yunix ammiccò.
«Forse».

Lex alzò lo sguardo. Nel cielo, da qualche parte, invisibile a occhio umano, c’era Infection, ricoperta d’arkastro, dove quello stesso pomeriggio quel ragazzo aveva quasi gettato via la sua vita. Sopracciglia sempre corrugate, eppure occhi gentili e premurosi, di chi aveva viaggiato ovunque, ma non aveva mai trovato ciò che cercava.
«Non è una sciocca mania la mia... se tutti andassimo dalla stessa parte, se non ci fosse una voce avversa, se nessuno camminasse controcorrente, ci sarebbe solo una volontà in questo mondo. La volontà del primo che ci è arrivato». Il ragazzo tracannò il liquido. «Oggi abbiamo combattuto fianco a fianco, domani saremo compagni...»
«È vero».
«Ma non farti illusioni. Non siamo amici e non lo saremo mai». Lo bloccò prima che potesse aprir bocca. «Non ne ho mai avuti e non voglio averne, ok?»

Yunix sentì una stretta allo stomaco. Non si aspettava una dichiarazione simile. Pensò di provare a controbattere, ma le parole dell’arciere erano definitive e stavolta niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea. Allora, provò qualcos’altro.
«Solo perché non mi consideri un amico, non significa che io pensi la stessa cosa».
«Che vuoi dire?» chiese Lex con prudenza.

Yunix raccolse un ramo appuntito dal terreno e lo usò per intagliare la corteccia di un albero. Tracciò rozzamente il profilo di due persone. Con una freccia curva che partiva da uno collegò anche l’altro.
«Vedi? Basta una sola freccia per unire insieme due elementi».
Lex lo scrutò con attenzione. «Grazie, Sherlock, non c’ero arrivato da solo».
Yunix fece un mezzo sorriso. «Però il fatto rimane...»
«Non riesco a seguirti».
«Vabbè, neanche Shig ci riusciva se è per questo, ma ha insegnato tanto a me, e io ho insegnato tanto a lei. È questo il bello di parlare con gli amici, no? Si guarda il mondo da altre prospettive».
«Tsk... non siamo amici, te l’ho già detto». Il tono di Lex divenne più duro della pietra. «Lo vuoi capire o no?»
«E se io ti considerassi tale? Se la freccia partisse da me e ti toccasse» chiese Yunix, «potresti forse impedirmelo?»

Il ragazzo sgranò gli occhi.
«Cosa otterresti?»

«Niente, però saprei di avere un amico, anche se il sentimento non è ricambiato».

Lex si girò di spalle, proprio nella stessa posizione di quando si erano incontrati su quel condominio.
«Sei un ragazzo strano, Yunix Braviery, e ho l’impressione che ci siano lati di te ancora inesplorati, come se ti mancasse qualcosa...» Yunix iniziò a sudare freddo. Era così evidente che fosse senza ricordi? «Bah, magari sono io che mi arrovello più del dovuto. Su, va’ a divertirti, stasera. Ne hai bisogno. E se vuoi considerarmi un amico, fa pure. Non che mi cambi qualcosa, comunque». Si tirò su la cerniera della felpa grigiastra e calò il cappuccio sulla sua testa. «Io andrò dritto per la mia strada, come faccio sempre».

Si diresse lentamente verso l’ombra delle conifere, in un sentiero improbabile e sconveniente. Anche quello era essere originali? No... forse era semplicemente l’abitudine, ma tanto a chi sarebbe mai importato?

«Su, va’ a divertirti...» Facile a dirsi.

Yunix tornò al banchetto, con il cuore più pesante di prima, ma bastò poco per risollevare il suo umore.
«Ehilà! Ecco la vera star della serata! Dove ti eri cacciato, Brache di tela?»
Coal, sprizzante di gioia, i segni della baldoria sul suo volto, era diretto verso di lui.

Al suo seguito niente po’ po’ di meno che Asia Shiena’q, anch’essa vagamente brilla. Scostò bruscamente il ragazzo dai capelli a braciere di lato, per afferrargli la mano.
«Ma ciao! Dove ti eri cacciato? Ti ho cercato per non menoooo di sette tavoli!» esclamò, tracciando un arco con la mano destra. «Yunix, giusto?»
«Sì», rispose il ragazzo, colpito da tutta quell’esuberanza.
La ragazza grugnì levando esultante il pugno. «Brava, Asia. Sapevo che te lo saresti ricordata!» Poi cinse la testa di Yunix con le braccia e lo strinse forte a sé. Il ragazzo si trovò il naso schiacciato contro la sua spalla, completamente stralunato. «Complimenti! Là su quel palco sei stato strepitoso. Insomma... potevi dire solo due parole... invece hai sorpreso tutti! Tutti, dico e non scherzo!»

Coal la spinse di lato, con ben più fatica di quanto aveva fatto lei con lui, facendola finire sotto un tavolo.
«E lascialo respirare, Leggenda Verde! Ha tutto il diritto di essere lasciato in pace, non credi?»
Poi spostò i forestieri occhi violacei su di lui e gli porse la mano. Sull’avambraccio, Yunix notò una lunga crepa nera, ma non indugiò a osservarla e ricambiò la stretta.
«Non ci siamo ancora presentati ufficialmente» fece con aria pomposa, «mi chiamo Coal, Coal Naive. La mia famiglia dirige l’agenzia bancaria di Temigor da generazioni. Vale sempre la pena una visita ai nostri quartieri, in Arren Square. Le imposte sono alte, ma il vitto buono». Si fece avanti, iniziando a sussurrare. «E poi passano delle milf pazzesche in limousine che nemmeno immagini! Almeno due al giorno!»
Yunix sorrise, non sapendo come rispondere ed ecco che si ritrovò in mano un cellulare con la griglia dei numeri aperta sul display.
«Normalmente non chiedo il numero al primo che passa, ma considerato che mi hai servito nella lotta contro il villain, ti concederò questo onore».
«Ma io veramente...»
«E non è tutto! Ora ci rallegrerai la serata, parlandoci un po’ di quel villain, dato che sembra che lo conoscessi bene. Sai com’è... voglio capire chi è stato l’assai portentoso criminale infame a mettere in difficoltà un mago come me».

“E questo sarebbe essere lasciati in pace?” pensò Yunix, facendo una risatina nervosa.

«Insomma!» insorse Asia, riemergendo da sotto un tavolo. «Non dobbiamo parlare di Armday! Ricordi? È un segreto! È un segreto!» La parlata sbilenca la diceva lunga sul livello d’alcolemia del suo sangue.
Coal scrollò le spalle.
«Pfff... se non racconto tutta la storia, non capiranno nulla, carina, e poi nessuno farà la spia, perché altrimenti li arrostirò! Capisci? Fuoco e fiamme!»

Yunix si schiarì la gola.
«Sì, ehm... è stato bello lavorare con voi... suppongo».
«Oh, sicuro che lo è stato» disse Coal, schioccando le dita, «e anche se stiamo ingurgitando tonnellate di birra per dimenticarla, questa esperienza ha messo bene in chiaro con chi abbiamo a che fare: mostri nel corpo di uomini!»

Concluse ridendo animatamente, sollevando un corno di liquido dorato. Yunix sentì una forte oppressione al petto, dove il villain l’aveva colpito. Quell’uomo aveva confessato di aver ucciso di diciannove soldati, tutta la sua compagnia. E per poco non era finito nella lista delle sue vittime, eppure, anche solo sentire che veniva bollato come un mostro lo mandava su tutte le furie. Non espresse la sua disapprovazione. Lex, Asia e Coal erano pur sempre ragazzi senza una tragedia alle spalle come la sua. Non poteva biasimarli se avevano in odio quel combattente demoniaco. E non poteva recriminargli nemmeno quell’osceno passatempo da taverna. Era evidente che dovessero bere, altrimenti il peso della giornata sarebbe stato insostenibile.
Per lui valeva più o meno lo stesso. Realizzò in quell’istante che mentre ci si trovava sull’orlo del dirupo, la paura di morire diveniva adrenalina. Era nei momenti morti, quando il pensiero ricadeva sugli eventi passati, che il mostro si risvegliava e non ti lasciava scampo. Non sarebbe stato facile riprendersi, per niente. Se non si fosse messo a bere qualcosa pure lui, stanotte non avrebbe chiuso occhio.

“Perdipiù domani iniziano le lezioni, devo essere sveglio e attento in classe”.

«Su, metti quel numero, ragazzo silenzioso».
Yunix si accorse di aver ancora in mano lo smartphone di Coal. «Io... non ho un cellulare».
«Cosa!? Stai scherzando, spero. Non c’è abitante della città che non ce l’abbia. Mi rifiuto di credere che tu sia la pecora nera del gruppo!»

Questo era troppo. Andava bene avere la propria visione dei villains, ma dire che tutti gli abitanti di Temigor potevano permettersi un telefono era pura ottusità. La rabbia montò come un tornado.
«Ah sì? Ogni abitante? E nelle baraccopoli sulla costa, chi pensi che ci viva? I topi?»
Coal sollevò una palpebra, abbandonando il viso giocoso, ma solo per un attimo, perché poi scoppiò di nuovo a ridere.
«Hahaha, per un attimo ho pensato dicessi sul serio! Lo sanno tutti che quelle putride favelas non fanno parte della città!»
«Scusa..?» bisbigliò Yunix, le dita che tremavano.

«Aspetta... non dovrebbero comunque essere sotto la giurisdizione di Temigor?» intervenne Asia, sbadigliando.
Coal piegò la testa di lato, annoiato.
«Sì, no, che differenza fa? Non abbiamo niente a che vedere con loro».

Yunix chinò il capo, lottando per controllarsi.

«Piuttosto...» continuò il ragazzo cambiando argomento, «voi vi siete chiesti perché gli insegnanti volteggiano come avvoltoi attorno alla festicciola? Perché io sì, sapete? Sembra di essere nell’Overlook Hotel, dal gran che ci osservano».

«Un attimo, Coaaal» lo interruppe Asia, aggrappandosi a lui, non del tutto lucida, «che... hic, che... cit. sono queste?»
«Non puoi capire, gusti antichi, libri e film di ottima fattura, ma troppo lontani perché voi possiate averne memoria».
Yunix storse scetticamente il naso. «Immagino. Come ne hai avuto accesso, tu?»
A Coal brillarono gli occhi, come ametiste fiammeggianti. In un attimo la fiamme fra i capelli a guglia divenne ocra.

«La biblioteca di Qhual Ved’! Il luogo dove la magia prende vita, dove l’occulto diventa sublime tecnica e dove i più grandi sapienti dei tempi andati ci strizzano l’occhiolino. Cataste e cataste di libri, tomi impolverati pieni di graffiante ragione, e spumeggiante irrazionalità. Oggigiorno solo io e mia sorella possiamo frequentarla, ma un giorno... un giorno la riporterò al suo antico splendore!»

Yunix sentì il tepore di quelle parole sincere raggiungerlo.
Asia fece un risolino.
«Aspetta! E delle ultime uscite? Hic. Che ci dici, insomma, insomma, del panorama mediatico del presente, vista la tua... oho! perizia in materia?»
Il sogno ad occhi aperti di Coal si sfaldò in mezzo secondo. Le sue mani si afflosciarono lungo i fianchi brillantinati. Se voleva dare nell’occhio il ragazzo aveva scelto l’abito giusto. Indossava pantaloni extra large. Lustrini simili a squame che racchiudevano la luce delle stelle.
«La produzione culturale di oggi, intendi?» sbottò. «Robaccia! Da mettere al rogo».
Non era sarcastico, non ce n’era nemmeno un accenno di scherzo nelle sue parole, bensì un’incommensurabile avversione.

«Minchia! Immagina spalare merda sugli show che ci hanno portato qui oggi. Senza di loro, puah, te lo dico io! Te lo dico, guarda, saremmo ancora circondati da vigilanti senza macchia e senza paura. E mi caschi addosso una meteora se dovessimo tornare a una società del genere!»

I tre si voltarono.

Marin, con i capelli blu oceano e la pelle liscia, in un semplice completo bianco e nero, era in ginocchio sul manto erboso, in una posa di puro sdegno, con le labbra unite e le palpebre mezze abbassate. Era come trovarsi davanti a un riccio di mare. Potevi anche toccarlo se volevi, ma te ne saresti pentito amaramente.
«Ciao, Marin. Complimenti per essere passata» la salutò Yunix, sorridendo. La ragazza gli scoccò un’occhiata titubante, come se non si fidasse delle sue buone intenzioni. Non contraccambiò il saluto, ma anzi si mise a braccia incrociate, guardando male Coal, la cui fiamma caporale era diventata rossa, segno, provò a indovinare Yunix, che era stizzito.

«Hmm, scommetto, anzi sono quasi sicuro, che sei una di quelle che passa il suo tempo sul Singolarity Channel giorno e notte, principessa... con quei programmi degradanti a farti compagnia mentre stringi il tuo pupazzetto di Taguya, o Ten Ken, o All-Might. Come biasimarti? È facile cadere in tentazione quando la propria mente non ha mai toccato un vero capolavoro, uno Shakespeare o un Dante, tanto per nominarne un paio». Coal non si risparmiò. «Certo, però, che per guardare quelle, hmm, rappresentazioni audiovisive per più di un minuto ci vuol del coraggio da vendere! Le mie più sentite congratulazioni, per questo e per il tuo posto all’HG».

Marin emise un basso ringhio, poi fece un passo avanti.

«Ahimè, che disgrazia! Sai cosa? Non avrò avuto la possibilità di istruirmi nella magicissimissima “Qhual quel che cazzo è”, ma so esattamente com’è che non siamo sprofondati nel caos dopo la scoperta dei nostri poteri: grazie al Singolarity Channel, grazie alle fondamenta che ha gettato. La Compagnia Esse l’ha fondata per una sola ragione: portare il mondo a una mentalità supereroistica, senza la quale, ahimè, non avremmo fatto altro che ammazzarci a vicenda per vedere chi ha il quirk più grosso. Cosa è servita la cultura dei... boh, gli storici o i tizi che scrivono, quando siamo stati sulla soglia della guerra, sapientone? E per la cronaca, ci sto solo di notte a guardare quel canale e mi ha insegnato tanto. Perciò smetti di criticare senza sapere!»

«So quanto basta. E c’era una società anche prima dei Quirk, una società migliore, una società con veri valori!»

«Beh, se ti piace così tanto, potresti anche tornare nella tua cameretta a leggere i libricini della mamma. Magari col tempo dimenticherai che sei una persona di questo presente e ci sazierai con la tua assenza».

«Hm, almeno io mi acculturo, mentre tu cosa fai tutto il giorno? Ripeti a pappagallo le norme comportamentali degli Heroes, come la pecorella che sei?»

«Oh, non immagini quanto!»

«Ora basta» disse Asia, mettendosi fra i due.

Yunix fu sorpreso. La ragazza sembrava aver perso ogni accenno d’intontimento, ma non era umanamente possibile. Non poteva essersi ripresa così in fretta.
«Facciamo in modo che non scorra cattivo sangue fin dalla prima sera, va bene? Se doveste essere nella stessa classe dovremo guardarvi litigare giorno e notte? Avete idee diverse, ma ciò non significa che non potete andare d’accordo. Da bravi, fate la pace e iniziate a maturare. Insomma, non accetterò degli Heroes che battibeccano continuamente nel mio corso e non lo faranno nemmeno i professori».

Asia tacque, lasciando che i due si sbollissero e recuperassero fiato. Marin aveva le guance screziate di rosso papavero, Coal fiammelle veraci che gli danzavano sulle spalle. Lei era più alta di lui di perlomeno dieci centimetri, ma non si poteva dire chi fosse il più temibile in quell’istante.
Fu il fuochista a rompere il silenzio.
«Vero, vero, vero!» dichiarò, sgranchendosi la schiena. «Siamo partiti col piede sbagliato. Hm, sono Coal Naive, quarto classificato». Protese la mano come un artefatto di massima fattura.

La ragazza grugnì un “grazie tante” e piegò il volto delicato di lato, impenetrabile come una roccia. Coal lanciò un’occhiata esplicativa ad Asia, come per dirle che molto palesemente non era lui il problema. Yunix osservò che il ragazzo non era riuscito a trattenere il desiderio di esprimere il suo posizionamento e in effetti presentarsi in quel modo a una che aveva fatto una trentina di posizioni in meno di lui non poteva che essere una frecciatina.
Asia però emise un verso minaccioso che convinse Marin a farsi sentire.

«Marin Cecylin se per caso ti interessa, trentacinquesima», il ragazzo fece un sorriso, ma la ragazza glielo spense subito, «e prima che tu possa dire altro, ricorda che avevi il radar tu, eh. Tutti son buoni con le cose giuste fra le mani, mentre noi altri abbiamo dovuto farci in quattro per dei buoni risultati, come lei, che è arrivata seconda senza». Indicò Asia, che si ammorbidì seduta stante. «Poi considera che ero con quell’idiota di Capitan America, laggiù», disse piegando il capo in direzione di Chooki. Il finlandese lentigginoso era a quattro tavoli di distanza, a testa bassa, solo. «Puah! Sono riuscita a fare più punti di lui, pensa un po’ te. E mi auguro che tu abbia consegnato quel block notes del piffero, prima di aver elaborato la buzzurra idea di entrare nella scuola con noi!» abbaiò a Yunix, che fu stupito di essere chiamato in causa.

«Oh... beh... ovvio che l’ho consegnato, ero lì per quello, poi... ecco... le cose hanno preso una piega un po’...» Asia e Coal lo fulminarono con gli occhi, ma Marin era troppo impegnata a guardare acida tutti i presenti che avevano l’ardire di passare vicini al loro piccolo capannello, per accorgersene. Yunix si passò una mano fra i capelli, rimuginando sulle sue parole. «Tra l’altro, mi hanno detto che Chooki è...»
«Non importa, non mi interessa» fece la ragazzina, gli occhi bassi.

Cadde il silenzio.

«Piacere, allora, Marin. Sono Asia e spero potremo diventare buone amiche».
Con un sorriso, la prese a braccetto. Questa ebbe un sussulto e dopo una piccola resistenza non poté che abbandonarsi alla mercé della ragazza, che preso un bicchiere dal tavolo le offrì un drink. «Prendi. Ti aiuterà a scongelarti un pochino».

La ragazza si scansò come un animale in trappola.
«Cosa vuoi ottenere?» chiese stringendosi le braccia al petto, come se stesse morendo di freddo.
Asia parve ferita da quel gesto, ma non si scoraggiò e spezzò un ramoscello che teneva fra le dita. Yunix e Coal trasalirono.
«Ehi, Asia! È pericoloso!»
Yunix vedeva già un’onda di piante di bambù emergere sotto i loro piedi, ribaltando i tavoli e le lanterne, come le tessere di un domino; invece, fu un’esile stelo a spuntare dal terreno. La ragazza lo sradicò con un agile calcio e lo sminuzzò a colpi di karate in quattro piccoli pezzi. Divennero letteralmente cannucce. “Wow, è skillata! Non solo può già controllare alla perfezione il suo potere: quelle mosse sono di stili diversi, kung fu, karate e forse altri”

«Questo è il mio Quirk, non mi va di tenervelo segreto, anche se qui all’HG sarebbe buona norma conservarlo per mantenere un certo vantaggio sui compagni».
«Vantaggio? A che serve il vantaggio?» chiese Yunix, aggrottando la fronte.
«Uhh, allora non sai come funziona quaggiù!» gongolò Coal, sfregandosi le mani.
«Che intendi dire?»
«Hmm, ecco... non saremo esattamente compagni, noi prescelti, o perlomeno non come in passato con la primaria e medie, quanto piuttosto rivali. I risultati all’HG si ottengono distinguendosi dagli altri e dimostrando di essere i migliori. È per questo che spesso e volentieri non sono che pochi eroi a essere sfornati da questo istituto. Questo piccolo contest che ci ha portato qui non è che una prima scrematura: ci aspettano test, ultimatum, perfino espulsioni e tanto altro ancora... ahhhh, vedrai che meraviglia. Ogni giorno rischieremo di venire spediti a calci alle nostre cuccette per non farci vedere mai più».

Marin sfoggiò un sorrisetto. Le perle diamantine sulla sua crocchia erano più opache che mai e i capelli quasi verdastri, alla luce della fiamma di Coal. Sembrava una giovane sirena esiliata da una terra di soli oceani.
«Se è così, spero proprio di non essere nella tua stessa classe, sapientone. Non vorrei che mi contagiassi con la tua presunta cultura».
Coal non rise.
«Se, e dico se, ci si potesse contagiare con la cultura, allora non sarei qui a educarti, principessa del mio cuore».
Marin fece una smorfia sarcastica.
«Beh, almeno io non sono qui a tirarmela dalla mattina alla sera».
Coal annuì, chiudendo gli occhi, pacifico. «Su questo non posso darti torto».

La ragazza velò la sorpresa per quella risposta, sollevando un calice in cui nascose celermente il viso. Non riuscì a mascherare però il sorrisetto che venne dopo. Coal non aspettava altro.

«E devo ammettere, Ariel, che hai sollevato una questione interessante. Oh, a proposito, hai la manica della veste in fiamme».

E in effetti, non diceva il falso. Marin si guardò il braccio che teneva il calice e gridò, affrettandosi a strapparsi parte dell’abito a scacchi, prima che il fuoco  si propagasse. Coal si piegò all’indietro, ridendo beato.
Asia gli diede un ceffone.
«Non è carino!»
«Eddai, lasciami in pace, sto cercando di costruire un rapporto».
«Vedo».
«Di che parli? Sta andando alla grande».

Yunix osservò le fiamme dissolversi, con la stessa velocità con cui erano apparse. Il danno era fatto, però. La lunga manica vellutata era ridotta a brandelli. Marin ringhiò, imbronciata, ma Coal la fermò prima che potesse aprir bocca.
«Dunque, ora magari penserete che sia uno sbruffone solo buono a parlare e in parte avreste ragione... tuttavia, sto anche tendendo le orecchie, per capire cosa se ne faranno gli insegnanti di questa serata».

I tre rimasero di stucco.
«Ehm... cosa?» chiese Asia dando voce ai dubbi di tutti.
«Oddio» rispose lui, chiaramente seccato, «non mi sembra di parlare arabo. Intendo dire che guardandoci, stanno decidendo in che classe inserirci. Oramai, non sarebbe neanche improponibile fare qualche ipotesi fondata».

Marin si sedette sul tavolo, livida.
«Sì, ciao. Stai dicendo che sai già come ci disporranno? Sei ridicolo. Dieci a uno che le tue previsioni saranno errate».
«Dieci a uno che saranno giuste» ribatté Coal.
«Bene, allora, fammi cinque sneak peek, Nostradamus».

«Come vuoi. Tanto ride bene chi ride ultimo». Il ragazzo si spaparanzò fra la sedia e il tavolo, a fianco a Marin. «Niente, rancore, vero?» «Cos’è ti vuoi già tirare indietro?» saltò su la ragazza.
«Nono, è solo che non vorrei che ci rimanessi male quando avrò ragione su tutto».
«Preoccupati di fare le tue hot takes, subito!»
«Bene, allora. Vedi quei due laggiù? Sì, i due gemelli. Loro saranno nella stessa classe».
«Grazie tante, è ovvio che non li separeranno».
«E una è fatta».
«Ancora, dai! I gemelli tanto sono finiti».
«I primi cinque classificati staranno assieme».
«Cosa te lo fa dire?»
«E siamo a due».
«Rispondimi».
«Non... sono legalmente obbligato a farlo, o sbaglio?»
«Procedi allora!»
«Io e te... non ci divideranno».
«Che bella notizia. Se devi sbagliarne una sola, sbaglia questa».
«Non ci sperare».
«Sì, sì, continua a fare il ganzo. Ne mancano due».
«Hmm, vediamo... ho ragione di credere che il ragazzo dai capelli arruffati con la fascia sulla fronte e la ragazza vestita da sciamano saranno in classi opposte».
«Pfff, non una chance che le azzeccherai tutte».
«Infine...»
«Sì?»
«Infine... hmm, sai che...»
«Dai! Sbrigati!»
«Ok, ok, miss impazienza! Vediamo...» Coal si guardò frettolosamente attorno. «Il tizio in armatura... lui sarà con Yunix e... i gemelli no».

Marin sollevò un sopracciglio. Si potevano quasi sentire le rotelle che giravano nella sua testolina.
«Bene!» Afferrò Coal per la mise e lo tirò a sé, guardandolo dritto negli occhi. Si picchiettò ossessivamente la nuca con un dito. «Sappi che è tutto qui! Tutto qui dentro e sarò io ad averla vinta! Capito? Niente dita incrociate dietro la schiena, eh? Eh? Vedi questa faccia: non accetterà delle scuse».
«Uh, che paura! Hai la mia parola, cara».
«Ok, allora, sapientone. Cosa scommettiamo?»
«Un favore. Gli umani sono prevedibili, ma un favore è informe e può trasfigurarsi quando ci pare e piace. Al momento che riterremo, potremo chiedere un favore a cui l’altro non potrà sottrarsi e dico sul serio quando dico che non potrà dire no. Sarà un patto d’acciaio. Accetti?»
Marin annuì con forza, certa di avere la vittoria in tasca, sfoderando un’espressione trionfante.
«Accetto! Accetto! Certo che accetto! Tanto non ce la farai!»

Il volto di Coal, che a sua volta si era acceso per il diverbio, si rilassò poco alla volta e il ragazzo si le braccia dietro la testa. Marin tornò corrucciata in men che non si dica.

«E ora che fai?»
«In che senso, principessa? Mi godo la serata, non è evidente? Cos’è? Ritieni che dovrei rimanere in pensiero per la nostra scommessuccia? Bah.. e a che scopo? Tanto ora siamo nelle mani dei professori».

Il ragazzo sollevò il drink di qualche centimetro. I cristalli di zucchero sul fondo sembravano grumi d’arkastro.
Yunix non si era accorto di aver cominciato a odiare quel metallo blu. Meno lo avesse visto nei giorni futuri, meglio sarebbe stato. Non poteva nemmeno biasimare i Giapponesi per continuare imperterriti a denigrarlo come un ferro di bassa lega: era solo un altro metro di paragone per il proprio status sociale, che nella città di Temigor poteva facilmente significare passare il resto dell’esistenza nel “Bones Village” o in un altro fatiscente ammasso di fango e degrado, dove anche il proprio quirk era soffocato con mano ferma. Per di più, in ogni singola faccia di quei cristalli vedeva ancora quegli occhi mutaforma, le orbite luminescenti di Copy&Paste, furore eterno bidimensionale. Dopo che aveva scacciato dal suo corpo la sua benedizione, era certo che gli avesse dichiarato apertamente guerra e come si faceva guerra a un morto? Non aveva risposte e le domande erano così strampalate da sembrare paro paro di un pazzo. Eppure, il solo pensare all’Infinity Hero gli lacerava il palmo medicato, come se non fosse in grado di uscire da un loop, in cui veniva ripetutamente colpito da quella scheggia di pietra. Anche quella era fantasia? Probabile, ma una fantasia fervida e di certo poco gradevole.

Coal, intanto, continuava a maneggiare il calice tra le dita, mormorando una melodia antica. Muoveva appena le labbra, ma i suoi occhi erano aperti e attenti. Erano puntati sul vetro. Poi, quasi dal nulla, sorse la sua voce, bassa e diffidente.

«Problemi in arrivo, ragazzi».

Yunix si voltò e sentì subito le gambe molli.

Un ragazzo in vestito da gala, con smoking e pantaloni di velluto, si faceva strada fra i tavoli. Non era solo. Al suo seguito, almeno una decina di ragazzi. Se li era trascinati dietro o lo stavano seguendo per pura curiosità? Difficile a dirsi. Sebbene, non ne potesse avere la certezza assoluta, Yunix poteva puntare duecentomila yen che quell’allegra combriccola veniva per loro, o meglio... per lui.

«Sera a voi, buoni signori, vi siete già premurati di mettervi comodi?»

Marin borbottò qualcosa con la bocca chiusa, mentre Coal si mise composto, il volto impenetrabile.
Solo Asia si fece avanti per salutare il giovane in tiro.
«Asia Shie-...» ma il nuovo arrivato mise un dito affusolato sulle labbra, chiedendo il silenzio.

A Yunix incuteva timore solo guardarlo. Magro, alto, con gambe e braccia rigide come pezzi di marmo, elegante come un direttore d’orchestra, nell’incedere simile a un presentatore televisivo, disinvolto al pari di un assassino sotto copertura con un coltello pronto dietro la schiena. I suoi occhi erano grandi, strani, fari nella notte, gialli come quelli di un animale notturno, con pupille ovali che trasmettevano un inquietante senso d’impotenza. Un naso alla francese, una bocca carnosa, orecchie grandi e lievemente arricciate, come quelle di un pipistrello. Ed infine, capelli color orzo, medio-lunghi, crespi, con circa sette o otto ciocche sparute, che, come floride spighe di grano, svettavano sul retro del suo collo.
Mai, da quando si era trovato di fronte Armday e in un certa misura C&P, aveva pensato di provare di nuovo un senso di minaccia così opprimente da togliergli il fiato. Forse era persino peggio. Si sentiva sopra una sottilissima lastra di pietra, in un tempio avvolto nell’oscurità. Un passo falso e sarebbe caduto in una voragine tenebrosa senza via di scampo.
Il ragazzo si godette le espressioni guardinghe dei tre per qualche secondo poi puntò gli occhi selvaggi su Yunix, che rabbrividì dalla punta delle dita a quella dei capelli grigi.
Dopo un agghiacciante, taciturno esame, il ragazzo gli si rivolse con una voce cantilenante.

«Gira e rigira, finalmente ho trovato il piatto forte del buffet. Sentiamo che ha da raccontarci, il nostro umile ladro. Ce l’ha detto lui, che era disponibile per quattro chiacchiere».

Yunix sentì la gola arida. La cosa più spaventosa non era il suo aspetto, ma le sue maniere eleganti, cortesi, il suo tono cordiale e genuino, eppure così profondamente terrorizzante.

«Sono qui, infatti» disse Yunix, con tutto il coraggio che riuscì a racimolare, «non... non ho problemi a...»
«Che meraviglia! Allora sei davvero pronto a sostenere a spada tratta la tua decisione, benché la decisione di un ladro effettivamente la tua sia». Il ragazzo, le labbra incurvate in una smorfia sprezzante, calcò sulla parola ladro con ancor più decisione. «Delucidaci! Qui ci sono tanti che vorrebbero sapere cosa si prova a rubare un posto all’HG, tra tutte le scuole! Com’è stato? Da favola, suppongo... così gratificante che non sei nemmeno riuscito a trattenere la lingua per la lezione di domani, pensa un po’ te... già da stasera dovevi essere al centro dell’attenzione, a mostrare quanto sei furbo!»

Yunix lo sentì a pochi centimetri da lui. Ecco che gli sollevava il mento per guardarlo, faccia a faccia. Odorava di papavero e naftalina.

«Caspita, proprio un bel discorso su quel palco, non sei d’accordo? E adesso... non hai nemmeno il coraggio di difendere le tue posizioni? Hai forse bisogno di una sedia? Vuoi che ci facciamo una tazza di tè a tu per tu, così che tu possa sentirti a tuo agio? Oppure sei in grado di farti valere qui e ora?» Si ritrovò a specchiarsi in quelle tinozze sciabordanti che erano i suoi occhi rapaci. «Non tenere tutti sulle spine. Non lo vedi? Siamo qui in buona fede». Yunix chiuse gli occhi, incapace di guardare i suoi un attimo di più. «Ehilà... hai già perso la lingua? Non ti va di aprirti con noi?»

«Buona fede?» Il mormorio di Yunix fu così smorzato che nessuno lo udì.

«Oh... perché non ripeti ad alta voce qualunque cosa tu abbia detto? Dai, che siamo tutti curiosi».

«Buona fede?» ripeté Yunix con frustrazione. «Questa sarebbe buona fede? Hai iniziato ad attaccarmi ed insinuare dal momento stesso in cui hai aperto bocca. Hai portato delle persone qui solo per il tuo gusto personale di farmi sentire un approfittatore, un bastardo che ha distrutto i vostri sogni. Quando io... non ho rubato NIENTE!»

Asia si morse il labbro e separò i due.
«Insomma! Ma che avete da comportarvi così?»

Il ragazzo elegante si volse verso di lei e parve accorgersi ora che era lì.
«Le mie più sentite scuse, milady, non era mia intenzione provocare il tuo compagno». La ragazza piegò la testa, interrogativa, poi divenne paonazza, realizzando cosa implicava. «Il mio... compagno?» La risata soffocata di Marin le fece da eco, mentre lei scuoteva la testa. «No... non è...»

«Oh, non siete...? Accipicchia, errore mio» si scusò il ragazzo, facendo una risata delicata e musicale «il fatto è che è abbastanza usuale per me dare per scontate le cose, sono fatto così. Forse è per questo che non riesco a vedere l’atto di Yunix come una scelta dettata dal cuore e dalla necessità. Ma se volesse spiegarmi meglio cosa c’è dietro le quinte della sua decisione, forse potremmo mettere subito una pezza a tutta la faccenda. Mi piacerebbe sentire da lui la verità, tutto qui, senza secondi fini e senza rancore, si intende».

La sua voce era così onesta da far venire il vomito. Tornò a guardarlo con quell’espressione morbida e questa volta Yunix ebbe la certezza che fosse odio a traboccare da tutti i suoi pori.
“Non importa cosa gli dirò. La sua idea se l’è fatta. È qui per avere una conferma, e l’avrà in un modo o nell’altro”.

Asia distese le sopracciglia.
«Sono sicura che troverete un terreno comune, non è vero Yunix?» gli mollò una piccola gomitata.
Il ragazzo elegante si portò una mano ai capelli, inarcando la schiena.
«Non aspetto altro».

Yunix sentì le vene pulsare e palpitare, per un furore represso. Sapeva a cosa andava incontro. Sapeva che quella carineria era un tranello bello e buono. Sapeva che a guardarlo erano non meno di venti ragazzi, ma non poteva semplicemente dargliela vinta così.
«Ladro?» incominciò Yunix, con voce raschiante. «Ladro solo perché ho avuto il diritto di essere un ripetente in questo posto? E cos’avrei rubato esattamente? Non ho tolto l’occasione a nessuno, altrimenti mi sarei volentieri tirato indietro. Io ho solo preso un posto vacante, un posto aggiuntivo, e l’ho fatto solo e solamente per mettermi al servizio della società. Non sono un ladro e non intendo diventarlo mai».

Il ragazzo in smoking trattenne una risata, gli occhi spalancati.
«Ma come? Non dirmi che non te ne sei accorto? Trentanove... trentanove soli erano i posti. Non i soliti quaranta. Fai il finto tonto, adesso, o speravi davvero che nessuno sarebbe caduto sulla sua spada per farti entrare? Quel quarantesimo posto lo hanno riservato per te, fin dall’inizio. Prova a negarlo».

Yunix rimase di sasso. No, non poteva essere. Lui... lui che era sempre attento ai dettagli non era riuscito a fare due più due? Il ragazzo dai capelli simili al fieno lesse l’incredulità sul suo viso come se vi fosse dipinta con la vernice.
«Bontà divina... quindi eri all’oscuro di tutto davvero? Allora non solo sei un ladro, ma anche un inetto. Il tuo libero arbitrio vale così poco che avevano già deciso per te» si mise a ridere.
Yunix era in stato catatonico.

«Tu puoi fare quello che vuoi».

«Era tutta una messa in scena? Per darmi l’impressione che potevo scegliere? È questo che stai dicendo?»

Il tempo sembrò fermarsi. Un gelo profondo sorse dal terreno. Avvolgente e travolgente.
“Non oserebbero... non oserebbero farlo!”

Yunix si sentì estraniato da sé stesso. Asia, Coal, Marin, divennero spettri. Solo quel ragazzo in smoking era ancora lì. Rideva, rideva di lui. “Solo i primi trentanove sarebbero entrati. Gran bella battuta. Che numero insensato. E dire che lo sapevo che erano sempre stati quaranta. La missione come esaminatore, la lettera di diniego, il mio discorso, non valevano niente!?” Sentì le dita intorpidite, così desiderose di morte, che sfuggivano al suo controllo. “Non possono decidere per me! NON HANNO IL PERMESSO DI FARLO!”

Proprio quando pensava di aver sconfitto la sua insicurezza, ecco che veniva a galla la verità: avevano scelto per lui, ancora una volta, senza pensare a quello davvero desiderava. Era ovvio che se avesse detto che non voleva partecipare lo avrebbero ficcato dentro con qualche sotterfugio. Inai non si sarebbe lasciato sfuggire uno come lui. Ormai era chiaro come le stelle nel cielo ed essere stato così ingenuo lo riempiva di spregio, per sé stesso e per coloro che c’erano arrivati prima di lui. L’unico che aveva avuto la decenza di dire le cose come stavano ce l’aveva davanti. Tutti quei professori invece, ora lo realizzava, non erano altro che erbacce, parassiti, pronti a spremere il suo essere, pronti a usarlo come lui stesso si era detto disposto a diventare in quel dannato discorso: un’arma.

La mano cicatrizzata scattò, come se risvegliata da un lungo sonno. Smaniava per la loro gola. Voleva graffiare, dilaniare, strozzare. Non avrebbero dovuto farlo, non avevano il permesso. L’erba appassì nel giro di un attimo, migliaia di cadaveri già pronti al fuoco degli inferi. Yunix guardò in direzione della foresta, ormai visione bianca spettrale, dove c’erano gli insegnanti, che ignari, continuavano a smistarli in questa e quest’altra classe.

“La morte sarà un sollievo, per voi che mi avete sottratto la libertà di scegliere”.

Stava già alzando le braccia. Correnti torbide ululavano nella notte, spegnevano le luci nelle lanterne. Cessava il fiato mortale, iniziava l’era del male. Dei tavoli non c’era più neanche l’ombra. Solo quei giudici senza cuore erano lì, all’ombra delle conifere. Non avevano elementi connotativi di riferimento, erano solo bersagli, nella linea di tiro. Li avrebbe spazzati via, senza se e senza ma, come aveva fatto quel pomeriggio con il generale. Ne era in grado, sapeva di esserne in grado. Già vedeva i lampi rossi annientarli come una pioggia acida, i loro arti sparpagliati nel cielo, tributo di guerra, tributo divino. Sangue che avrebbe pagato il prezzo della sua libertà rubata, sangue per un mondo nuovo.

«Sei solo un demone dagli occhi di ghiaccio».

“Armday!”

Yunix riemerse boccheggiando dall’abisso, le mani tutto un tremito. Il suo viso era in ombra, per fortuna. Il suo cuore batteva, come gli zoccoli di una mandria di puledri impazziti. I primi pensieri andarono ai suoi nuovi amici. Ma erano lì, erano ancora lì, così come il banchetto, le pietanze succulente, i tavoli imbanditi, le lanterne-origami. Dovevano essere passati solo pochi secondi, perché l’attaccabrighe non aveva ancora finito di ridere. Lo lasciò continuare, cercando di rimettere in ordine i pensieri.

“Cos’ho che non va?” Sentiva sbiadire i ricordi... la ragazza in impermeabile si faceva più indistinta che mai. “Basta! Cos’è che sto dimenticando? Cos’è che sono?”

Ma era lì ora... era quello l’importante. Il presente, il passato, il futuro: non poteva ancora separarli, forse si sarebbero fatti ancora più confusi, ma ora... aveva una vita da vivere.

«Non hai tutti i torti, lo sai?» rispose al tipo in smoking, recuperando sorridendo la compostezza. Rivoli di sudore gli colavano sulle palpebre, ma era più piacevole che mai sentire la propria voce solcare le proprie labbra. «Il preside ha fatto sì che fossi ammesso. E cos’hai intenzione di fare a questo proposito? Vuoi metterti contro al sistema? Fatti avanti e vedi cosa riesci a ottenere, però sappi che c’è una fila molto lunga ad attenderti». Dintorno, i ragazzi smisero di bisbigliare. Mentire era facile come tagliare il burro con un coltello. «Volevate ulteriori motivazioni per odiarmi? Beh, eccomi qui. Sono io il bastardo che ha voluto rovinarvi la vita. Fremevo dal desiderio di sedermi in quei banchi, sapendo che non avrei dovuto fare il minimo sforzo per ottenerli; ne sono così felice che potrei mettermi a cantare! È stato un game on, un fuori campo coi fiocchi, a cui nessuno aveva pensato prima. Ho vinto su tutta la linea e non c’è nulla che possiate fare che mi metterà alle strette. Non ci credete? Forza, allora. Fate i vostri reclami, vi auguro tutta la fortuna dell’universo, invidiosi bambinetti».

Si rese a malapena conto del turbine di risentimento che aveva scatenato. Sollevò i pollici a Marin, pensando di averla risolta con facilità, ma il suo viso disse tutto il contrario.

«Tutto quel parlare e ci stavi ingannando dal principio!?»
«Non ti vergogni manco un minimo, sfigato?»
«Aspetta che lo vengano a sapere mio padre!»
«Non ce ne sarà bisogno, amico. La ‘solveremo a botte qui e ora!»
«Non dire altro!»

In un battere di ciglio, Yunix vide i ragazzi scavalcare i tavoli per gettarsi su di lui. Atterrito si gettò contro il ragazzo elegante, che era rimasto composto a godersi la scena.

«Ehi! Fermali! Non intendevo farmi ammazzare!»

«Oh... ma loro non sono con me. Mi hanno solo seguito, perché inspiro fiducia, ecco tutto».

«Tu? Inspirare fiducia, ma sei fuori?
»

«È un tuo problema, Yunix. A me bastano queste parole di confessione».

«Ma non sono vere!»

Il ragazzo si accarezzò i capelli e Yunix capì che se non si fosse scostato immediatamente avrebbe dovuto fare i conti con un nemico ben peggiore di tutta quella folla.

«Certamente, tesoro, certamente. Però io fossi in te mi guarderei le spalle».

Yunix vide la sagoma di una persona dietro di lui. Fece un verso spaventato e scansò un pugno per un misero millimetro.
«Scherzavo! Stavo scherzando! Che c’è, non lo avete capito? Haha, ci siete cascati!»
Una ragazza bionda gli sbarrò la strada con le falci di una mantide religiosa al posto delle braccia. «Guardate! Ora si prende gioco di noi! Addosso!»

Yunix si gettò indietro, dove lo aspettavano altri due rissosi combattenti.
«Facciamolo a pezzi come si deve!» esclamò uno con la pelle simile a corteccia. «In trentanove pezzi così raddoppieremo la probabilità di entrare il prossimo anno» lo sostenne l’altro, aggiustandosi gli occhiali sopra un naso gigantesco.
«Ma che razza di logica è!?» strillò Yunix, messo all’angolo.
I ragazzi si chiusero su di lui, serrati come una testuggine.

«Caspita... non è colpa mia, Yunix. Probabilmente è solo la verità che fa male». La voce melodica del ragazzo biondo-castano gli giunse da dietro la massa di braccia alzate, in cui era impossibile aprirsi un varco.

Quando i primi colpi arrivarono, Yunix comprese due cose: la prima era che probabilmente se l’era meritato con tutto quel ciarlare a vanvera, la seconda, assai più preoccupante, era che quei ragazzi non stavano affatto scherzando.

«Alza di nuovo la cresta, adesso!» ruggì il ragazzo dai capelli fosforescenti che era nella banda di Chooki al cantiere, sferrandogli un calcio in pieno petto. «Non ti riconosceranno neanche dopo stasera!»

“I professori!? Non dovrebbero essere qui ad aiutarmi? A meno che...” Yunix sentiva il dolore dilagare. “Forse... vogliono vedermi di nuovo all’opera?”

Le grida entusiaste si sostituirono all’improvviso in urla di terrore. Qualcosa... qualcosa aveva interrotto quel massacro? I ragazzi si allontanarono dalla sua posizione, esitando a tornare all’attacco. Presto, il motivo fu evidente: in un movimento circolare un getto di fuoco verde vorticava a mezz’aria di fronte a lui. Zombie di luce ardente emergevano come piccole fiamme dalla ruota infernale, grande quanto mezzo tavolo.

«Yo! Qui quelli che hanno alzato troppo la cresta siete voi, cari miei!» Coal Naive, un ghigno da imbroglione dipinto in volto, teneva le mani aperte di fronte al suo corpo malmesso. «Prima di tutto, sfogarvi su un minchione che ha preso un singolo posto dei quaranta che c’erano non vi concederà l’accesso in questa maestosa scuola e poi, signore e signori, state rovinando una festa... e se c’è una cosa che mi dà fastidio sono proprio i guastafeste a tempo perso!» Quando alzò la voce, le fiamme s’innalzarono, lambendo i tavoli vicini con lingue verdastre. «Ultimo ma non meno importante...» dichiarò, mostrando il cellulare con un gesto teatrale, «mandria di bufali senza vergogna, avete spaccato la pellicola protettiva del mio migliore amico! Inammissibile, totalmente inammissibile!»
Spirali di fiamme fuoriuscirono dagli occhi inferociti, costringendo i presenti a farsi ancora più indietro.

«Forse Yunix avrà davvero sottratto la possibilità a uno di voi!» intervenne Asia, rossa in volto, «ma si merita appieno il posto che gli spetta: è riuscito dove tutti noi abbiamo fallito!» Lo guardò protettiva. «Sì, merita di diventare un eroe».

«E perché mai, si può sapere, zuccherino?» Dalla folla intimorita emerse illeso e zelante il ragazzo in tiro, la cui sola vista mandò Yunix in defibrillazione. «Da quanto ne so, il vostro piccolo Yunix era solo un esaminatore, non un aspirante. C’è forse qualcosa che non so?»

Il ragazzo dai capelli biancastri si sollevò lentamente, facendo cenno ad Asia che aveva tutto sotto controllo.
“Dobbiamo mentire. Non possiamo dire tutta la verità, anche se questo mi costerà grane a non finire”.

Per fortuna, Coal aveva agito in fretta. A parte qualche articolazione indolenzita e un paio di lividi, Yunix era stato risparmiato da un pestaggio in piena regola. Il suo rispetto per quel folletto malefico iniziava a crescere: forse c’era davvero qualcosa dentro quel cuore tronfio; però non sarebbe bastato a farli uscire da quella situazione. Doveva sistemare le cose lui.

«Qualcosa che non sai? Nulla di tuo interesse» rispose poi, cercando di tenere a freno la lingua. «So benissimo però che se anche avessi salvato il mondo in quel paese dei balocchi, mi considerereste comunque un ladro, quindi perché dovrei sforzarmi per darvi ragioni che ho già espresso durante la cerimonia?»

Il ragazzo dagli occhi bronzei si accarezzò il mento, sorridendo.
«Interessante! Non hai tutti i torti, ladro. Le mie conferme le ho già avute, dunque posso ritenermi soddisfatto». Il ragazzo puntò quegli occhi melliflui su Asia, poi su Marin, poi su Coal. «Voi quattro nascondete qualcosa, qualcosa di scottante, ma tranquilli, scoprirò da per me di che si tratta. Concentratevi sul non essere espulsi il primo giorno: ai professori piace sempre instillare un po’ di paura nelle matricole. Bye, bye...»
Strizzò loro gli occhi e salutò con mano cortese.

Diede loro le spalle e iniziò ad allontanarsi con andatura disinvolta. Passando accanto alla piccola folla che si era radunata, si fermò un istante.

«Non date ulteriori fastidi ai miei futuri compagni. Anche se mi auguro con tutto il cuore che quel ladruncolo non sia nella mia stessa classe, su una cosa hanno ragione: non sareste stati comunque accettati. Il quarantesimo non è mica fra voi».

Altro che le fiamme di Coal: a una sola occhiata di quel ragazzo educato, la maggior parte dei presenti si ritrasse fischiettando.

«Avete capito, mezze calzette? Smammare, andale, andale!» incalzò Coal, elevando la fiamma alla temperatura di fusione.

Yunix rimase sconsolato al suo posto, incerto sul da farsi, poi sentì un forza magnetica spingerlo a muoversi. Non poté respingerla. Era importante. Rincorse il ragazzo vestito di nero e trovò il coraggio di richiamare la sua attenzione, seppur inciampando fra le parole.
«Il... il tuo nome! Come... com’è che ti chiami?»
Sperò che non si volgesse, che lo ignorasse, che facesse finta di non averlo sentito.
Il ragazzo rallentò, ma non smise di camminare.
«Meh... e perché mai dovrei dirtelo?»
Yunix deglutì, stringendo i pugni. Parlare fu più difficile che affrontare a viso aperto quel generale, ma non si sarebbe più tirato indietro.
«Come... come faccio a pregare che non ci mettano nella stessa classe se non conosco nemmeno il tuo nome?»
Le spighe di capelli dietro al collo del ragazzo sembrarono quasi levitare.

«Herneist Aghikumura è come mi chiamo, prendere o lasciare. Ti conisglio di non sfidarmi, Yunix Braviery: non ne usciresti bene. Per il resto, dormi pure sonni tranquilli... pregherò anch’io perché il destino ci ponga in classi opposte».
Riprese il passo sostenuto.
«Tieni solo a mente» cantò la voce soffice, «che quel quarantesimo a cui hai strappato il posto tornerà. Non dimenticherà l’offesa ricevuta, come non lo farebbe il pescatore che ha perso la preda in mare. Quel giorno dirò a gran voce “te l’avevo detto” e allora saprai cosa si prova a essere derubati di tutto, a vedersi scivolare fra le mani la vista stessa. Sarà un piacevole scambio di opinioni e sappi che quando accadrà non muoverò un dito per aiutarti, non il pollice, non il mignolo. Tienilo a mente, tienilo a mente per favore e forse capirai perché sono così...».
Herneist scomparve alla vista, in mezzo al chiasso, in mezzo al rumore, intoccabile, impossibile da associare a quel marasma. In un modo o nell’altro, Yunix seppe che aveva ragione, che un giorno si sarebbe pentito di aver sottratto a quella persona sconosciuta il posto che le spettava di diritto.
   
 
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