Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: LaserGar    22/12/2022    0 recensioni
Yunix Braviery ha 16 anni. Dopo aver perso la memoria in circostanze ignote, il ragazzo, completamente solo, si è ritrovato a vagare in un mondo dominato dai Quirk, alla ricerca di una sistemazione stabile. La sua unica certezza è di aver commesso un crimine terribile, perciò mantiene un profilo basso, cercando di non avere contatti con nessuno. Dopo due mesi di vagabondaggio giunge alla sua meta che spera ponga fine alla sua 'fuga' intercontinentale: lo stato/città indipendente di Temigor, nella punta meridionale dell'isola del Kyushu. La città in questione, chiamata Kotetsu dai Giapponesi, per l'acciaio speciale che vi si ricava all'interno, è una metropoli ricca di persone provenienti da ogni dove. L'HG è l'accademia per eroi della città, capace di rivaleggiare contro lo U.A, per il titolo di scuola migliore per eroi. Nel frattempo, un cimelio del passato rinvenuto nella giungla sudamericana rischia di far sprofondare nel caos non solo Temigor, ma tutta la società degli Heroes. Yunix non sa ancora cosa l'aspetta quando si ritroverà faccia a faccia con il suo futuro e ovviamente il suo passato.
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una Strada per il Futuro - Parte Terza: I colori di un demone


Yunix fece ritorno dagli altri, gli occhi che si chiudevano ad ogni passo, per poi spalancarsi nel timore che inciampasse nella gamba di un tavolo o ancor peggio in quella di una persona. Era sfinito, ma doveva stare all’occhio. Ci mancava solo che lo pestassero una seconda volta la stessa serata (e si era visto quanto i professori lo avevano aiutato la prima volta).
Non era un'impresa facile. Le parole di Herneist erano a tal punto vivide nella sua testa che sembrava le avesse tracciate sul suo midollo spinale con l’indelebile. A peggiorar le cose, poi, Coal stava parlando come suo solito, da chiedersi dove trovasse la forza per farlo.

«Bla, bla, bla... ladro qui, ladro là! Aspetta solo che lo riveda con quel sorrisetto da Edgy Boy, giuro che lo faccio allo spiedo. Ehi, na na na, cazzo ridi? Non istigarmi, principessa dei flutti, o ci sarà più varietà di carne di quanto pensi sul...».
Yunix gli afferrò la spalla, non riuscendo nemmeno a stare in piedi.
«Potresti... farmi un favore?»
«Hmm... cos’è che vuoi?» chiese lui distratto, squadrando Marin con ostilità apparente.

«Stai bene?» intervenne invece Asia, preoccupata di fronte al viso stremato che sicuramente aveva dipinto in faccia.
Non ne aveva colpe, ma il fatto che lo guardava come se fosse un cane bastonato lo faceva imbestialire, anche se in fondo era quello che era: un randagio, nulla di più, nulla di meno. Le rispose egualmente, anche se non si avvicinò nemmeno lontanamente alla verità su come si sentiva: «Sì... sto a posto».
“Ho quasi commesso un pluriomicidio. Come vuoi che mi senta?”
Si rivolse al ragazzo dagli occhi viola, usandolo come appoggio senza esercitare troppa pressione.
«Ti prego... dimmi che... dimmi che hai... altre previsioni per domani, Coal. Riguardo a me e quel tipo. Non saremo assieme in classe, vero?»
Con sua somma delusione, lo vide scuotere la testa.

«Affatto, amico, nessuna previsione stavolta. Potrebbe essere nella tua classe come non esserlo, però non mi farei grandi speranze. Se le cose hanno tutte le ragioni per andare male, andranno male, parlo per esperienza».
“Come pensavo...”
«Sei un dilettante a offrire conforto... lo... sai...» bofonchiò Yunix, iniziando a barcollare.
Asia gli prese la mano.
«Ehi, non sembri molto in forma. Vuoi che chiami un professore?»
Yunix scosse la testa.
«Ho chiuso con i bugiardi, per oggi».

Si voltò per trascinare una panca dove si trovavano loro. Sapeva che alle sue spalle si stavano scambiando degli sguardi preoccupati, o forse solo straniti, ma qualunque fosse la loro reazione, a lui non poteva fregar di meno. Non vedeva l’ora di affondare il viso nel cuscino e contemporaneamente temeva quel momento con tutto il cuore. Sarebbe stato in quell’istante che i fantasmi della sua coscienza avrebbero lanciato il loro grido di battaglia e gli si sarebbero insinuati in testa, come un’infestazione di pidocchi. Come li guardò, i ragazzi misero su facce di bronzo, anche se un secondo prima era stato abbastanza sicuro di sentire Coal bisbigliare qualcosa di non troppo carino rivolto a lui.
“Tipico”. Si sedette.

«In ogni caso» borbottò Marin, corrucciata, «io ora me ne vado a letto. Sono stanca».

Non aggiunse altro. Le labbra di Asia fremettero, mentre la ragazzina si alzava per andarsene.
«Non vuoi restare un altro po’? Non hai bevuto niente».
Marin alzò le spalle, con quel suo solito modo brusco di trattare con le persone, come se non fossero in grado di comprenderla.
«Grazie per l’offerta, ma no...» s’interruppe, appoggiando sul tavolo una viola raccolta chissà dove. «A domani, sfigati. Se vedete una donna con un acquario grande più o meno così, rivolgetevi a me in men che non si dica. Non ho alcuna voglia di vedere i miei piranha fare amicizia con qualcuno che non sono io».
Fece una pernacchia a Coal e si allontanò, strascicando i piedi sull’erba. Il vestito da maid-caffè anni Venti bruciacchiato non le donava granché. Chissà se l’aveva messo di sua spontanea volontà.

Il ragazzo dai capelli danzanti inclinò il capo, stiracchiato.
«Uhhh, che bello sapere di essere rientrati nella lista nera di Marin. Ci speravo con tutto il cuore».
«Non è lei che mi preoccupa» sospirò Yunix, cogliendo il fiore dal tavolo e spogliandolo dello stelo. «Herneist farà di tutto per rendermi la vita un inferno se saremo nella stessa classe».
Il ragazzo avvertì una gentile stretta sulla spalla e sollevò il viso verso Asia. Si era avvicinata a lui senza provocare un singolo rumore: una ninja fino al midollo, ora ne ebbe la certezza.
«Ehi... devi stare tranquillo. Noi sappiamo che il posto te lo sei meritato».
«Eccome, amico» la sostenne Coal, con voce singhiozzante, «se verrai gangbangato n’altra volta, stai pur certo *hic* che diremo le cose come stanno e poi... se quello si chiama davvero Herneist, è arrivato a malapena trentanovesimo, quindi ha poco da fare il figo».

Quelle parole non significavano molto, ma lo rincuorarono.
«Grazie» disse, incurvando leggermente le labbra. «Significa molto per me».

Coal incrociò le gambe, sbadigliando.
«Quando vuoi, pezzo di ghiaccio» si rivolse ad Asia, «fammi un altro cicchetto, señorita. Non mi sento brillo a sufficienza».
«Scusa? Fattelo da solo, idiota, che sei anche più vicino di me alla brocca!»
«Oh... tu guarda è vero» ridacchiò Coal, simulando sorpresa nel vedere il liquido ambrato accanto al braccio disteso sul tavolo.
«Hm, secondo te come giustificheranno la consegna di alcol a dei minori?» chiese scuotendo la pinta, assorto.

Asia strabuzzò gli occhi.
«Sul serio? Hanno appena giustificato la distruzione di un patrimonio dell’umanità come Infection. L’alcol in confronto è una bazzecola e poi questa roba è super soft».

«D’accordo, d’accordo, però stai comunque alzando un po’ troppo il gomito, per i miei gusti, futura rappresentante».
«Futura rappresentante? Insomma... che ne sai che non sono una delinquentella? Già, una di quelle che becchi ai lati della strada? Cosa ti fa dire che sia una perfettina?»
«Beh, innanzitutto il fatto che usi il termine delinquentella e perfettina, manco fossimo in Harry Potter e poi scusami tanto, ma con quell’atteggiamento non ti puoi aspettare che la gente ti prenda come una combinaguai. Sprizzi decoro da tutti i pori, sì sì!»

La ragazza si mise a gambe incrociate, osservando con attenzione il viso di Coal, che tracannò un sorso di birra dalla brocca.
«L’abito non fa il monaco».
«Però è di grande aiuto per farlo entrare nella parte» replicò Coal, dandole un pizzicotto al naso.
«No, guarda Coal... sei fuori strada stavolta. Io, ecco, non so abbastanza cose sul mondo, come potrei rappresentare una classe?».
«Oh, quello si coltiva a scuola».
«Ecco, parlami della scuola... non ho mai potuto frequentarla».

Coal si strozzò con la bibita.

«Oh mio Dio! Coff... coff...» Il ragazzo si mise composto, battendosi dei colpetti sul petto. «Hmm... questa sì che... bleah... è una sorpresa. Sul serio non hai mai frequentato..?»

«È così... dopo l’asilo, mio padre... lui preferiva tenermi al dojo tutto il giorno, in modo che apprendessi da lui l’arte del kendo e del karate, e del tai-chi... e così... beh... la mia formazione è passata in secondo piano».

«Ohilà! Proprio un background da delinquentella, allora. Sai... la scuola non è poi così particolare... si guarda un po’ la lavagna, si scrivono due robe sul quaderno e per il resto è tutto cazzeggio con gli amici e roba simile, però s’impara tanto, anche dagli altri. Puoi osservare così tante vite lì dentro che la tua routine quotidiana inizierà a riempirsi di dubbi e di modifiche, di crocette sul calendario ed esperimenti einsteiniani da far accapponare la pelle, fino a che la tua stessa visione dello stadio adolescenziale in cui sei e quello infantile in cui sei stata non si ritorcerà contro di te, facendoti crescere, spingendoti in quella galleria soffocante, caduca e affascinante chiamata vita: questa, cara mia, è la scuola».

«Uhm... aspetta, aspetta. Faccio fatica a seguirti se spari queste sentenze a mitraglia. Da bravo, rispiega da capo... e non la tua visione, io voglio sapere com’è oggettivamente. I compiti, i voti... per me è tutta roba nuova».
«Oh, quelli li adorerai, fidati».
«Beh, parlamene, allora, anche se ti sembra banale».

Yunix abbassò lo sguardo e li ascoltò parlare. Gli piaceva sentire il suono delle loro voci: quella di lui arguta e teatrale, l’altra delicata, paziente e affamata di sapere. Si stava accorgendo che non pretendeva molto di più e la cosa lo incuriosiva, perché non era come ascoltare degli sconosciuti farsi brutto al lato della strada, quello era qualcosa d'immensamente diverso, anche se non sapeva spiegare bene in che modo. Forse stava assaporando cosa significasse vivere per i propri compagni, sperimentando cosa intendesse il generale parlando di scopo: un alveare in cui ogni ape viveva in armonia con l’altra, faticando e operando, eppure gioendo per ogni scambio, per ogni successo, una società ideale, un’utopia.
Certo, Armday non ne era mai stato parte, ma aveva sentito quel calore, in passato: Elmer Grayne, quello era il nome che dava al suo angelo, solo un altro uomo rigettato, tenuto lontano da quel mondo collaborativo, qualcuno con cui in qualche modo il villain aveva legato, qualcuno che poi aveva ucciso. Yunix non era così, lui puntava troppo più in alto, anche se non sapeva ancora a cosa. Per ora, però, sentiva di accontentarsi di quel poco, di quelle poche parole. Gli bastava solo che quei due ragazzi lo tollerassero in quel rozzo triangolo di persone che non conosceva ancora pienamente, ma che già sentiva inestimabili. Gli bastava la carezza di una voce amica, anche se non rivolta a lui. Per quella giornata infernale, si sarebbe accontentato di quello; il giorno dopo avrebbe pensato agli altri sogni che aleggiavano nel suo cuore, il giorno dopo avrebbe chiuso i conti con il suo potere, il giorno dopo... il giorno dopo lui... senza neanche accorgersene, scivolò in un sonno senza sogni.

 

A svegliarlo fu una voce squillante ed energica: «AAARRRRC! Ti prego! Voglio solo sapere come hai fatto, eddai, ti prego, ti pregooooo! Dai, dai, dai, dai, dai!»
Yunix sbatté ripetutamente le palpebre. Aveva un mal di testa assurdo. Si strofinò gli occhi e si mise subito a sedere. “Dove?” Si sentiva tutto ammaccato: doveva aver dormito in una posizione super scomoda. Come in trance, si guardò attorno e lo colpì un pezzo di carta, abbandonato a sé stesso sotto un paio di bicchieri vuoti. Lo agguantò, ancora assonnato, e cercò di mettere in ordine le lettere che c’erano sopra.
 
Scusa se ti abbiamo lasciato lì, ma dormivi così profondamente che non me la sono sentita di svegliarti. Insomma, è stata una giornata lunga per tutti. Noi siamo andati a dormire, ci si becca domani a lezione se ci hanno messo nella stessa classe. Io lo spero: vorrei tanto conoscerti meglio, Yunix.
 
P.S.: Attento, Coal ha voluto a tutti i costi farti un piccolo scherzo.
Non sono riuscita a stopparlo sob sob :/

                                                                                                                                                                                                                        Asia
 
Yunix aggrottò la fronte: “scherzo?”
Fece per accartocciare il biglietto, quando si accorse che la carta stava andando a fuoco. E non era una flebile fiamma, ma un uragano giallastro quello che divorava il messaggio, con la stessa rapidità di un trita documenti. Soffocò un’imprecazione e gettò a terra il pezzo di carta, calpestandolo per soffocare il getto color dente di leone. “Ma è un idiota o cosa!?”
Quando il pericolo fu scampato e spirali di fumo presero ad attorcigliarsi attorno alle sue gambe, il ragazzo allungò una mano ad asciugarsi la fronte. «Pheew... guarda questo...» Doveva ricordarsi di fargliela pagare. Ora l’avrebbe fatta LUI la lista nera, cavolo.

«AAARC! Dai! Dai! Dai! Voglio saperlo! Voglio saperlo!»

La voce insistente era ancora più vicina.
Ora che era sveglio, Yunix tese orecchie e occhi verso quella direzione.

«Ma quanto sei appiccicoso? T’ho detto di farti gli affaracci tuoi!»
«Ti chiedo solo un miniminiminifavore! Eddai! Cosa ti costa dirmelo?»
Un ragazzo dai capelli rosso vermiglio, con una fascia a motivi trapezoidali attorno alla fronte, tratteneva per la giacca di marca tenuta a mo’ di mantello un ragazzo ben più alto, muscoloso, snello, con borchie di metallo ai polsi, occhi grigi come la cenere e capelli spettinati, blu e neri. Aveva un viso cattivo, che sorrideva poco e si distendeva ancor meno spesso, o almeno questo era quello che traspariva. Yunix lo riconobbe come il primo classificato al test, Arc Nighter, che a quanto gli aveva riferito un ragazzo durante la prova, aveva sconfitto metà dei villains della zona inferiore, nella prima ora di tempo.
«Cosa mi costa? Niente. Cosa ci guadagno: esatto, niente!»

Si trascinava dietro il ragazzino, neanche fosse un pupazzo, decisamente irritato. Yunix decise in un lampo di unirsi alla disputa, anche se era a un tavolo di distanza. Non aveva motivo d’immischiarsi nei loro affari, ma tantomeno aveva motivo di non farlo. Non gli era sfuggito che quel buffone di Coal lo aveva chiamato “pezzo di ghiaccio”, poco prima che piombasse nelle braccia del sonno. Non poteva continuare a osservare senza agire. Era ora che si facesse valere, che fosse presente nella propria vita, che ne fosse il protagonista.
“Proprio come Armday” pensò addolcendosi al pensiero del villain, quasi come se fosse un vecchio amico. Non sarebbe diventato un estroverso tutto d’un tratto, ma interagire per sua scelta con qualcuno poteva essere un inizio, anche se non sapeva come fare, e chi meglio del sedicenne che aveva battuto circa un intero settore carcerario di Aster tutto da solo? Pure Milia l’aveva detto, no? “Potreste imparare tanto da chi è stato scelto... già, forse potrei evitare di farmi ammazzare il day one, tanto per dirne una”.

Senza attendere un secondo di più, balzò oltre la tavolata, ormai arida di vivande, per piantarsi irremovibile di fronte ai due ragazzi. Pensò alla prima cosa che gli venne in mente.
«Sono Yunix Braviery, dichiarate le vostre intenzioni, o andatevene!»
La sua convinzione s’incrinò di fronte all’occhiata che il primo classificato gli riservò. Il volto imbruttito di Arc mutò, infatti, in pochi attimi, dalla sorpresa all’ira.
«Ah, vedo! Ti sei già fatto degli amici, eh, pellerossa del cazzo? Ma non importa quanti ne arriveranno, non mi farai sputare una singola parola. Fuori dalla mia strada, pezzente!» lo avvertì mettendogli una mano sul petto.
«Io...» Lo spostò di lato, premendo forte sulla sua cassa toracica.

Yunix rimase senza fiato, sbalordito da tale forza. Ne era certo: quelle dita avrebbero potuto cavargli gli occhi senza alcuna difficoltà, anzi, a dirla tutta, avrebbero potuto sradicare un albero alto quanto un minimarket e spesso quanto una canna fumaria.
“Lex, Asia, Sakuro, Sekiro, questo Arc... sono abbastanza forti per essere Heroes così come sono. Cosa ci fanno qui? Non possono chiedere direttamente la licenza?”
“Non a Temigor, caro mio” gli suggerì una voce, dentro la sua testa “hai letto quel quotidiano: si dice che l’eroe medio di Temigor sia nettamente superiore al Pro-Hero medio di un’altra nazione e che il loro numero sia esiguo quanto le spighe di grano in un campo di barbabietole”.

Se le cose stavano davvero così, che speranze aveva lui di diventare un Hero? Oramai, la sua dichiarazione sul palco non gli sembrava più solamente un’inutile spreco di tempo, ma anche un atto vanesio. Per quanto avesse sconfitto Armday, anche uno solo di quei ragazzi allenati poteva metterlo al tappeto con le mani legate dietro la schiena. Che servizio poteva offrire a quella società?
“Già capito, mi farò usare come punching-ball da quelli come lui per un paio di settimane, prima che anche quel falso di Inai si renda conto che non gli sono di alcuna utilità e perciò mi butti fuori, e tanti saluti anche all’opzione di meritarsi il titolo di studente”.

Il ragazzo vestito da indiano però non si arrendeva.
«No! Dai! Non so manco chi sia! Andiamo, Arc! Voglio solo che mi racconti come hai fatto! Sono solo... curioso!» S’impuntò sul terreno, ma anche così Arc lo trascinava con relativa facilità. «Dai! Dai! Dai!» Il ragazzo si fermò di colpo, lasciando sorpreso pure il pellerossa che mollò la presa, fiducioso. «Quindi lo farai..? Per favore...».
Arc si voltò e lo squadrò con freddezza.

«Sarò franco, Furry: se anche ti dicessi qual è il mio Quirk e come ho preso quelle taglie, non ne ricaverei alcun vantaggio. Per di più, sei fin troppo fastidioso e petulante. Pensi che le persone diventeranno ben disposte verso di te se ti metterai ad abbaiare non-stop nelle loro orecchie? L’unica cosa buona di te è che sei onesto, ma questo non è un pro sufficiente a convincermi a parlare. Sono stato abbastanza chiaro?»
Si trovò davanti un viso sbavante. «P-però...»
«Evidentemente no. Sparisci dalla mia vista, o proverai sulla tua pelle cosa mi ha portato così in alto. Ti garantisco che il gioco non vale la candela».
Prima che potesse riacciuffarlo, si diresse a passi rapidi verso la foresta, riponendo entrambe le mani in tasca.

Il ragazzo piumato avvistò una prelibatezza orientale sul tavolo, una delle poche reduci dell’abbuffata.
«Aspetta! Arc, ti posso pagare! Ho un piatto di chili piccante, non vedi?» esclamò, sollevando il vassoio.
La promessa del pasto non sembrò sortire granché effetto sul misterioso primo classificato. Yunix corse accanto al ragazzino e gli sussurrò all’orecchio un piccolo consiglio. Lui subito si rianimò. Anche i fregi piumati nella sua alce sembrarono raddrizzarsi come in preda all’entusiasmo.
«Bella idea...» si alzò e richiamò il vandalo con aria di sfida, «eddai, Arc, che hai da prendertela così? Forse non hai le palle per affrontarmi senza che io abbia indizi sul tuo potere?»
Yunix rise, tenendosi a debita distanza.
“E ora lo farà a pezzi” pensò, desideroso di vedere come avrebbero reagito gli insegnanti.
Se si fossero mossi per salvarlo, dopo aver ignorato lui, avrebbe avuto la prova schiacciante della loro immensa ipocrisia. Ne erano rimasti solo un paio a girare attorno al limitare degli alberi sempreverdi, ma l’esperimento sociale poteva funzionare comunque, cento per cento. Inoltre, anche la maggior parte dei ragazzi era andata a casa, mentre lui dormiva, oppure si era diretta ai giacigli allestiti per loro nella magica HG, sempre che fossero riusciti a rientrare nei primi trentanove in classifica, come Asia, Marin e Coal. Ad ogni modo, tutti quegli elementi assicuravano che nessuno, eccezion fatta per gli insegnanti, fosse nei paraggi per salvare l’incauto Furry.

«Ta da’, ti ho messo nei pasticci, adesso? Non puoi più ignorarmi, Arc, ththth. Su, su, vediamo che t’inventi ora!»
Yunix rise di nuovo. Quel pollo si stava scavando la fossa da solo. Aspettò che Arc si voltasse, con trepidazione, ma quel momento non arrivò mai.
«Ché? Perché non si gira?» Furry cercava risposte da lui. «Perché, dimmelo? Perché?»
“Arc ha ragione, questo non molla l’osso”.
Yunix sbuffò. «E chennesò? Avrà qualche rotella fuori posto».

Furry non la prese bene e prima che gli potesse dire altro, prese la rincorsa e spiccò un salto piuttosto alto, il vassoio di chili ancora assiso abilmente sopra il suo poso sinistro, non verso di lui, ma verso Arc.

«Sei mio!»

Cercò di acchiappargli di nuovo la giacca con la destra. Yunix osservò attentamente il pugno chiudersi. No, non c’era modo che non lo prendesse. Non si era nemmeno voltato, era scoperto su tutti i punti. Eppure, il pugno si chiuse a vuoto. Furry aveva mancato il vestito scollacciato.
Gli occhi spumeggianti di Arc saettarono sul ragazzino rovinato a terra.

«Ahi, uhi... ma come...»

«Lento, lento. Eppure, lo sai bene che se sono arrivato primo, un motivo c’è» sibilò sprezzante, senza distogliere lo sguardo.

Yunix aveva i brividi. Non si era mosso, lo aveva osservato con attenzione millimetrica, degna di un microscopio, non si era mosso, e nondimeno aveva evitato di farsi afferrare.

Ed ecco che per pura casualità i suoi occhi si scontrarono con quelli del bulletto e qualcosa scattò nelle pupille meccaniche.

Zac!

Un rumore di sciabola.

Un fendente verde salmastro, giada.

Vide il filo della lama a pochi centimetri dal volto, era intarsiata di motivi orientali, una katana imperiale, mossa per uccidere. Per uccidere lui. Era questione di istanti... non poteva fuggire. Morto, su tutta la linea.

Prima che i suoi occhi schizzassero via dalle orbite, il contatto si ruppe, lasciandolo boccheggiante, come un pesce fuor d’acqua, quasi come se l’attacco lo avesse colpito nell’anima.
Cos’era quello? Un altro scorcio sul suo passato? Fissò Arc intimorito e ritrovò nei suoi occhi malevoli un inequivocabile e contenuto stupore, come di un pastore che vede una pecorella spaventata, fra tante altre a loro agio. Aveva avuto la stessa esperienza? Apparteneva a lui quella spada? Aveva cercato di farlo fuori? Quando? Perché? Yunix era spaesato. Aveva paura, paura di ciò che non sapeva.

Il ragazzo dai capelli blu e neri si passò una mano fra i capelli, tutta l’attenzione ora su di lui.
«Tu sei il ragazzino di prima... quello che ha fatto tutta quella tiritera per farsi metter dentro». Non era una domanda. «Cosa ti è preso all’improvviso?» chiese con voce vagamente turbata.
Yunix gesticolò animatamente con le mani.
«Nonono, niente, ho solo avuto un piccolo capogiro... deve essere stato uno di sti' drink... ahah».

La frottola non sembrò convincerlo. Lo vide stringere i pugni con tale forza, da far sanguinare le nocche.
«Tu...» ma fu interrotto, perché con rapidità impressionante, Furry, ancora steso a terra, guizzò supino, e sollevandosi sulle mani, sferrò un calcio poderoso verso il viso di Arc.

«Hop!»

Il ragazzo non fece in tempo a spostarsi, ma incassò il colpo. Un rivolo di sangue denso colò giù dal viso affilato.

«Oplà! Non conviene che abbassi la guardia, thth. Anche un rookie come me può metterti alle strette» lo canzonò Furry, l’indice sotto le narici, fiero della sua performance.
Si accovacciò subito a pochi metri dal primo classificato, preparato a schivare o colpire a seconda della sua reazione. Il vassoio era ancora in equilibrio, questa volta sopra il suo braccio destro. La sua agilità non era uno scherzo, non aveva nemmeno il fiatone.
«Ora dimmi il tuo segreto, per favore» tentò ancora, senza perdersi d’animo.

Arc sollevò distrattamente due dita e si tastò il mento. Subito dopo, le portò di fronte agli occhi, bagnate poeticamente di rosso. Non aveva un’espressione lucida.

«Yunix Braviery» esordì, «è così che hai detto di chiamarti?»

Il ragazzo dai capelli grigiastri, anche volendo, non poté rispondere, perché con un ringhio, una figura pelosa, grande almeno quanto due mastini, si gettò a capofitto su Furry, che giustamente gemette di sorpresa e terrore, mentre la creatura lo bloccava a terra senza fatica. Grumi d’erba e terriccio vennero sollevati dall’impeto. Nel marasma provocato dai due corpi sovrapposti, Yunix riuscì a riconoscere il ragazzo che aveva fatto a pezzi il fagiano, evidentemente a caccia del piatto di chili.

«DAMMELO! Non c’è nient’altro! ME LO MERITO! Mio! Mio!» Con un verso stridulo, tentò di agguantare il piatto.

«Neanche per sogno! È la mia merce di scambio, razza di rimbambito! Prendiiiii questo!»
Furry gli tirò una testata, ma il ragazzo selvaggio, che indossava una specie di maschera rituale contornata d’avorio e pellame, accusò il colpo ridendo. «Mi fai il solletico!»
Tornò all’attacco, lottando per assicurarsi il cibo messicano, ma Furry lesto lo teneva stretto, cercando al contempo di respingere la belva.

Yunix fu l’unico ad accorgersi che Arc se n’era andato. Non c’era più traccia di lui, neanche in prossimità degli alberi. Quel ragazzo era arrivato primo per un motivo, non c’erano dubbi a riguardo. Fece qualche passo esitante verso i due litiganti, ma non ebbe bisogno d’intervenire, perché una figura apparve al suo fianco.
Era Milia Warder, nella sua gialla tuta stradale, nonché costume da Hero.

«Ehi, ehi, ehi! Che succede qua?» Si avvicinò ai ragazzi che s’azzuffavano nella polvere, ma essi non diedero cenno di volersi separare. «Allora!? C’è nessuno in casa? Ehi, vi sembra un comportamento da Heroes?» Ancora una volta, nessuna reazione che non fossero ringhi e strilli.

Le mani della donna brillarono.

«Uno!» uno schiaffo impercettibile stese il ragazzo sudicio dai capelli arancioni, come se gli avesse somministrato una dose di sonniferi istantanei. Furry ebbe giusto il tempo di toglierselo di dosso, che una seconda manata lo mandò al tappeto. «E uno due!»

Yunix non poté che essere impressionato, guardandola strofinarsi le mani cariche di particelle.

Pro-Hero: Explode Ram; Quirk: Fireworks. Come dice il nome, può scagliare fuochi d’artificio, principalmente dai capelli ritti e c’è di più. Se diffonde l’energia pirotecnica agli arti può usarli per tramortire chi colpisce con sufficiente slancio.

«Se i bambini pestiferi decidono di fare di testa loro, sarà mio dovere mettergli un po’ di sano sale in zucca». Si voltò verso Yunix. «Oh, lo so cosa ti frulla per la testa, piccoletto. Pensi che prima ti abbiamo lasciato alla mercé di quei ragazzi invidiosi, ma non è così. In ogni momento, eravamo pronti a intervenire, in ogni singolo istante, credimi».
Il ragazzo annuì frastornato. “Non è questo che mi passa per la testa ora, o forse sì. Ho così tante cose su cui riflettere che potrei scriverci un’enciclopedia”.

«Certo. Ora però... penso che andrò...»
La rossa batté le mani, fin troppo fomentata.

«Ma ovvio! Domani vi vogliamo pimpanti per la prima lezione!»
«Mm» il ragazzo aveva esaurito ogni energia «ok, professoressa».
«Sogni d’oro, piccoletto».

Raccolse i due ragazzi svenuti come se fossero fatti di cartapesta e se li mise in spalla.
«A titolo puramente confidenziale, se vuoi... ti consiglierei di... potresti, ecco... prendere l’extra-urbana sul lato ovest del bosco e arrivare dentro dall’entrata principale... giusto... per buttare un occhio sulla città». L’insegnante batté nervosamente il tallone sul tavolo su cui era saltata. «A titolo confidenziale, eh!»

Yunix corrugò le sopracciglia, ma la donna si era già allontanata e presto sarebbe stata fuori portata d’orecchio.
“Prendere l’extra-urbana? Perché dovrei allungarmi la strada per arrivare alla mia camera? È totalmente illogico. C’è sotto qualcosa”.

Un po’ titubante, seguì il consiglio non molto velato dell’eroina.
Durante la breve scampagnata nei boschi, temette seriamente di svenire, ma resistette. Chi l’avrebbe più trovato in mezzo a quei tronchi nodosi? Per fortuna, il tratto di bosco era di estensione misera.
In un battibaleno, fu sulla T17, la stessa strada dove per poco non si era tolto la vita. Bei ricordi! A parte qualche colpo di clacson perché andava contromano, non s’imbatté in chissà quali fastidi. C’era un po’ freddino, ma niente che il suo corpo temprato non potesse sopportare.
Sui guardrail, mangiati dal tempo, erano attorcigliate piante avviluppanti, edera per lo più, che davano un tocco naturalistico, all’altrimenti spoglio percorso collinare. Sulla sinistra si stagliava una parete di terra friabile, trattenuta da un sistema di reti, volte ad evitare frane. Le corde erano consunte, alcune addirittura rotte, afflosciate come il sartiame di una nave affondata. Sulla destra, invece, una serie di tornanti senza capo né coda zigzagava per miglia e miglia. La strada si apriva su una vista splendida della costa occidentale, con tanto di residenze boschive piuttosto appariscenti. Temigor davvero non aveva confini. Un po’ più avanti, quartieri abitativi seguivano la linea del fondovalle e si abbarbicavano anche ai più orizzontali ripiani rocciosi, e più in alto, su tutto, dominava HG, l’accademia per eroi, simile ad un’enorme villa.
La muraglia soggiogata dall’uomo si abbassò sempre più, fino a che Yunix non raggiunse lo sbocco del diavolo. Tenendo la sinistra, solo pochi metri lo separavano dalla piccola postazione d’osservazione, da cui era stato sul punto di lasciarsi cadere, mentre a destra... a destra... 

Impallidì.

In un’area di sosta improvvisata, circondati da quattro volanti a sirene spente, c’erano sei uomini, cinque in uniforme blu, mentre il più imponente, bardato di verde nerastro, era quello in mezzo. Mani imprigionate in manette blu-azzurro, spalle larghe, fisico pronunciato, capelli biondi sporchi di sangue marcio, guance sagomate, uniforme sgualcita, di fronte a lui, c’era il generale demoniaco, che era stato a tanto così dall’ucciderlo, che aveva sconfitto uno per uno tutti i suoi amici. Di fronte a lui, ignaro della sua presenza, c’era Armday!

Sfoderava un sorriso da squalo, il viso sfigurato che mangiava la faccia dei presenti senza neanche bisogno che li guardasse.

«Le cose stanno così, agente? Manco la decenza di un processo?»
«Non fare il furbo con me, verme! Il sindaco ha già dato la sua approvazione formale: verrai rispedito ad Aster senza appello, e ci resterai fino al giorno della tua morte».
Il villain rise rocamente.
«Sissignore, ci torno con piacere. Tanto non avrete la soddisfazione di vedermi invecchiare, balordi che non siete altro! La fine è vicina, che sia una nazione o un demone a portarla, non è più un mio problema. Temigor cadrà e il nome dei Wealth sarà sepolto nelle sue sacre ceneri. In nome di Dio, la smetta di scribacchiare su quel trabiccolo luminoso e mi porti alla mia cella, forse sono in tempo per il rancio».

L’agente con in mano il tablet tremò di rabbia.
«Non provi nemmeno un briciolo di rimorso? Per quei ragazzi? Per i tuoi commilitoni?»

Armday lo fissò con quegli occhi d’ambra, così valorosi e al contempo così induriti dal tempo.

«E perché dovrei, per Dio? Cambierebbe qualcosa ai vostri occhi se io indossassi gli abiti del lutto? No, voi mi vedreste allo stesso modo, come un omicida, come un serial killer, come un invasato che odia gli esseri umani. Semmai... semmai rimpiango di non aver avuto la forza. Di non essere stato il demone che sono per quel singolo istante, in cui avrei potuto porre fine a tutto». Quasi per caso, forse un soffio di vento, o una vocazione ancestrale, Armday sollevò il capo e vide lui, lì, impietrito, a metà della strada buia. Il suo tono di voce non mutò. «Ma potevo vincere? Potevo davvero? Nossignore... come può pensare Lucifero di sconfiggere Dio?»

L’agente, evidentemente stufo di sentire le sue fanfare, fece un cenno ai suoi, che lo presero per le braccia. Il soldato, al contrario, guardò lui e gli sorrise. Non c’era bisogno che parlasse. Tutto ciò che voleva dirgli era in quel gesto: ho rinunciato a ucciderti, Yunix. A quanto pare non è questa la strada giusta per me. Ho combattuto e ho perso. Se verrai ucciso, non sarà per mano mia.
Solo in quel momento realizzò con stupore che sue ferite erano completamente guarite e solo una cosa poteva averle curate con quella rapidità:

«Una piccola invenzione, possibile solo a me e al mio Red Core temo. Mettetela sul palmo e pigiate sulla pietra rossa. Mi raccomando, tenetela ben salda. Un errore potrebbe impedire un nuovo utilizzo per lustri e lustri a venire...»

«Armday... da come lo dipingi tu non sembra che serbi verso di lui un qualche tipo di rancore, è esatto?»

L’inventore stravagante lo aveva salvato. Aveva risposto all’appello del suo cuore. “Grazie, professore. Forse in quel covo di fandonie, c’è una voce onesta, dopotutto”. Prometheus Hopespark, quel nome non l’avrebbe dimenticato, neanche se gli avessero cancellato la memoria altre venti volte. Era il minimo che potesse fare per ringraziarlo.

E intanto, mentre tutto tornava nella sua testa, Armday continuava a squadrarlo, mentre in tre lo sospingevano verso il veicolo con le portiere aperte. Che situazione surreale! Nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo. Cos’era quello strano scambio non verbale? Perché in quel mondo dai toni tragici, la vittima e il carnefice erano gli unici che si capissero davvero, in mezzo a migliaia di creduloni? Chi dei due era la vittima? Chi dei due era il carnefice? Punti in sospeso, che se svelati avrebbero perso il loro fascino, come il mistero di Shangri-La, la città d’oro. Di questo Yunix era più che certo.
Però, non poteva semplicemente rimanere in silenzio, a discapito dei rischi che avrebbe comportato. Così riempì i polmoni e fece un passo in avanti, mettendosi sull’attenti.

«Armday!»

Il suo grido fu così potente da rimbalzare lungo i terrazzamenti più in basso, che quando aveva percorso nelle sua corsa disperata tre giorni prima, erano sembrati nient’altro che pochi gradini. Tutti i poliziotti si girarono a guardare, le pistole fuori dal fodero. Se le trovò puntate contro.

«ALTOLA’!»
«Non ti muovere!»
Era a portata di tiro e non c’era alcun tipo di copertura su quella svolta.

«Sei un suo complice? Cos’è, sei venuto a prendertelo, dopo che il suo piano è fallito?» minacciò l’ufficiale, con le mani salde sul calcio dell’arma.

Ma nessuno era rimasto a controllare Armday, che senza perdere tempo, abbatté le pesanti manette sulla nuca dell’ufficiale di carica più alta mandandolo al tappeto. Il vetro del tablet s'infranse allertando gli altri agenti. Uno di essi si voltò e sparò un colpo a bruciapelo, colpendo la ruota del veicolo rinforzato. Prima ancora che iniziasse a sgonfiarsi Armday era scattato in avanti travolgendo l’uomo che aveva sparato e un altro che era lì di fianco, con una spallata.
Prima che gli altri lo riempissero di buchi, prese il corpo tramortito dell’agente che aveva sparato e iniziò a strangolarlo con le manette. Lo stava usando come scudo.

«Se sparate, lui è un uomo morto!»

Uno degli uomini ancora in piedi sbraitò, impacciato, la presa sempre più spasmodica. L’altro tentò di mediare, abbassando cautamente la pistola.
«Non puoi allontanarti con quelle manette, Armday! Esploderanno... esploderanno automaticamente a trenta metri dal dispositivo, e lo stesso accadrà se vengono forzate! Mettilo giù e rinuncia... non puoi scappare».
Gli occhi del generale si strinsero.
«Quale? Quale dispositivo? Dove si trova? N’fa scherzi, che potrei fare follie, cazzo!»

Yunix ne approfittò per sgusciare alle loro spalle. Per fortuna, a causa della poca illuminazione, non l’avevano riconosciuto, nonostante fossero tra quelli della scorta che aveva portato lui e i suoi compagni giù da Infection.
“Sono dei servizi segreti, come quell’uomo sgradevole, dall’uniforme stracciata. Questo significa che contano solo su sé stessi e non sulle altre istituzioni, eppure questi sembrano alle prime armi. Forse il signor Nemikawa li ha scelti perché facessero un po’ di esperienza nei panni di carabinieri civili. Se così fosse... potrei persino...”

Muovendosi come una pantera, afferrò un pezzo d’asfalto sufficientemente grosso e lo sollevò con entrambe le mani.

«Devi startene buono, Armday. Vuoi aggravare la situazione?»
La cosa fece divertire alquanto il generale decaduto.

«Come se fosse possibile... Cosa c’è di peggiore di quel penitenziario, per Dio? Datemi il dispositivo, ora!» ruggì all’uomo brizzolato, che era teso come una corda di violino.
«Noi... nhHHH... vuoi farci morire tutti, eh? Non ti fermi mai, pezzo di merda!»
L’agente più giovane aveva perso il controllo, ma il collega lo quietò con un tocco sul braccio.
«Tieni salda la mira, Mirou, c’è di peggio di Aster. Tartarus... ti dice qualcosa questo nome? Sei sulla buona strada per...»

Un tonfo annunciò la mazzata di Yunix sulla testa dell’uomo.
«Aghhh..!» gorgogliando, il poveretto cadde riverso sulla strada.

«EHI, EHI! EHI! COSA..?» ruggì l’altro, voltandosi allarmato.
Armday ringhiò e gli scaraventò contro il corpo esamine dell’agente che teneva in ostaggio.
«Sogni d’oro, coglione!»
La testa del giovane urtò il margine della carreggiata e giacque immobile accanto agli altri.

«Ottimo lavoro» disse Armday, spazzolandosi via la polvere.

Yunix s’inginocchiò e raccolse istintivamente una pistola scivolata a terra. Il generale sogghignò e fece un passo avanti. Anche lui impugnava una pistola, strappata dal fodero dell’uomo che li cappeggiava. Se la puntarono contro.

«Sai che potrei ucciderti ora?» fece lui, ghignando.

Yunix avanzò, spiritato. «Lo so bene, ma tu faresti la stessa fine».

«E che problema ci sarebbe? Io mi sono preparato a morire fin da quando ho conosciuto quel satanico nanerottolo» esplose la voce pastosa.
«Lo so bene» disse ancora Yunix, spingendo la canna dell’arma contro la sua carotide «ma non per questo desisterò dall’agire. Sono il protagonista della mia vita, in fondo!»
Il generale non era minimamente turbato.
«Sai almeno come si usa quell’arma?»
Il ragazzo caricò il colpo con un fugace gesto della mano.
«Possiamo scoprirlo. Che ne dici?»
Armday lo osservò sorridere e spinse la sua pistola contro il suo petto. Yunix sentì il freddo dell’acciaio contro l’addome, anche sotto lo strato di maglia.
«Sai che non ti sparerò e io so che non mi sparerai, questa sì che è bella, per Dio!»
Il ragazzo si specchiò negli occhi ambrati, carichi di aspettativa, ma anche di una sorda, nefanda rassegnazione.
«Non a parole, magari, ma tu mi hai detto tutto, generale...»

«Già... sono un libro aperto per te» confessò lui, ammiccandogli, «non solo c’ho dato a mucchio col farti fuori, ma... cazzo... continuo ad essere un assassino che vuole smettere di vivere, e al contempo, nel profondo, continuare a vivere. Quanto male mi tocca fare prima che il rosso del sangue riempia il grigio della mia esistenza e il mio cuore arrivi a constatare che sono superfluo a questa esistenza? Dio mio! Che lo cancelli, grigio maledetto, perché mi tiene qui... a colorare... a colorare la vita di tutti... e ancora non vedo che rosso e grigio, grigio e rosso, non sono che quelli i miei colori... dimmi, satanasso, quale penoso artista usa una tavolozza con due tinte in croce?».

Yunix appoggiò le braccia giunte su quelle di lui: ancora stringevano i manici delle armi da fuoco, quasi necessarie al continuo di quella conversazione, altrimenti, poteva puntarci giusto un paio di scarpe, nessuno dei due avrebbe spiccicato parola, troppo il non detto che li divideva, troppo fresco l'icore omicida che li aveva avvolti in quel santuario congelato.

«Siamo così vicini alla morte e non abbiamo paura» sussurrò Yunix.

«È questo che ti stupisce, bastardo?» lo canzonò il generale, «n’ti sembra un poco strano che tu stia mostrando compassione per un villain di questo genere?»

«Per nulla» sogghignò Yunix, mostrando i denti, «mi sto solo godendo la vittoria per oggi. Ti ho proprio raggirato, eh?»
«Un trucchetto da principianti... su, vattene via. Io devo ancora fare i conti con questa stupida carcassa. Porta al tizio del fuoco e a quella delle piante le mie scuse semi-ufficiali».
«Per cosa? Li hai aiutati a crescere, no?» obbiettò Yunix, non potendo credere di essere nuovamente faccia a faccia con chi aveva tentato di ucciderlo.

«N’farmi ridere, discepolo di C&P. Li conosci a malapena, scommetto. E se non ti sbrighi ti ritroverai con un pugno di mosche in mano, in questa scuola schifosa. Il mondo è fatto così... c’è chi sprofonda e chi usa gli altri come scale per stare a galla».
«Tu non sei così».
Armday rise.
«Già. Chi mi dice che non sono uno che è già su fondo?» L’uomo sollevò di un poco l’arma, come se cercasse la via per il suo cuore, facendolo rabbrividire per il freddo del metallo. «Non ho mai conosciuto davvero chi mi stava attorno, non hanno mai significato niente per me. Ero lì, ero lì accanto a loro, ma un grigio baratro ci separava, me da loro e tra di loro altri baratri ancora. Eravamo già bossoli, tutti quanti, ma non ce ne rendevamo conto... Bah... quando sono finito in servizio, anni neri neri, non sapevano mai come trattarmi quei montati dei nostri superiori, eppure io in qualcosa ero davvero bravo, riesci a crederci?»

Yunix si sollevò sulle punte, per guardarlo meglio. Aveva un volto spaventoso, segnato da più cicatrici, abrasioni ed escoriazioni di un cadavere fatto a pezzi e ricucito insieme, ferite che nemmeno le sfere di ottone erano riuscite a cancellarle e anche così non gli provocava il benché minimo senso di disgusto.
«Tu... bravo in qualcosa? Illuminami» scherzò, iniziando a chiedersi se tutto quello non fosse frutto di uno strano sogno psichedelico.
Armday fece una roca risata.

«Insegnavo il messale a quelli della mia truppa... a modo mio ovviamente, però era un fottuto divertimento ogni volta. Persino a Elmer strappavo più di un sorriso... e lui rideva poco».
I suoi occhi si fecero lucidi, pensando al commilitone deceduto.
«Li hai davvero uccisi? Tutti i tuoi compagni? È per questo che sei finito in prigione?» chiese Yunix, dando voce a un dubbio che lo assillava da qualche ora a quella parte.

«Il mio plotone, intendi?» Armday sostenne il suo sguardo, anche se sapeva di aver toccato un tasto dolente. «Chissà... non direttamente, no. Forse li ho condannati io, forse era inevitabile, forse addirittura sono ancora qui per poterli vendicare... tengo sempre stretto il ricordo di quel viso malvagio, nel caso dovessi rincontrarlo... ricordo le mosche che gli ronzavano sul viso, ricordo quei viticci oleosi, simili al petrolio raffermo. Se lo rivedessi non esiterei: lui è il demone che più di tutti mi ha fatto soffrire. Sissignore... non esiterei più, lo attaccherei come ho fatto con quel bambino, sto’ pomeriggio a Infection, che stupidamente ho scambiato per lui». Armday strinse la pistola con forza. La sua presa era malferma, la sua faccia una smorfia di dolore. «Quando mi sei apparso, ormai anni orsono, e hai... e hai...» l’uomo sospirò, «quella notte ho pensato che era arrivata l’ora di pagare il conto. Invece, niente. Sono rimasto lì, a guardare il demone negli occhi, senza poter agire. E di nuovo, oggi, ho pensato di potermi redimere! Non con una guerra, ma con una promessa rispettata, invece sono ancora qui... non ho ottenuto niente, niente dico. Gesù! Se premessi il grilletto adesso, forse sarei ancora in tempo, ma non ce la faccio, nossignore».
La sua voce s’incrinava di più a ogni sillaba.
«Sarebbe così facile, basterebbe un click! Ma niente! Non ne vogliono sapere le mie dita di premere, non riescono ad andare a fondo! Non riescono a vendicare tutta la mia squadra, perché sanno che non la vendicherei davvero. E anche con ciò.... se sono nato per questo, se sono nato con l’amore per il mondo come diceva Elmer, perché non riesco a colorare la vita di nessuno, in nome di Dio? Perché le mie mani tremano quando impugnano il pennello!?»

Yunix sentì il sangue ribollirgli nelle vene.
«Non è così... non è affatto vero. Tu hai colorato la mia vita di verde, Armday». L’uomo sussultò. Migliaia di anni sembrarono scemare via dai suoi lineamenti vissuti. «Il verde di una pace duratura, che intravedi nella tua morte» continuò Yunix, incapace di tacere. «E di giallo, il giallo del sole, che tu guardi con occhi eroici», ce li aveva davanti ora ed erano più belli che mai, erano gli occhi di un dio, «e di bianco, nel modo in cui ripensi a un passato di angeli, e di arancione, perché hai affrontato le fiamme dell’inferno e ne sei uscito vincitore, e di blu, blu del cielo, dato che con i tuoi modi scurrili e schietti d’impartire insegnamenti, mi hai mostrato più mondi di quelli che avrebbe potuto mostrarmi un atlante, e di molti altri colori, perché mi hai mostrato cosa vuol dire combattere per un sogno, cos’è davvero la vita e cosa essere disposti a sacrificare per proteggerla».

Yunix sentì gli occhi gonfi, ma ancora una volta, le lacrime non vennero, ma vennero quelle di Armday, contenute, dolci. Sentì le due armi cadere a terra, quasi all’unisono. Sentì due braccia vigorose stringerlo, un odore di sangue misto a polvere, così acre da essere quasi inebriante. Rimase lì, sbalordito, ascoltando il delicato ritmo del suo respiro.

Il tutto finì in meno di qualche secondo, eppure parvero giorni. C’era da dubitare che fosse successo davvero. Nessuno dei due avrebbe saputo qual era la verità, perché una verità così assurda non poteva esistere in quel mondo, per Yunix crudele, per Armday sopravvalutato. Dovettero passare alcuni minuti, prima che i due fossero abbastanza in pace con loro stessi per parlare ancora, e anche così, un groppo in gola, un grumo di mille sensi di colpa, aleggiava dentro di loro.

«Verrò a trovarti, te lo giuro, ho bisogno di sapere... di sapere del mio passato... di sapere perché, perché sono un demone...»
Yunix aveva la voce rotta. Non aveva mai fatto così fatica a parlare.
Armday sospirò.
«Vorrei che fosse possibile, cazzo».
Il ragazzo impallidì.
«Cosa... intendi? Non vorrai...»
«No, io no, secondo te... ma, Dio non me ne voglia, ho fatto una promessa ai miei compagni di corridoio... e uno ha reso ben chiaro cosa sarebbe successo se avessi fallito. Non parlo di un paio di scaramucce... quella è gente stronza che le cose se lega al dito, e poi passa a legare qualcos’altro».
Il tono di voce era pieno di rammarico.

«Ma chissenefrega?» lo riportò alla realtà Yunix, «Ehi! Guardami! Scappa! Ora che sono tutti fuori combattimento...»
«Yunix»
«basta che trovi il fottuto dispositivo... dico... ce l’avranno in tasca... ecco... basta che lo trov-... oppure... oppure stava mentendo. Sì! Quel poliziotto prendeva solo tempo. Sì, dev’essere così».
«Yunix»
Il ragazzo non voleva ascoltare. «Perché no? Dimmelo! DIMMELO!»

Dopo lo sparo, le luci si erano riaccese nelle case buie. Già piccole porte, giù dal pendio si aprivano e donne in vestaglia si affacciavano ingrugnite alle finestre. Anche qualche uomo in canottiera faceva capolino sotto gli usci.
«Perché non andrei lontano, demone. Come non esiste alcun’esplosione, non esiste alcun dispositivo».
Yunix si aggrappò alla sua divisa.
«Come fai a dirlo?»
Il villain storse il naso, accennando un sorriso sdentato.
«Dio mio, è semplice... sono fottute manette d’arkastro... arkastro... a contatto con la polvere da sparo... puff , niente più minerale. E poi... sono anti-quirk, e per di più non hanno alcun meccanismo che consenta d’aprirle se ci prova il tipo che le ha addosso. Fidati, ci ho provato...»
«Te le apro io allora!» Si avventò sulle manette, ma appena le sfiorò l’uomo lo scansò con una gomitata, abbastanza forte da mandarlo carponi.
«Nossignore, caro demone... tu ora smammi il più in fretta possibile. Se ti beccano qui... se scoprono che hai cercato di farmi scappare, te lo dico io che non la passi liscia».
«Perché no? Perché non lasci che ti aiuti?»

L’uomo sbuffò forte, gli occhi levati al cielo. Non lo aveva mai visto così.
«Sono un villain... se mi liberi ora... non diventerai mai un Hero».
Yunix si trascinò ai piedi dell’uomo.

«Eroi, villain, che importanza ha!? Anche se appartenessimo a due schieramenti opposti, pensi che non ti libererei? Io scelgo per me».

Armday rise.
«Quanta sconsideratezza! E dire... che hai fatto tutta questa strada per scappare da ciò che hai fatto. Vattene, Yunix. Se Dio lo vorrà sopravviverò, altrimenti sarò ben felice di seguire il mio angelo custode. D’altronde, sono un soldato... e un soldato calca le orme di chi lo ha guidato».
«Sul serio? In qualunque recesso maligno sia piombato?»
«In qualunque, esatto. Qualunque cosa succeda, n’accetterò mai che sia tu a liberarmi. Non accetterò mai che un demone salvi un demone».
“Perché ora mente? Perché..? Ma non c’è verso... non lo farò desistere, non è uno che si arrende”.

Yunix annuì e si sollevò sulle gambe, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
«Tra una settimana, una settimana e non di più, verrò a trovarti. Fai in modo di non crepare, capito?»
Incendiò i suoi occhi, sperando d’intimidirlo, ma lui rise ancora.

«Ormai i tuoi occhi non mi fanno più paura. So distinguere bene quando sei tu, e quando invece alberga in te il demone dagli occhi di ghiaccio».

«Intendi C&P?» domandò Yunix, mostrandogli il dorso della mano doveva aveva piantato la scheggia di pietra.

Armday alzò le spalle, avvicinandosi alla volante. Lo fece lentamente, senza dare l’idea di star veramente soffrendo. Uno degli agenti stesi a terra si stava riprendendo. Armday lo scavalcò istintivamente e salì sul sedile, gli occhi fieri.

«Per Dio, chi lo sa...»

 

Un gran numero di persone si stava precipitando sulla scena dalla strada sottostante.
L’uomo in uniforme grugnì, dolorante e alzò la pistola.
«Dove..?»
«Sono qui, fancazzista!» Armday era comodamente seduto sullo schienale, il soffitto quasi non lo conteneva. Rivolse un sorriso all’agente confuso. «Allora... volete accompagnarmi alla mia cella o no?»

Dopodiché adagiò la nuca sull’imbottitura, appagato. Smise di udire ogni suono al di fuori dell’abitacolo. “Che bel risvolto che ha assunto sta’ giornata. Mi sembra di essere invecchiato e ringiovanito di trent’anni, Dio mio! Eppure, siamo sempre daccapo... morirò o non morirò? Porterò guerra o pace? Sarò un angelo o un diavolo? La roulette russa decisiva... e non potrei essere più impaziente di partecipare. Come potrei non esserlo, ora che so di essere uscito da un mondo grigio e rosso?”
Il ragazzo dai capelli color caligine si era già congedato, quella piccola peste... nulla da fare... i più grandi erano così, non si arrendevano mai. Se doveva rimanere vivo per un motivo, era anche per quello. Voleva proprio vederlo trionfare... e poi cadere, come succedeva a tutti gli angeli... e a tutti i demoni.
 


Quando Yunix posò le dita sopra le sbarre del cancello a lance acuminate, si stupì di non percepire se fossero calde o fredde. Per logica, avrebbero dovuto essere gelide al tocco, ma era veramente stremato e probabilmente pure intorpidito. Non che gli cambiasse molto. In quel momento aveva altro per la testa e per di più odiava il pensiero di quello che sarebbe accaduto ad Armday di lì a pochi giorni. No! Non appena avesse ottenuto il permesso, sarebbe andato ad Aster e lì vi avrebbe trovato il veterano incolume. Non avrebbe passato la vita a dissezionare i pezzi del suo passato con un bisturi. Lui avrebbe avuto la verità, tutta in un colpo. Un Jackpot di memorie, sì!
I battenti si aprirono con un grave cigolio, quasi cogliendolo di sorpresa. Kane aveva ipotizzato che tre lune prima avesse ricevuto aiuto perché aveva la stoffa per essere un Hero. Non ne era ancora convinto, ma indiscutibilmente la porta non aveva cambiato idea. Non ancora, se non altro.

“Forse non sarò mai l’eroe che si aspetta che sia, ma ora in questa prigione ci sono dentro fino al collo, non per una mia vera scelta, ma comunque...” Yunix si mise a ridacchiare, come un matto in una camicia di forza, iniziando a percorre il sentiero lastricato, che conduceva al portone di legno tirato a lucido. “Ma in fondo non è quello che ho sempre voluto? Essere incatenato? Sognare mondi liberi? È un bene che mi sottraggano la libertà... è un bene che rimanga uno strumento, ancora per un po’, così che quando avrò l’opportunità di essere libero per davvero... potrò evitare di distruggere questo mondo”.

Sentì il movimento dei suoi piedi arrestarsi, quasi come se un astro avesse alterato la gravità terrestre. Però non si sentì fuori strada. Era sul sentiero giusto.

“Distruggere il mondo? Che pensiero divertente... solo che io non sono te, C&P... io sono un demone che guarda avanti, verso il presente, il passato e il futuro”.
Prese a oscillare a destra e a manca come se avesse ingurgitato litri e litri di birra. Chissà come aveva fatto Asia a tornare sobria in pochi istanti. Doveva ricordarsi di chiederglielo. Era una tecnica che avrebbe fatto comodo.
“Cavolo, Armday è veramente un personaggio comunque... non gli ho nemmeno chiesto se è cristiano, se ha raggiunto i cinquanta o...” seppe che stava per addormentarsi dove si trovava.
Incredibile. Non avrebbe nemmeno raggiunto l’ingresso? I suoi pensieri erano sempre più rocamboleschi.
“Wow, certo che sono proprio a metà... uno studente a metà... chissà che divisa mi daranno per differenziarmi dagli altri... metà e metà... magari”.
Assaporando quel pensiero zuccherato, si sdraiò sul terreno per un lungo e sostanzioso riposo, guardando un bel paio di calendule che si scambiavano occhiate amiche. Sempre più in fondo, sempre più in fondo...

«Prenderai uno di quei geloni che van via a fine ottobre in questa maniera, disperato che non sei altro!»
Yunix alzò gli occhi a fatica.

«Lasciami dormire, Hainard, anzi... ancora più bello, portami dentro in spalla».
Il controllore indossava un borsalino grigio e una tenuta arancio. Veniva direttamente da una festa tra i suoi dell’avanguardia, ci poteva scommettere la mano firmata dall’Infinity Hero.
«Scherzi, vero? Se sono qui, c’è un solo motivo» reagì lui, arcigno.
Iniziò a muovere compulsivamente il polso, aspettando che ricordasse qualcosa e Yunix in effetti ricordò. Ricordò il vero significato delle parole di quel controllore, quelle che lo avevano spinto a buttarsi dal cielo d’Infection come una stella cadente per tentare di salvare il bambino: «Se hai un Quirk, allora lo risveglierai. Non so quando, se in un comune momento della giornata o quando ne avrai davvero bisogno, ma lo sentirai dentro di te. E allora, quando succederà, vieni da me».

“L’ho risvegliato e ora...” Si rizzò in piedi.
«Cominciamo stasera?»

«Ben detto! Stasera comincia la mia redenzione, condita con una salsa forte di sforzi e fatiche, che tu metterai in campo ovviamente. Non ti chiederò se sei pronto, perché tanto delle tue scuse potrei a malapena farci su un libro e non ne varrebbe la pena, tu che dici? Quindi o segui me, l’orgoglio dell’HG, con le buone ORA, o dovrò ricorrere alle cattive PRIMA di quanto immagini, do you understand?»
Yunix fece un sospiro, messo all’angolo. In fondo, se l’era un po’ cercata.
«Fai strada, capo» soggiunse a malincuore, sperando che per la mattina dopo avrebbe avuto integri almeno un paio di arti.

Eh, sì... era arrivato alla rivoltante conclusione che quella giornata demoniaca non sarebbe finita mai.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: LaserGar