Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Brume    14/11/2022    5 recensioni
"…Ho passato anni immersa nella mia missione, nel mio mondo.
Ho sempre guardato avanti e accettato le sfide, combattuto contro nemici in forma umana e verso i miei demoni finché, ad un certo punto della mia vita, mi sono accorta che - come lama il cui filo è rovinato da chissà cosa - anche io ho cominciato ad osservare piccole crepe, pertugi che aprendosi nel cuore e nell’ anima si andavano a dilatare ed allargarsi sempre più, facendosi contaminare da una serie di cose… dal sentimento, dalle passioni…Ecco; per questo motivo, ad un certo punto, non me la sono più sentita di portare avanti la mia missione: stavo cambiando, inesorabilmente.
Ma non ho in ogni caso dimenticato chi sono, né ho mortificato me stessa.
Ho solo accettato alcune cose, ho lasciato che i sentimenti si avvicinassero sempre più al raziocinio. Ho aperto il mio cuore, ho amato, sono stata amata. Ho portato avanti i miei ideali, accettando questo cambiamento, lasciando che la vita mi travolgesse…e ne è uscito un quadro fantastico. "
NB: Aggiornamenti settimanali, compatibilmente con impegni lavorativi.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Abbiamo scelto il momento meno opportuno per andare a palazzo… penso , osservando folti gruppi di donne che, immagino bene il motivo, stanno cercando di raggiungere Versailles.Per un po' condividiamo lo stesso tratto di strada ed è difficile muoversi ed ho quasi timore –  lo dico anche ad André – che qualcuna possa farci del male…
“Non credo, Oscar” mi rispondi mentre placido, conduci il cavallo al passo, cercando con gli occhi la diramazione che ci porterà a palazzo “…in fondo… siamo esattamente come loro, né più, né meno. “ concludi.
Torno a posare i miei occhi sulla via e, con tutta me stessa, tento di tenere a bada le emozioni; ma è difficile, molto difficile.  Il mondo che io, che noi abbiamo conosciuto è un pallido ricordo chiuso in un cassetto del quale presto si butterà via la chiave, niente altro che qualcosa da dimenticare…ma come si può dimenticare una vita intera, legami, come posso dimenticare ciò che è sempre…sempre stato per me normale? E’ vero, ho abbracciato la causa e già dal mio arrivo a Parigi nella caserma di Chausses d’ Antin ho iniziato ad aprire gli occhi: ma molte cose non si dimenticano, non le dimenticherò mai…

“Ecco, Oscar, dovremo quasi esserci.”

La massa di persone è quasi lontana ormaiDo loro una ultima occhiata poi, i pensieri sono tutti per noi.

Cosa pensi troveremo, Andrè?” ti domando.
Sento il mio stomaco rivoltarsi, in subbuglio.
Lui guarda lontano, non mi risponde subito; infine, dopo un lungo sospiro, parla.
“Non lo so, Oscar. Ho provato ad immaginarmi questo momento ma…davvero, non riesco a farmi una idea. Comunque…ci siamo quasi!” dici.
Presa come ero dalle mie sensazioni non mi sono neppure accorta che siamo quasi arrivati al cancello ed, oltre si nota la costruzione.

Casa.
Il luogo in cui sono nata e in cui si è svolta gran parte della mia vita.

Fermi il calessino davanti al cancello, scendi e poi aiuti me a fare lo stesso: non sono abituata a muovermi con abiti femminili e, per arrivare fino a qui senza attirare l’ attenzione sono stata costretta ad indossarne uno, su suggerimento di Yvette e Luc…Mi sento un po' imbranata…

“Lascia che ti dia una mano” dici.

Più che darmi una mano tuttavia mi sollevi però di peso, non vuoi che mi sforzi e, per  un istante mi beo tra le tue braccia. Quando i miei piedi toccano terra credo di crollare invece…no. Iniziamo a camminare.
“Il giardino è sempre lo stesso…” dico con sollievo “Alberi, cespugli, fontane…le mie rose…sono ancora li, in balia del tempo e delle stagioni” . Questo mi rallegra, almeno per il momento.
“Già; speriamo  non siano riusciti ad arrivare fino a qui e che anche il palazzo non abbia subito la furia da parte dei contadini dei dintorni…” dici a tua volta.
Continuiamo a guardarci in giro e apparentemente tutto sembra rimasto fermo e man mano che i nostri passi ci avvicinano a quella che un tempo fu la mia casa, i ricordi si ripresentano, come avessi aperto la porta della soffitta dove molte volte andavamo a rifugiarci…
La un tempo correvo , insieme al cucciolo che mia madre mi regalò penso osservando un tratto del giardino dove ancora resiste un recinto, ormai ridotto a pezzi e la…ci ho portato il mio primo pony e…si, in quella stanza al piano superiore le mie sorelle dipingevano….

“Oscar, credo che quello sia Marc,  il vecchio guardiano. Meglio farsi riconoscere, prima che possa pensare male….” dici; non mi ero accorta.
 Ti fermi, alzi una mano: l’ altro risponde, pronto. Accorciamo entrambi la distanza che ci separa allungando il passo, presto siamo faccia a faccia o quasi.

“Siete voi, Mademoiselle?” pronuncia Marc non appena è abbastanza vicino da riuscire a mettere a fuoco una vista davvero stanca.
“Si. Siamo passati solo…solo per dare un’ occhiata…” rispondo come fossi un’ estranea; non so che dire.


Il vecchio Marc mi fissa, toglie il cappello e lo tiene tra le mani, rigirandolo.

“E’ casa vostra, non dovete giustificarvi. Per me non è cambiato nulla” risponde.
“Possiamo…possiamo entrare, dunque?” chiedo indicando la costruzione non troppo lontana.
 Lui annuisce.
“Non è come prima, vi avviso. Dopo che i vostri augusti genitori se ne sono andati, non sono  riuscito a frenare ladruncoli e contadini…Sono rimasto da solo… “
Guardo André per avere un cenno.

“Sei pronta? “mi chiedi.Sul tuo viso leggo un po' di preoccupazione come se…come se volessi proteggermi da qualcosa, qualcuno.

Annuisco.
 
Marc inizia a camminare, ci precede.

“Non credevo di rivedervi. Tua Nonna, André, è stata molto in pensiero; anche i vostri genitori, illustre Oscar, erano distrutti dalla vostra partenza….”
“Marc, non è necessario che tu mi chiami in questo modo…” lo interrompo; ma lui è legato ancora ai vecchi schemi di questa casa, lo vedo. Non mi guarda, cammina e cammina, nel frattempo continua il suo racconto.
“…Vostro padre ha fissato il vostro ritratto per giorni, dopo che ve ne siete andata, sapete? Poi, una mattina, ha fatto radunare tutto ciò che un carretto era in grado di trasportare e sono partiti. Così. Non so, davvero, che strada possano avere intrapreso; si sono fatti dare alcuni abiti da noi e, una volta pronti, ci hanno detto che eravamo liberi da qualsiasi vincolo...”

Siamo ormai arrivati davanti a casa e ci fermiamo, poco prima degli scalini che portano all’ entrata principale. Io lo ascolto, faccio mie le sue parole, non voglio pensare alla sofferenza – reciproca- della decisione che a mio tempo presi ma che è sempre viva e fa male…Cerco il tuo sguardo. Lo trovo. Mi sostiene.
Marc ora  è fermo davanti a noi, indugia.

“Volte entrare?”

Mi prendo del tempo.
I miei occhi si rivolgono a ciò che ci circonda: le due statue dietro alle quali da piccoli ci si nascondeva, l’ edera rampicante che copre parte del muro, all’ angolo….Sento la tua mano stringere la mia, ti guardo ancora.

“Andiamo, Oscar.” dici; ti seguo.

Marc apre il pesante portone e, come metto piede all’ interno, sento le gambe tremare; è inevitabile, devo essere forte !  dico a me stessa quindi…avanzo piano sulle piastrelle bianche e nere, i miei, nostri passi rimbombano.

Prima è uno sguardo d’ insieme, poi volto il capo verso destra, vedo la scala che conduce alle stanze: il marmo è un rovinato in alcuni punti  e le grandi tele appese sul muro a fianco sono sparite, è rimasto un solo quadro, una natura morta che mia madre dipinse quando era in mia attesa. Anche il tappeto che ricopriva ogni singolo scalino non c’è più.

All’ improvviso, la tua mano sulla mia  spalla.

“Vorrei…vorrei vedere la mia stanza” dici, timida richiesta.
Vai, rispondo, osservandoti sparire nel corridoio che, più o meno sotto la scala ed esattamente dove c’è l’ entrata della cucina, inizia.
Continuo a guardare con occhi nuovi questa casa.

Il mobile scuro davanti a me è rotto, manca di un’ anta.

Delle spade che una volta erano appese, cimeli di antichi avi, resta solo l’ ombra.

Marc è fermo all’ ingresso e tiene il cappello tra le mani.
Sembra dispiaciuto.

Per un attimo ancora vago, senza un senso, in quei pochi metri.
Vorrei tanto salire nelle mie stanze, rivederle una ultima volta, ma qualcosa mi frena tuttavia, dopo un attimo mi decido: sollevo le gonne dell’ abito e aiutata dal corrimano salgo.
Per ogni scalino, un sasso sembra depositarsi nello stomaco.

Quando arrivo davanti alla porta di legno che dà sul corridoio, mi accorgo che è rotta e, non appena la sfioro, cade: il tonfo solleva molta polvere ed a momenti rompe le assi del pavimento. Controllo che sia tutto a posto; la scavalco, entro.

Il mio quadro è ancora li. Proprio a lato dell’ entrata, di fronte; non so per quale motivo non sia stato portato via come gli altri.
 In terra, esattamente in perpendicolare, c’è un foglio che prendo e leggo.
E’ la mia lettera d’ addio, quella che ho scritto prima che ce ne andassimo e che avevo nascosto – dopo un ripensamento- nel cassetto del mio tavolo da toeletta.
Lo tengo stretto tra le mani come un cimelio, mentre i miei pensieri sono riportati indietro nel tempo a quei giorni e, nella mia mente, rimbombano i suoni ed i rumori di questa casa: passi svelti, la voce stridula del pittore… il fruscio degli abiti…perfino il rumore del pennello carico di olio e pigmenti che va a stendersi sulla tela è ricordo fresco. La tua voce, lontana. La tua presenza, impercettibile.

“Oscar, sei qui…”

Mi volto, sei arrivato. 
Allungo la mia mano e ti mostro quel foglio.

“Anche io ho trovato qualcosa” dici.
Ti avvicini, mi mostri una lettera ed un piccolo sacchetto di velluto. Il tuo viso è strano e lo sono anche i tuoi occhi; sembra che tu abbia pianto.
Ti accorgi che il mio sguardo ora è diverso.
Ti volti dall’ altra parte.

“Vieni, André, entriamo”.
… E cammino verso la porta di quello che una volta era il mio mondo, trattenendo un poco il fiato, perché non so cosa ci troverò. Nel momento in cui la mia vista si posa sui marmi e sulle pareti ricoperte di carta da parati  mi pare che tutto sia al proprio posto, almeno in apparenza…ma vengo presto smentita: laddove una volta vi era il salottino trovo solo legno.
E stoffa.
Il tavolino basso non c’è, nemmeno il mobile accanto dove erano riposti i liquori e, nei cassetti superiori, gli spartiti del pianoforte che invece c’è, in fondo, appoggiato contro il muro…

André osserva a sua volta la scena e poi mi passa davanti , va ad aprire le tende che scuriscono leggermente l’ ambiente.
Mi chiama.
Proseguo oltre la parete divisoria in legno; vedo il letto, intatto e sul fondo della stanza invece la falsa porta del guardaroba – in realtà una vera e propria porticina resa falsa da un trompe l’oeil – divelta, i miei abiti sparsi per terra.

Compreso quello che indossai quel giorno....
Ti vedo andare proprio li.
Raccogliere la stoffa un tempo bianca e screziata di rosa la quale ora, invece, è ormai sporca , ingrigita, gialla: lo afferri quasi fosse una reliquia e me lo porti, posandolo sulle coperte logore del letto a baldacchino mentre io ti seguo con lo sguardo.

“Me la ricordo ancora, quella sera. Eri bellissima” dici senza distogliere gli occhi  da ciò che fu un abito.
I miei occhi si chiudono.
Ricordo per  la vestizione, l’ emozione.
Il profumo che Nanny aveva asperso sul mio corpo , le gocce leggere sulla pelle…
Una leggera inquietudine e poi…
…poi…. l’ illusione. Ed il tuo viso, Andrè, i tuoi occhi così carichi di luce, quella luce che solo dopo avrei riconosciuta come Amore.

“Quella sera, mentre ero a cassetta, avrei voluto essere io al posto di Fersen; lo sapevo, che tutto questo lo stavi facendo per lui…ho cercato di trattenere il dolore ma non sempre ci sono riuscito, anzi….”
Provo a sfiorare la tela lisa con la punta delle dita, poi arrivo alle tue mani.
“Ero un’ ingenua, André. Come altro potresti definire una donna che ama l’uomo il cui cuore appartiene ad una regina? …ci ho provato. LL’ho fatto per lui? Si…ma è servito anche a me. A noi.” dico.

Ti alzi, ti allontani per un attimo da questo letto. Sei pensieroso.

“C’è qualcosa che non va?” domando.
Passeggi avanti e indietro per un po’, infine torni da me e mi porgi una lettera. La raccolgo dalla tua mano tesa.
“E’ di Nanny. L’ ha scritta il giorno che siamo partiti” dici.
Ti guardo e capisco il motivo dello sguardo che notai prima. Inizio a leggere.

Miei cari ragazzi, il mio cuore si è spezzato quando non vi ho più visti rientrare a casa, quella sera. Ho sperato a lungo di vedervi ma, dentro i pensieri di questa povera vecchia, era da tempo che albergava ormai la consapevolezza che prima o poi sarebbe accaduto. Voi siete sempre stati destinati a grandi cose ma, soprattutto, siete sempre stati destinati l’ una all’ altro.
Ora, in questi momenti così bui, il mio solo ed unico desiderio è sapervi in vita, sani e salvi;  non chiedo altro, per voi, dopo aver vissuto anni fianco a fianco senza poter essere voi stessi.
Vi ho osservato, sapete?
E da sempre, anche se le convenzioni nelle quali io sono cresciuta non lo avrebbero mai ammesso, ho sperato andasse a finire così; se qualcuno di voi leggerà questa lettera, dunque, sarò felice: mi auguro che vi arrivi integra così come tutto il resto, lo spero proprio.

Vorrei dirvi alcune cose.
Mio caro André, mia cara Oscar, all’ interno del sacchetto di velluto che avrete trovato ci sono alcuni incartamenti; sono lettere di un avvocato di Arras , Monsieur Auerelien, il quale ha sempre disposto dei miei modesti guadagni e poi anche di parte dei tuoi, André. Recatevi ad Arras con queste, lui vi rilascerà i risparmi ed una chiave: è quella della casa di mio figlio, il padre di André. E’ vostra, se volete.
Non sono riuscita a fare altro; perdonatemi.
Chiudo questa mia con la speranza, anzi il sogno di potervi riabbracciare; sono però conscia che il tempo nei miei confronti potrebbe essere tiranno. Ora devo partire.

 Vi porto nel cuore.

Vostra,   Nanny.
 
Hai tenuto lo sguardo fisso a terra per tutto il tempo.
Ti chiedo se tu l’ abbia già letta: fai un cenno con il capo e mi dici si, ma non fino in fondo; volevo condividerla con te rispondi.
“Grazie” dico, allora, non so nemmeno bene io a chi; infine  torno a guardare ciò che rimane della mia stanza, quel vestito, con le parole che ancora mi rimbombano  nella testa…e allora mi alzo, cammino, ispeziono angolo dopo angolo finchè tu non mi fermi.

“Oscar, io credo che… credo sia ora di andare” dici; io, in realtà, non so se voglio farlo perché…perché ora che sono qui desidero solo che rannicchiarmi in un angolo, stringere le mie ginocchia al petto e dondolarmi, come facevo da bambina. Non vorrei altro, André, non vorrei altro che rimaner così per un po', aspettando che Nanny arrivi con la sua cioccolata calda e con i biscotti appena sfornati…

“Vieni. Andiamo.” ti sento dire e non è un invito; in realtà, pronunci quelle parole mentre già mi stai stringendo tra le braccia e mi conduci fuori.
“…Dobbiamo rientrare a Parigi prima che faccia buio…” dici a bassa voce.
Mi guardo intorno ancora un’ ultima volta…

E’ davvero così, sto abbandonando tutto? Ciò che era casa mia…


Camminando, tornando nel corridoio, dico che voglio andare in biblioteca; chissà se almeno quella l’hanno lasciata indenne. Allunghiamo quindi il nostro giro ed entriamo e, con mia somma sorpresa, noto che a parte tavoli e sedie non hanno portato via nulla.
Lo sguardo si illumina, ti scivolo via dalle braccia e corro verso i miei amati libri, li sfioro,  le mie dita toccano copertine impolverate…
“Ne prendo solo alcuni, André; per te e per me” dico cominciando a raccoglierne quanti più riesco a portarne. Per il resto mi dai una mano tu, facciamo incetta, quando usciamo di li siamo carichi di roba….
“Lasciate che vi aiuti” dice Marc, ricomparso da chissà dove.
Ne deposito alcuni sulle sue braccia poi scendiamo le scale: è quasi ora di andare.

Quando usciamo di li, mi sento strana; non voglio pensare che non rivedrò più questa casa, faccio finta di nulla.
Compare un sorriso, addirittura; ma è qualcosa di forzato, quasi malinconico.

“Sei pronta? Possiamo andare?” mi domandi, ad un certo punto, una volta che siamo fuori, al freddo.
“Si” rispondo senza aggiungere altro; allora mi sorrisi, poi mi volti le spalle e ti incammini verso
l’ uscita dove il cavallo ed il carretto sono disposti, sempre ci siano ancora. Ti osservo andare via, Marc fa lo stesso.
“Vi assicuro che cercherò di badare alla tenuta, Mademoiselle” dice Marc.
 Mi volto, ha il capo chino, il viso colmo di rughe ancora più scuro.
Io, a poca distanza dall’ uomo, lo osservo.
“Non credo che qui tornerà più nessuno” rispondo con l’ anima lacerata  “ …puoi considerarti un uomo libero, questo lo sai; se vorrai restare te ne sarò grata, viceversa…disponi come meglio credi. E’ tua.”

Gli occhi chiari ed infossati dell’ uomo mi fissano.

“Starò qui. Non ho altro posto dove andare: rimarrò in attesa che qualcuno torni” dice ed a mesi stringe il cuore. Sto per crollare.

Mio padre, mia madre…Nanny!
   
 
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