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Autore: Glenda    14/11/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adrian non immaginava che avrebbe rivisto tanto presto quel posto.

Eppure con un po’ di lungimiranza avrebbe potuto pensarci.

Dove era finita la sua vantata lungimiranza?

Era andata a farsi fottere già in quella notte di pioggia, quando per la prima volta era arrivato lì, quando il suo solo pensiero era cosa potesse passare nella testa di un uomo che si butta in mezzo a un diluvio gridando contro il cielo, e perché quel gesto tanto assurdo gli sembrasse così pieno di dolore e di bellezza...

“È venuto a fare la scorta di artemisia, signor Vesna? Immagino che dopo averla assaggiata sia difficile farne a meno!”

Il padrone di casa sfoderò un sorriso sornione, incorniciato dal rosso ispido della barba.

“In verità…”

“In verità, Vòrkne, è venuto a parlare con me. Vero?”

Vòrkne non si girò neppure verso la persona che gli era apparsa alle spalle.

“Niente vi vieta di bere mentre parlate.”

Sorrise di nuovo ad Adrian e fece largo sulla porta, permettendogli di trovarsi finalmente faccia a faccia con l’uomo che aveva cercato per mesi. Un uomo nascosto in piena vista, proprio nel luogo dove per la prima volta aveva sentito pronunciare il suo nome.

“Fai gli onori di casa, Thièl, e non farmi fare brutta figura!”

Il giovane allargò le braccia in segno di benevolo assenso.

“Ma sì, ma sì! Gli amici di Noam sono sempre i benvenuti. Ci sto.” rise, e il suo viso si illuminò di una luce arrogante “Ti aspettavo prima, Adrian.” e gli allungò la mano “Se vuoi stare al mio passo devi essere più veloce!”

Adrian afferrò quella mano e lo fissò dritto negli occhi: erano tanto simili a quelli di Noam, ma più scuri, più notturni.

“Non so ancora se devo o non devo stare al tuo passo. Non avrei bisogno di parlarti, se già lo sapessi.”

“Ragionevole. Quindi andiamo di sopra e parliamo. Artemisia sì o artemisia no?”

 

***

 

Thièl Dolbruk era uno degli uomini più intriganti che avesse mai incontrato: somigliava a Noam, aveva lo stesso taglio di labbra, gli stessi segni d’espressione, lo stesso volto pulito, con sopracciglia morbide, fronte morbida, contorni morbidi, ma la sensazione che quei due trasmettevano era del tutto diversa: se la morbidezza di Noam lo faceva apparire rassicurante, quella di Thièl insospettiva, ed era continuamente contraddetta dalla velocità dei suoi movimenti, dall’attenzione con cui controllava il proprio spazio personale e dalla precisione con cui i suoi occhi si posavano sulle cose. Bellissimo, forse più del fratello: appena più alto, spalle più ampie, fisico atletico, capelli biondi arruffati e una maglietta mezza manica indossata in barba alla temperatura.

“Svuota le tasche, sii gentile.” con due dita fece l’esempio, mostrando l’interno delle tasche dei propri pantaloni “Evitiamo la situazione imbarazzante di una perquisizione. Tra parentesi, qualsiasi messaggio esca da questa stanza, io lo saprò. Ma preferisco prevenire che curare. ”

Adrian appoggiò il cellulare, spento, su una cassapanca e replicò il gesto delle tasche.

“Se avessi voluto spiare te, non lo sapresti. Ma in un caso del genere non mi sarei presentato.”

“Splendido! Allora sei venuto fin quassù solo per l’onore di conoscermi: sono lusingato!” diede in una risata insolente e si gettò a sedere sul letto, a suo agio “Scommetto che Noam non sa che sei qui.”

Adrian non diede seguito a quella conversazione: non intendeva permettergli di condurre il discorso dove avesse voluto perchè aveva l’impressione che ne sarebbe stato capace.

“Che lo sappia o meno, l’importante è che non sia con noi, dato che dall’ultima conversazione con te ha rischiato di ricevere solo qualche osso rotto.”

Thièl ridusse gli occhi a due piccole fessure, poi sorrise e puntò il dito fuori dalla finestra.

“Vedi quell’albero là?”

Lo guardò: doveva essere un grosso faggio, o qualche pianta affine. Ora che focalizzava l’attenzione sul paesaggio, si rese conto che si trovavano probabilmente nella stanza dove aveva dormito Noam quando si erano fermati.

“Una volta uno dei gatti di Vòrkne era salito lassù. Era ancora un micetto, e Noam si era convinto che non sarebbe riuscito a scendere. Decise che sarebbe andato a salvarlo lui e si arrampicò per riprenderlo. Aveva dodici anni, forse tredici, e non era un atleta, non lo è mai stato. Conclusione: precipitò da qualche metro di altezza, frattura scomposta a una gamba, due mesi di gesso e fine delle vacanze per tutta la famiglia, mentre il gatto, spaventato da tanto fracasso, saltò giù da solo e non si fece proprio niente. Queste sono le cose per cui si rompe le ossa mio fratello: non certo per una scazzottata con me. E quello che non ha ancora imparato in tanti anni è: uno, se non sei capace di fare qualcosa difficilmente salverai qualcuno che sa farla meglio di te; due, bisogna guardare anche in basso.”

“In basso…?”

“In basso. Verso chi rimane ai piedi dell’albero.”

Sbuffò verso l’alto, soffiandosi via una ciocca di capelli dalla fronte. Adrian pensò che poteva somigliargli, a un gatto: con l’aria imperturbabile, ma in realtà pronto a tirare fuori le unghie, o a balzare via.

“Non sono venuto per parlare della vostra infanzia.” (falso, gli sarebbe piaciuto lasciarlo continuare) “Sono venuto a chiederti che intenzioni avete.”

“Io o il Fronte?” lo sfidò, con un sorriso enigmatico. Da gatto, appunto.

“Come se non sapessi che ne sei l’ideologo di punta. Ho letto i tuoi articoli.”

“Ah, beh. Scoprire questo non era difficile. Dammi qualcosa di più se vuoi dimostrarmi quanto vali.”

“Non devo dimostrarti quanto valgo. Non è una sfida.”

“Peccato. E io che invece avevo fatto i compiti. Mm… vediamo, vediamo.” fece ruotare un dito nell’aria come a riavvolgere un filo “Adrian Vesna, 35 anni il mese scorso, nato a Drìamor, paesello di quindicimila anime sulle colline del Vàltrad, figlio di Fèrnes Vesna, matematico e docente di scuola superiore, e Roxàna Tàlviy, veterinaria; studi scientifici, iscritto alla facoltà di ingegneria, che però hai lasciato improvvisamente, nonostante i risultati eccellenti, un mese dopo la morte di tuo padre. Mm… scommetto che ti eri iscritto all’università solo per farlo contento; sarebbe un classico: ci sono cascato anche io, in senso contrario. Noam no: lui ha fatto sempre di testa sua…”

Fu tentato di interrompere quello sfoggio di presunzione, ma si contenne: lasciarlo parlare era anch’esso un modo per avere informazioni di rimando e fargli abbassare la guardia.

“Dunque. Lasci gli studi ed entri all’accademia di polizia, miglior tiratore del tuo corso, ma resti in servizio solo due anni, poi ti dimetti e entri in un’agenzia di sicurezza privata. Non sto a fare la lista delle persone a cui hai parato ripetutamente il culo, per finta o per davvero: sarebbe solo ribadire l’ovvio, tanto lo sai di aver lavorato per una manica di bastardi.”

Il suo viso si incupì e poi schiarì di nuovo.

“Com’è proteggere la vita di uomini che non meritano di essere salvati, Adrian?”

Com’era…

Per un attimo desiderò dirglielo, a quello sbruffoncello che pontificava sulle vite altrui.

Desiderò dirgli, anche solo per vedere che faccia avrebbe fatto, che salvare chi non lo merita era il destino che si era scelto proprio per aver avuto la presunzione – la stessa che aveva lui – di sapere chi lo meritasse e chi no. Che proteggere suo fratello – il suo straordinario fratello che era completamente incapace anche solo di pensare il male, figuriamoci di farne – era un compito ben peggiore che “parare il culo a quei bastardi”, perché non era un compito fatto per lui, perché lo faceva sentire una brava persona, e lui non voleva sentirsi una brava persona.

Ma non rispose e lasciò che la provocazione cadesse nel vuoto.

“Però fin qui non ti ho detto nulla di sorprendente, vero?” proseguì Thièl, spavaldo “Non ho dovuto neppure violare qualche legge sulla privacy per sapere queste cose di te. È notevole, Adrian: il tuo sembra proprio un percorso trasparente, e tu un uomo senza macchia che non sbaglia un colpo. C’è un solo dettaglio più cupo in questa vita quasi banale: a quindici anni, durante un viaggio di istruzione nel parco nazionale di Bam sui monti Roxavàl, assisti alla tragica morte di un compagno di classe, Ròbul Purèl, precipitato da una scarpata. Gli atti del processo aperto contro la scuola non riportano la tua testimonianza: mutismo post-traumatico, dicono. Due anni senza parlare, finché tuo padre non si ammala di cancro e… beh, probabilmente questo avrà cambiato la tua situazione emotiva. Ma io non sono psicologo. Mi domando solo come tu sia potuto entrare in polizia senza dover superare una perizia psichiatrica, ma è pur vero che eri minorenne e forse non hanno potuto accedere a queste informazioni. Io invece sì.”

 

***

 

Sprofondare.

Adrian si sentì sprofondare.

Nel suo passato, nei suoi anni senza voce, in quel crepaccio, negli occhi spalancati di Ròbul, negli occhi di suo padre e di sua madre che non avevano mai saputo la verità, quella verità che, per amore loro, era rimasta nascosta al mondo.

Faceva freddo, il vento tagliava le dita, non avrebbe voluto essere lì.

Eppure aveva dovuto andarci, perché Ròbul aveva deciso che ci sarebbero andati, e se Ròbul decideva, gli altri ubbidivano.

Lui ubbidiva.

Adrian Vesna non sapeva disobbedire.

Adrian Vesna era il ragazzo che studiava, il ragazzo che parlava educato, il ragazzo che non mentiva agli adulti, che amava i genitori, che rispettava gli insegnanti, che diceva grazie e buonasera, che non rispondeva male a nessuno, che abbassava lo sguardo quando gli si parlava e non sapeva dire di no.

Come era finito lì?

Lui non voleva esserci.

Faceva maledettamente freddo.

Eppure era aprile… Com’era possibile che ci fosse un freddo simile?

Le scarpe scricchiolavano sul terreno, le dita dolevano, e tutto quel vento…

O forse no, forse non era freddo, e non c’era vento.

Forse era lui che era precipitato troppo in fondo, troppo in fondo…

Aiutami, Adrian.

Vide gli occhi sbarrati di Ròbul che avevano paura… com’era possibile che Ròbul avesse paura?

E lui che guardava le sue mani e la terra che precipitava e tutto che precipitava.

Sprofondare.

 

***

 

“Cosa ti aspetti che dica, che sei stato bravo? Che sono colpito, ammirato, spaventato? Qual è lo scopo di questa pantomima? Vorrei fosse chiaro a te, prima che a me.”

Gli era costato un grande sforzo mantenere il controllo e ritornare a galla, ma quell’uomo protervo e autocompiacente aveva bisogno di essere ridimensionato: lui non era lì per giocare una partita a scacchi, né per prendere atto della sua intelligenza, era lì nella speranza che avessero almeno un interesse in comune. Thièl Dolbruk, invece, sembrava intrappolato a recitare una parte, come se dovesse sentirsi ad ogni costo riconoscere qualcosa: la leadership che era sempre stata di Noam? Il ruolo di capofamiglia? Di guida del movimento? O solo la superiorità intellettuale tra loro due?

“Non è importante cosa sai di me,” sottolineò “perché il mio compito non è proteggere informazioni: è proteggere tuo fratello.”

“Le informazioni sono fondamentali nel proteggere qualcuno. Se ne avessi avute di più, avresti intercettato il mio messaggio, quel giorno a Mòrask.”

“Vero solo in parte. Forse avrei intercettato il messaggio, ma poi che ne avrei fatto? Avrei impedito a Noam di incontrarti?”

“Avresti dovuto.” adesso era maledettamente serio “Sei tu che devi fare scelte come questa, anche quando lui non è d’accordo. Venire qui senza informarlo, al momento, è stata la sola mossa giusta che tu abbia fatto. Tu devi impedirgli di fare il cazzo che vuole, se veramente ti preme la sua vita.”

L’ombra delle sopracciglia aggrottate si era stesa sui suoi occhi: aveva il volto teso, stanco, come se pronunciare quelle parole gli pesasse molto.

“Mio fratello è un egoista. Un egoista in buona fede, ma senza un briciolo di rispetto per le scelte degli altri. Per questo non devi farti scrupoli nel non rispettare le sue.”

Aveva cambiato completamente tono: come poteva un uomo mutare espressione così in fretta? Sembrava davvero un attore che toglieva la maschera a comando.

“Ti faccio un esempio semplice. Se uno come me decidesse di ammazzarlo…” lo disse con la freddezza di chi trovava quell’eventualità del tutto realistica “e se per farlo dovesse ammazzare anche te… beh, nel caso che Noam riuscisse a ipotizzarlo, o ad accorgersene (e ci riuscirebbe, perché è molto più sveglio di quello che vuole far credere), troverebbe il modo di seminarti e di impedirti di rischiare la tua vita per proteggerlo. Se ne fregherebbe delle conseguenze: della tua reputazione sul lavoro, della tua frustrazione per il fallimento, persino del tuo senso di colpa e del tuo dolore se lui dovesse morire davvero. Noam è così: per prima cosa pensa a quello che è giusto per lui, poi alla cosa che lo fa soffrire di meno, e ai sentimenti degli altri ci pensa dopo. O non ci pensa. Ma il sacrificio, l’eroismo cavalleresco e quella roba là sono cose che vanno bene in un romanzo o alla televisione. Nella vita vera, non puoi rifiutarti di considerare anche i sentimenti di chi ti cammina a fianco: chi muore non è l’eroe, l’eroe è chi resta, e mio fratello somiglia a mio padre più di quanto voglia ammettere. Nemmeno Fidòr Dolbruk ha mai guardato ai piedi dell’albero.”

Un ritratto che non faceva piacere stare ad ascoltare, ma che Adrian sapeva quanto fosse corretto.

D’un tratto gli parve di riuscire a capire perfettamente tutta la sua frustrazione: Thièl si era sentito lasciato indietro, prima da un padre che si era fatto saltare in aria, poi da un fratello che era andato a combattere la sua crociata altrove facendosi terra bruciata alle spalle, e nessuno dei due si era voltato per un attimo a guardarlo prima di fare la propria scelta.

Pensò con forza alla cruda sentenza di Karìma: “pur di conservare la sua purezza non ha paura di correre dei rischi, anzi, li cerca... ma ciascuno di quei rischi lo rende così poco affidabile”.

Thièl si era appoggiato ad un fratello inaffidabile: inaffidabile perché non lo aveva preservato dall’angoscia di vederlo salire in cima ad un albero. Perché, col pretesto di proteggerlo, non lo proteggeva affatto. Anzi, lo aveva lasciato solo davanti al dolore di un perdita ed esposto, ripetutamente, alla paura di subirne un’altra.

“Tu invece sei il tipo di persona che guarda ai piedi dell’albero, non è così, Thièl? Prima di agire, ti procuri tutte le informazioni che ti servono, pianifichi ogni mossa e ne prevedi le conseguenze.”

Il giovane parve apprezzare quel riconoscimento. Sorrise.

“Si può dire di sì. Nella misura in cui mi è possibile.”

“E non hai mai ammazzato nessuno.”

Le sopracciglia di Thièl si sollevarono all’unisono in un’espressione che significava, più o meno: era qui che volevi arrivare? Ma sorrideva ancora.

“Non intendo rassicurare né te né mio fratello facendo professione di pacifismo. Non sono un pacifista, credo nella lotta, e la lotta non si fa con gli striscioni e i manifesti. Tuttavia, la tattica del terrore non è la mia preferita, anzi, credo serva a poco. Non sono i singoli individui a far girare il mondo, sono i capitali, e morto un capitalista ce ne saranno altri a ballare sul suo cadavere.” allargò le mani in un gesto di placida rassegnazione “Ma sono un criminale informatico che opera nel Fronte, sì: ho coperto terroristi, deviato indagini, cancellato prove… e non so quanto Noam ti abbia svelato di sé, ma nessuno potrà mai scoprire di lui nulla che lui non dica, perché chiunque cercasse non troverebbe niente. Tabula rasa.”

Niente scheletri per Karìma, insomma.

“Ho capito. E lo hai fatto per il bene del Fronte, non certo per la carriera di Noam.”

“Esatto. Tanto quella finirà da sola, come tutti i fenomeni di questo tipo. Orizzonte farà parlare per un po’, farà nascere qualche speranza in chi non ha il polso della situazione, sarà oggetto di una serie di tentativi di strumentalizzazione, poi svanirà nel nulla e avanti il prossimo. Noam non è un pericolo per noi e, purtroppo, non lo sarà mai nemmeno per la gente contro cui si è messo. Non che io non abbia apprezzato il gesto, ma non ha le risorse né lo spirito giusto, punto.”

“Quindi non è stato il Fronte a minacciarlo.”

Thièl si portò teatralmente una mano alla fronte e scoppiò in una risata plateale.

“Per la miseria, no! Ci pensi tanto ridicoli? Al prossimo giro, lascio pure il mio biglietto da visita!” Rideva, ma la sua risata era vuota.

“Noam non corre pericoli da parte vostra?” incalzò Adrian.

“Per quanto possa garantire io: no. Ammazzare uno che ha militato nelle nostre fila, che è stato un simbolo per una parte del Fronte e che ha ancora il rispetto di molti significherebbe non aver pianificato affatto. Significherebbe fare il gioco stesso di Noam: spaccare l’unità del movimento. Nessun attentato è fine a se stesso: per correre il rischio, se ne devono prevedere delle ricadute vantaggiose in proporzione. La morte di uno come Noam, invece, avrebbe per noi solo svantaggi, non ultimo il creare una specie di simbolo da additare per farci apparire dei mostri. Quindi, se era su questo che volevi essere rassicurato, tranquillo: il tuo protetto non è un obiettivo. Certo, non posso avere il quadro completo: FDL è pieno di fanatici, come ve ne sono in tutto il Dàrbrand, in centomila micro movimenti che spuntano come funghi ogni giorno. Ma contro singoli invasati penso tu possa bastare, no?”

La naturalezza con cui parlava dei pro e dei contro di attentati ed omicidi politici aveva qualcosa di surreale, eppure non poteva negare che quell’uomo gli suscitasse una certa ammirazione. Era razionale, consapevole, e gestiva perfettamente quel dialogo, nonostante una posizione emotivamente scomoda.

“Bene. Sono lieto di sentirtelo dire.”

Thièl si voltò verso la cassapanca e fece per restituirgli il telefono, ma non lo trovò. I suoi occhi corsero su Adrian, che abbozzò un sorriso, tirando fuori il cellulare dalla tasca della giacca.

“Sono molto più veloce di quello che pensi.” disse “E un passo avanti a te nel controllare l’ambiente in cui mi muovo. Durante la nostra conversazione, ci sono stati due momenti in cui ti sei distratto: il primo, quando hai guardato verso l’albero: è chiaro che l’impatto di quel ricordo ti ha deconcentrato per qualche attimo. Il secondo, quando mi hai rivelato cose di me che mi hanno momentaneamente turbato: ti sforzavi di leggere cosa mi passasse per la testa e hai perso il tuo controllo sul resto. In uno dei due momenti, mi sono ripreso il telefono. Nell’altro, se avessi voluto o dovuto, avrei potuto attaccarti per primo, e il vantaggio mi sarebbe bastato.”

Lo sguardo di Thièl tradì un barlume di rispetto.

“Le informazioni sono sempre utili.” concluse Adrian “Ma, nel proteggere la vita di un uomo, prontezza di spirito e di azione lo sono di più.”

L’altro annuì, pensoso: avrebbe potuto scommettere che stava ripercorrendo nella sua mente i momento che gli aveva appena indicato, per capire quando esattamente si fosse lasciato cogliere in fallo. Poi ritrovò il suo sorriso sfrontato: estrasse dalla tasca un pezzo di carta, ci scrisse su un numero.

“Se si tratta della sicurezza di Noam, puoi contattarmi qui. Tu, non lui. Farò ciò che è in mio potere fare. In cambio, dimenticati di avermi incontrato.”

  
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