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Autore: softandlonely    28/11/2022    1 recensioni
La stanza di Chrissy nell’appartamento di Bedford Avenue è molto più piccola rispetto a quella di Hawkins ma altrettanto vuota. Il letto, una scrivania, uno specchio, l’armadio. Nessun quadro alle pareti verde pallido, leggermente scrostate.
E lei, rannicchiata tra le lenzuola, una maglia nera troppo grande, la lettera stretta contro il petto.
Ha dovuto rileggerla tre volte per rendersi conto che è tutto vero.
Sarebbe tutto perfetto se non fosse che…
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Seduta sulla panchina di fronte all’ospedale, Chrissy osserva Eddie dal basso, la sua figura allungata che la sovrasta, in attesa di una reazione. Sembra a pezzi, preoccupato come non l’ha mai visto. Deve raccogliere tutto il suo coraggio per riuscire a parlargli.
 
“Non mi muovo da qui fino a che non mi dici la verità.” gli mormora, gli occhi fissi nei suoi.
 
Se ne pente un secondo dopo, sentendosi una bambina stupida e petulante.
Sa che non è il momento giusto, che c’è Wayne, che lei non può e non deve essere una priorità. 
Ma c’è una parte di lei, una parte che ha iniziato a conoscere da poco, che non può farne a meno.
 
Ha sempre odiato discutere e ha sempre evitato di farlo, da che ha memoria.
Per anni ha schivato ogni motivo di contrasto con sua madre, sforzandosi di non ribattere perfino quando la umiliava con le sue osservazioni, a volte sottili, altre decisamente meno. Al liceo si è tenuta alla larga da ogni litigio, troppo impegnata nella sua costante rincorsa della perfezione: i voti alti che non erano mai abbastanza buoni, gli allenamenti in cui dava il massimo, perché doveva diventare capo cheerleader, i suoi impegni sociali, perché la sua vita non era mai abbastanza piena. E Jason, che la voleva esattamente così. Una stupida bambina che non ribatteva mai, che non usciva mai dal seminato, senza pensieri e opinioni proprie, a cui non era richiesto altro che mantenere un bel sorriso stampato sulla faccia – sforzandosi di non sorridere troppo, ovviamente – perché in fondo era una cheerleader, era popolare, e questo doveva bastare a renderla felice.
Ha impiegato mesi per accettare che non era colpa sua. E ora che ha dato voce a quella parte di lei, non è più in grado di metterla a tacere.
 
Eddie sembra sorpreso, ma anche compiaciuto. “Quando sei così impositiva ti adoro.” le risponde. È ironico, ma non del tutto.
 
Lei lo guarda in cagnesco. “La vuoi piantare?”
 
“Di fare cosa?”
 
“Questo. Fingere che non sia successo niente. Voglio davvero starti vicino, non sarei qui altrimenti. E lo farò sempre se vuoi…”
 
“…ovviamente lo voglio.”
 
“Ma tu devi essere sincero con me. Perché sei sparito? Ho bisogno di saperlo.”
 
Quando si siede accanto a lei lo sente, quel un respiro profondo che si trasforma in fumo bianco nell’aria fredda della sera. Intravede la sua espressione seria, oscurata dal buio, con i fari delle auto che di tanto in tanto gli illuminano il viso.
Le sue mani tormentano la stoffa sfilacciata dei jeans.
 
“Credo di aver perso la strada. Per un po’.”
 
“Cosa significa?” ribatte, frustrata. È la prima volta in vita sua in cui è costretta a tirargli fuori le parole di bocca. “Non capita a tutti a vent’anni?”
 
“Forse. Il fatto è che stava andando tutto male. Non siamo riusciti a riformare la band, nessun posto ci faceva suonare e tantomeno ci pagava. Siamo rimasti a piedi per un sacco di tempo, Gareth se n’è andato e mi sono ritrovato da solo come un coglione, senza sapere che diavolo fare. Ho smesso di suonare, di fare tutto quello che mi piace. Non c’era una sola cosa che andasse per il verso giusto.”
 
“L’ultima volta mi avevi detto che…”
 
“Non era vero.”
 
“Perché lo hai fatto?”
 
“Beh, a te le cose stavano girando bene. Non mi andava di essere la tua causa persa.”
 
“Potevi lasciar decidere me. L’hai sempre fatto. Perché stavolta no?”
 
“Non lo so. Credo che una parte di me non riuscisse ad ammettere di essere il fallimento che tutti si aspettavano. E poi… non volevo che la mia felicità dipendesse solo da te.”
 
Chrissy preme le unghie contro il palmo della mano fino a far comparire delle mezze lune sulla pelle.
Quando ritrova i suoi occhi, scuri nella notte, sono pieni di quell’intensità capace di farla fremere dentro la giacca.
 
“Perché dovrei crederti?”
 
“Perché non ti mentirei mai.”
 
“Hai appena detto di averlo fatto.”
 
“Tecnicamente no. Più o meno. Magari un po'. Ho solo evitato di metterti al corrente che la mia vita era diventata un completo disastro, più di quanto non fosse mai stata.”
 
Lei rimane in silenzio, senza capire se quella giustificazione la soddisfa, se è abbastanza.
 
“C’è altro che vuoi sapere Cunningham?”
 
“Non adesso. Adesso andiamo. Ho fame.”
_
 
Le strade di Hawkins sono semibuie, avvolte in una nebbiolina che le solletica il naso. In giro poca gente a piedi e qualche auto. Le foglie secche scricchiolano sotto le sue scarpe e Chrissy si ritrova a pensare che in fondo anche lei e Eddie sono due strade parallele, che solo per poco tempo hanno viaggiato in una sola direzione.
Mentre camminano fianco a fianco non sa bene cosa dire.
Si stringe nel cappotto, pensando a quante volte ha immaginato il giorno in cui si sarebbero incontrati di nuovo.
A volte con speranza, altre con rabbia, spesso con rassegnazione. Quante volte la porta del ristorante si è aperta, e ha sperato fosse lui, per dirle Ehi, sono qui, non ho dimenticato.
In fondo, le bastava questo.
In qualunque modo avesse deciso di far parte della sua vita lo avrebbe accettato. Quello che non avrebbe mai immaginato, che non avrebbe mai voluto, è che il rivedersi costasse il dolore di una persona così importante per entrambi. Sbircia di nuovo, lo vede camminare pensieroso al suo fianco. Capisce che non ha senso rimuginare su quello che è stato o non è stato. Che non c’è niente di giusto o sbagliato da dire. Ora c’è solo una cosa che conta davvero.
 
“Andrà tutto bene, lo sai?”
 
“Lo pensi veramente?”
 
“Deve essere così.”
 
Lui guarda davanti a sé, affonda le mani nella giacca, sempre la stessa. “Hai ragione, deve. Lui è… non farmi dire tutte quelle cose ovvie sulla famiglia che non ho mai avuto, per favore.” le risponde, agitando una mano davanti a sé con la faccia disgustata.
 
“Lo so.”
 
“Quando tornerà a casa gliela farò pagare.”
 
La guarda e lei lo ricambia, felice di scorgere nei suoi occhi un po’ di fiducia.
_
 
Mentre aspetta che lui ritorni con il cibo che hanno ordinato, Chrissy osserva una comitiva di studenti prendere posto poco distante. I suoi occhi si posano sulle gambe sottili di una delle cheerleader, che indossa un’uniforme identica a quella rimasta appesa nella sua stanza ormai diversi mesi fa.  Eddie arriva al tavolo, interrompendola giusto un attimo prima che inizi a scivolare in una spirale di pensieri senza senso. Quando consumano la loro cena non può fare a meno di notare l’espressione soddisfatta che gli si dipinge in volto quando la vede intingere le patatine nel ketchup, sgranocchiandole allegramente mentre gli racconta del ristorante e di tutte le cose che ha imparato a fare in quei mesi.
 
“Stai molto bene.” lo sente dire. Il modo in cui lo fa la riscalda dentro, eppure non basta a non farle prendere in considerazione l’ipotesi che quelle parole siano solo un modo gentile per dirle che è ingrassata.
Si chiede se magari ora, così, la trovi meno attraente, e quel pensiero non le piace.
Forse perché è consapevole del fatto che si tratta di uno strascico dei suoi fantasmi; forse perché ci tiene ancora, al fatto che lui la trovi bella. E lo sa, quanto tutto questo sia sbagliato.
 
“Ci è voluto un po’ in realtà a sistemare le cose.” minimizza, sforzandosi di scacciare quel pensiero.
 
“E ora? Sei felice Chris?”
 
Glielo chiede a bruciapelo, costringendola a riflettere su una domanda che negli ultimi tempi non ha mai avuto il tempo di porsi.
 
“Credo di sì. La maggior parte del tempo. Insomma, ho iniziato il college, ho un lavoro, ho nuovi amici.”
 
“Amici?” le chiede, allungando una mano sul suo viso. Le passa il pollice all’angolo della bocca, portandole via quello che si rende conto essere del ketchup. Mentre lo fa la guarda con quegli occhi, quegli occhi. Quelli di cui conosce ogni sfumatura, troppo grandi per la sua faccia, si trova a pensare, mettendo tutto l’impegno che le riesce per trovargli dei difetti.
 
“Non fare così, Eddie.”
 
“Come così?” le risponde, con aria innocente, come se fosse un cerbiatto e lei un tir pronto a investirlo.
 
“Come se fossi una cosa tua.”
 
Lui spalanca gli occhi e alza le mani in segno di resa, in quel modo scenografico che la fa incazzare a morte.
Un attimo dopo però la sua espressione si addolcisce.
 
“Tu non sei mai stata una cosa mia. Né mai lo sarai. È solo che…” prosegue, un po’ incerto “quando ci siamo incontrati, sentivo di poterti dare qualcosa che gli altri non potevano darti. La fiducia di cui avevi bisogno. Che potevo salvarti, in un certo senso. Dio sa se lo meritavi. E poi…”
 
“E poi cosa, Eddie?” lo incalza, sicura che quello che sta per dire sia qualcosa di importante. Lui esita, come se stesse riordinando i pensieri, le labbra socchiuse, il pollice che percorre con insistenza un punto del tavolo in cui la vernice è rimasta scheggiata.
 
“In questi ultimi mesi sentivo di non avere niente da darti. Stavo male, ma non è solo questo. Tu potevi avere di meglio, continuavo a pensarlo. Lo penso ancora.” spiega, incrociando i suoi occhi. “E così per non affrontare l’inevitabile agonia di perderti, mi sono allontanato da te. Geniale vero?”
 
Chrissy vorrebbe rispondere, ma le parole le muoiono sulle labbra. Non trova di meglio da fare che rigirarsi la mollica del pane tra le dita, contemplando il suo hamburger con esagerato interesse. Eddie il suo lo ha finito da un pezzo. L’appetito che lo contraddistingue è rimasto quello di sempre. Quando ritrova il coraggio di guardarlo lui la fissa come se volesse leggere dentro i suoi occhi, e ancora più oltre.
 
“Parlami un po’ di questi amici.” le chiede, un che di autoritario nella voce.
 
Qualcosa è cambiato in lui. Qualcosa che, inspiegabilmente, le provoca una sensazione piacevole al centro dello stomaco. “Beh, c’è Diana, la mia coinquilina. Ti ricordi no?” risponde, fingendo un’aria totalmente disinteressata.
 
“Quella svitata?”
 
“Sì. È convinta che tu non esista ma a parte questo… credo che ti piacerebbe.”
 
Eddie aggrotta le sopracciglia, come se non capisse fino in fondo quell’affermazione.
Esita un attimo, tornando subito dopo a concentrarsi su di lei.
 
“E poi?”
 
“Che c’è stai cercando di capire se esco con qualcuno?”
 
“Non posso nasconderti niente, Cunningham.” le risponde, spalancando gli occhi come a voler sottolineare l’ovvio.
 
Chrissy si schiarisce la voce, porta le mani sotto al mento, sforzandosi di reggere il suo sguardo indagatore.
 
“Si chiama Duggie.”
 
“Che razza di nome è Duggie?” lo sente tossire, e quasi si strozza mentre sta bevendo.
È costretta a nascondersi dietro alla mano per non fargli notare il sorriso compiaciuto che automaticamente le si dipinge in faccia.
 
“Lascia perdere… comunque. Va alla Columbia.”
 
“Duggie eh...”
 
Chrissy sente le guance scaldarsi, fa scorrere le dita lungo l’orlo della sua camicia, che lascia intravedere una spruzzata di lentiggini che scendono sul suo collo. Decide tra sé e sé che è molto meglio cambiare discorso.
 
“Basta parlare di me. Dimmi di te.” gli chiede, cercando di condurlo in un terreno di conversazione meno imbarazzante.
 
Lui si gratta la testa, come fa sempre quando è nervoso. Si lascia scappare un sospiro.
 
“Per qualche mese è stata dura, davvero dura. Non avevo niente, nemmeno i soldi per mangiare.”
 
“E?”
 
“Mi sono rimboccato le maniche e ho tenuto duro. Sono rimasto ad Atlanta per un po’ facendo di tutto, dal lavapiatti al tuttofare in officina.”
 
“Molto sexy.” scherza lei, continuando a sgranocchiare le sue patatine fritte. Lui alza un sopracciglio, sembra piuttosto appagato da quella sua osservazione.
 
“Mi sarei venduto anche un rene pur di non tornare a Hawkins.”
 
“E adesso? Sei felice, Eddie? Perché a me sembra che tu lo sia.”
 
Lo vede passarsi una mano tra i capelli, mentre qualcosa cambia nella sua espressione, che diventa un misto di orgoglio e imbarazzo. “Credo di sì. La maggior parte del tempo. Sto a Chicago da un paio di mesi. E ho trovato un lavoro molto figo, uno vero cazzo. Non… beh, lo sai. Quello per cui ci siamo conosciuti.”
 
“Di cosa si tratta?”
 
“È un negozio di dischi. Lo so, ne avevamo parlato e adesso è tutto vero. Ho imparato anche ad aggiustare qualche strumento, quasi tutte chitarre, in realtà. La cosa migliore di tutte è che ho ricominciato a suonare. Come turnista, per adesso, il che non è esattamente la mia massima aspirazione. Ma mi pagano. Soldi veri. Non molti, ma…”
 
Mentre parla, aggiungendo particolari sul suo capo, un tipo che – a quanto dice, pare abbia conosciuto Al Jourgensen di persona, il che lo rende una specie di leggenda ai suoi occhi – Eddie non fa altro che gesticolare, perdendosi nei suoi discorsi come fa quando è davvero entusiasta di qualcosa.
 
“È fantastico. Dico davvero.”
 
“Già. Lo è. Lo è.”
 
“E che ne è stato della tua idea della Florida? Di andare a cercare…”
 
Chrissy vorrebbe rimangiarsi quella frase quando lo vede irrigidirsi e qualcosa di cupo si fa strada nel suo viso.
Se ne avesse voluto parlare lo avrebbe fatto lui stesso, pensa, dandosi mentalmente dell’imbecille.
 
“Scusa.”
 
“No è ok, è ok. Wayne mi aveva dato un indirizzo. Ci sono stato. L’ho vista da lontano, ha due bambini piccoli adesso, una bella casa. Una nuova vita. Me ne sono andato, fine della storia.”
 
Per un po’ rimangono in silenzio, ascoltando un disco anni ’50 che suona nel vecchio jukebox.
_
 
Hawkins è come è sempre stata. Un po’ sinistra nei giorni d’autunno, con i negozi semivuoti, la vita che scorre lenta e monotona, le poche distrazioni. Quando escono dal fast food, dall’altra parte della strada, Chrissy riconosce una vecchia amica di sua madre, che fissa lei e Eddie con gli occhi fuori dalle orbite. In fondo ad Hawkins tutti sanno tutto di tutti. Per molti loro sono ancora lo svitato e la cheerleader, forse lì resteranno sempre e solo questo.
 
“Certe cose non cambiano mai eh?” le dice lui, con un sorriso sghembo, come se fosse ancora in grado di leggere nei suoi pensieri, mentre si studiano l’un l’altra, senza sapere bene cosa dire o fare ora che il loro tempo insieme sembra essere arrivato alle battute finali.
 
“Penso me ne andrò a casa adesso.” borbotta, gli occhi fissi sulle scarpe da ginnastica. “Sai, dovessero chiamarmi dall’ospedale…”
 
“Certo.” annuisce lei, che nel frattempo si sistema meglio la sciarpa attorno al collo. Sente freddo, nonostante ormai si sia abituata alle temperature decisamente più rigide di New York.
 
“Tu…”
 
“Sto da Jessica. Non mi andava di tornare a casa… sai…”
 
“Lo so.”
 
Lo vede scostare alcune foglie secche dal marciapiede e poi allungare il braccio per appoggiarsi al palo della luce, lì accanto. Il suo tentativo di mostrarsi disinvolto non pare riuscirgli molto bene. D’altra parte nemmeno Chrissy sembra cavarsela poi tanto meglio.
 
“Allora, buonanotte. Ci vediamo domani, da Wayne.” farfuglia, voltandogli le spalle per incamminarsi senza nemmeno controllare di aver preso la direzione giusta. Riesce a fare appena tre passi prima di sentirlo pronunciare il suo nome.
 
“Ehi Chris.”
 
“Che c’è ancora?”
 
“Non andare da Jessica.”
 
“Perché?”
 
“Sarebbe troppo egoista dirti che è perché ne ho bisogno?”
 
Chrissy lo guarda, cerca di decifrare quelle parole che le bruciano nel petto, come una ferita piccola e fastidiosa che ha provato a ignorare, eppure è ancora lì.
 
“Sì.”
 
“Allora non te lo dico. Ma è così. E poi quella casa, insomma… casa mia, o meglio, la casa di Wayne. È ancora casa tua. Lo sarà sempre. Lo so che suona male, che sembra che io voglia approfittare della situazione per manipolarti, ma ti giuro che non è così.”
 
Più tardi, Chrissy si maledice in silenzio quando si ritrova sul sedile del van, la testa appoggiata contro il finestrino freddo, in cerca di un po’ di sollievo. Senza riuscire a smettere di respirare quell’odore familiare. Erba, tabacco, quel sapone orribile che Wayne evidentemente non ha mai smesso di comprare.
 
E poi la serratura del caravan, la chiave che come sempre fatica a entrare.
La poltrona in un angolo, il muro tempestato di cappellini da baseball. I due diplomi incorniciati, uno accanto all’altro.
Una pila di piatti sbeccati sul bancone della cucina, lo sgabello su cui faceva colazione ogni mattina con Eddie che, passando dietro le sue spalle, le lasciava un bacio tra i capelli costringendola a spingerlo via per non farla sentire in imbarazzo davanti a suo zio. Wayne, che le preparava il caffè e ogni tanto la convinceva a pescare dal barattolo dei biscotti, quelli che comprava apposta per lei, per invogliarla a mangiare un po’ di più e mettere un po’ di carne su quelle gambe scheletriche.
 
Senza che possa fare in tempo a rendersene conto, gli occhi le si riempiono di lacrime.
 
“Ti lascio la mia camera, io resto sul divano.” lo sente dire, quando tutto quello che vorrebbe è abbracciarlo, dirgli quanto le è mancato per tutto il tempo. È costretta a respirare a fondo prima di voltarsi, incrociando i suoi occhi neri nel buio della stanza, spezzato solo dalla luce ovattata della vecchia lampada nell’angolo.
 
“Buonanotte, Eddie.” gli sussurra.
 
È sicura che la veda, quella crepa nei suoi occhi, così come ha sempre visto quelle del suo cuore. In fondo è lui ad aver raccolto tutto ciò che era rotto dentro di lei, ad aver unito i pezzi con pazienza, incollandoli insieme uno per volta.
Sente la sua mano cercare la sua, le dita ruvide che la sfiorano, il calore del palmo a cui si abitua poco a poco.
 
“C’è ancora una cosa che non ti ho detto Chris.”
 
“Che cosa?”
 
“Non ti ho chiesto scusa. Mi ero promesso che sarei stato migliore degli altri, per te. Che non ti avrei mai fatto soffrire. Invece ho fatto un casino, e ho finito per farti del male. L’ho capito solo adesso e sai una cosa? Vorrei avere una macchina del tempo per tornare indietro. Tipo la DeLorean, ti ricordi?”
 
Lei si rimangia un sorriso, che si specchia nel suo.
 
“Davvero, vorrei tornare a un anno fa. Chiamarti ogni giorno, anzi, raggiungerti a New York, portarti dei fiori…”
 
“Per favore… non essere ridicolo.” lo interrompe.
 
“Cristo, hai ragione, niente fiori. È patetico.” le dice, portandosi una mano alla fronte. “Ok, allora… passeggiare con te, dormire con te, svegliarmi con te. Restarti accanto mentre tu diventi tutto quello che meriti di diventare, raggiungi i tuoi sogni uno dopo l’altro. Farti sentire la persona più amata del mondo, perché lo eri. Lo sei.”
 
Chrissy porta le loro mani unite contro il petto di lui, ritrae la sua. Scuote la testa.
 
“Buonanotte, Eddie.” ripete, senza permettergli di finire. È già andato troppo oltre, ed è troppo tardi. Troppo tardi.
Così si infila nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle e restandoci appoggiata per un po’ fino a che il suo respiro torna a farsi normale, fino a che non ha più bisogno di tenere gli occhi chiusi e può guardarsi intorno.
Si sfila il cappotto e la sciarpa, appoggia tutto sulla sedia nell’angolo.
 
In mezzo all’odore di polvere c’è ancora una debole scia di quell’aroma di erba che impregna le tende e il tappeto.
Non molto è cambiato da quando condividevano quel minuscolo letto. Tra quelle pareti, c’è quello che rimane della Chrissy di un anno prima. Infila una mano in una delle scatole accatastate accanto al letto. Ci ritrova vestiti che non metterebbe più, libri che non comprerebbe. I resti di un passato che non le appartiene.
Si rende conto che nulla sarebbe successo, se quel giorno, al tavolo da pic-nic in mezzo al bosco, Eddie non avesse creduto in lei quando ancora nessun’altro lo aveva fatto prima. Se non avesse deciso di conoscerla, di accettarla, di salvarla.
 
Quando riapre la porta lui sta trafficando con una coperta sul divano. Ha tolto la giacca, che ora è un mucchio di stoffa lacerata e ferraglia sopra al tavolino del soggiorno, e indossa una maglia degli AC/DC che gli lascia scoperte le braccia, quella pelle chiarissima marchiata di inchiostro, tracce che Chrissy conosce a memoria mischiate a qualcosa di nuovo.
Rimangono per un po’ a studiarsi da lontano.
 
“Avanti, vieni.” gli dice, con un cenno della testa, le braccia incrociate sul petto.
 
Lui rimane imbambolato. “Sei seria?”
 
“Andiamo, te lo sto chiedendo, stupido.” gli risponde.
 
Quando si incrociano sulla soglia lui sembra volerla interrogare su quel cambio di rotta.
 
“Anche tu meriti di essere salvato. E puoi permetterti di sbagliare.” gli dice, prima ancora che lui le chieda spiegazioni.  “E comunque non significa che ti ho perdonato.”
 
“No?”
 
“Assolutamente no.”
 
Il vecchio materasso cigola quando lui si sistema dal suo solito lato, quello accanto alla finestra, facendole spazio, come se avesse paura di toccarla. Chrissy si stende davanti a lui lentamente, cerca il suo sguardo le mani che si aggrappano alla stoffa della sua maglia.
 
“Sarei troppo egoista se ti chiedessi di abbracciarmi?” gli dice, la voce che le esce in un sussurro.
Lo vede sollevare leggermente un angolo della bocca, la testa appoggiata sul cuscino, gli occhi dentro ai suoi.
 
“Sei testarda Cunningham. Sei anche un po’ prepotente, come sai. Ma non sei egoista.”
 
Chrissy incastra la testa sotto il suo collo e le gambe tra le sue. Il suo corpo lo conosce a memoria, reagisce alla sua presenza prima che la ragione possa intervenire.
Respira nella stoffa scura, lo sente fare altrettanto tra i suoi capelli, il petto che si solleva leggermente sotto le sue dita.
 
“Che buon profumo hai. Dio se mi sei mancata.”
 
Lei si lascia avvolgere nel suo abbraccio da quelle parole, come se fossero una carezza.
Chiude gli occhi, mentre si adatta al suo respiro, il corpo che si modella sul suo.
 
“Non è che poi Duggie è geloso? Cosa direbbe se sapesse che sei qui?”
 
Lei sorride, felice che lui non possa accorgersene. “Penso che scodinzolerebbe.”
 
“Che cosa?”
 
“Lascia perdere. Io non ci dormo, con Duggie, se lo vuoi sapere.”
 
Eddie si sposta leggermente indietro, quel tanto che basta per scoprire il suo viso. Sembra piuttosto perplesso.
 
“Si può sapere cos’ha che non va quel tipo?”
 
Chrissy stringe un po’ più forte la stoffa tra le dita, percorrendo la scritta con l’indice mentre riflette sulla risposta.
 
“Non ha niente che non va. Solo che… non è te.”
 
È sicura che lui stia sorridendo quando le preme le labbra sulla fronte, per poi spostarle sulle sue tempie, sul suo orecchio, sul collo. Lì dove può sentire il battito del suo cuore.
 
“Dormi adesso.” si affretta a dire, affondando la testa nel suo petto.
 
“Ehi Chrissy…”
 
“Che c’è.”
 
“Ti ricordi quella volta che Wayne è tornato prima dal lavoro e…”
 
Chrissy ringrazia il cielo che la stanza sia al buio, che lui non possa vedere il colore del suo viso in quel momento. “Ti prego. Non sono riuscita a parlargli per una settimana.”
 
Lo sente soffocare una risata. “Odio ammetterlo, ma non vedo l’ora che torni a casa, quel vecchio brontolone.”
 
“Lo farà. Presto. Dormi adesso.”
 
Hawkins, per Chrissy, è il passato. Un passato che ora guarda da lontano e sente distante, come se per diciott’anni avesse vissuto la vita di qualcun altro. Non ci ha mai pensato, al giorno in cui sarebbe tornata. Non ha mai pensato che si sarebbe sentita a casa. Eppure è questo ciò che prova adesso, ed è qualcosa che New York non le ha mai dato. Forse dipende dal fatto che in fondo è lì che è cresciuta, è lì che è cambiata. Forse dipende dal ragazzo che la sta stringendo, come se il tempo non fosse mai passato. Nonostante tutto.
   
 
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