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Autore: NPC_Stories    29/11/2022    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Dira_
Genere: azione, sentimentale




Innamorarsi è una roba da idioti



Waterdeep, Tempio delle Spire del Mattino, Anno 1365. Tardo pomeriggio.

Kethra Brightraven aveva sempre pensato che innamorarsi fosse roba da idioti.
Il fatto fosse nata in un bordello e avesse vissuto per strada fino agli otto anni, tra crimini e generica crudeltà, aveva soltanto rafforzato quella convinzione.
L’amore vero, quello disinteressato, non esisteva. Era per le canzoni dei bardi e le penne dei romanzieri, non certo per la gente comune, la gente vera. Quindi innamorarsi di qualcuno, affidargli sé stessi e la propria felicità, era una scommessa destinata ad essere persa.
E a Kethra non piaceva perdere.

Questo però non significa lasciare nella merda le persone abbastanza stupide da cascare in quella gabola.

Come Aisha, dai biondi capelli ricci e la pelle di pesca. Aisha era cresciuta alla Ragazza che Ride esattamente come lei, ma da quel bordello non era mai uscita; non aveva però abbandonato la ridicola convinzione che un giorno un paladino dall’armatura scintillante si sarebbe innamorato di lei portandola via dalla miseria in sella al suo bianco destriero.

“Kethra, perché sei così cinica? Proprio tu! I tuoi erano davvero innamorati, sono solo stati sfortunati! Mamma lo dice sempre!”
“Ancora con ‘sta storia che mio padre era un pirata che voleva portare via mia madre sulla sua nave? Dai, Aisha, siamo serie, non siamo più bambine…”
“Sono serissima! Potrebbe succedere anche a me!”
“Te l’ho detto mille volte, se vuoi cambiare vita basta che me lo dici, e un posto al Tempio te lo trovo, ma…”
“Non voglio solo cambiare vita, voglio che ne valga la pena!”


Aisha era scema in culo ed era solo questione di tempo prima che si cacciasse nei guai.
E infatti…
Un mese prima era scappata dal bordello. Le altre tenutarie, preoccupate per quella fuga improvvisa, avevano provato a richiamare l’attenzione delle autorità, ma senza troppo successo. Una ragazza di vita che si dava alla macchia non era inusuale, anche se seccante per chi l’aveva nel libro paga. Erano state fatte indagini svogliate che non avevano portato a nulla. Per questo l’avevano raccontato a lei, sperando di raggiungere qualcuno più in alto nella scala sociale.
Kethra non si era sottratta. Non aveva però portato la cosa al Tempio, manco per sbaglio.
Tanto le avrebbero detto che non era affar loro. Non ne aveva parlato neanche con Dora, nonostante l’amica ci avesse messo meno di mezza giornata ad annusare la sua preoccupazione. Le aveva rifilato una palla e, come sempre, aveva fatto da sé.
Alla fine, a furia di domande alle altre ragazze, e qualche indagine nel quartiere, aveva scoperto cos’era accaduto. Aisha aveva conosciuto il suo “paladino” dall’armatura scintillante.
…che ovviamente non era un paladino, ma un tizio di nome Tristan, ultimogenito di una delle famiglie più pericolose di contrabbandieri del porto. Il giovane si era invaghito di Aisha dopo un paio di incontri al bordello e le aveva chiesto di diventare sua moglie… e la ragazza, ovviamente, ci era cascata con tutte le scarpe.
I due avevano deciso così di imbarcarsi nella prima nave diretta verso le isole Moonshae, ma la loro fuga aveva avuto vita breve perché lo zio di lui li aveva scoperti.
Il ragazzo era tornato in strada dopo qualche giorno, gonfio di botte e con l’aria da cane bastonato, e di Aisha non si avevano più avuto notizie.
Kethra non si era rassegnata.
Era un settimana che la cercava, sacrificando notti di sonno e arrivando alle preghiere dell’Alba più simile ad una non-morta che ad un essere umano, beccandosi ramanzine da quella stronza di Jhessail e continua domande ansiose da parte di Dora…
Che palle…
Tutti i suoi sforzi però alfine erano stati ripagati: dopo l’ennesimo giro di bevute e paroline dolci a qualche canaglia, aveva scoperto cosa ne era stato di Aisha.
Aisha era ancora viva, ma le buone notizie finivano lì: lo zio del suo “paladino” aveva deciso di venderla. La schiavitù era illegale e duramente punita a Waterdeep, ma questo non scoraggiava i contrabbandieri con più pelo sullo stomaco.
Kethra aveva però avuto l’impressione, parlando in giro, che lo zio del novello innamorato volesse vendicarsi, oltre che fare un affare. Tristan era un papabile successore e non c’era niente di peggio che avere il proprio pupillo invischiato con una prostituta.
Io manco lo sono stata ma basta esserci nata, in un bordello, per puzzare agli occhi di tutto il Tempio…

Paura per l’amica e rabbia avevano infiammato l’animo di Kethra, che aveva deciso di agire quella notte stessa.

“Non posso abbandonare Tristan!”
Kethra non si riteneva una persona violenta. Però di fronte allo sguardo lacrimoso di quella rincoglionita di Aisha per la prima volta nei suoi sedici anni di vita provò l’impulso di tirare un cazzotto secco sul muso di un’altra persona.
“Stai scherzando spero! Ti vogliono vendere come schiava!”
“E che ne sarà di Tristan?”
Kethra fu ad un passo dal cedere all’impulso e scaraventare Aisha fuori dalla finestra che con certosino lavoro era riuscita a scassinare. “Il tuo prezioso Tristan ti ha mollata, o ci sarebbe qui lui e non io!” sbottò saltando dal davanzale dentro la stanzetta angusta dove la ragazza era stata segregata.
Aisha tirò su con il naso. “Mi aveva promesso che ci saremmo rifatti una vita con una piccola casetta sul mare, lui sa pescare sai…”
“Di certo a te ti ha tirato su come un tonno!” sbottò. “Aisha, ti sei innamorata di un codardo, Tristan non verrà! Scappiamo prima che ci becchino!”
Le labbra dell’altra ragazza tremarono. “Mentre ci separavano ha detto che mi avrebbe trovata e salvata…”
“E invece non l’ha fatto. Non lo fanno mai. Ste cose succedono solo nelle ballate, dai, cresci un po’!”
Aisha scoppiò a piangere e Kethra realizzò che fretta e ansia avevano avuto la meglio sulla sua sensibilità.
Abbracciò l’amica. “Ehi, senti, mi dispiace… forse ci credeva sul serio, ma la sua famiglia è pazza e controllante, e non ha potuto aiutarti. Però non sei da sola. Le ragazze del bordello mi hanno chiesto di aiutarti e per Lathander, farò il possibile per riportarti a casa!”
Aisha si soffiò rumorosamente il naso nel fazzoletto. “Non voglio diventare una schiava. È peggio che essere una prostituta.”
“Questo è lo spirito!” Kethra guardò fuori dalla finestra. La notte era limpida e la luna brillava piena. Sarebbe stato un casino scendere senza essere viste. Sarebbero dovute passare dai tetti… e dubitava che sarebbe stato facile, con Aisha che aveva la prestanza fisica di un panino morbido.
Lathander guida i nostri passi stanotte. Perché se inciampiamo ci rompiamo di sicuro l’osso del collo.
Kethra ispirò e le rivolse il suo miglior sorriso incoraggiante. “Pronta?”

Non era andata male perché non erano morte… ma non era andata neanche benissimo.
Come aveva supposto, Aisha era stata uno stramaledetto peso morto. Il baccano infernale che aveva fatto inciampando e lamentandosi, le aveva fatte scoprire, e conseguentemente inseguire.
La fuga era stata rocambolesca; ad un certo punto avevano tentato anche di colpirle con delle balestre.
Come se non bastasse, quando erano quasi arrivate, Aisha era scivolata. Kethra era riuscita ad acchiapparla al volo, ma cercando di non precipitare nel vuoto aveva sbattuto violentemente la spalla. Non aveva controllato fosse rotta, si era solo lanciata un cura ferite leggere per non svenire dal dolore e aveva continuato a correre trascinandosi dietro l’amica riccioluta.
Alla fine, con la grazia di Lathander, erano riuscite a seminare i loro inseguitori e tornare al bordello.

Era stata la matrona ad aprire, affrettandosi a farle entrare. “Kethra, ci sei riuscita!” l’aveva salutata con un abbraccio profumato ed opulento. “Sei proprio incredibile gattina!”
“Sì, evviva, hurrah per me… ” borbottò masticando un’imprecazione quando la donnona le schiacciò inavvertitamente la spalla dolorante. “Ascolta Alanthra, devo telare, devo tornare al Tempio prima delle preghiere dell’Alba… ed è già l’alba.”
E chi la sente adesso Dora. Si sarà già svegliata e non mi avrà trovata in branda.
“Oh, ma al Tempio lo sanno già gattina!” esclamò la matrona congelandola sul posto. “Una tua compagna è qui!”
“Una mia… cosa?” pigolò rinculando contro la porta d’ingresso, purtroppo chiusa a doppia mandata. La Tulach l’aveva trovata?
L’avrebbero espulsa a calci in culo!
“L’ho fatta accomodare nel salone,” continuò la donna, ignara del suo terrore. “Ti porto da lei. Levamela dai piedi per favore, che parata a festa com’è mi inibisce la clientela!”
“No aspe-” Kethra non riuscì a finire, perché il donnone la spinse dentro il salone senza troppe cerimonie.
Kethra caraccolò nello stanzone. Era in effetti sgombro di persone, ad eccezione del vecchio Thom che smascellava uno sbadiglio dietro il bancone del bar e due giovani nobilotti con l’aria imbarazzata, seduti sul divanetto più lontano da…
…una ragazza della sua età con la tunica bianca e oro degli accoliti. Il simbolo, un'alba brillante, le splendeva sul petto.
“È l’alba e non sei nella tua branda,” disse Dora. “Sono venuta a prenderti.”

“Sei completamente impazzita?!”
“Potrei farti la stessa domanda!”
Kethra spalancò la porta del bordello marciando fuori. Aveva bisogno d’aria… d’aria e distanza da quella rompiballe allucinante della sua migliore amica.
Dora la seguì a breve distanza, camminando come se avesse, al solito, una scopa particolarmente rigida su per il sedere.
Kethra non sapeva se ci era nata o aveva invece imparato alla perfezione la camminata marziale tipica dei chierici e paladini del Tempio. In ogni caso la rendeva ancora più insopportabile.
“Ti sei fatta tutto il Quartiere del Porto conciata come uno stramaledetto paramento da tempio! È un miracolo che nessuno ti abbia derubata!”
“Non sono nata ieri, Kethra! Sono stata attenta e conoscevo la strada.”
“Come?! Non ti ho mai portata al bordello!”
Dora arrossì. “Beh, mi hai detto il nome ed ho studiato il percorso.”
“Sei pazza!”
“No, tu lo sei!” Dora la raggiunse, fronteggiandola. Era più alta di lei e quando erano così vicine si notava sul serio, perché le torreggiava addosso. Istintivamente Kethra si tirò indietro.
Dora lo notò, perché avvampò e fece un passo a lato. “La matrona mi ha raccontato cosa sei andata a fare…” mormorò. “Hai fatto una cosa pericolosissima!”
“E qual era l'alternativa, lasciare Aisha nelle mani dei suoi rapitori?”
“La guardia cittadina…”
“Aisha è una prostituta,” la fermò a muso duro. “La guardia cittadina non muove un dito per quelle come lei.”
Dora distolse lo sguardo. Sapevano entrambe che aveva ragione. “Potevi dirmelo però. Ti avrei aiutato.”
Kethra sospirò. “Senza offesa… ma non credo. Io so muovermi in queste situazioni. Tu no.”
“Avrei potuto…”
“Non ho bisogno del tuo aiuto,” tagliò corto dandole le spalle. Perché era stufa di litigare e perché non le piaceva l’espressione ferita di Dora.
La faceva sentire in colpa ed era stupido. Non se la sarebbe potuta portare dietro. L’avrebbe solo rallentata, e avrebbe fatto rischiare la vita a lei ed Aisha.
Non aveva bisogno di Dora. Non aveva mai avuto bisogno di nessuno.
Kethra sospirò. “Dai, torniamo al Tempio che è tardissimo…”

“Eccola lì! È la ragazza che ha fatto scappare la puttana!”

Da uno dei vicoli spuntarono due uomini che Kethra riconobbe come i tizi che avevano inseguito lei e Aisha su per i tetti.
…Come diavolo…
Ovvio, sapevano di Aisha. Non li avevano seminati come aveva pensato, piuttosto erano loro ad essersela presa comoda appostandosi vicino al bordello.
Dora, scappa!” Kethra incitò l’altra chierica, ma non fu abbastanza veloce da seguire il suo stesso consiglio.
L’uomo più vicino le fu addosso in un attimo, buttandola a terra e tenendola ferma con il suo peso. Le puntò un coltello alla gola. “Spiacente puttanella, sei scappata una volta, non una seconda!” Si voltò verso l’altro. “Quella è una chierica, bloccala prima che faccia danno!”
“KET-” l’urlo di Dora fu soffocato di colpo e Kethra si voltò atterrita. L’amica era stata placcata dall’altro bestione, che l’aveva spinta contro un muro, strappandole di dosso il simbolo. Lo gettò a lato, tappandole nel contempo la bocca e facendole sbattere la testa violentemente contro i mattoni. Dora, anche se era allenata e di stazza per la sua età, non poteva nulla contro un uomo adulto e si afflosciò come un sacco di stracci.
DORA!
“Ben fatto!” esclamò il suo aggressore trionfante. “Ora che la chierica è fuori gioco possiamo concentrarci su di te, cara la mia ladruncola…”
Kethra si divincolò. Il suo simbolo era sepolto sotto almeno due strati di vestiti e il tipo le aveva bloccato le braccia. Certo, a differenza di Dora, aveva ancora la bocca libera ma non aveva preparato nessun incantesimo a componente verbale che potesse lanciare.
“Vaffanculo!” sibilò. “Schiavisti del cazzo!”
L’uomo le rifilò un manrovescio che le tolse il fiato. “Dov’è la puttana?”
“Al sicuro! Non la potete più toccare!”
“E allora ci prendiamo te e la tua amichetta! Due al posto di una, scommetto che il capo ci perdonerà. Farete furore nel mercato giusto…”
Kethra tentò di nuovo di liberarsi, terrorizzata. “Lasciatela stare! Prendete solo me! È una chierica di Lathander! Vi attirerà le ire di tutto il Tempio se la fate sparire!”
L’omaccione parve rifletterci per qualche istante e tentennare. Kethra tentò di approfittare del momento per infilare la mano sotto la camicia ma l’uomo si accorse del movimento e le afferrò la spalla, stringendo con forza.
Kethra cacciò un grido di dolore mentre lampi di bianco le comparivano nella visuale.
Per fortuna l’adrenalina le impedì di svenire e nel mentre, successe qualcos’altro: udì un urlo, che non era il suo e questo distrasse anche il suo aggressore. Entrambi alzarono lo sguardo.
Il tizio che teneva Dora era crollato in ginocchio di fronte alla ragazza. Dora teneva qualcosa in mano, ma non era il simbolo: era un mattone, ed era sporco del sangue che il tizio stava copiosamente perdendo dalla testa.
“Ma che cazzo…” Sibilò l’uomo sopra di lei. “Alzati imbecille! Immobilizzala o userà un incantes-”
No che non lo usa - pensò sbalordita Kehtra mentre Dora calciò con forza il petto dell’uomo mandandolo lungo disteso. Con un ringhio ferale - non c’era altro modo per descriverlo - gli saltò addosso tirandogli un’altra mattonata secca in faccia. Poi si voltò a guardarli. Il volto era una maschera di rabbia.
Ma che cazzo?! Dora?!
Kethra non aveva tempo per riflettere. Il suo aggressore era distratto. Si divincolò e finalmente riuscì ad afferrare il simbolo. Lo tirò fuori e castò luce.
Un lampo radioso investì l’uomo che gridando si portò le mani al viso, accecato.
Incespicando crollò culo a terra, liberandola finalmente dal suo peso.
Kethra si tirò rapidamente in piedi. “Dora! Scappiamo! ” gridò all’amica: questa era rimasta immobile a puntare l’accecato come un cane da caccia. Kethra la raggiunse, strattonandola per un braccio. “Lascialo perdere, andiamo!”
Corsero come se avessero un branco di non-morti alle calcagna.

Ripresero fiato solo quando arrivarono alle mura del Tempio. Ansimando si diressero verso una delle uscite secondarie, quella che portava alle cucine: a quell’ora veniva aperta per dare la possibilità ai poveri di venire a ritirare qualche provvista. Sorpassarono la lunga fila di questuanti ed entrarono dentro. Gli accoliti che gestivano le operazioni lanciarono loro qualche occhiata, ma le lasciarono passare senza far rimostranze.

Si fermarono solo quando furono ben all’interno del tempio, riparate dalle possenti mura di pietra e marmo. “Aspetta,” Kehtra fermò Dora, perché la ragazza si stava dirigendo verso la chiesa come un golem. “…non possiamo farci vedere così. Facciamo un passaggio dai dormitori a cambiarci.”
Dora annuì senza dire niente. Era pallidissima e si strofinava il collo dove le era stato strappato il simbolo. Sembrava ancora sotto shock.
“Dora?” Kehtra la prese per mano, voltandola verso di lei. “Stai bene?”
Dora per una manciata di secondi la guardò con un’espressione distante, quasi non la riconoscesse. Poi batté le palpebre e scosse la testa come a scrollarsi di dosso qualcosa. “Sì… credo… credo di sì.”
“Sei stata incredibile!” le prese anche l’altra mano. “Sul serio! Hai conciato quel coglione per le feste! Ti avevo sottovalutata, sai decisamente il fatto tuo in una rissa!”
Altroché. Che cavolo di posto è Secomber per insegnare ai suoi ragazzi a menare così?
“Ci avrebbero fatto del male…”
“Beh, di sicuro! Per fortuna però…”
Non fece tempo a finire la frase che Dora la avvolse in un abbraccio. Tremava.
Il senso di colpa serrò la gola di Kethra. “Ehi… scusami. Non volevo metterti in quella situazione di merda. Ora è tutto finito. Sei al tempio, sei al sicuro…” la strinse di rimando.
Aveva avuto paura anche lei.
Stavolta hai rischiato grosso, Brightraven. Se non fosse stato per Dora quei tipacci ti avrebbero portata via come un sacco di patate.
“Grazie per essere venuta… ” mormorò accarezzandole i capelli e controllando al contempo che non avesse ferite. L’aveva vista sbattere la testa contro il muro dopotutto. “Però adesso hai capito perché ho preferito lasciarti al Tempio? Mi fa piacere portarti a far baldoria, ma stavolta era troppo pericoloso…”
Dora si scostò. Aveva gli occhi asciutti e bruciavano di determinazione.
“Se non mi porti con te ti verrò a cercare,” dichiarò. “Finché sarò viva non permetterò che nessuno ti faccia del male.”
“Che… che paroloni! Esagerata!” balbettò Kethra mentre il cuore prendeva a batterle all’impazzata.
E non era paura stavolta.
“Non devi mica fare giuramenti, non sei un paladino!”
“Non c’entrano i giuramenti né la mia vocazione. Lo dico come Dora. Tu sei la mia migliore amica. Nessuno ti deve toccare.”
Kethra fece per aprire bocca e sdrammatizzare con una battuta, ma l’intenzione si infranse come un’onda sulla battigia.
Dora era mortalmente seria, come in tutto quello che faceva: non poteva non crederle.

“Mentre ci separavano aveva detto che mi avrebbe trovata e salvata…”
“E invece non l’ha fatto. Non lo fanno mai. Ste cose succedono solo nelle canzoni dei bardi, dai, cresci un po’!”

…Ah.

Un rumore di voci alle loro spalle le distrasse. Il Tempio si stava svegliando.
Kethra ne approfittò per rompere il contatto visivo. Era troppo… intenso. “Dai che se ci beccano neanche io riesco a inventarmi una palla convincente. Andiamo a toglierci ‘sti stracci di dosso.”
Dora annuì passandosi di nuovo una mano sul collo. Fece una smorfia.
“Mi dispiace per il tuo simbolo…” Kethra si sfilò il suo e glielo mise al collo. “Per il disturbo,” spiegò imbarazzata. Quello stupido batticuore non accennava a diminuire perché quella stupida di Dora continuava a guardarla come se non esistesse altro che lei.
Mica sono in fin di vita, smettila!
Dora si rigirò il simbolo tra le dita e abbozzò un sorriso.“Sei sicura? Posso dire che il mio l’ho smarrito…”
“Tu? Non ci crederebbe nessuno. Dirò che il mio l’ho regalato a qualche poverello e me farò dare uno nuovo.”
“E a questo zia Jhessail crederebbe?”
“Beh, mica posso dire che l’ho dato ad una chierica dall’armatura lucente che mi ha salvato la pellaccia!”

Chierica… paladino dall’armatura lucente.
Ragazza mia, adesso ci esprimiamo come Aisha?

Kethra diede le spalle a Dora per evitare che l’altra la vedesse avvampare.
“Ma non indosso l’armatura…”
“Dettagli!”
Aisha era scema come la morte ad essersi innamorata.
Perché il vero amore non esisteva.

Giusto?

“Kethra?”
“Mh.”
“La prossima volta che ti viene in mente di fare l’avventuriera di quartiere per favore mi porti con te? Dico sul serio.”
“…Facciamo così. Ti dirò dove vado. E… e se le cose dovessero diventare serie ti chiederò aiuto. D’accordo?”
“D’accordo!”
“Ma non ti regalerò ogni volta il mio simbolo, quindi vedi di tenerlo di conto!”

   
 
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