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Autore: Evali    29/11/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Anche questo passerà
 
 
Padre Thomas afferrò il vassoio pieno di cibo fumante, appena cotto, e si diresse verso la camera da letto della sua pupilla.
Tirò fuori la chiave e la aprì, entrandovi dentro, trovando Judith sempre nella stessa posizione: inginocchiata accanto alla finestra, immobile, lo sguardo perso.
I monaci avevano concordato tutti sul tenere la ragazza sottochiave, nella sua stanza, dopo quello che era accaduto quel funesto giorno, con il marchingegno demoniaco e la morte di Beitris.
La loro amata figliola era diventata un pericolo per se stessa.
Aveva minacciato di accoltellare le creature che portava in grembo senza pietà, ammettendo di non averle mai volute.
I monaci non potevano permettere che si verificasse di nuovo una situazione tanto pericolosa ed estrema. La loro pupilla andava protetta e salvaguardata, e così i suoi figli.
Isolata dal mondo, fino al giorno del parto, in una stanza luminosa, grande, bellissima, lussuosa, piena di ogni agio, e priva di qualsiasi oggetto potesse essere usato come arma.
Persino le tende erano state tolte.
Judith non aveva obiettato. Per la prima volta nella sua vita, non aveva fatto sentire la sua voce, non aveva espresso il suo dissenso, la sua sacra opinione, riguardo quel trattamento.
Vi si era semplicemente conformata, in silenzio.
Ed ogni giorno lo trascorreva così, in silenziosa contemplazione del cielo chiaro primaverile.
Nonostante i monaci avessero accettato la sua relazione con Blake, riconoscendolo come il padre ufficiale dei bambini, nessuno aveva il permesso di vedere Judith, nemmeno lui.
Ad ogni modo, non c’era pericolo che ciò accadesse: il ragazzo non si era mai presentato alla cattedrale, chiedendo di vederla.
Erano trascorsi diversi giorni dall’esecuzione di Beitris, da quando egli era rimasto sepolto vivo dentro la galleria.
Tra i due doveva esser sicuramente accaduto qualcosa, dedusse padre Thomas.
I soli che si erano presentati al loro cospetto, chiedendo di poter vedere Judith, erano stati Hinedia e padre Craig.
Hinedia era giunta un paio di volte.
Il prete straniero, invece, bussava al portone quasi ogni giorno, chiedendo di lasciargli vedere la ragazza.
Ovviamente, i monaci si erano mostrati intransigenti, anche dinnanzi a lui.
Tuttavia, la persona che si era presentata quella mattina, pretendendo  di vedere la fanciulla, era diversa da tutte le altre.
Padre Thomas osservò l’avvenente figura della ragazza inginocchiata a terra: la lunga cascata ondulata di capelli cremisi le scendeva giù ovunque, coprendole spalle, braccia, schiena; la veste leggera le accarezzava dolcemente il corpo diafano, morbido e curvilineo, più femmineo di qualsiasi altro, colmo di ben tre vite umane.
Tre gemelli. Il numero maledetto.
L’uomo le si avvicinò con il vassoio fumante in mano. – Ti ho portato la colazione, cara: patate dolci, purea di frutta fresca e pagnotte al miele, come piacciono a te.
Judith non reagì in alcun modo: restò con il volto verso l’altro, a guardare il cielo, come un felino in cattività, tuttavia quieto, rassegnato del proprio destino.
A padre Thomas fece male vederla così.
Per questo aveva preso la decisione di spezzare quella routine durata sei giorni, e di permetterle di vedere quell’insolita persona che aveva domandato di vederla, un’ora prima.
La ragazza alzò una mano, piccola e bianca come il latte, priva di guanti, di anelli, e di qualsiasi altro abituale ornamento, e la posò sul proprio pancione, come se potesse sentire il respiro dei bambini al suo interno.
Padre Thomas avrebbe tanto voluto chiederle come fosse possibile, che lei non desiderasse e amasse quelle creature, sangue del suo sangue, carne della sua carne.
Avrebbe dovuto essere naturale, per ogni donna, amarle e volerle proteggere.
Judith era anormale? Cosa aveva che non andava? Perché il Diavolo l’aveva resa così gelida nei confronti del frutto del proprio ventre?
Ogni madre amava.
Era una legge umana che a padre Thomas era stata insegnata fin dalla nascita, così come a chiunque altro.
Le madri che non amavano, erano donne che non meritavano di essere donne, che non meritavano né pietà, né comprensione, né di continuare a vivere.
Erano madri snaturate.
Tuttavia, con Judith era diverso. Non avrebbero mai e poi mai potuto ucciderla.
Judith era la loro figlioccia.
- Padre? – esalò la fanciulla, con la sua voce stranamente soave e leggera come un battito d’ali di farfalla.
- Sì, mia cara? – si riscosse subito l’uomo, accovacciandosi accanto a lei e guardandola in aspettativa. - Ti senti male…? I bambini ti recano dolore?
- Padre, ti ricordi che aspetto avesse mia madre? – gli domandò a bruciapelo, con una tranquillità ultraterrena, facendolo impallidire.
Se ricordava Bernadette Livian?
- Vagamente, cara.
- E com’era? – domandò lei, portando finalmente i suoi occhi grandi e neri come il carbone sui suoi. – Io non riesco più a ricordarla.
- Era… bellissima.
Era deprimente, non sapere cos’altro dire di lei.
Era vero, la ricordava vagamente, quella ragazza che pregava tremante, ai piedi dell’altare, consapevole del proprio destino.
Quella giovane fanciulla con lo sguardo dolce, privo di qualsivoglia malizia o malvagità.
Quella ragazza così diversa da Judith.
Ricordava che aveva degli occhi meravigliosi, superati in bellezza solo da quelli di Judith stessa.
D’altronde, era così, no? Ogni figlio superava il suo progenitore. In tutto.
Era il destino di tutti loro.
E per i figli del Diavolo, tale legge naturale, sembrava essere più totalizzante che mai.
La nuova generazione di servi del Diavolo (quella a cui apparteneva anche Judith), non a caso, era in assoluto la più bella, ribelle ed intelligente che si fosse mai vista a Bliaint.
E padre Thomas, con la sua veneranda età, poteva certo ben dirlo.
Alcuni di loro erano scolpiti nella mente di padre Thomas, più di altri:
C’era Cedric, il figlio del macellaio, il più grande di sette fratelli, che aiutava la sua famiglia in ogni modo e portava avanti l’attività quasi autonomamente, non lamentandosi mai; e che durante l’epidemia si era prodigato più di tutti gli altri per assistere i malati e fare la sua parte, rischiando di ammalarsi a sua volta.
C’era Mary Claire, che era una locandiera della Taverna, e faceva di tutto per aiutare in ogni modo i bambini orfani di Bliaint, indipendentemente dal culto, dando loro cibo, un letto caldo, un posto dove stare, nonostante non avesse posto per tutti, e talvolta non aveva il pane neanche per se stessa e per i suoi genitori.
C’era Ephram, che si era autoproclamato leader della compagnia di stregoni eremiti, facendosene portavoce, combattendo per la causa che riuniva ogni praticante di magia nera emarginato ed escluso; un giovane uomo che li aveva messi in difficoltà in ogni modo possibile, un combattente nato.
C’era stata Beitris, che aveva portato avanti, da sola, una delle rivoluzioni più distruttive che aveva conosciuto Bliaint, prendendosene le responsabilità, pur di far valere i suoi diritti e di salvare Maroine e Maringlen.
C’era stato Folker. Folker, che aveva accettato senza lamentarsi una punizione troppo dura per lui, troppo dura per chiunque; sopportando mesi di torture giornaliere sulla propria pelle e sulla propria mente, venendo emarginato a causa dell’accusa di essere una creatura mitologica e pericolosa, un’accusa che nessuno aveva mai confermato in alcun modo.
E poi c’erano loro… Blake e Judith.
Blake che, fin da quando era venuto al mondo, aveva come unico obiettivo quello di sfasciare ogni convinzione universalmente riconosciuta e accettata, di demolire ogni credo comune, rischiando grosso e mettendosi in pericolo incurantemente; ribelle, intelligente e spavaldo, quel ragazzo poteva diventare un’arma, così come poteva costituire la rovina di Bliaint.
Per finire, c’era Judith.
Judith era la giovane donna più ambiziosa, decisa, ostinata, furba e controversa che padre Thomas avesse mai visto e conosciuto. Judith, come Blake, sembrava non temere nulla, quando si trattava di raggiungere i suoi obiettivi. Se si metteva in testa di raggiungere qualcosa, presto o tardi lo avrebbe fatto. Non provava vergogna, non provava alcuna forma di insicurezza, sapeva quanto valesse, ma soprattutto, sapeva cosa volesse, e cosa avrebbe dovuto fare per ottenerlo.
Forse era proprio per questo suo forte spirito di indipendenza e per la controversia interna che la animava, che non voleva dei figli.
Ad ogni modo, per quanto padre Thomas, segretamente, ammirasse ognuno di loro, alcuni di quei ragazzi erano sin troppo dannosi per il sistema di cose e di valori che avevano con tanta fatica eretto a Bliaint.
Se il loro villaggio era diverso da tutti gli altri, un porto sicuro e protetto da ben due Signori onnipotenti, era solo grazie all’immenso lavoro che avevano fatto per conquistarsi la benevolenza dei due.
Non potevano permettere a dei fanciulli di rovinare tutto il lavoro che avevano portato a termine faticosamente, in secoli e secoli.
Alcuni di loro erano già stati eliminati.
Altri… lo sarebbero stati, in futuro. Tempo al tempo.
- C’è una persona che vuole vederti, cara – le disse di getto, riscuotendosi autonomamente da tali elucubrazioni.
Judith sembrò non dare importanza a quell’informazione.
- Non vuoi sapere chi sia? – incalzò il monaco, portandole una morbida ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio.
- Non voglio vedere nessuno.
- Tuttavia, la persona che si è presentata al nostro cospetto oggi… dice che nutre dei desideri suicidi. E che solo vederti potrebbe fargli cambiare idea.
Judith alzò un sopracciglio, scettica. – Mi sembra un po’ drastico.
- È un giovane servo del Creatore.
L’improvviso timore si trattasse del suo persecutore e stupratore fece vibrare di ansia e angoscia le membra della giovane donna.
- Ti sembra così strano che un giovane servo del Creatore sia così smanioso di poter vedere una serva del Diavolo? – aggiunse padre Thomas, cercando di sdrammatizzare, di fare dell’ironia.
- E non sarebbe dunque vostro compito allontanare servi del Creatore e del Diavolo dal peccato? – gli rispose per le rime Judith, affatto in vena di scherzare.
- Ad ogni modo, mi ha assicurato che la tua empatia era stata in grado di consolarlo, in passato. Ha da poco perso una persona cara.
- Qual è il suo nome?
- Kåre Ambrose. Potrebbe farti bene prendere un po’ di aria fresca…
E se ti comporterai bene, cara, convincerò gli altri a lasciarti uscire, di tanto in tanto – la rassicurò dolcemente, come avrebbe fatto un padre con la propria figlia, chiusa in gabbia.
- Digli che mi vesto e scendo.
 
Dopo più di un’ora d’attesa, Ambrose intravide la figura di Judith avvicinarsi a lui.
La fanciulla era vestita in maniera molto più semplice del solito, ma sempre curata; sembrava più giovane, e nonostante le scure occhiaie e lo sguardo distaccato e stanco, era ancor più bella di quanto già lo fosse solitamente.
- Venite, usciamo di qui – fu la prima cosa che gli disse lei, facendogli strada verso l’uscita della cattedrale.
Una volta fuori, i due presero a passeggiare, diretti verso il prato.
- Sono felice stiate bene. Vi tengono chiusa lì dentro senza farvi uscire? – le domandò d’improvviso il ragazzo.
- Perché avete chiesto di vedermi, Ambrose? – gli rispose invece lei, andando diretta al punto, ma mantenendosi serena e pacata.
- Ho assistito anche io a quello che avete fatto durante l’esecuzione di Beitris – le disse. – Ciò che ho visto mi ha provocato incubi ogni notte.
- Mi fa piacere sentirmelo dire…
- No, non sono qui per incolparvi o farvi sentire peggio di quanto già vi sentite – la bloccò lui, arrestando il passo e guardandola. – Potete anche aver ucciso orribilmente una donna, a causa di un errore di composizione, tuttavia, avete dato una lezione ai monaci, facendoci capire che, se volessimo, potremmo abolire il rogo, e adottare altri metodi di esecuzione.
- Non è un traguardo che raggiungeremo a breve, dopo quello che è accaduto.
Ho buttato all’aria ogni possibilità di ottenere un cambiamento concreto.
- Non è vero.
Avete avuto coraggio.
Judith gli rivolse un sorriso accennato, amaro. – Siete l’unico a pensarla così. Ma vi ringrazio. Ad ogni modo, non dite più a padre Thomas un’affermazione tanto estrema quando chiedete di vedermi: ha creduto, per un attimo, che foste infatuato di me.
- L’ho detto perché pensavo fosse l’unico modo che li avrebbe convinti a farvi uscire… - ammise lui, abbassando lo sguardo e riflettendo.
Judith lo osservò. – E voi? Come state?
Ambrose rialzò lo sguardo su di lei, guardandola a sua volta. – Sarebbe tutto più semplice, vero…?
- Che cosa? – domandò Judith, confusa.
- Essere innamorato di voi, invece che di … - la voce gli si soffocò in gola, facendolo bloccare, a pugni stretti, con quel familiarissimo senso di vuoto e magone di sofferenza che gli si annidava sullo stomaco, estendendosi ovunque.
- Ambrose, che state dicendo?
- Sarebbe più semplice. Riuscire ad innamorarmi di una donna. Di una donna come voi.
- Non sarebbe comunque più semplice, né meno dannoso: ci sono stati uomini, servi del Creatore, che si sono innamorati di me, e vi posso garantire che non è stato affatto facile per loro – chiarì, andando a sedersi sopra la superficie di uno spazioso masso, sentendo già la schiena affaticata per il peso dei tre gemelli.
Ambrose la raggiunse. – Sì, avete ragione. Tuttavia, sarebbe più semplice, da accettare, per un servo del Creatore, innamorarsi di una serva del Diavolo, piuttosto che di un ragazzo. Di qualsiasi culto esso sia.
Judith dovette convenire che avesse ragione: per i servi del Creatore la situazione era più complessa.
I servi del Creatore non permettevano in alcun modo i rapporti tra persone dello stesso sesso, al contrario dei servi del Diavolo.
- E, per complicarmi la vita oltre ciò che è accettabile… io non solo mi sono innamorato di un ragazzo… ma anche di un ragazzo servo del Diavolo – spirò con voce rotta, sotto la quale era nascosta una rabbia e una frustrazione palpabili, che fuoriuscivano da lui quasi in forma aerea.
Una nuvola nera pronta a scagliarsi su chiunque.
- Quello che sono è sbagliato.
Quello che provavo e provo per lui è sbagliato.
Per questo sono venuto a cercarvi, oggi: voglio usare il marchingegno che avete usato su Beitris, su di me, per togliermi la vita.
A tale dichiarazione, Judith sgranò gli occhi, catapultandoli immediatamente sul ragazzo accanto a lei, che la guardava con una decisione d’acciaio negli occhi.
- Siete fuori di voi…?
- Se vi state chiedendo come mai non mi sono già appeso una corda al collo come ha fatto Folker, per mettere fine a tutto questo dolore in maniera molto più veloce e umana, vi rispondo subito: voglio morire purificato  dal fuoco della polvere nera.
Siete stata voi a dire che un fuoco vale l’altro, durante l’esecuzione di Beitris: il fuoco purifica, dunque anche il fuoco scaturito dalla polvere nera purifica.
Beh, io voglio essere purificato.
Sono impuro, so di esserlo, come ho detto.
Proprio per questo vorrei che i miei desideri e i miei atti impuri vengano purificati col fuoco, mentre pongo fine alle mie sofferenze.
Ho pregato il Creatore e ho capito che è questa la via.
Certo, potrei pur sempre autodenunciarmi ai monaci, dicendo loro ciò che ho fatto con Folker, facendomi così bruciare al rogo.
Tuttavia… se lo facessi, rovinerei anche quel poco di buon ricordo che il popolo ha di Folker, ed è l’ultima cosa che vorrei. Inoltre… per quanto sia stato atroce vedere Beitris morire in quel modo… lo preferisco mille e più volte, rispetto alla morte al rogo – concluse il ragazzo, attendendo la risposta della serva del Diavolo.
Judith lo osservava sconcertata, nonostante quel velo di stanchezza che le aveva visto poco prima imperasse ancora sul suo bel viso.
- So che può sembrare strana, la mia richiesta…
Ma mettetevi nei miei panni, Judith…
Io non ce la faccio più. Non riesco più a vivere senza di lui, sapendo di avergli fatto del male…
Credetemi, è meglio così. Nessuno saprà che mi avrete dato il marchingegno. Se vorrete nascondere le prove, potete bruciare il mio corpo non appena sarò morto, e nessuno saprà nulla. La mia famiglia se ne farà una ragione, con il tempo.
Vi prego, datemi il marchingegno…
Judith gli prese il viso tra le mani, facendogli sentire la consistenza delle proprie mani fredde e morbide sulle guance dure.
La ragazza aveva due biglie nere e lucide, al posto degli occhi, profonde come gli anfratti dell’inferno:
- In te
Non c’è nulla
Di sbagliato – scandì bene ogni parola, con la voce tremante e rotta dal pianto, sperando che quel concetto gli entrasse bene in testa.
Ambrose iniziò a piangere a sua volta, poggiando le proprie mani grandi e calde su quelle di lei. – Non dite così… non ditelo…
- Non c’è nulla di sbagliato nell’amare un uomo.
Non c’è nulla di sbagliato nell’amare una donna.
Non c’è nulla di sbagliato nell’innamorarsi di una persona dello stesso sesso.
Sono stata chiara, Ambrose…?
Non sei sbagliato.
Non lo sei!
Altre corpose lacrime bagnarono le guance del ragazzo, il quale si lasciò andare ad un pianto liberatorio.
- Se non sei in grado di amare le donne, va bene lo stesso.
Va bene, Ambrose – persistette lei. – Riuscirai ad accettare questo lato di te, presto o tardi. Lo farai. Riuscirai a superare la morte del tuo disperato e folle amore.
Ce la farai.
Ma io non ti darò mai il marchingegno.
Tu non morirai così.
Tu non morirai.
Mi hai sentito bene?
Ambrose la guardò negli occhi, annebbiati completamente dalle lacrime, e pensò che, se mai il Creatore avesse creato degli angeli custodi per i suoi sudditi, questi dovevano avere sicuramente l’aspetto di Judith.
Sfinito, Ambrose annuì, continuando a far fuoriuscire tutte le lacrime che si erano accumulate dentro i suoi occhi: se suo padre lo avesse visto in quello stato, a singhiozzare come una bambinetta, lo avrebbe preso a calci nel didietro e lo avrebbe mandato a dormire con le pecore.
Invece Judith lo consolò e lo rincuorò, ancora una volta, a modo suo.
- E poi.. – disse ad un tratto la ragazza, rivolgendogli un sorriso minuscolo e dall’aria vagamente divertita. – Hai sbagliato in principio a venire da me: il marchingegno lo ha creato Blake. È lui ad averne altri, nella fucina, non io – lo informò, facendolo sorridere lievemente a sua volta.
- Dunque, sarei dovuto andare da lui.
- Esatto.
- Credi me lo avrebbe dato?
Judith portò lo sguardo altrove. – Il marchingegno avrebbe dovuto funzionare in maniera diversa, Ambrose. Lo abbiamo creato per recare una morte indolore. Non certo come quella che hai visto qualche giorno fa. Sono stata io che ho sbagliato ad usarlo.
Blake sarebbe in grado di utilizzarlo nella maniera corretta, puoi starne certo.
Ma, giunti a questo punto… è comunque tutto inutile.
Se ti avrebbe accontentato? Se avessi saputo convincerlo con le parole giuste, sì.
È stata una fortuna che, invece, tu sia venuto qui da me.
- Ho saputo che è rimasto sepolto per quasi un giorno intero sotto la galleria, e che è vivo per miracolo. Come sta?
- Non lo so, Ambrose.
Non ne ho la minima idea.
 
 
Quaglia corse, corse più veloce che poteva.
I suoi vestiti erano sudici, la testa gli doleva, le gambe non se le sentiva neanche più.
Il respiro corto gli mancò e credette di star per svenire, ma rinsavì nel momento in cui adocchiò, a distanza, i contorni di Bliaint.
Sorrise sfinito e riprese a correre e a correre, con il cuore, l’anima e il corpo pesanti.
Quando, finalmente, si ritrovò dinnanzi all’abitazione di suo interesse, alla casa che tanto gli era mancata nel corso di quelle lunghe settimane, dovette fare uno sforzò sovrumano per non crollare lì, davanti l’uscio.
Si trascinò fino alla porta e bussò violentemente, persistentemente, sperando che le gambe gli reggessero.
Poi un dolore cieco lo colpì alla testa e indietreggiò, ansimando.
Le gambe gli tremarono talmente tanto che cadde inginocchiato a terra.
Eppure… le sue speranze si animarono quando udì il rumore della porta di casa aprirsi.
Da quella posizione, riusciva a scorgere solamente gli stivali neri e familiari di colui che aveva aperto, e ora se ne stava lì, probabilmente a guardarlo a distanza.
Probabilmente deluso da lui, ipotizzò Quaglia.
Deluso perché li aveva abbandonati, senza una spiegazione, assentandosi per settimane.
L’uomo continuò a fissare quegli stivali con il respiro ansante, e con le ultime forze rimastegli, esalò le prime parole dopo giorni:
- Lo so…
Lo so… Mi dispiace…
Probabilmente non vorrai più vedermi…
Sono stato uno stupido, ma dovevo farlo…! Dovevo provarci!
Io dovevo- le parole gli morirono in gola nel momento in cui quegli stivali scattarono in avanti, e Quaglia si ritrovò inaspettatamente invaso da un abbraccio caldo e strettissimo.
L’abbraccio più sorprendente, curativo e sentito che avesse mai ricevuto in vita sua.
Un abbraccio così bello, che lo portò alle lacrime.
Blake, inginocchiato dinnanzi a lui, lo strinse a sé come se lo stesse salutando prima di andare al patibolo, con forza, infinito affetto e dolcezza.
Quaglia pianse, pianse di gioia e, nonostante l’assenza di forze, ricambiò l’abbraccio a tentoni, stringendolo a sé a sua volta, sollevato, rincuorato, felice.
- Mi sei mancato… - gli sussurrò il ragazzo all’orecchio, con voce spezzata, accarezzandogli i capelli come avrebbe fatto ad un fratello.
Quaglia affondò il naso sulla sua spalla, singhiozzando. I vestiti che indossava Blake erano quelli che usava solitamente per lavorare alla fucina, e odoravano di carbone. Quaglia inspirò quell’odore a pieni polmoni, beandosene, convincendosi di essere finalmente tornato a casa.
- Avevi detto niente abbracci, né dimostrazioni d’affetto… - sussurrò sorridendo, placando lievemente il suo pianto, mentre lo stringeva ancora, bisognoso di quel calore che non si aspettava di ricevere.
- Sta’ zitto – rispose per le rime il ragazzo, facendolo ridere.
Blake si staccò da lui e gli prese il viso tra le mani, per osservarlo bene, ancora totalmente sconvolto e felice di trovarselo lì davanti a sé. – Non riesco a credere tu sia tornato…
- Sono stato via solo qualche settimana… - rispose Quaglia, sorridendo ancora amaramente, mentre stringeva le spalle di Blake e lo osservava a sua volta, carpendone ogni cambiamento. I suoi capelli sembravano un po’ più chiari rispetto all’ultima volta che li aveva visti.
- Che ti è successo? Sei più magro e sembra tu stia per morire.. – constatò Blake.
- Ho solo bisogno di riposo, di calore e di un pasto caldo. Anche i tuoi abbracci non sono male, come inizio.
Blake gli donò un altro meraviglioso sorriso in risposta, di quelli rari, che non si riuscivano mai a vedere sul suo viso.
- Vieni dentro – lo incoraggiò, aiutandolo ad alzarsi in piedi. - Aspetta che padre Craig ti veda e piangerà più di quanto abbia fatto tu ora.
Quaglia si lasciò condurre dentro casa, chiedendo a Blake se anche Heloisa e Ioan fossero in casa.
Egli gli rispose che Heloisa era fuori, mentre Ioan dormiva.
Quando padre Craig raggiunse l’atrio a sua volta, non credette ai suoi occhi.
Come aveva predetto Blake, pianse, abbracciandolo fino a togliergli il fiato, sotto gli occhi gioiosi di Blake.
Poi, inaspettatamente, anche qualcun altro si unì a loro:
Un frenetico bussare alla porta li spinse ad aprire, rivelando la figura di Ephram davanti l’uscio.
Sembrava che lo stregone avesse appena percorso tutto il continente a piedi per raggiungerli nel minor tempo possibile.
Gli occhi di Quaglia si inumidirono di nuovo spontaneamente, non appena vide anche lui.
Ephram lo guardava sconcertato, quanto lo era stato Blake poco prima.
Non vi fu bisogno di chiedergli come facesse a sapere che fosse tornato.
- Ho sentito  che stavi tornando… la magia me lo ha rivelato – disse lo stregone, evitando di aggiungere che avesse seguito i suoi passi sin dal momento in cui aveva lasciato Bliaint, sapendo dove si trovasse: Blake e tutti gli altri avevano fatto di tutto per scoprire dove Quaglia potesse essere andato. Se avessero scoperto che lo stregone ne era a conoscenza, e avesse comunque scelto di non informarli, non avrebbero reagito bene, Blake in particolar modo.
E l’ultima cosa che gli serviva, era un’ulteriore lite con Blake.
Ephram e Quaglia si mossero in contemporanea, incontrandosi a metà strada e abbracciandosi caldamente.
- Sono felice che tu stia bene, amico mio – gli disse Ephram, stringendolo, venendo subito ricambiato.
- Anche tu, mascalzone – rispose Quaglia in un sorriso, per poi staccarsi da lui, ancora sofferente.
Lo sguardo che Ephram rivolse a Blake in quel momento, Quaglia non seppe decifrarlo. Capì che doveva esser accaduto qualcosa tra i due.
- Io ho assoluto bisogno di riposo, di cibo e di cambiarmi di vestiti – disse loro Quaglia, abbandonandosi sulla poltrona. – Blake, potresti prestarmi alcuni dei tuoi vestiti, temporaneamente? Il sacco con le mie cose è andato perduto lungo la strada…
- Vado a prenderli. Ad ogni modo, ti lasceremo dormire un po’ ora, hai bisogno di riprenderti.
Poi, una volta sveglio, usciremo e andremo alla locanda, così potrai mangiare a sazietà. E ci racconterai tutto.
Le parole di Blake avevano un sottotesto ben chiaro: Heloisa sarebbe potuta tornare da un momento all’altro, ed era meglio che meno persone possibili ascoltassero ciò che Quaglia avesse da dire, qualsiasi cosa fosse.
Blake era sempre stato prudente, e Quaglia non avrebbe potuto essere più d’accordo con lui.
Fecero come il ragazzo aveva detto.
Quaglia dormì qualche ora, riposandosi e riacquisendo le forze.
Quando si svegliò, Ioan lo salutò a dovere a sua volta, poi partirono tutti e quattro in direzione della locanda sopra la galleria; ma non prima di aver accompagnato Ioan a casa di uno degli otto bambini dei vizi capitali.
Una volta dentro, Quaglia ordinò da mangiare otto porzioni di cibo, talmente tanto, che il proprietario della locanda temette che gli avrebbe fatto terminare le scorte: patate arrostite, zuppa di fagioli, pagnotte al burro, stufato di capra, sformato di verdure, uova, ceci al rosmarino e ricotta dolce.
E mentre attendevano l’arrivo del cibo, Quaglia cominciò a raccontare tutto.
Gli raccontò della sua decisione, del motivo per cui aveva voluto provare a convincere i comandanti delle truppe del conte a fare marcia indietro, tornandosene da dove erano venuti.
Era andato da solo, sperando di passare per un messaggero di Bliaint, non pensando di dover fare i conti con delle persone che non erano affatto delle sprovvedute, e che dubitavano delle sue parole sulla base del fatto che non lo credevano abbastanza attraente per essere un servo del Diavolo di Bliaint.
Gli raccontò di Gerda e di Selen, così come del comandante Charles, un uomo deprecabile e infido, sotto ogni punto di vista.
Narrò loro cosa aveva detto per convincerli, e del fatto che, inizialmente, sembravano fidarsi di lui, sembravano quasi credere alle sue parole.
Non a caso, lo tenevano rinchiuso in una stanza, sì, ma non lo trattavano come un vero e proprio prigioniero: gli davano cibo e gli permettevano di lavarsi.
Eppure… col passar dei giorni, Charles iniziò a rifiutare internamente l’idea che l’unico motivo per cui erano giunti lì, fosse morto al rogo, come quel messaggero diceva. L’idea di accontentarsi delle gemme non gli andava più bene. Il conte voleva Blake. E se anche Blake fosse stato davvero morto… allora avrebbero trovato un altro ragazzo da portargli, in sostituzione, fingendo che fosse lui. Non importava se avrebbero dovuto affrontare maledizioni lanciate su di loro e incantesimi di magia nera scagliati sulle loro truppe, dagli abitanti di Bliaint. Non gli importò più nulla.
Fu così che iniziò il declino del loro “accordo”, che pareva quasi concluso.
Charles voleva la verità. Voleva la verità, e sentiva di non starla ricevendo da Quaglia.
Fu per tale motivo che decise di giocare sporco.
- È iniziato tutto qualche giorno fa, di mattina – cominciò a raccontare il ricordo tremendo che l’aveva fortemente segnato, che avrebbe portato sempre con sé, e che l’aveva fatto tornare a Bliaint. – Sentivo ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa di diverso: Gerda non era venuta a portarmi la colazione come ogni mattina. Fortunatamente, la piccola era stata chiusa in una stanza, così le è stato risparmiato l’atroce spettacolo a cui ho dovuto assistere io – la sua voce era diventata più scura, traballante, il suo sguardo fisso nel vuoto, spento. – I soldati mi hanno portato dentro un’altra abitazione, apparentemente abbandonata. Lì dentro, c’erano Charles, che mi attendeva in piedi, e la povera Selen, stesa su una tavola di legno, con caviglie e polsi legati stretti a delle corde.
Il suo volto era mortalmente spaventato. Ogni volta che mi addormento… rivedo i suoi occhi, le sue labbra tremanti, i suoi denti battenti.
Mi tennero fermo, mentre le quattro corde legate agli arti della donna si tendevano sempre più, tirate da altrettanti uomini. I suoi arti si tesero all’inverosimile e lei iniziò ad urlare.
Non avevo mai visto nessuno venire torturato, prima d’ora. E anche se lo avessi visto… non potrei ricordarlo, lo sapete.
Charles la torturò, cercando di farmi parlare, continuando a farmi le stesse domande che lo tormentavano:
Il ragazzo che cerchiamo è morto davvero?
Tu sei realmente un servo del Diavolo di Bliaint, o solo un impostore?
Gli stregoni di Bliaint hanno davvero lanciato una maledizione su di noi?
Fino a che punto può arrivare la loro magia?
Io non risposi, mai.
In alcuni momenti… quando le urla di Selen raggiungevano picchi che le mie orecchie non erano più in grado di sostenere… avrei voluto cedere, cedere e rivelargli tutto, per poi farmi ammazzare lì, a mia volta.
Ma non potevo. Non potevo farlo. Non potevi tradirti… - disse con voce rotta, posando gli occhi su Blake, del quale il volto era una livida maschera agghiacciata.
- Io dovevo proteggervi, tutti voi – continuò Quaglia. – Ed è quello che ho fatto. Ho resistito, fino all’ultimo… facendo ammazzare quella donna davanti ai miei occhi, in maniera disumana: quando le corde tirarono troppo, le braccia le si staccarono dal corpo, poi fu il turno delle gambe, in un tripudio di sangue denso.
Ancora non so dire se sia morta dissanguata o per l’immenso dolore provato.
Sta di fatto che, dopo qualche secondo, le sue urla sono cessate di colpo, la sua bocca è rimasta spalancata, immobile.
“Questo è colpa tua” mi sussurrò Charles, ordinando poi di farmi riportare nella mia stanza, sorvegliato.
Quella notte stessa, mentre ero sul mio letto, con gli occhi spalancati per l’orrore di ciò che avevo vissuto… la porta della stanza si aprì, rivelando la figura della piccola Gerda.
Il suo volto giovane era tumefatto dal dolore, dal pianto, dalla perdita di ogni speranza.
Avrei voluto solo abbracciarla e stringerla a me, ma mi sentivo troppo in colpa per farlo…
Lei si avvicinò a me. Credevo fosse infuriata con me, invece mi tese la mano.
Mi disse che oramai non aveva più nulla per cui vivere.
Tuttavia… se io avevo ancora qualcuno per cui vivere… lei mi avrebbe aiutato.
Così, con i poteri che solo una bambina possiede, aprì la finestra sigillata con una chiave che era riuscita a rubare alle guardie armate, e mi aiutò a scappare.
L’ho pregata di venire con me, ma le mie parole non sono servite a nulla: il suo sguardo era quanto di più vuoto e incolore avessi mai visto.
L’ho lasciata lì e sono scappato via, riuscendo miracolosamente a non farmi vedere dalle guardie che sorvegliavano l’entrata del villaggio.
Poi, dopo giorni di corsa … sono arrivato qui – concluse.
Nessuno commentò nulla, né emise un singolo fiato, per diversi minuti.
Solo il rumore delle posate degli altri clienti della locanda colmò l’impenetrabile silenzio.
Gli occhi di Quaglia ebbero il coraggio di posarsi su quelli di Blake: il volto del ragazzo rivelava il nulla. Era algido, distante, perso nel vuoto, le mani strettissime intorno alle braccia conserte.
- Mi dispiace, Blake…
So quanto fossi legato a loro.
- Non le è rimasto nulla – fece udire la sua voce Blake, gli occhi di tutti gli altri puntati su di lui. – Non le è rimasto più niente – si riferiva ovviamente a Gerda, la sua apprensione era rivolta a lei. Non sarebbe mai e poi mai riuscito ad immaginare come si sentisse, quella dolce e intelligente piccola donna, che era stata dalla sua parte sempre, dall’inizio alla fine.
Le sue iridi sfuggirono al vuoto e si posarono su Quaglia, seduto accanto a lui, in quel piccolo tavolo tondo che li ospitava tutti e quattro. – Non merito tutto ciò che hai cercato di fare per me – gli disse solamente. – Non avresti dovuto.
- Dovevo provarci – insistette l’uomo, posandogli una mano sul ginocchio e stringendoglielo calorosamente. – Dovevo, Blake. Ho fallito…
- Non hai fallito – intervenne Ephram. – Sei stato coraggioso, scaltro, leale… solo per questo, non hai fallito. Inoltre, ora hanno ancora più paura di noi e della nostra magia. Se il Diavolo ci assisterà, quegli uomini potrebbero rinsavire e decidere anche domani di lasciare la nostra terra. Non è stato tutto inutile, Quaglia – lo rassicurò, a modo suo.
- Ti ringrazio, amico mio. Ma avrei dovuto tener conto di più fattori, per compiere un’impresa simile.
- Tu non hai negato nulla della tua versione iniziale – disse la sua anche padre Craig, non appena si riprese emotivamente dall’impatto devastante che aveva avuto su di lui la descrizione della tortura della donna. – Quindi, nell’effettivo, non sei un bugiardo. Tu potresti aver detto la verità, nella loro concezione, dato che non hai negato nulla, nonostante la tortura.
- Vorrei fosse così semplice.
Hai ragione sì, ma rimane il fatto che Charles non mi crede.
E poi… loro vogliono comunque un bottino da portare al loro conte.
Agloveil vuole un ragazzo che riesca a praticare con successo la trasmutazione dei metalli, ed è quello che avrà, anche se Blake dovesse morire nel frattempo, o fosse già morto.
E poi… non aspettatevi che si limiteranno a lui.
La vostra fama vi precede, e quegli uomini sono famelici: non riusciranno a trattenersi dal saccheggiare il vostro villaggio e dal fare quanti più schiavi possibili, non appena giungeranno qui.
- Questo era piuttosto scontato – commentò Ephram in un sospiro.
- Ad ogni modo, non è tutto. Potremmo ancora avere una possibilità – annunciò Quaglia, ed Ephram non aspettava altro che introdusse l’argomento.
- Che possibilità? – gli domandò padre Craig, spaesato.
Un piccolo sorriso ornò il volto dimagrito di Quaglia.
Un sorriso speranzoso e colmo di tenerezza, che non passò inosservato a Blake.
- Devo rivelarvi qualcosa, amici miei … mentre ero a Carbrey, io… mi sono ricordato di avere un figlio.
Padre Craig e Blake ebbero reazioni piuttosto simili a tal notizia, sgranarono gli occhi meravigliati e stupiti, mentre Ephram si finse sorpreso.
- Un figlio…? – gli domandò padre Craig, sorridendo per lui. – Quaglia, è meraviglioso! Com’è successo??
- Non lo so… stimoli visivi e uditivi che hanno colpito qualche parte della mia memoria, probabilmente… - rispose Quaglia, non riuscendo a non nascondere la felicità, voltandosi poi a guardare Blake.
Il ragazzo, in silenzio, sorrideva nella sua direzione; il volto che, nonostante tutto ciò che aveva appena udito, riusciva ancora a manifestare, seppur discretamente, della gioia sincera.
- E com’è? – gli domandò curioso, donando a Quaglia un altro bel sorriso.
- Lui è… - chiuse gli occhi, ripensando al fatto che fosse davvero incredibile e bellissimo riuscire a ricordarlo così bene. – Ruben è audace, deciso e sveglio. Ma, al tempo stesso, ha un animo sensibile, sin troppo profondo, per un ragazzino della sua età. Somiglia incredibilmente a sua madre.
- Quanti anni ha? – domandò padre Craig.
- Dodici.
- Ma è un ragazzino. Quaglia, dovrebbe vivere ancora con te. Che fine ha fatto? – indagò il giovane prete.
- Si è arruolato nell’esercito qualche anno fa.
- Parli sul serio..? – domandò Blake, confuso.
- Nell’esercito del tuo villaggio accettano bambini?? – aggiunse padre Craig, costernato.
- Già… ricordo vagamente che non fossi d’accordo con la sua decisione, e di aver provato a convincerlo a restare, ad aspettare qualche anno.
Ma non ricordo altro.
- E come ti senti, a riguardo? – intervenne anche Ephram.
- Come mi sento?
Come si sente un padre, dopo aver appena ritrovato un figlio?
Un padre che scopre di essere un padre.
Sento che mi manca infinitamente, e che ora non vorrei altro che averlo qui con me e stringerlo, rivederlo.
Darei qualsiasi cosa per rivederlo. E per farvelo conoscere, ovviamente. Sono certo che vi piacerebbe!
- Ne sono sicuro. Dovrai farlo venire, non appena potrà – confermò Blake, rivolgendogli un altro sorriso lieto. – Ma perché hai detto che potrebbe esserci ancora una possibilità, poco fa?
- Gli ho scritto una lettera, mentre ero a Carbrey.
Ho pensato al fatto che, se Ruben è nell’esercito, potrebbe venire in nostro soccorso e convincere le truppe di cui fa parte a combattere per noi, per difenderci.
Credo che la mia lettera gli sia giunta.
Blake lo guardò, confuso oltre ogni immaginazione. – Sai dov’è?
- No.
- Allora come hai fatto ad inviargli una lettera? Con le truppe del conte a sorvegliare Carbrey, per lo più?
- Non lo so, ma… sento come se qualche forza magica, da qui, sia venuta in mio soccorso per far giungere la mia lettera a Ruben in breve tempo – disse. – Non chiedetemi come, ma sono certo che è così.
Ephram non commentò nulla a riguardo, limitandosi ad osservare la reazione di Blake.
Come immaginava, il ragazzo doveva aver fatto già due più due, in quanto fece saettare gli occhi su di lui, non dicendo nulla.
- Sì, ma… spiegami meglio: hai scritto una lettera a tuo figlio, che immagino sia una recluta, data la giovanissima età, chiedendogli di convincere i suoi superiori a venire in nostro soccorso… non sapendo neppure dove si trovi al momento, e se farà davvero come gli hai chiesto. E anche nel caso fosse come dici tu, e la lettera gli fosse arrivata, e lui desiderasse aiutarci… c’è la grande probabilità che non riesca a convincere i suoi generali a combattere, da un giorno all’altro, per un villaggio straniero con cui non hanno alcun legame – osservò giustamente padre Craig.
Sempre dando per scontato che tuo figlio sia vivo e vegeto e che stia bene, il Signore lo voglia…  pensò anche il giovane prete, ma se lo tenne per sé.
- Ci è riuscito – intervenne improvvisamente Ephram, dando a Blake e a Quaglia la conferma alle loro supposizioni. – Ruben è già riuscito a convincere i suoi generali, garantendo per noi e promettendo ai suoi superiori pietre preziose e gemme della nostra galleria, in cambio. L’ho visto.
A tali parole, anche padre Craig sembrò capire. - Beh, allora… se è così, siamo salvi. Di cosa ci preoccupiamo, dunque?
- Il nostro problema è essenzialmente uno soltanto: le truppe di cui fa parte Ruben sono salpate qualche giorno fa dalle coste dell’Asia orientale.
- Asia orientale…?
- Impossibile..
- Impiegherà settimane per arrivare..! – esclamò Quaglia infine. Neanch’egli aveva idea che Ruben fosse stato mandato tanto lontano. – Cosa diavolo ci facevano in Asia orientale…?
- Le tempistiche non sono a nostro favore, ma.. – li riscosse Ephram, riprendendo in mano il discorso. - ..se incontreranno sempre un mare calmo e venti favorevoli… dovrebbero approdare nel nostro continente in un mese circa.
- Probabilmente non abbiamo un mese… non lo abbiamo – concluse Quaglia, turbato.
Fu in quel momento che a Blake tornò in mente la voce della creatura che lo aveva tenuto prigioniero dentro la galleria pochi giorni prima:
“…è chiamata ‘pietra della trasmutazione’. È l’unica pietra che permette di compiere la tanto ambita purificazione, dal piombo in oro”
La Galena. Era la Galena che al conte Agloveil serviva davvero, non lui.
Se avesse scoperto come usarla, e se poi avesse trovato il modo di fargli avere quella pietra, e di spiegargli come utilizzarla…
Eppure, se un uomo tanto influente come il conte Agloveil fosse davvero entrato in possesso di uno strumento potente come la Galena, probabilmente avrebbe ottenuto tutto quello che voleva. La sua influenza sarebbe stata illimitata, avrebbe letteralmente potuto avere il mondo in mano.
E se lo avessero scoperto anche in molti altri? Cosa ne sarebbe stato dell’equilibrio presente attualmente nel mondo, se mai ce ne fosse stato uno?
Tali domande affollarono la mente del ragazzo, il quale si isolò dalle conversazioni degli altri tre.
La cosa non passò inosservata a lungo.
- Blake? Ehi, Blake? Cosa ti passa per la testa? Parlacene – lo incoraggiò Quaglia, attirando la sua attenzione.
- Nulla. Stavo solo riflettendo su tutta questa faccenda. La colpa, comunque la vogliamo mettere, è mia, e mia rimane. Sono stato io ad essere andato spontaneamente in cerca della polvere nera, sono io che ho fatto tappa a Carbrey e ho coinvolto tutte le persone attualmente coinvolte in questa catastrofica vicenda. E alcune di loro… ne hanno già pagato amaramente le conseguenze. Se non fossi andato a Carbrey, se non avessi incontrato il Giudice… nulla di tutto questo sarebbe accaduto, e voi sareste salvi, tutti salvi. Non voglio che qualcun altro paghi le conseguenze degli errori che io ho commesso, non potrei mai permettere che ad alcuno venga torto un capello, a Bliaint.
- Blake… voi non avevate la minima idea di cosa sarebbe scaturito dalle vostre azioni – gli disse padre Craig. – Non potevate saperlo. Non potete attribuirvi colpe che non avete.
- Colpa o non colpa, siamo tutti in grosso pericolo – commentò Ephram. – Dobbiamo fare i conti con questo, e pensare a come prendere altro tempo, finché le truppe di Ruben non sbarcheranno in occidente. 
- E se… - riprese Blake, per poi abbassare notevolmente il tono di voce: la locanda era un luogo discreto e poco frequentato, tuttavia vi erano comunque diverse persone al suo interno. - … scoprissi come fare la trasmutazione…?
Non appena disse ciò, le orecchie di tutti e tre si aguzzarono all’inverosimile, i loro sensi si acuirono.
- Puoi farlo??
- Avevi detto di non saperlo fare…
- Blake, ne siete capace…?
- Lasciatemi finire – li ammonì lui, poi riprendendo. – Se riuscissi a far arrivare al conte il mezzo  tramite il quale riuscirebbe ad ottenere la trasmutazione… credete che ci lascerebbe in pace?
I volti degli altri tre erano colmi di domande, mentre lo guardavano, tutti con sguardi diversi.
- Se vuoi una risposta netta…
- Sì, è quello che voglio – rispose Blake ad Ephram.
- Io credo che, arrivati a questo punto, tu sia solo una scusa per venire qui a Bliaint. Una scusa che fornirebbe loro il pretesto per saccheggiare il villaggio più famoso e leggendario del continente, e rendere schiavi gli abitanti “mitologici” che vi abitano. Per colonizzare l’incolonizzabile  e sconfiggere il demonio. Noi siamo il demonio. Un demonio molto appetibile e stuzzicante.
Dunque, se tu riuscissi, in qualche modo, a fornire loro il mezzo per compiere tale miracolo… loro giungerebbero qui ugualmente, per conquistare tutto quello che riuscirebbero a conquistare.
L’esperienza di Quaglia ne è un esempio – gli fornì la sua risposta lo stregone, guardandolo dritto negli occhi, dall’altra parte del tavolino. I suoi gomiti erano puntati sulla superficie di legno, le mani dalle dita colme di anelli intrecciate tra loro.
- Già. Non rischiamo di fornire un possibile mezzo di potere illimitato ad un tiranno deplorevole che possiede letteralmente metà continente – espresse la sua opinione anche Quaglia.
Blake si voltò verso padre Craig, l’unico che non si era ancora pronunciato a riguardo.
- E voi? Cosa ne pensate?
Il giovane prete lo guardò negli occhi per un po’, prima di rispondergli. – Forse potrebbe essere una soluzione. Ma non sapremo mai se lo sarebbe davvero – decretò.
Blake vi rifletté su a sua volta, convenendo che tutti e tre avessero ragione.
Quando il vecchio proprietario della locanda li raggiunse di nuovo, per portare via tutti i piatti sporchi delle pietanze consumate da Quaglia, Blake ne approfittò per “sciogliere” quel piccolo concilio che avevano indetto quel pomeriggio. – Se non ti sbrighi ad andare a salutare anche Hinedia, penso che ci rimarrà molto male – disse, rivolto verso Quaglia. – Anche lei è stata molto in pensiero per te. Poi, cerca di tornare a casa prima che faccia buio: hai ancora molto sonno ed energie da recuperare.
- Mi sbrigo ad andare, allora – rispose nell’immediato Quaglia. – Sicuramente lei mi è mancata più di quanto mi siate mancati voi tutti – aggiunse sarcasticamente, beccandosi una spinta e un calcio sotto al tavolo da Blake e da Ephram, mentre padre Craig si lasciò andare ad un sorriso divertito. – E poi, vorrei riprendere a breve i miei allenamenti di combattimento con lei, per vedere se è migliorata o peggiorata in mia assenza.
- Ti accompagno, anche a me farebbe piacere salutare Hinedia – gli disse padre Craig, alzandosi a sua volta dalla sedia e accostandosi a lui.
I due si congedarono da Blake ed Ephram, uscendo dalla locanda e lasciandoli soli.
Ma ciò non durò, dato che Blake si alzò a sua volta, deciso ad andarsene.
- Torno a casa – si limitò a dire allo stregone, attraversando il tavolo per dirigersi verso la porta, poco prima di venire bloccato dalla mano dell’altro: non appena gli passò vicino, Ephram gli afferrò il polso strettamente, ma senza fargli male. Nonostante tutto, una smorfia di dolore si dipinse ugualmente sul volto di Blake: benché fossero passati sei giorni, le profonde ferite alle sue mani non si erano ancora del tutto rimarginate, motivo per cui i contatti improvvisi come quello gli provocavano un dolore fitto.
Lo stregone alzò il viso verso di lui, per guardarlo. – Perché hai permesso che la uccidesse in tal modo? - gli domandò a bruciapelo, la voce seria e impenetrabile.
Blake non si ribellò al contatto, ma non ricambiò neanche lo sguardo, restando invece con il volto alto, rivolto verso la porta. – Devo ricordarti che quel giorno ero imprigionato sottoterra senza vie di fuga?
- Non dovevi lasciare un’arma tanto potente nelle mani di quella donna.
- Quella donna … è colei che cambierà le cose a Bliaint, grazie alla sua influenza – gli rispose a tono, calcando volutamente quelle due parole iniziali.
- Ci credi ancora? Nutri così tanta fiducia in lei?
Blake, finalmente, si decise ad abbassare lo sguardo, per guardarlo a sua volta.
- Andrebbe punita per quello che ha fatto – continuò lo stregone, più serio che mai. – Chi era presente… ha detto di non aver mai visto uno spettacolo tanto orrido e terrificante. Ti rendi conto di cosa avete fatto?
- Me ne rendo conto benissimo.
- Beitris era importante anche per te. Avresti dovuto avere un minimo di riguardo per lei.
- Beitris sarebbe morta comunque, Ephram.
Salvarla non è mai stato in mio potere.
- E cosa è in tuo potere, Blake? – quella voce pungente, quel tono di sfida non stavano piacendo al ragazzo. Tuttavia, sapeva anche che Ephram fosse perfettamente cosciente di trovarsi in un campo colmo di trappole con lui: una sola mossa sbagliata e sarebbe tutto finito. Era un terreno pericoloso, quello che lo stregone non riusciva a fare a meno di varcare, quando era con lui.
- È la tua donna, ma andrebbe punita. Lo sai anche tu.
- La sola cosa che so, è che voglio sparire dalla tua vista.
Vuoi giocare, Ephram? Non ho tempo per questo.
Non ho tempo né per esortarti a commemorare la morte di Beitris, piuttosto che prendertela con chi ha eseguito la sentenza; né per chiederti spiegazioni sul perché tu mi abbia tenuto all’oscuro di tutto ciò che stava accadendo a Quaglia.
Perciò, invece che cercare di infangare miseramente l’opinione che ho di Judith, ti suggerisco di lasciarmi andare – concluse granitico.
Nonostante si fosse instaurata una tensione abissale tra lui e Judith dopo ciò che era successo, Blake non avrebbe permesso ad anima viva di parlare così di lei.
Ephram, in risposta, si alzò in piedi a sua volta, sfruttando quei quattro centimetri di altezza che possedeva in più di lui per guardarlo dall’alto, a distanza ravvicinatissima.
Blake non si sottrasse e lo fronteggiò.
- Sai cosa succederà se i monaci scoprissero che le truppe del conte sono già dirette qui, da Carbrey?
- Ancora non lo sono.
- Ma sai che succederebbe se lo fossero, e se i monaci dovessero disgraziatamente venire a saperlo?
- Mi ucciderebbero per non rischiare che mi prendano con loro.
- Perché non sei scappato come ti ho suggerito di fare?
- Cosa vuoi da me, Ephram?
- Nessuno potrebbe più proteggerti, se accadesse. Né Myriam, né Judith. A quel punto, che cosa faresti?
- Me ne andrò – gli rivelò Blake, arrendendosi. – A tempo debito.
- Adesso è tempo debito. Cosa stai aspettando? Che arrivino a casa tua con i forconi?
- Secondo gli scritti antichi che ha trovato Judith, a Ioan deve essere donato il sangue almeno altre cinque volte, per guarire dalla malattia, per essere sicuri non abbia altre ricadute. Padre Craig ha il suo stesso sangue, e glielo ha già donato tre volte. Quando avremo raggiunto le otto volte, ce ne andremo, io e lui.
Ephram sospirò, alzando gli occhi al cielo, dandosi dello stupido. 
- Ogni volta che credo di riuscire vagamente a capire come funziona la tua testa, poi mi ricordo che c’è sempre una cosa che dimentico, che cambia tutto e che filtra ogni tua azione, dalla prima all’ultima: tuo fratello.
Ti rendi conto che, quando arriverete all’ottava volta, sarà già trascorso un mese?
- Sì, lo so. Ma non posso fare altrimenti. Se i monaci verranno a prendermi prima, per bruciarmi al rogo, mi toglierò la vita da solo, prima che possano legarmi sopra quel soppalco. Lo accetterò.
Ephram rise di scherno in risposta. – Come puoi dire una cosa simile…? Dunque, era a questo che sarebbe dovuto servire il marchingegno? Ad evitare il rogo, legalmente, ad ognuno di noi?
- Se le cose fossero andate diversamente sei giorni fa, sì. Ma gli eventi hanno preso una direzione diversa – rispose Blake.
Ephram lo fissò negli occhi più intensamente, tenendolo ancora incollato a sé. – Dimmi che cos’è la cosa che hai, che ti permetterebbe di fare la trasmutazione.
- Non ti dirò niente, Ephram. E tu, da me, non puoi pretendere niente.
Ti ringrazio di ciò che hai fatto e che stai continuando a fare. Ma ora me la vedo da solo – concluse Blake, staccandosi da lui, superandolo, e uscendo dalla locanda.
Dopo poco, anche lo stregone se ne uscì da quelle quattro mura lievemente traballanti, e che odoravano di cibi caldi e di legno vecchio, dirigendosi verso una meta ben precisa.

 
- Perché non mi appari? – domandò Ambrose, accovacciato sulla riva del ruscello che costeggiava casa sua.
Era quasi buio. Aveva finito di sistemare le pecore, perciò ora se ne stava seduto lì, a rimuginare sulla mattinata trascorsa con Judith, sulle parole che lei gli aveva detto e, come sempre, a pensare al giovane ragazzo che gli aveva rubato cuore e anima.
L’acqua si muoveva velocemente, emettendo piccoli schiocchi regolari.
- Perché non mi appari…? – ripeté, rivolto verso il vuoto.
- Tua sorella è apparsa a Blake.
Vuol dire che anche tu, se volessi… potresti apparire a me. Giusto?
Allora apparimi… davanti ai miei occhi.
Una sola volta.
Solo una e mi basterà, lo giuro.
Mi accontenterò, e poi ti lascerò andare… - pronunciò, il tono soffuso, leggero, eppure così doloroso da udire, persino per se stesso.
- Era un ragazzo davvero promettente – una voce sconosciuta, adulta e maschile, scosse completamente il giovane servo del Creatore, facendogli assumere una posa sul chi va là. Si voltò verso la fonte di quella voce, scorgendo la figura di un servo del Diavolo avvicinarsi a distanza, lentamente.
Man mano che si avvicinava, poté carpire più dettagli di lui: era giovane, ma più grande di lui di sicuro; i disegni neri incisi su alcune zone della sua pelle lasciavano presagire fosse uno stregone; era molto alto e slanciato, come quasi tutti loro; alla penombra della sera i suoi occhi apparivano gialli, mentre i suoi capelli erano ramati e appuntati indietro; in aggiunta al tutto, come se non bastasse, emanava una prorompente, quasi prepotente, aura di forte sicurezza e fierezza.
Il suo viso gli sembrò vagamente familiare, ma non riuscì ad associarlo a nulla e a nessuno.
Cosa ci faceva uno stregone in quella zona della vallata, pubblicamente conosciuta come una zona abitata quasi solo da servi del Creatore?
Ambrose cominciò a domandarselo, mentre continuava a studiarlo a distanza, e mentre questo si avvicinava, con lo sguardo rivolto tutto al ruscelletto.
Si sedette anch’egli, allungando le lunghe gambe fasciate dal tessuto nero sull’erba, verso la sponda del ruscello. Inaspettatamente, si tolse gli stivali, restando a piedi nudi, e infilò questi ultimi dentro l’acqua limpida e fredda. Ambrose notò che persino sui suoi piedi vi erano anelli a circondare le dita, e bracciali a circondare le caviglie, rendendoli ancora più belli ed eleganti alla vista.
Ogni parte del corpo dei servi del Diavolo, anche la più insolita o inosservata, sembrava dipinta, scolpita o disegnata a regola d’arte.
E Folker ne era l’esempio più lampante.
- Un ragazzo sorprendente. Una pietra rara, non credete? – riprese lo stregone, rilassandosi.
- Chi siete voi?
- Potete avvicinarvi, non mordo: si dà il caso che io non sia una strige – lo disse apposta, Ambrose ne fu certo, e percepì il sangue ribollirgli di rabbia dentro le vene nell’udire tali parole. Di contro, sapendo bene l’effetto che aveva provocato nel ragazzo, Ephram si voltò verso di lui, sorridendogli saccente.
- Non è facile perdere un amante. Io ne so qualcosa: ne ho perduti molti, di amanti. Ci decimano da anni tramite il rogo.
Ambrose schiuse la bocca per la sorpresa, non sapendo minimamente cosa dire. – Come fate a saperlo…? In quanti altri lo sanno?
- Che lo amavate o che avete giaciuto con lui?
La prima, penso se ne siano accorti tutti, solo un cieco non se ne accorgerebbe.
Per la seconda, non temete, lo sanno solo poche persone fidate.
- Ci osservavate…?
- Osservarvi? No, assolutamente.
Ma ho osservato voi, dopo la morte di lui.
Il vostro giovane cuore forte trabocca d’ira e di ferocia, oltre che di dolore.
Ambrose fece qualche passo verso lo stregone. – Voi siete il leader degli stregoni eremiti, non è vero? Perché siete venuto qui?
- Per esortarvi a fare ciò che è giusto.
Ahimè, sono ben cosciente che tutto il mio spirito persuasivo si rivela inutile dinnanzi ad una persona colma di tanto dolore e sofferenza come voi.
Tuttavia… - disse rialzandosi in piedi, camminando sull’erba a piedi nudi nell’avvicinarsi al ragazzo. - Folker potrà non esservi apparso come fantasma, e forse non vi apparirà mai, ma sono certo che lui lo vorrebbe più di tutti.
- Vorrebbe che cosa…?
- Vendetta.
- Vendetta…?
Mi state chiedendo di vendicarmi sui monaci?
- Di chi è la colpa di tutto questo?
Chi lo ha spinto al suicidio, torturandolo con decine di frustate ogni giorno, godendo della sua sofferenza?
Chi gli ha negato persino una degna sepoltura, e una dovuta celebrazione funeraria?
Chi lo ha seppellito su un pezzo di terra ignoto, come un cane?
Ambrose lo ascoltò osservando i suoi occhi, percependo una nuova ira incontrollata montargli da dentro e animarlo tutto, fomentato da quelle parole, più vere che mai.
- Sono stati loro – rispose, nonostante la risposta fosse scontata. La sua voce uscì rauca e turbolenta; lo pronunciò ad alta voce, riempendo di soddisfazione Ephram.
- Non siete solo, in questo.
Folker e Bridgette avevano molti amici, oltre che i familiari.
Persino i servi del Creatore come voi si sono ribellati all’intransigenza dei monaci nel non farli seppellire adeguatamente – gli fece presente Ephram.
- Cosa devo fare?
- Radunate tutti quelli che potete.
Gli amici di Folker, le locandiere che lavoravano con Bridgette, le intere famiglie dei due, chiunque li conoscesse e nutrisse anche solo un minimo di rispetto e stima per loro.
Chiunque.
Radunatevi nei sotterranei della Taverna, in segreto, e create una strategia d’offesa.
Non agite troppo presto, dovete prima essere preparati e tutti d’accordo.
I monaci sono tanti e la loro influenza è grande tra gli abitanti del villaggio: in molti potrebbero schierarsi dalla parte dei monaci. Dovrete essere pronti a combattere anche contro di loro.
Lo schieramento deve essere netto e impenetrabile.
Quando avrete ottenuto questo… insorgete.
- Intendete dire… ripuliremo questo villaggio da ogni singolo monaco che vi abita?
- Tranne Myriam, l’unica monaca del Diavolo.
Lei è intoccabile, e non ha concorso nell’ingiustizia riservata a Folker e a Bridgette.
- D’accordo.
Sarà quello che farò – confermò il giovane servo del Creatore, la voce determinata, scura e animata.
Ephram sorrise. – Non pensavo ci sarebbe voluto così poco per convincervi. Evidentemente… la sete di sangue riposava già sopita dentro di voi – gli disse, poggiandogli una mano sul petto, sentendo la sua energia vitale.
- Non è sete di sangue.
È amore.
Fame d’amore, che mi è stato strappato via.
Un amore che mi sta conducendo alla follia.
 
 
Judith sedeva sull’erba fresca, bagnata dalla brezza serale, nel bosco.
Era l’esatto punto nel bosco, in cui erano avvenuti i famosi festeggiamenti, mesi prima.
Tornando lì, forse, le sarebbe tornato alla mente qualcosa.
Era la bugia che si raccontava, per giustificare la sua presenza lì, ma sapeva che, in realtà, aveva deciso di raggiungere il bosco solo per trovare un po’ di pace, per allontanarsi dalla cattedrale.
I monaci avevano finalmente concordato di lasciarla libera per metà giornata, eppure, si sentiva ancora prigioniera là dentro.
I gemelli scalciavano da tutto il giorno, ininterrottamente.
Volevano uscire fuori di lì.
Judith li capiva. Non doveva essere facile trascorrere nove mesi dentro quella prigione di liquidi corporei, ancorati e incastrati ad altri due piccoli esseri umani.
Chiuse gli occhi e accarezzò la superficie della sua pancia, ascoltando il vento che faceva frusciare i rami degli alberi intorno a lei.
Per la prima volta dopo giorni, non si sentiva in colpa.
Si sentiva in pace, cullata da una serenità assopente.
L’unica cosa che le mancava, in quella meraviglia di sensi, era Blake.
Il pensiero di lui, ancora adirato con lei per ciò che aveva fatto, era l’unico elemento in grado di turbarla e agitarla, in un momento come quello.
Per tale ragione avrebbe dovuto estraniarsi da quel pensiero.
Ma poi… il rumore di passi lenti, dietro di lei, attirò la sua attenzione.
La suola di un paio di scarpe che schiacciavano le foglie e l’erba produceva sempre lo stesso rumore, chiunque lo avesse emesso.
Ma Judith lo riconobbe subito.
D’altronde, sua nonna, da bambina, le ripeteva sempre: “Se pensi al Diavolo, te lo ritroverai dietro lo spalle”.
I passi cessarono. Poi ripresero, girandole intorno, e prendendo posto dinnanzi a lei.
Judith riaprì gli occhi e si ritrovò il ragazzo che occupava i suoi pensieri accovacciato di fronte a lei.
- Richiudili – le sussurrò lui, la prima parola pronunciata dopo giorni di silenzio. – Richiudi gli occhi.
- Perché dovrei?
Blake assunse lo sguardo di un padre paziente e arrendevole, nei confronti di un bambino che non voleva ascoltare. – Chiudili – insistette.
- No. Voglio guardarti.
- Smielata.
Judith accennò un piccolo sorriso in risposta, prendendo la mano del ragazzo e portandosela sopra la pancia, senza dire nulla.
La mano di Blake era attraversata da lunghe ferite, in via di rimarginazione, che sarebbero presto diventate molteplici sottili cicatrici longilinee. Tante piccole radici, o tanti piccoli fiumiciattoli rossi, che si ramificavano ovunque riuscissero ad arrivare, solcando quella mano magra ma non scheletrica, piena di spigoli, affusolata e ben proporzionata, pigmentata di un colore chiaro e caldo. Tracciavano percorsi irregolari, come a voler indicare una via nascosta.
Per quanto fosse tetro il pensiero, quelle ferite erano belle e ipnotiche da guardare, su una mano tanto raffinata.
- Ascolta – lo incoraggiò Judith, distogliendo lo sguardo dalla mano di lui e tornando alla realtà. - Ascoltali, Blake. Riesci a sentirli?
- Sì. Si muovono.
- Cosa provi per loro?
- Perché vuoi sapere cosa provi io?
- Perché quello che provi tu mi è sempre importato. Da molto prima di quanto immagini.
- Non so cosa provare per loro. Non sono miei.
- Ma se lo fossero? Se fossero tuoi, cosa proveresti per loro? Fingi che lo siano e dimmi cosa provi.
- Potrei amarli anche con la piena consapevolezza che non sono miei. Così come potrei odiarli, anche se fossero miei. Il sangue non è mai stato rilevante, per me.
- Allora perché non sai cosa provare per loro?
- Perché tu non li vuoi, ecco perché – le rispose sinceramente, vedendola sussultare.
- E sei io… li volessi?
- Allora imparerei ad amarli.
- Ho passato gli ultimi mesi a sognare… a sognare che fossero tuoi. Per amarli come dovrei. E quando li immagino tuoi li amo. Ma poi torno alla realtà e…
- Loro non hanno colpe per quello che è successo, Judith.
Non hanno spinto loro Naren a violentarti.
Non hanno mai avuto potere di scelta.
- Ma il solo pensarli accostati a lui… mi dà ribrezzo.
- Non devi pensarli accostati a lui.
Lui ha fornito solo il suo seme.
Sono delle entità a parte, i tuoi figli. Entità a parte rispetto a te e rispetto a lui.
- Allora cosa dovrei fare?
- Prova ad amarli, se puoi.
Oramai non puoi più ucciderli senza sentirti un’assassina, è passato troppo tempo.
Se non riuscirai ad amarli… loro andranno per la loro strada e tu per la tua – le rispose semplicemente, facendo vagare il palmo sul pancione. – Hai già pensato a dei nomi?
- No.
- Imogene è riuscita a vedere se saranno maschi o femmine?
- Un maschio e due femmine.
Un pizzico di sorpresa si dipinse sul volto di Blake, il quale prese a pensarvi su.
- Maren è un bel nome – si lasciò sfuggire il ragazzo, facendo sorridere Judith, di un sorriso genuinamente emozionato.
- Maren… – lo assaporò anche lei tra le labbra. – Hai ragione. Direi che una è fatta. Avrà un nome solo una di loro – scherzò su, facendo sorridere lievemente anche Blake.
- Ora chiudi gli occhi.
Stavolta la fanciulla obbedì.
Blake accostò il viso al suo e la osservò da vicino, ancora in conflitto con se stesso:
- Ti amo.
E se penso che potrebbe rimanerci poco tempo da vivere insieme, qualsiasi offesa, qualsiasi torto arrecato, svanisce.
Non ti ho perdonata, non ancora. Ma lo farò, col tempo.
Intanto, ti voglio accanto a me.
Tali parole portarono Judith alle lacrime, mentre si beava del fiato caldo del ragazzo sul viso, del suo profumo, e della sua mano che le carezzava i capelli.
Alzò una mano a sua volta, un gesto che ancora non aveva fatto, e la portò sulla guancia di lui, riaprendo gli occhi colmi di lacrime.
Non riuscendo ad attendere oltre, si gettò sulle sue labbra, bisognosa.
Le divorò come se fosse l’ultima volta che lo facesse, sapendo bene, tuttavia, che se ne sarebbe saziata anche in futuro, molte, troppe volte.
Ma non bastava mai.
Mentre lo baciava famelica, gli infilò una mano fredda sotto i vestiti e la poggiò sul suo ventre piatto.
- Immagina che sia tu ad averli… - gli sussurrò ansimante. – Solo per questa notte, portali tu per me, dentro di te.
 
 
 
 
   
 
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