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Autore: Evali    07/12/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Verità
 
 
La ragazza si ritrovò in una distesa deserta, plumbea e nebbiosa.
Camminò in avanti, sentendosi leggera come il vento.
D’un tratto, si ritrovò a fianco ad un uomo.
Lo guardò intimorita, ma al contempo, stranamente rilassata.
Era certa che egli fosse il Diavolo. Lucifero in persona.
E non ne era certa solo perché fosse l’uomo più bello che avesse mai visto.
Ne era certa perché, accanto a lui, sembrava di essere il nulla.
Lui guardava avanti a sé, senza prestarle attenzione.
Fu così che Hinedia parlò per prima:
- È vero che avete combattuto per me? Voi e il Creatore? Per avere la mia anima? – gli porse la domanda che avrebbe sempre voluto porgergli, toccandosi istintivamente il tremendo sfogo che ornava i propri polsi.
- Così ti hanno detto e così vuoi convincerti che sia.
Perché vuoi essere anche mia, se ti hanno sempre detto che non lo sei, figlia del Creatore?
Hinedia impietrì, non sapendo cosa rispondere.
Guardò il suo profilo, come se questo potesse rivelarle la giusta risposta.
- È perché vuoi essere bella?
- No. Non ho mai desiderato ardentemente la bellezza fisica – disse il vero.
- È perché vuoi unirti ad un uomo che desideri, ma che non puoi avere?
Hinedia ammutolì, senza rispondere.
Solo dopo diversi minuti, riuscì a parlare di nuovo:
- Neanche per quello…
- Allora non hai ragione di volerlo.
- Non potrei voler semplicemente servire Voi, senza doppi fini?
Il Diavolo, dopo infiniti istanti, si voltò a guardarla, accecandola con i suoi occhi troppo chiari e vuoti.
- Se servirai anche me… nessuno ti punirà.
- Sarei considerata un’eretica.
- Tu ti considereresti tale?
- No. Sarebbero gli altri a ritenermi tale.
- E perché ciò che pensano gli altri è così importante?
Invece di rispondergli, Hinedia gli porse un’altra domanda: - E se servirò anche Voi… quando morirò, la mia anima sarà Sua o Vostra?
Quella domanda si disperse in aria, in quanto l’attenzione dei due venne attirata da un uomo ignaro, come incosciente, che vagava per la strada deserta, poco lontano da loro.
Se si fosse voltato, avrebbe potuto vederli. Avrebbe potuto vedere il Diavolo.
Ma l’uomo continuò a proseguire e ad incespicare sui propri passi, sotto lo sguardo attento di Lucifero.
Ad un tratto, l’uomo venne attratto da una pietra. Una roccia strana, molto diversa da tutte le altre.
Una roccia luminosa. L’uomo si avvicinò ad essa.
- Che cos’è? – domandò Hinedia al Diavolo. – Cos’è quella strana roccia?
- Un frammento di verità – le rispose Lui.
- Ma… Voi siete il Diavolo, non dovreste permettere che un uomo comune, magari con cattive intenzioni, scopra qualcosa di tanto prezioso e di valore! – esclamò lei, continuando a fissare l’uomo, il quale era intento ad alzare la roccia, per osservare cosa si celasse sotto di essa.
Egli sgranò gli occhi, cadendo in ginocchio, dinnanzi a ciò che vi trovò.
- Lascia che lo scopra – le rispose con semplicità il Diavolo. – Lascia che lo scopra e che ne faccia una religione.
- Dunque… la verità che noi crediamo di conoscere non è mai la verità assoluta, bensì sempre e solo una porzione di verità, qualcosa che non è mai del tutto vero e giusto…? È questo che state cercando di dirmi, Mio Signore?
Lucifero sorrise, continuando a guardare l’uomo a distanza. – Finché tutti quei pezzi non saranno uniti insieme, formando un universo intero di opinioni e credenze differenti… non vi sarà mai la verità.
Hinedia aveva capito la lezione, ma al contempo non riusciva a darsi pace. Averlo lì le permetteva di porgli tutte le domande che le tormentavano la testa da tempo immemore.
- Come posso fare per scontare il mio peccato imperdonabile?
Ho versato sangue umano, sangue di un Vostro servitore, nella Vostra terra. La terra dove riposate.
Come posso rimediare? Come posso salvare la mia anima dalla dannazione?
Devo versare il mio sangue, per ripagare tale sacrilegio compiuto, non è vero?
Ditemi di sì, e tagliarmi la gola sopra la galleria sarà la prima cosa che farò non appena mi sveglierò da questo sogno.
- Sangue versato in cambio di altro sangue.
Non è così che funziona.
Il sangue versato sulla terra che mi appartiene mi è gradito. Hai strappato la vita ad un’anima che è tornata a me, poiché mia è sempre stata. Non mi hai arrecato nessun sacrilegio.
Anzi, ora, io sono in debito con te.
- In debito…? Che cosa intendete?
- Hai versato sangue sacro sulla mia terra – ripeté il Demonio, granitico. – Ed ora, puoi chiedermi ciò che vuoi, ed io lo esaudirò. Pensa bene a ciò che desideri, figlia del Creatore.
Pensa bene.
- Il male che risiede in me…
Il demone, la mia gemella demoniaca, che sta infettando la mia anima… come posso sconfiggerla? Vi prego, rivelatemelo.
- Non c’è nulla di demoniaco in te, Hinedia – le rispose lui, confondendola sempre più.
Il Diavolo si voltò a guardarla una seconda volta. – Non c’è nulla che ha origine da me, in te. La tua gemella è la tua anima. Non puoi uccidere la tua stessa anima.
Hinedia si svegliò di soprassalto da quello strano sogno.
Ansimò, tutta sudata, avvolta dal lenzuolo leggero.
Si calmò gradualmente e posò lo sguardo sullo splendido vestito da sposa appeso allo specchio, illuminato dalla luce che filtrava dalla finestra.
Era arrivato il giorno.
Il giorno che avrebbe dovuto essere il più importante della sua vita.
Quel giorno, si sarebbe unita in matrimonio a Van Naren.
 
 
Heloisa pregava dinnanzi alla cripta dissotterrata, la cripta in cui erano incisi tutti gli scritti di Dominic e dei suoi sfortunati compagni di prigionia.
Pregava, inginocchiata, benedicendo le loro anime, e quelle dei suoi figli.
Improvvisamente, una presenza che riuscì a riconoscere persino a distanza, le si accostò.
Era come se vi fosse un filo spinato che le teneva unite.
Era stato così fin da quando si erano conosciute, fin da quando quella ragazzina le aveva tirato fuori dal grembo Blake, benedicendolo al posto dei monaci, portando sventura nella loro famiglia.
Un filo spinato che lei stessa aveva provato a recidere anni prima, pensando di aver avuto successo.
E invece, quel filo si era rivelato più resistente di quanto credesse.
Aveva sperato che morisse. Si era ritrovata a sognare, quasi ogni notte, che quella donna che l’aveva fatta partorire e che aveva salvato lei e suo figlio da morte certa quella sera, morisse nel peggiore dei modi.
Lo desiderava perché era sempre stata convinta, e lo era ancora, che lei le avesse tolto tutto.
Le aveva tolto l’adorazione di suo marito.
Le aveva tolto l’amore di suo figlio.
Era riuscita a toglierle persino la dedizione di sua cugina.
“Fate la pace” l’aveva supplicata Imogene, sulla lettera che le aveva lasciato prima di sparire.
Ed Heloisa si era ritrovata più volte a chiedersi se fosse davvero stata capace di mettere da parte tutto l’odio che nutriva per quella donna, per amore di Imogene.
Myriam le si inginocchiò accanto, osservando le migliaia di iscrizioni incise su quelle pareti.
Sembrava tranquilla. Non sembrava emanare un’aurea negativa o astiosa.
Forse si era arresa al volere di Imogene.
Oppure era semplicemente stanca… come lo era lei, pensò Heloisa. Stanca di lottare, stanca di arrabbiarsi, stanca di non dormire più.
- Perché è così importante per te questo sepolcro? – esordì Myriam, facendole riascoltare la sua voce androgina per la prima volta, dopo anni. – Mi è stato detto che trascorri quasi intere giornate qui. Solo in questa cripta.
- Qui riposa uno dei bambini della terza generazione dopo Allister Chaim.
Colui che ha ucciso tutti i suoi compagni, pur di salvarli dal supplizio che erano costretti a vivere dalla nascita – spiegò Heloisa, con calma, senza voltarsi a guardarla. – Il suo nome era Dominic.
- Dominic, il dio sanguinario – lo soprannominò Myriam, senza ombra di scherno nella voce, bensì più seria di quanto lo fosse mai stata. – Non sono diventati déi, per noi, tutti coloro che hanno perso la vita dentro queste cripte? Dimenticati dalla storia, rinnegati e seppelliti insieme ai peccati commessi dai loro carnefici.
- Tutti i martiri diventano santi o déi. Quindi, suppongo tu abbia ragione – rispose Heloisa.
- Trascorri tutti i giorni a pregare un dio sanguinario, dunque.
Il più coraggioso, e al contempo il più spietato di tutti, a causa del dolore che ha patito.
Non hai timore di lui?
- Lo vedo come un figlio – rispose Heloisa. – Come potrei avere paura di un figlio?
- Non hai mai avuto paura di Blake?
Un brivido di freddo le scosse la schiena al solo udire il nome di suo figlio pronunciato dalle labbra di quella donna.
La verità era che aveva sempre avuto paura per Blake, ma non aveva mai avuto paura di lui.
Temeva che la sua condotta lo avrebbe portato alla dannazione.
- So che hai sempre pensato che io non fossi una buona madre – le disse, giungendo al succo del discorso, senza scomporsi. – Ed è proprio da qui che nasce la radice del mio odio. Nonostante tu mi abbia salvato la vita, e abbia salvato la sua, la notte del mio parto, io non potevo fare a meno di odiarti, e sai il perché. Mi è sempre stato detto cosa dovevo fare. Sono sempre stata definita una buona a nulla da mia madre, la quale ha sempre misurato il mio valore in base alla mia obbedienza e devozione al Diavolo. L’unica cosa che ho sempre avuto la libertà, il potere e il diritto di poter fare… l’unica cosa che mi sono conquistata… è stato essere madre. Quello era il mio regno, il mio territorio. Me lo ero conquistato con fatica, me lo ero guadagnato, ed era mio, solo mio, nessuno poteva dettarmi legge lì.
Poi sei arrivata tu e hai rovinato tutto. Mi hai portato via prima Blake, poi Rolland.
Tu pensavi che io non amassi abbastanza mio figlio… soltanto perché non comprendevi il mio atteggiamento.
Ma sappi che, tutto ciò che ho fatto sino ad ora… è stato solo e solamente per cercare di proteggerlo. Compreso l’allontanarlo da te.
Se poi ho errato, in quello che ho fatto, me ne assumo le mie colpe.
- Ammetti di aver errato? – le domandò Myriam, senza alcun tono d’accusa nella voce, bensì serena e paziente.
- Tu volevi un bambino tuo, ma quel bambino era mio, Myriam.
Puoi biasimare la mia gelosia nei confronti di ciò che è mio?
Sì, lo ammetto. So che hai protetto Blake, più volte, negli ultimi mesi, in mia assenza.
L’hai salvato, di nuovo, quando nessuno avrebbe potuto salvarlo.
Se non fossi una buona madre… non ti riconoscerei neanche questo.
Invece, sono disposta ad ammettere di aver sbagliato, dal momento in cui riconosco che tu sei stata solo un bene per mio figlio.
Eppure, lascia che ti ponga una domanda: se vegli sempre su di lui, per quale motivo quel giorno di tre settimane fa, quando è rimasto bloccato dentro la galleria e ha rischiato di morire là sotto, tu non sei andata in suo soccorso?
Myriam abbassò lo sguardo a terra. – Quel giorno è stato anche il giorno dell’esecuzione di Beitris. Il mio potere, così come quello di Ephram, era tutto concentrato su di lei, per infonderle la nostra forza e il nostro coraggio a distanza. Per questo non ho sentito il grido d’aiuto di Blake… è stata la prima volta. Ma, in ogni caso, anche se lo avessi udito, non avrei potuto fare nulla per lui: per quanto possa essere potente, in quanto strega, non posso nulla contro il Diavolo. È da lui che traiamo la nostra forza. Non possiamo andare contro di lui. Neanche volendo. La galleria è intoccabile e innominabile, per noi.
- Cosa vuoi dire…? È stato il nostro Signore stesso ad imprigionarlo là sotto? – tale quesito di Heloisa rimase irrisolto.
- È a dir poco un miracolo che Blake sia riuscito ad uscire fuori di lì, da solo – disse sinceramente Myriam.
- Com’è strano il mondo.
Ora siamo qui a parlare pacificamente, come due vecchie amiche, mentre, fino a qualche giorno fa, non avrei esitato nello strangolarti nel più doloroso dei modi non appena ti avessi rivista.
Inoltre… fino a qualche mese fa, ero la donna più devota di Bliaint.
Ora, invece… mi sembra di non credere più in niente. In niente che non siano gli spiriti di questi bambini sciagurati – ammise Heloisa.
- Anche a te Imogene ha chiesto di appianare i nostri conflitti e di instaurare la pace? – le domandò la strega.
Heloisa accennò un sorriso in risposta, abbassando il viso a sua volta. – Mia cugina è sempre stata un’inguaribile ottimista.
- Un’inguaribile ottimista che ci ha lasciate sole, creando un vuoto incolmabile.
- Già.
Myriam fu la prima ad alzarsi in piedi. Guardò la vecchia nemica e rivale dall’alto, e le porse la mano, in segno di pace.
Heloisa osservò la sua mano per un po’, dal basso, poi la afferrò e si tirò in piedi a sua volta.
Era sempre stata più alta di lei, più alta e più formosa, eppure con lo sguardo di un cerbiatto impaurito.
Myriam, dal canto suo invece, era sempre stata più bassa, minuta e senza forme, eppure il suo sguardo emanava una possenza e una sicurezza da intimorire chiunque.
Le loro mani, dalla carnagione molto diversa, erano ancora strette tra loro, i loro occhi incollati l’una all’altra. – Hai fatto pace con tuo figlio, Heloisa? – le domandò sorprendentemente Myriam.
- No, non ancora. Dopo aver lasciato questa cripta, andrò da lui, mi scuserò e gli dirò che lo amo.
- Bene – le rispose Myriam, rivolgendole un sorriso sorpreso in risposta. – Peccato tu non lo abbia fatto prima…
- Che cosa intendi..?
Heloisa non ebbe il tempo di dire altro, che la strega la pugnalò a tradimento, infilandole una daga dritta nell’addome, con violenza inaudita.
La terra della cripta si ricoprì di fiotti di sangue denso.
Myriam la sorresse a sé, mentre vedeva il suo sguardo passare dall’addolorato, al costernato, al senza vita, nel giro di pochi secondi. Le accarezzò gli splendidi ricci scuri, macchiati di sangue a loro volta. - Così bella e così ingenua, Heloisa… avresti dovuto temere il tuo amato Dominic, invece. Perché è a lui che stiamo donando il tuo sangue – concluse estraendo con veemenza la lama e lasciando ricadere il corpo rantolante a terra, guardandolo morire lentamente.
Ephram le si affiancò, sbucando da sopra.
- Hai guardato tutta la scena? – gli domandò Myriam.
- Facciamo presto – la spronò lui, incurante del corpo, passando subito al pratico. – Porta via il corpo e seppelliscilo dove nessuno potrà mai trovarlo.
- È appena l’alba: nessuno giungerà in questa cripta così presto per pregare.
- Non importa, portalo via ora, è sempre meglio non rischiare.
- Credi che il suo sangue basterà per farci ascoltare da lui? – gli domandò la strega, coprendo il corpo morto della donna con un telo di iuta, sprezzante, disgustata.
- Hai sentito anche tu, no? Dominic ha ucciso tutti i suoi compagni per salvarli dalla degradante prigionia: lui è un diventato un dio sanguinario, dunque è il sangue che vuole. Il sangue che gli abbiamo donato, qui, in questa cripta che è la sua casa e il suo tempio, servirà a farci ascoltare da lui - stabilì, convinto.
- Spero vivamente tu abbia ragione.
Spero tu non ti stia rivolgendo solamente al fantasma di un bambino ferito… – disse lei. – Blake la cercherà – aggiunse amaramente.
- Blake ha sin troppe cosa a cui pensare ora come ora.
Cercare sua madre sarà la sua ultima preoccupazione.
- Ma la cercherà comunque, lo sai.
- La cercherà e non la troverà, d’accordo?
Per questo faresti meglio ad affrettarti a seppellirla lontano da qui.
Myriam obbedì e portò il cadavere via con sé, furtivamente.
Fortunatamente, le strade erano ancora deserte, e il cielo ancora quasi buio.
Ephram si inginocchiò sul sangue di Heloisa, sporcandosi le vesti e alzando il volto al cielo:
- Ho già pregato il mio Signore.
Ma ora rivolgo le mie preghiere a Te, Dio Sanguinario.
Qui hai ucciso i tuoi fratelli e sorelle, e qui ti sei tolto la vita.
Qui hai compiuto il gesto che ha permesso alle persone che amavi di raggiungere la libertà, Dominic.
Dunque ora ascoltami, ascolta le parole di un uomo che ti rende omaggio e ti invoca: ho versato questo sangue per te come sacrificio.
Ho bisogno che tu, tu e i tuoi compagni, malediciate questa Terra.
La malediciate, contro tutti gli invasori stranieri che vi metteranno piede.
Da qui, fino all’eternità.
Ascolta le mie parole, Dominic!
Ascoltate le mie parole, Bambini Sciagurati!
Questa è anche la vostra terra!
Una terra che vi ha masticati e poi vi ha sputati e rigettati.
Eppure, è pur sempre la terra che vi ha messo al mondo.
Se non volete proteggerci… allora maledite anche noi abitanti di Bliaint!
Malediteci tutti, ma vi imploro, maleditela anche contro i nostri invasori, in modo che nessuno di noi soffra mai a causa loro!
Accetta questo sangue come dono, Dominic, e ascolta, ascolta le mie parole.
 
 
Il matrimonio di Hinedia e di Naren non era stato inclusivo solo nei confronti di Blake e Judith, in quanto loro non erano gli unici servi del Diavolo presenti, in mezzo a decine e decine di servi del Creatore.
I due sposi avevano fatto qualcosa che non si era mai visto prima d’ora a Bliaint: essendo tutti i bambini degli otto peccati capitali molto legati ad Hinedia, la ragazza aveva deciso di invitare al proprio matrimonio anche tutte le loro famiglie per intero.
Ciò voleva dire che vi erano decine e decine di servi del Diavolo presenti ad un matrimonio di servi del Creatore: padri e madri, sorelle e fratelli dei bambini con i/le loro rispettivi/e consorti, e poi i bambini stessi.
Naren non era del tutto d’accordo con quella pericolosa scelta, così come non lo erano i genitori di Naren stesso, né quelli di Hinedia, ma la ragazza non aveva voluto sentir ragioni, era stata categorica: le famiglie dei bambini erano tutte invitate, così come chiunque altro servo del Diavolo avesse voluto partecipare ai festeggiamenti.
I festeggiamenti dei matrimoni dei servi del Creatore non avevano nulla di particolare, in ogni caso.
Non erano esuberanti, stravaganti e occulti come quelli dei servi del Diavolo.
Una volta celebrata la cerimonia dentro la cattedrale del Creatore (a cui i servi del Diavolo non potevano prendere parte), tutti gli invitati di entrambi i culti si erano diretti verso il bosco, avevano acceso un focolare e avevano iniziato a consumare montagne di cibo, e vino in quantità ridotta, in completa tranquillità. Sempre se tranquillità si poteva chiamare gli sguardi torvi e diffidenti che si lanciavano servi del Creatore e servi del Diavolo tra loro.
I servi del Creatore ce l’avevano con loro per non aver rifiutato l’invito al matrimonio, mentre i servi del Diavolo si stavano risentendo per il fatto di venir trattati come degli intrusi, ad un matrimonio a cui erano stati invitati dalla sposa stessa.
Hinedia sembrava non curarsi di tale atmosfera tesa, essendo decisa a divertirsi e a non pensare a nulla, almeno per un giorno, almeno il giorno del proprio matrimonio.
Il suo vestito era stupendo, e tutti le avevano fatto i complimenti per l’eleganza, nonostante alcuni membri del suo stesso culto le avevano rimproverato di aver “azzardato” troppo in vanità, con quell’abito.
Lei aveva risposto loro che, se aveva azzardato lei in vanità, allora doveva aver azzardato a sua volta anche sua madre, dato che il vestito era il suo; dunque, se rivolgevano quell’accusa a lei, la stavano rivolgendo automaticamente anche a sua madre. Dopo averli zittiti tutti con raffinatezza, era tornata a ballare sotto le note della lira suonata da sua cugina, che era sempre stata una brava musicista sin da bambina.
Anche Blake e Judith stavano provando a non far caso alle occhiatacce che lanciavano loro più o meno tutti i servi del Creatore presenti; ma, soprattutto, ad ignorare lo sguardo fisso di Naren puntato su di loro. 
Ioan e tutti gli altri bambini degli otto peccati, invece, ballavano, giocavano e ridevano come non ci fosse un domani, incuranti di qualsiasi cosa:
Ioan trascinava sempre Gwen a ballare intorno al fuoco, e May si univa spesso a loro.
Poi c’era Kilian, che cercava di far smettere Edith di mangiare in continuazione, e poi veniva trascinato a ballare a sua volta da Jogger. E ancora, c’erano Sorie e Dionne, che ridevano a crepapelle e facevano scherzi innocenti a tutti gli altri.
Loro sembravano gli unici immuni a quel clima di inimicizia.
Un’inimicizia dettata dal fatto che nessuno poteva cambiare le tradizioni sacre, nemmeno la sposa stessa: servi del Creatore e servi del Diavolo non potevano mischiarsi in tali festeggiamenti, o partecipare alle celebrazioni dei rispettivi matrimoni.
In un contesto diverso, sicuramente avrebbero interagito pacificamente tra loro, ma non in quel caso.
Hinedia non ne sembrava del tutto consapevole, ma Naren sì.
Padre Craig e Quaglia erano altri due invitati che sembravano completamente incuranti del clima che si respirava a quei festeggiamenti, e che si divertivano genuinamente con Hinedia e con i bambini.
Judith sperava in cuor suo che, arrivata la data del matrimonio di Hinedia, avesse già partorito.
E invece no, il Diavolo aveva deciso di burlarsi di nuovo di lei, e di punirla con una gravidanza puntuale e regolare.
Se avesse partorito prima sarebbe stata prematura, certo, tuttavia, almeno, avrebbe potuto godersi il matrimonio della sua più cara amica in serenità e tranquillità, senza avere male alle caviglie, senza i continui dolori al pancione e il mal di testa.
Era un giorno importante anche per lei, nonostante non approvasse minimamente quel matrimonio, e conoscesse anche i motivi distorti per cui l’amica avesse deciso di celebrarlo.
Dunque, era una tortura, essere al nono mese di gravidanza, e festeggiare in mezzo alle persone.
Dopo essersi saziata, e dopo l’ennesimo ballo con May, Kilian e Quaglia, Hinedia si staccò da loro, ancora con il sorriso ad ornarle le labbra, e il fiatone a toglierle il respiro.
Individuò Blake a distanza, il quale si stava versando da bere.
Judith, intanto, si stava intrattenendo in una conversazione con padre Craig e la sorella di Gwen, poco distante.
Decise di raggiungerlo, dato che era parecchio tempo che non avevano occasione di parlare insieme.
Si resse l’orlo del lungo abito con le mani e camminò sull’erba, verso di lui, ancora con il sottofondo musicale della lira e dei tamburi.
- Ehi – attirò la sua attenzione, sbucando alle spalle del ragazzo.
Egli si voltò verso di lei e le sorrise. – Non sono ancora riuscito a farti le mie congratulazioni, oggi sei giustamente circondata da chiunque: ti faccio i miei migliori auguri per queste nozze, Hinedia.
La ragazza ricambiò il sorriso e abbassò lo sguardo per un attimo, non riuscendo a farne a meno, in quanto era un’abitudine che aveva sempre avuto con lui, e che non era mai riuscita del tutto a togliersi, pur essendo migliorata molto. – Ti ringrazio molto. Come mai sei qui da solo?
- Ho parlato con decine di persone nel giro di poche ore, avevo bisogno di distaccarmi un attimo dalla folla – ammise lui, sorseggiando dal suo bicchiere. – È stata una scelta coraggiosa, quella di invitare anche noi, e tutte le famiglie dei bambini degli otto peccati, al tuo matrimonio.
- Credi sia stato un gesto troppo avventato? – domandò lei, guardando preoccupata gli sguardi poco rassicuranti che si rivolgevano alcuni gruppi di servi del Creatore, con altri di servi del Diavolo.
- Credo che ti renda onore – le disse lui. – Non si possono cambiare le cose in un giorno. Però, tu li hai portati a fare un gran bel passo avanti – aggiunse.
- Oggi mi lusinghi. Non esagerare o potrei farci l’abitudine – scherzò lei.
- E non ho ancora finito: stai molto bene con questo vestito.
- Anche tu stai molto bene – rispose Hinedia, non riuscendo a frenare la lingua, e non volendo neanche farlo. Blake, in abiti eleganti e da cerimonia, era una visione celestiale: la tunica a collo alto e in stile corsetto che indossava, gli calzava a pennello, come se gli fosse stata cucita addosso, mettendogli in evidenza tutte le forme da capogiro, specialmente la sinuosità dell’addome lungo e stretto; la stoffa era di un bel colore nero caldo, e le rifiniture sopra di esso, di un verde acquamarina, gli donavano molto colore e dinamicità; i pantaloni erano della stessa tipologia, neri, con le rifiniture verdi-azzurre, ma non eccessivamente stretti.
Judith, poco lontano da loro, non era da meno: nonostante il pancione ingombrante, la fanciulla indossava un vestito di seta rosso scarlatto e lucido, che su di lei era a dir poco un incanto, e che si abbinava alla sua cascata di capelli folti e acconciati meravigliosamente con fiori rossi, petali e nastrini. I suoi splendidi seni, sodi, alti e corposi, erano stretti dal tessuto morbido, che li accarezzava in maniera raffinata e non volgare.
- Grazie – gli rispose lui, poi volgendo lo sguardo ai bambini che ballavano intorno al fuoco. Sorrise.
- Presto sarò io a partecipare al tuo matrimonio con Judith – disse lei, riattirando la sua attenzione.
- Sì – rispose il ragazzo, rabbuiandosi lievemente.
- Che c’è? Qualcosa ti preoccupa?
- La situazione in cui ci troviamo non è delle migliori, lo sai anche tu. Immagino che Quaglia ti avrà raccontato.
- Sì, ma… sono fiduciosa che le cose andranno bene.
I nostri due Signori ci aiuteranno.
- Vorrei possedere il tuo ottimismo e la tua fiducia – disse lui, disilluso. – Ma non voglio annoiarti il giorno del tuo matrimonio. È il tuo giorno: va’ e divertiti, ci sono almeno sette persone che stanno aspettando che tu smetta di parlare con me, per avvicinartisi.
- Lascia che aspettino – rispose lei. – Blake, posso farti una domanda? Una domanda che mi preme da settimane?
- Certo.
- Prometti che risponderai sinceramente? D’altronde, è il mio giorno, lo hai detto tu stesso: risponderai a tutto quello che ti chiederò?
- Così sei sleale – commentò lui, sorseggiando un altro sorso, e accennando un sorriso cedevole. - D’accordo. Chiedimi tutto quello che vuoi, novella sposa.
- Cosa è accaduto là sotto, il giorno in cui sei rimasto rinchiuso sotto la galleria?
Blake sgranò gli occhi per un attimo.
Hinedia lo guardava in attesa, impaziente.
Il ragazzo sospirò.
- Mi hai dato la tua parola…
- Te lo dirò, te lo dirò, ma ti prego di non farne parola con nessuno. Non l’ho detto neanche a Judith.
- Te lo prometto.
- I miei antenati, proprietari della galleria e scavatori, hanno eretto un altare per idolatrare il Diavolo, nella parte più bassa mai raggiunta dagli scavi dell’uomo.
Era un luogo sepolto da anni, di cui nessuno sa l’esistenza al momento, tranne io.
Sono arrivato lì guidato da una Voce…
A quanto pare, il Diavolo mi voleva lì. Voleva imprigionarmi lì, per ottenere da me la mia anima.
- Non ti seguo…
- Il Diavolo sa che non credo in nulla, Hinedia.
Dalle parole della creatura che mi ha condotto là sotto… il Diavolo voleva un segno di devozione totale da parte mia. Voleva che mi inchinassi davanti all’altare d’oro, eretto dai miei avi, per consacrare la mia vita e la mia anima a lui. Io mi sono rifiutato… e ho dato fuoco all’altare.
Ho bruciato tutto. Non so come abbia fatto ad uscire vivo di lì, sinceramente. Se non ci fosse stato padre Craig, ad aspettarmi lì sopra, probabilmente sarei morto.
Non so quanti altri scavatori siano morti, intrappolati là sotto, corpo ed anima.
Probabilmente più di quanti vogliano farci credere.
Bonnie, sicuramente, è morta per volere del Diavolo, così come tutti gli altri.
La Galleria è un luogo maledetto.
- Ma tu hai sventato la maledizione, no?
- Non l’ho sventata, Hinedia, ho solo sfidato il Diavolo.
- Credi… credi che esista davvero? Credi che il Diavolo abiti davvero la parte più remota e profonda della galleria? – gli domandò Hinedia, deglutendo il groppo che aveva in gola, memore anche dello strano sogno che aveva fatto quella notte.
- Non lo so.
Non so più niente.
Ma non credo in lui e non voglio asservirmi a lui.
- Credi che il Diavolo voglia qualcos’altro da te?
Tale domanda non venne quasi udita dal ragazzo, in quanto vennero immediatamente interrotti dallo sposo.
Naren si infilò tra loro e avvolse le spalle della sua sposa con un braccio. – Di cosa parlate qui?
Hinedia cercò di celare il proprio disappunto, a causa di quell’interruzione. – Di sciocchezze, caro. Blake mi stava dicendo quanto gradisse il cibo e la musica della lira.
Naren, dal canto suo, osservò il ragazzo, facendo vagare gli occhi su tutto il suo corpo, un gesto che Hinedia non riuscì a decifrare: non comprese se lo stesse guardando con invidia malcelata, con ammirazione, o con qualcos’altro.
Poi abbassò gli occhi, spostando l’attenzione su altro, non incrociando mai gli occhi del ragazzo.
Blake assottigliò lo sguardo, accorgendosi che non fosse la prima volta che Naren si atteggiasse in tal modo dinnanzi a lui. Ma non gli diede peso.
I tre vennero raggiunti anche da Judith, da padre Craig e da Quaglia.
Quest’ultimo con il fiatone, dopo l’ennesimo ballo con i bambini.
- Gwen ed Edith sono due uragani quando ballano! Si sono persino strappate i vestiti! – esclamò sfinito, prendendo un bicchiere di vino a sua volta.
- Non sarai troppo vecchio per questi tipi di attività, amico mio? – lo prese in giro padre Craig, sorridendo.
- Non un’altra parola – sorrise a sua volta Quaglia, seguito da Judith, la quale si accostò a Blake, poggiandogli una mano sul ventre piatto fasciato dal pregiato tessuto.
- Ehi – gli disse, guardandolo dal basso con un sorriso appagato, mentre lui le avvolse la spalla con un braccio.
- Ehi – le rispose il ragazzo, ricambiando il sorriso, lasciandole un fugace bacio a fior di labbra.
Erano rimasti divisi solamente qualche minuto, ma quelle piccole effusioni erano un’abitudine tra loro, non solo quando dovevano salutarsi.
Quando i suoi occhi lasciarono il viso di Blake, la ragazza poggiò la testa sulla spalla di lui e posò lo sguardo su Hinedia e su Naren, davanti a loro. Si accorse che quest’ultimo li fissava quasi come volesse incenerirli con lo sguardo, e al contempo infilarsi lì in mezzo, per farli separare.
Provò solo disgusto verso di lui, e verso il modo in cui era avvinghiato ad Hinedia, quasi a rimarcarne il possesso, mentre la ragazza era chiaramente infastidita dal contatto con lui.
Non sarebbe stato affatto un matrimonio facile, il loro.
Perché lo hai fatto, Hinedia? Perché ti sei condannata in questo modo?
Dal canto suo, Blake si accorse che una donna sui quarant’anni, una serva del Creatore, probabilmente un’amica di famiglia di Hinedia o di Naren, li stesse fissando con costanza, mentre beveva vino.
Il suo sguardo era strano, inquietante: i suoi occhi erano lucidi e stralunati, i movimenti talvolta tremanti, talvolta scattanti. E non fissava solo loro così, bensì anche altri servi del Diavolo che chiacchieravano tra loro.
Judith cominciò a carezzargli distrattamente la pancia con movimenti circolari delle dita, e gli altri iniziarono a parlare, ma lui non se ne accorse neanche, troppo concentrato ad osservare il comportamento molesto di quella bizzarra donna.
- Cos’ha quella donna? – domandò improvvisamente, continuando a guardarla, interrompendo inconsapevolmente i loro discorsi.
Hinedia si volto verso di lei e alzò un sopracciglio, confusa a sua volta, mentre Naren quasi raggelò.
- Non saprei… potrebbe aver bevuto troppo? È una delle sorelle di tua madre, vero, Naren? Non dovresti andare da lei e controllare se sta bene? – propose la sposa.
Anche Judith, padre Craig e Quaglia spostarono lo sguardo su di lei.
Si resero conto che quella donna non fosse l’unica che lanciasse tali sguardi destabilizzanti e indecifrabili ai servi del Diavolo, quasi tutti inconsapevoli di essere oggetto di tali equivoche attenzioni.
- Avranno sicuramente bevuto troppo – liquidò la questione Quaglia, bevendo altro vino a sua volta.
Per distrarre l’attenzione da quel dettaglio disturbante, Judith prese la parola: - Allora, Quaglia, raccontaci ancora di tuo figlio. Non ci hai detto abbastanza di lui.
- Già! – le diede man forte Hinedia, curiosa. – Riesci a ricordare ogni singolo dettaglio di lui?
- Qualsiasi cosa! – confermò l’uomo, allegro. – Lo vedrete con i vostri occhi: ho fatto un suo ritratto negli ultimi giorni, per come lo ricordo.
- Dici davvero? Allora hai un ricordo ben nitido di lui, ne sono felice! – esclamò padre Craig.
Continuarono a parlare di Ruben, e a scherzare un po’, mentre Naren restò per lo più concentrato sul fermento che si stava agitando tra i servi del Creatore, il quale non era dovuto solo al fastidio che provavano per la presenza dei servi del Diavolo ai festeggiamenti.
Blake, a sua volta, non era sereno, ma cercò di non darlo a vedere, e di ascoltare le loro chiacchiere.
Judith, che aveva una mano poggiata sullo stomaco del ragazzo, e l’altra stretta al suo bacino, percepì quanto fosse teso sotto i vestiti, e alzò di nuovo lo sguardo su di lui.
- Tutto bene? – gli domandò in un sussurro, per non farsi sentire dagli altri.
- Sì – rispose lui, non riuscendo a convincerla.
- Vieni, allontaniamoci un po’ – lo incoraggiò lei prendendolo per mano, per poi rivolgersi agli altri: - Noi andiamo a prendere altro cibo, la gravidanza mi rende ingorda, lo sapete – si giustificò, trascinandolo con sé.
Avendo messo qualche metro di distanza tra loro e tutti gli altri, Judith si fermò e lo guardò, studiandolo. – Ti preoccupa l’atteggiamento di quella donna?
- Non è solo lei. C’è qualcosa che non va, Judith. Non so cosa sia.
- Si tratta del fatto che nessuno di noi servi del Diavolo è gradito qui?
- No, non è quello – le disse lui. – Ho una sensazione strana. Forse non saremmo dovuti venire qui.
- E perderci il matrimonio di una delle nostre più care amiche??
Blake, lo so, non è facile essere circondati da così tante persone bigotte, che non fanno altro che guardarci con sdegno, facendo finta che vada tutto bene, neanche per me è facile. Però dobbiamo resistere fino a fine giornata, poi torneremo a casa, faremo un bel bagno caldo per toglierci l’appiccicume del vino e del sudore, e ci addormenteremo abbracciati.
Blake le accennò un sorriso in risposta, guardandola lievemente allarmato nel momento in cui lei si poggiò una mano sul pancione e si lamentò, chiudendo gli occhi.
- Tu stai bene…? Hai bisogno di riposarti o di sederti?
- Apprezzo la tua apprensione ma no, sto bene – rispose, prendendo un bel respiro, mentre lui la reggeva per i fianchi, sostenendola. – Mi fanno solo male i piedi… me li taglierei, se potessi. Questi gemelli pesano più di un branco di montoni. Mi chiedo come farò a farli uscire di lì, grandi come sono.
Blake le lasciò un dolce bacio tra i capelli in risposta. – Se ti fanno male, ti farò un massaggio ai piedi quando torneremo a casa – le sussurrò, facendola rianimare subito.
- Dici davvero?? Un massaggio ai piedi è la cosa che più desidero al mondo in questo momento – gemette lei, sorridendo e aggrappandosi maggiormente al ragazzo che amava. – Mi sdebiterò, promesso…
- Non devi sdebitarti.
- Oh, ma io voglio sdebitarmi – gli sussurrò dritto nell’orecchio, alzandosi sulle punte.
Nonostante indossasse i suoi abituali tacchi, era ancora ben lontana dal raggiungere la sua altezza.
Blake sorrise di sottecchi, sentendo la tensione allentarsi un po’.
- Ti sei calmato un po’? – gli domandò la ragazza.
- Sì. Grazie – le rispose, lasciandosi baciare. – Però, massimo un’ora e andiamo via di qui. Torniamo a casa e ti faccio tutti i massaggi ai piedi che vuoi.
- Scherzi? Io volevo sgattaiolarmene via tra meno di un’ora.
E portarti via da tutti questi sguardi femminili inopportuni – rispose facendolo ridere, ridendo a sua volta, mentre tornavano insieme agli altri.
- Blake – lo bloccò lei tirandogli la mano, poco prima di raggiungere gli altri.
- Che c’è?
- Ti amo – gli disse all’improvviso. Glielo aveva già detto molte volte, ma, per qualche motivo, sentì l’esigenza di ribadirlo. – Non dimenticarlo mai.
Il ragazzo le sorrise in risposta, confuso. – Ti amo anch’io.
Dopo ciò, tornarono definitivamente tra gli altri.
Ma la situazione aveva preso una piega ancor più conturbante, nel poco tempo che erano stati lontani: i servi del Creatore sembravano stessero discutendo tra loro, Naren era sempre più agitato; mentre padre Craig, Quaglia e Hinedia non capivano cosa stesse accadendo.
Oramai anche i servi del Diavolo stessi si erano accorti che qualcosa non andasse, e si stavano domandando cosa stesse prendendo ai servi dell’altro culto.
Solo i bambini continuarono a ballare intorno al focolare.
- Che succede qui? – domandò Judith avvicinandosi ad Hinedia, prendendola sottobraccio.
- Non ne ho idea… - rispose la sposa.
La donna dell’inizio, colei che aveva dato inizio a quel gioco di sguardi, e che sembrava non riuscire più a tenersi dentro un segreto inconfessabile, si avvicinò a Naren, tremando e guardandolo con le lacrime agli occhi.
Lacrime di senso di colpa.
Era questo il sentimento che stavano provando la maggior parte dei servi del Creatore presenti a quel matrimonio…?
Senso di colpa?
E per cosa?  si domandò Judith.
- Ti prego, Miranda… - disse un altro servo del Creatore, la voce tremante a sua volta, avvicinandosi alla donna. – Non roviniamo questo bel matrimonio proprio ora… non c’è alcun bisogno di dirlo. Non c’è alcun bisogno che loro lo sappiano… - la supplicò, quasi con disperazione.
- Sapere cosa…? – domandò padre Craig, sempre più confuso.
- Jonah, ti rendi conto che la maggior parte dei servi del Diavolo che sono qui oggi, erano presenti quella notte, ai festeggiamenti di mesi fa…?!? – rispose ella stralunata, sempre più nervosa e decisa a parlare.
Naren stesso le strinse le spalle e la pregò di non dire nulla: – Zia Miranda, vi prego… è passato tanto tempo ormai… - il ragazzo singhiozzava quasi, e Hinedia e Judith erano sempre più sconvolte nel vederlo così.
- Io non riesco più a tenermelo dentro! È un peccato che mi tormenta giorno e notte! – esclamò lei, tappandosi la bocca, disperata, guardando tutti i servi del Diavolo presenti negli occhi, i quali la osservavano come fosse impazzita.
- Eravamo presenti anche noi servi del Creatore, quella notte, quando avete perduto la memoria tutti quanti, al festeggiamento di due dei membri del vostro culto… - confessò lei. – Parecchi di noi.
- Che state dicendo…? – cominciò a chiedere qualche servo del Diavolo.
- Quali festeggiamenti? Quale matrimonio?
- Lasciatemi parlare – riprese la donna. – Esattamente nove mesi fa.
A tali parole, Judith raggelò.
- Alla fine del vostro rito dello specchio – continuò la serva del Creatore. – Un servo del Creatore ha avuto l’idea di drogarvi tutti quanti, più di quanto già non foste, con delle erbe molto potenti.
Per questo non ricordate nulla.
Mentre noi servi del Creatore… ricordiamo tutto quanto.
Ci ha chiamati, proponendoci di unirci ai vostri festeggiamenti… in ogni caso, voi non vi sareste ricordati niente la mattina dopo, quindi non avremmo rischiato nulla.
Noi non eravamo mai stati ai vostri festeggiamenti, ed eravamo alquanto curiosi…
All’inizio era solo curiosità, lo giuro sul Creatore… giusto??? – domandò lei, rivolta verso tutti gli altri membri del suo stesso culto, i quali sarebbero voluti sprofondare sottoterra o scappare via dalla vergogna, mentre Miranda vuotava il sacco, confessando i loro peccati inconfessabili.
Gli unici tra i servi del Creatore che sembravano non capire cosa stesse succedendo, erano i genitori degli sposi, e i parenti più anziani.
I servi del Diavolo, dal loro canto, erano tutti a dir poco sconvolti, e confusi.
Alcuni di loro, temendo dove il discorso stesse giungendo, erano già pronti a tappare le orecchie ai loro bambini o a trascinarli via di lì.
- Non posso rimanere in silenzio…
Non dopo che tale peccato mi perseguita da nove mesi, ma soprattutto trovandomi davanti la maggior parte delle persone di cui abbiamo abusato quella notte!
Un silenzio spettrale invase la folla, in seguito a quell’affermazione.
Judith e padre Craig capirono che, quel giorno, avrebbero ricevuto finalmente le risposte che cercavano da nove mesi.
- Come dicevo… all’inizio era solo curiosità.
Volevamo vedere voi servi del Diavolo perdere la testa, copulare tra voi, divertirvi come a noi è sempre stato negato, privi di senno…
Poi, il tutto è degenerato.
- Naren, che significa…? – domandò Hinedia al succitato. – Erano presenti anche altri servi del Creatore oltre te, quella notte…?
La donna sembrò cercare con lo sguardo un viso in particolare, e quando lo trovò si avvicinò a lui, ponendoglisi davanti, con le lacrime agli occhi.
Il ragazzo in questione era il fratello di Dionne, un giovane di diciannove anni, da poco sposato, accanto alla sua consorte.
- Abbiamo pensato che foste abituati a tali tipi di abusi, dato che vi dilettavate anche in orge, talvolta – gli disse la donna, tremando di vergogna. – Abbiamo bevuto vino e abbiamo inspirato anche noi alcuni fumi annebbianti… abbiamo perso le inibizioni, ma eravamo tutti perfettamente lucidi, a differenza vostra.
- Cosa state cercando di dirmi? – le domandò il ragazzo, sempre più impaurito.
- Ho giaciuto con te, quella notte. Contro la tua volontà.
Ho il doppio della tua età, sono una serva del Creatore e non conosco nemmeno il tuo nome, ma hai attirato la mia attenzione e non ho resistito: mi sono infilata sotto di te, e ho … fatto ciò che volevo con te.
E come me… molti altri qui presenti.
Ammettete le vostre colpe, fratelli e sorelle! – li esortò Miranda, in lacrime. – Queste persone meritano di sapere la verità!
Il ragazzo era a dir poco sconvolto da tale rivelazione e a fatica riusciva a respirare.
Ora erano dinnanzi alla verità.
E la verità appariva addirittura peggiore di quanto si aspettassero.
Il terrore di scoprire di più, di scoprire da chi fossero stati abusati, invase tutti i servi del Diavolo presenti.
Perché ormai la domanda non verteva più sul se, bensì sul da chi.
Ed era tremendo.
Un concetto che i servi del Creatore, nella loro ristrettezza di pensiero, non erano mai riusciti a comprendere, era che prendere parte ad un’orgia consapevolmente e consensualmente, non corrispondeva al venire abusati o violentati.
Non era la stessa cosa.
E sembravano comprenderlo solo ora.
Probabilmente, la paura del rogo era stata la loro unica preoccupazione in quei nove mesi, e il pensiero di aver fatto del male a persone inconsapevoli e tutt’altro che consenzienti, non li aveva sfiorati nemmeno, fino a quel momento.
Quaglia ringraziò mentalmente tutti gli dèi in cui non credeva di essere l’unico (insieme ai bambini, agli anziani e a pochi altri) a non essere stato presente quella sera di nove mesi prima, a quei maledetti festeggiamenti.
La violenza sessuale era cosa da nulla forse, se pensata accostata ai servi del Diavolo.
Ma, in realtà, non era affatto cosa da nulla.
E tutti i servi del Creatore presenti, per lo più stupratori inconsapevoli, se ne stavano rendendo conto solo ora, guardando le facce sbiancate e mortuarie dei servi del Diavolo a cui avevano fatto del male.
Perché, benché fossero trascorsi nove mesi, e le ferite fisiche fossero oramai guarite, le ferite interne invece non sarebbero guarite.
Judith poteva essere l’unica a portare visibili sul proprio corpo gli effetti catastrofici degli abusi subìti quella notte, ma non era l’unica a soffrirne.
Hinedia preannunciava già una strage irrecuperabile in arrivo.
Il tutto, solo perché aveva invitato sia servi del Creatore che servi del Diavolo al suo matrimonio.
Ma era stato giusto così. Se quei luridi approfittatori avevano abusato dei servi del Diavolo… loro avevano tutto il diritto di saperlo. Dal primo all’ultimo.
La verità sarebbe fuoriuscita come lava ardente.
“La verità che noi crediamo di conoscere non è mai la verità assoluta, bensì sempre e solo una porzione di verità, qualcosa che non è mai del tutto vero e giusto”
- Se loro non hanno il coraggio di dirvelo, sarò io a farlo per loro! – esclamò Miranda, oramai portavoce della giustizia.
- Miranda, no! – esclamarono alcuni servi del Creatore, contrariati.
- Lui! – disse indicando un ragazzo, un servo del Creatore che si nascondeva dietro ad un albero. - Lui, il suo nome è Felix ed è mio genero: così potrete dare anche dei nomi a coloro che vi hanno usato per il proprio piacere personale, come oggetti inanimati. Lui ha stuprato quella fanciulla laggiù! – confessò per lui, puntando il dito su Mona, la quale inorridì. – E anche altre! Anche lei, lei, e lei laggiù! E persino un ragazzo, che al momento non vedo presente, tuttavia.
La folla di servi del Diavolo lanciò grida di sgomento e rabbia.
- Nessuno è scampato! – continuò Miranda. – Quella donna laggiù ha seviziato quei due ragazzi, e anche una donna!
Mio marito ha giaciuto con tre fanciulle, tre sorelle!
Mio cugino ha violentato due fanciulli e una donna!
Miranda continuò così, con molti di loro, fin quando, terrorizzato, sapendo che a breve sarebbe toccato anche a lui, Naren la fermò, prendendola per le spalle e strattonandola:
- Zia Miranda, fermati, basta! Stai facendo solo del male! Questo è il mio matrimonio!
- Ed è anche il mio matrimonio! – si impose con decisione Hinedia, tirandogli il braccio. – Ed io dico che loro devono sapere cosa avete fatto!
Naren se la scrollò di dosso, ma venne immediatamente raggiunto anche da Judith. – Tu! Tappati la bocca e lasciala parlare!! – esclamò fuori di sé la rossa. – Tutti loro, per lo meno, hanno mostrato il minimo buon senso nel non provocare danni irreparabili mentre commettevano i loro sudici soprusi! Nessuno di loro ha ingravidato una serva del Diavolo!! Tutti tranne te, lurido maiale irresponsabile e incosciente!! Tra l’altro, la tua parente che ci sta amabilmente informando riguardo tutto ciò, ha dimenticato di aggiungere un piccolo particolare: ognuno di noi si era scambiato di corpo con il proprio vicino alla fine del rito dello specchio. Probabilmente non ve ne siete neanche accorti, ma era così. Quando voi ci avete drogati e avete abusato di noi… eravamo doppiamente debilitati, confusi, incapaci di usare quel corpo nuovo nel modo giusto! – esclamò la ragazza.
- Per questo abbiamo potuto approfittarci di voi tanto facilmente – riconobbe Miranda. – Non solo eravate drogati e incoscienti, ma eravate anche disorientati dall’abitare un corpo estraneo.
- Avete trasformato il rito dello specchio, un’usanza sacra tra noi servi del Diavolo… in un incubo - disse Judith, tremendamente disgustata.
Blake, intanto, prese Ioan e fece per andarsene di lì, ma venne prontamente bloccato da padre Craig. - Cosa fate?
- Me ne vado.
- Ma non volete sapere anche voi…?
- No, non voglio saperlo. Preferisco non saperlo – annunciò categorico.
- Meritate di saperlo...
- Ma non voglio.
Ma quando Blake adocchiò Naren avvicinarsi con ira a Judith, iniziarono a pizzicargli le mani di rabbia, e il sangue gli si avvelenò: non avrebbe mai lasciato Judith tra le grinfie di quella carogna, motivo per cui decise di restare e di ascoltare ancora.
Una decisione di cui si sarebbe amaramente pentito poco dopo.
- Sta’ zitta, Judith, non ti conviene aprire questo discorso! – le intimò Naren.
- Di cosa hai paura, Naren…? Avanti, dimmi quello che mi avresti voluto dire mesi fa – lo sfidò lei sprezzante, ad un palmo dal suo viso. – Dimmelo e lava la tua coscienza, cane. Dimmi, Naren, per quale motivo ti sei unito a questo branco di porci eccitati e famelici, quando avevi già il mio totale amore?
- Sei stata tu a sedurmi!! Sei stata tu a costringermi!! – gridò lui.
- Come ho fatto a sedurti se mi trovavo dentro il corpo di un ragazzo in quel momento?!? E per quale motivo non sei riuscito a trattenerti dall’ingravidarmi come il più infantile dei poppanti?!
- Non ho resistito… non ce l’ho fatta! È tutta colpa sua!
- Di chi??
- Non glielo hai ancora detto…? – gli domandò Miranda, intervenendo, guardando suo nipote sorpresa.
- Dirmi cosa…? – domandò Judith tremante, iniziando a desiderare inconsapevolmente che non le venisse detto più nulla a riguardo. Cominciò a desiderare di non sapere.
Miranda sembrò rendersi conto solo in quel momento di non aver ancora rivelato i nomi delle vittime di suo nipote: - Naren ha violentato il tuo ragazzo fino a lasciarlo in fin di vita – disse, posando gli occhi su Blake, a distanza, il quale si paralizzò sul posto. – Non ho mai visto una foga tale in vita mia - ammise Miranda. - Pensavamo che lo avesse ucciso.
Anche Judith si voltò verso di lui, sbiancata.
- Tu e Blake vi siete scambiati di corpo, Judith… tu eri nel suo corpo, e lui nel tuo – rivelò finalmente Naren, in lacrime, la testa bassa e le mani strette intorno al corpo. A vederlo così, non sembrava capace di far del male a nessuno.
Quanto si sbagliavano.
- Ero venuto a cercarti… inizialmente non conoscevo l’intento di tutti loro.
Non sapevo che vi avessero drogati pesantemente, e che… me ne sono accorto dopo.
Io ero venuto a cercarti perché ero geloso di chiunque potesse toccarti, Judith.
C’erano così tanti giovani uomini bellissimi a quei festeggiamenti… io sono sempre stato un mostro, in confronto. Avevo paura potessi cedere alla tentazione e tradirmi – cominciò a raccontare, rivelando a tutti i presenti la loro relazione segreta. – Non capivo cosa stesse succedendo, non ti vedevo… poi, ho visto avvicinarsi a me un ragazzo, un servo del Diavolo che non avevo mai visto prima… era Blake. Al tempo non lo conoscevo. Lui mi guardava in modo strano. Si è accostato a me, e mi ha detto… che eri tu. Mi hai confessato di essere tu, Judith, nel suo corpo. Mi hai detto che tutti quanti vi eravate scambiati di corpo e che ti sentivi strana, molto strana, che non capivi più niente… ma che ti piaceva. Mi dicevi che ti piaceva molto trovarti in un corpo diverso dal tuo, in un corpo maschile.
La trovai una cosa estremamente perversa, inizialmente.
Poi, i fumi annebbianti che loro sparsero in aria iniziarono a farmi effetto, e le mie inibizioni sparirono, anche se sono rimasto notevolmente più lucido di te.
Capivo ci fosse qualcosa che non andasse… e che non fossi davvero tu. Che… probabilmente avessi qualche strana droga dentro di te. Ma mi piaceva… mi piaceva vederti così libera, intraprendente, lasciva… all’inizio non ti credevo del tutto, ma quando iniziasti a parlarmi come solo tu mi parlavi, e a dirmi cose di noi che solo tu potevi conoscere, mi convinsi che fossi davvero tu, dentro quel corpo maschile. Dentro quel bellissimo corpo maschile. Un corpo che ti stava piacendo tanto esplorare, e che stava iniziando a piacere anche a me. Iniziasti a sussurrarmi cose strane all’orecchio… non avevo mai creduto, prima di quel momento, che anche un ragazzo potesse farmi quel tipo di effetto. Ma quella notte fu diversa per tutti: vidi miei amici e parenti giacere a tradimento sia con uomini che con donne, indistintamente, tutti quanti, come se capissero che, in quello scambio di corpi generale, era giusto e dovuto provare tutto, viversi tutto, perché l’occasione non si sarebbe mai più ripetuta. E quella notte capimmo anche che la bellezza e il piacere sessuale non hanno genere – mentre diceva ciò, Naren non aveva il coraggio di guardare negli occhi Judith, ma, soprattutto, non aveva il coraggio di guardare negli occhi Blake, che lo ascoltava a qualche metro di distanza. Solo un piccolo gruppetto di persone stava ascoltando le sue parole, oltre i due diretti interessati: Ioan, Quaglia, padre Craig e Hinedia. Tutti gli altri stavano confessando rispettivamente i loro soprusi alle vittime stesse, prendendo esempio da Miranda e da Naren, in un vociferare generale, intervallato da urla e da ben giustificati scatti d’ira.
- Riuscisti a sedurmi anche in un corpo maschile. O forse, proprio perché abitavi un corpo maschile, qualcosa di nuovo e inesplorato, il mio corpo ha reagito di conseguenza e ti ho assecondato fin da subito, Judith, senza pensarci troppo - ammise. Si fece coraggio, e in quel momento alzò gli occhi, puntandoli su quelli di Blake, rivolgendosi ora a lui: – Per me eri solo un corpo in quel momento – gli disse. – Un meraviglioso contenitore abitato dalla donna che amavo. Un oggetto da maneggiare a mio e a suo piacimento. Ti ho fatto del male… me ne rendevo conto, mentre ti sovrastavo e non riuscivo a fermarmi. Ho provato un piacere tale… lo ricordo ancora, per quanto intenso. Non riuscivo, non riuscivo a porre fine a quel piacere, ero come posseduto… e Judith continuava ad insistere e ad insistere, perché piaceva molto anche a lei subire quel supplizio, le piaceva soffrire e provare piacere al contempo… poi anche lei si è accorta che qualcosa non andasse ed ha iniziato a ordinarmi di smettere, a ribellarsi, a urlarmi che le stavo facendo male, troppo male… ma io non riuscivo a placarmi. Tutto ciò che volevo era raggiungere il mio piacere, tramite il tuo corpo stretto, caldo, sodo e così piacevole da stringere e maneggiare, così diverso da quello di Judith… ma ugualmente invitante e appetibile - terminò il racconto, continuando a guardare il diretto interessato negli occhi, sentendosi morire dentro.
- Tu mi hai sedotto e spinto a farlo, Judith – riprese poi, spostando lo sguardo nuovamente sull’amata. - La colpa è stata di entrambi: tua, per aver pensato solo al tuo proprio piacere e non esserti curata della volontà del corpo che abitavi, e mia per aver ceduto alla tentazione e per non essere riuscito a fermarmi.
- Poi…? – ebbe il coraggio di sussurrare Judith. – Poi cos’è accaduto…?
- Dopo aver consumato quel terribile quanto appagante atto, sono stato invaso dai sensi di colpa… il corpo di Blake riusciva a malapena a reggersi in piedi. Tu che abitavi quel corpo, Judith, ti sei infuriata con me… seppur fuori di senno, eri adirata, giustamente, perché sanguinavi e avevi fitte di dolore ovunque… dicevi che mi sarei dovuto fermare, ed io ero rannicchiato lontano da te, disperato, a crogiolarmi nei miei sensi di colpa. Poi, all’improvviso… sei sbucata fuori tu. Il corpo era il tuo… ed ero confuso, molto confuso. Capii poco dopo, facendo due più due, che dentro il tuo corpo femminile doveva esserci il ragazzo a cui apparteneva il corpo che avevo… - si bloccò, deglutendo. - Dentro il tuo corpo c’era Blake. Lui aveva visto tutto, o almeno il necessario. C’era una ferocia e una furia tale nei suoi occhi che… per me fu agghiacciante vedere tale furia in quelli che riconoscevo come i tuoi occhi, Judith. Era una furia virile e selvaggia. Capii che dentro il tuo corpo doveva trovarsi il ragazzo più vendicativo che avessi mai visto, nel momento in cui Blake, con tutta la diabolicità di cui dispone, ha detto chiaro e tondo che te l’avrebbe fatta pagare. Non ha neanche provato a sedurmi, perché non era capace di sedurre come una donna sa fare, no. Non sarebbe stato necessario, in ogni caso. Camminò verso di me, mi rivolse uno sguardo colmo di odio e sdegno, si alzò sù il vestito, mostrandomi la tua intimità, Judith… e bastò quello. Si sedette sul mio grembo, e io non fui letteralmente in grado di oppormi, né di fare nulla. Si mosse su e giù, gelido, senza sentimento, senza passione, solo automaticamente, non facendo trapelare nulla dai suoi occhi. Ma tutto ciò che io riuscivo a vedere in quel momento, Judith… eri tu. Tu che ti calavi su di me, con quel corpo morbido, curvilineo e stupendo, che amavo e che desideravo da mesi! Non sono resistito neanche una manciata di minuti. È stato tutto estremamente veloce, tanto che non riuscii a rendermene conto. Era stata quella la sua crudele vendetta su di te, Judith: aver provocato un danno irreparabile, una gravidanza indesiderata. Era come se lui sapesse benissimo che non avrei resistito e non mi sarei trattenuto.
Tu urlasti, nel vederlo fare una cosa simile… ma eri troppo debole dal dolore fisico che ti avevo arrecato poco prima, per riuscire ad intervenire.
Però trovasti la forza di lottare contro di lui, nonché contro te stessa, dopo l’accaduto.
Seppur in un corpo da donna, lui era molto più energico di te, in quanto il corpo che abitava non era stato massacrato come quello che abitavi tu, perciò riuscì a spingerti in un fosso.
Cadesti in un cespuglio di rose, credo. Quando risalisti, il corpo che abitavi, nonché di Blake, sanguinava ancor di più, era pieno di ferite che sembravano inflitte da un sacco di spine di rose: svenni, crollando a terra, dentro quel corpo martoriato, e io ti guardai cadere a terra.
Intanto Blake, dentro al tuo corpo, era sparito.
Scappai via, come un ladro, senza fornire alcun soccorso, senza preoccuparmi di accertarmi che quel corpo che abitavi, e che avevo distrutto, respirasse ancora.
Nel momento in cui Naren terminò il suo racconto, un urlo addolorato, più forte degli altri, si levò dalla folla:
Un padre, un servo del Diavolo, stava piangendo di dolore, dopo aver scoperto che le sue figlie e i suoi figli erano stati abusati più volte dai servi del Creatore, quella notte.
- Perché avete fatto questo?! Perché??? Lo sapete che la pena per ciò che avete fatto è il rogo?! Avete condannato al rogo voi stessi, e anche noi!! Per quale motivo?? Da dove viene tutta questa crudeltà??
- Non si tratta di crudeltà – rispose una serva del Creatore. – Noi vogliamo quello che avete voi! Da sempre! Non c’è stata crudeltà nelle nostre azioni…
- Invece c’è stata!! Come si può trattare un corpo umano come un mero oggetto di piacere inanimato?!
- Volevamo sperimentare la libertà che avete voi, per una notte!
Volevamo sperimentare la bellezza! L’ardore! La lussuria!
Abbiamo sbagliato, lo ammettiamo, e ce ne pentiamo amaramente.
Ma possiamo giurarvi che quella è stata l’unica occasione in cui abbiamo fatto una cosa simile!
Siamo riusciti ad avere la meglio su di voi solo grazie alle erbe che vi abbiamo fatto assumere.
Sappiamo bene che le nostre scuse non bastano…
- No, non bastano e mai basteranno. Siete degli animali!
- Ci avete rubato la nostra dignità, strappandocela via, senza ritegno, senza onore, senza umanità! – fu l’esclamazione di una delle numerose serve del Diavolo presenti, la quale si gettò addosso alla serva del Creatore che aveva parlato poc’anzi, iniziando ad azzuffarsi con lei.
Diversi altri servi del Diavolo presero esempio e iniziarono a scagliarsi contro i servi del Creatore, adirati, dando inizio ad un enorme rissa generale.
- Smettetela!!! – urlò Miranda, invano. – Questo tremendo segreto, se dovesse uscire allo scoperto, ci condannerebbe tutti quanti al rogo!!! Dobbiamo tenerlo nascosto!!! Dobbiamo continuare a tenerlo tutti nascosto!!! Vi prego, servi del Diavolo, abbiate pietà e facciamo la pace tra noi!! Sosteniamoci!!
Intanto, Blake era una maschera di cera.
I suoi occhi erano persi, svuotati e lucidi, la bocca schiusa, il viso sbiancato e granitico.
Judith si coprì la bocca con una mano, a dir poco incredula, esterrefatta, nel suo viso si alternavano il senso di colpa e una profonda rabbia.
Hinedia si lasciò cadere seduta a terra, stravolta, le gambe incapaci di reggerla ancora, Layla che scalpitava per uscire fuori, ma tenuta ben a bada dalla ragazza.
Quaglia, per non realizzare tutto ciò che aveva udito, continuava a bere e a bere, come se non ci fosse un domani.
Padre Craig, invece, era furioso. Quell’uomo non solo aveva stuprato e ingravidato Judith, ma aveva anche violentato orribilmente Blake.
Non ci vide più dalla rabbia e sferrò un pugno dritto in faccia di Naren, facendolo cadere a terra.
Poi si premette la mano con l’altra, per attutire il dolore alle nocche.
- Non pensate di essere esente dal peccato! – esclamò Miranda, avvicinandosi al giovane prete, non appena notò che avesse colpito suo nipote in faccia. – Ho visto cosa avete fatto! Avete violentato una giovane serva del Diavolo, dai capelli corvini e gli occhi verdi. Vi ho visto!
- Non l’ho violentata – ammise il giovane prete, confessandosi a sua volta. – Il suo nome era Beitris, è stata giustiziata tre settimane fa. Io mi sono scambiato di corpo con lei, io ero nel suo e lei nel mio. Abbiamo giaciuto insieme quella notte, consensualmente – le disse.
- Allora… - rispose la donna, come realizzando qualcosa, tra sé e sé.
- Che cosa?? – le domandò padre Craig terrorizzato e impaziente insieme. Forse quella donna avrebbe potuto dare anche a lui le risposte che cercava. – Ho fatto qualcos’altro…??
- Voi siete un prete…
- Sì, esatto…
- Come può un prete macchiarsi di sodomia? È perché eravate drogato anche voi, ma… mi risulta comunque impossibile che un uomo di dio possa fare tutto ciò.
- Ditemi cosa mi avete visto fare!
- Ho visto il corpo di quella donna, di quella Beitris… giacere prima con lei – disse indicando Judith. – Poi con lui – aggiunse, indicando poi anche Blake. – Questo è accaduto, prima che loro incontrassero mio nipote Naren.
No, no, non è possibile.
Non riusciva a credere alle sue orecchie, le quali avevano iniziato a fischiare.
Credeva che aver giaciuto con se stesso fosse la cosa peggiore che avesse fatto quella notte.
E invece no.
Aveva anche giaciuto sia con Judith, sia con Blake, rispettivamente l’una nel corpo dell’altro. E forse, aveva anche abusato di loro mentre non era in sé. Chi poteva saperlo.
La mattina dopo Beitris si era svegliata in una pozza di sangue, accanto a Blake.
Ora si spiegava tutto: quel sangue era tutto di Blake. Forse, nell’inconsapevolezza della notte prima, padre Craig aveva trovato il corpo di Blake steso a terra, apparentemente in fin di vita, e preoccupatosi, si era steso accanto a lui, cedendo poi al sonno che aveva posto fine a quella nottata da dimenticare.
Si strinse i capelli, non sapendo come reagire a tutto ciò.
Intanto, Blake, come risvegliatosi parzialmente dal suo stato catatonico, fece qualche passo avanti, avvicinandosi a Naren, sotto lo sguardo incredulo degli altri:
- Ho portato addosso le cicatrici di quella notte per mesi, sul mio corpo.
Alcune… ce le ho ancora addosso.
Ho sentito male ovunque, internamente ed esternamente, per settimane, non riuscendo a capire il perché… così sono rimasto in silenzio, senza farne parola con nessuno – pronunciò quelle parole con voce rotta, infliggendole come fossero lame, mentre lo guardava dall’alto. – Ora so il perché. Ora so chi mi ha fatto questo.
Detto ciò, posò gli occhi in quelli di Judith, leggendovi dentro esattamente ciò che stava pensando lui in quel momento:
Non riuscirò mai più a guardarti in volto, dopo questo.
Prese Ioan per mano e si avviò velocemente verso il sentiero che li avrebbe fatti uscire dal bosco.
In un impeto di senso di colpa, che durò il tempo di un attimo, Judith lo seguì, gridando il suo nome:
- Blake, aspetta!
Il ragazzo arrestò il suo passo, voltandosi verso di lei, a distanza. – Cosa vuoi?
- La colpa è mia quanto tua.
Abbiamo fatto entrambi qualcosa di riprovevole, l’una contro l’altro.
Non puoi non riconoscerlo.
- Lo riconosco – ammise lui.
- Tu… mi hai rovinato la vita con questa gravidanza.
- Eppure io non ti ho arrecato alcun male fisico quella notte.
Io non ho pensato al mio proprio piacere, io non ho usato il corpo che abitavo come contenitore per soddisfarmi, o se l’ho fatto, non l’ho fatto consapevolmente.
- Credi che io lo abbia fatto consapevolmente …??
Blake assottigliò lo sguardo. – Guardami negli occhi e ammetti di non ricordare neanche un briciolo dell’“immenso” piacere che hai provato, mentre spronavi quel cane a fare quanta più violenza possibile su un corpo che non era il tuo.
Tutto quello che so, Judith, è che io mi sono svegliato la mattina dopo, credendo che qualcuno mi avesse strappato via tutti gli organi dal corpo. Avevo ematomi ed escoriazioni ovunque, credevo che qualcuno avesse provato ad uccidermi. Tu, invece, la mattina dopo avevi giusto uno o due graffi.
Tutto ciò che ho fatto contro di te, è stato vendicarmi, Judith, per un torto subìto, e l’ho fatto senza farti fisicamente del male.
- La tua vendetta la porto ancora dentro di me.
- Avresti potuto liberartene quando eri ancora in tempo.
- Come puoi dirmi una cosa simile dopo tutto quello che ho passato…?
È vero, ricordo ancora quel piacere, mi scorre ancora addosso senza che io lo voglia… ma ricordo ancora anche il dolore che ho provato mentre lui mi… Ho provato a dirgli di smettere, credimi!
Non era mia intenzione spingerlo a tanto! È solo che… non so cosa mi sia preso.
Credo che ci sia qualcosa di animalesco in me, Blake… qualcosa che è fuoriuscito quella notte, in tutta la sua bestialità. Qualcosa che sfugge al mio controllo.
Non ero in me! Non avrei mai potuto fare una cosa simile se avessi avuto il controllo di me stessa!
Cos’altro vuoi che ti dica oltre a “mi dispiace”?!
Entrambi abbiamo errato, entrambi dovremmo scusarci.
- Se sono le mie scuse quelle che vuoi, posso dartele.
Ma il punto non è questo – e nell’udire tali parole del ragazzo, dette con voce spezzata, Judith si sentì morire dentro.
- E qual è il punto allora…? Non riesci a perdonarmi?
- Nessuno di noi due ci riuscirebbe, Judith, lo sai.
Anche dopo avermi posto le tue scuse… so già che non riuscirei a passare sopra a quello che hai fatto. Lo rivedrei, ogni singola volta che ti guardo negli occhi.
Non riuscirò più a guardarti negli occhi, dopo questo.
E lo stesso accadrebbe a te.
Perciò, smettiamola di autoconvincerci che c’è un modo per cancellare quello che è successo.
Siamo stati in grado di farci del male a vicenda addirittura prima di conoscerci.
Le lacrime invasero il volto della ragazza, la quale ascoltava tali parole, sapendo che egli avesse ragione. 
- Questo è un addio, dunque – disse, cercando di rendere la sua voce quanto più stabile possibile, fallendo.
- Sì, lo è – decretò lui, voltandosi e dandole le spalle, riprendendo ad allontanarsi insieme a Ioan.
 
 
In seguito a tale funesta rivelazione, Hinedia aveva lasciato il bosco a sua volta.
Ognuno dei presenti si era disperso a suo modo.
Tutti devastati e distrutti, alcuni molto più di altri.
La sposa, ancora di bianco vestita, si inginocchiò sul terreno scuro e morbido della galleria, decisa, forse più decisa di quanto lo fosse mai stata:
- Avete detto che, se pregassi anche Voi, andrebbe bene – esordì stringendo la terra sotto le dita, rivolta al Diavolo.
- Non verrei punita.
Mi avete detto che siete in debito con me, per il sangue che ho versato sulla Vostra terra e dimora.
Ebbene, ci ho pensato, e ho qualcosa da chiedervi, sì.
La Galleria, il luogo che avete fatto Vostro, è un posto oscuro, imprevedibile, un buco mangia-uomini.
Avete inghiottito probabilmente centinaia di uomini innocenti, che hanno provato ad addentrarvisi.
Decidete Voi chi risparmiare e chi salvare.
Ma chiunque scende là sotto… è in balìa del Vostro volere, e anche dei Vostri capricci.
Dunque, questa è la mia richiesta, in nome del sangue e del sacrificio di Dun Rolland, che ho fatto inconsapevolmente: permettete alla Galleria e a tutte le anime dannate che hanno perso la vita lì dentro, di rivoltarsi, di aiutarci, di proteggerci dall’invasione straniera.
Oggi ho avuto la conferma che siamo perfettamente in grado di sterminarci da soli, tra noi.
Se dovessimo subire anche il giogo straniero… non ne usciremmo mai vivi.
Questa è la mia umile richiesta.
La richiesta di una figlia che non Avete voluto.
O forse, che Avete voluto sin troppo.
 
 
- Per giorni ho cercato di spronarvi a scoprire cosa fosse successo quella notte – padre Craig aveva avuto giusto la pazienza di attendere che Ioan si addormentasse in camera sua, e che la casa fosse a loro completa disposizione, per parlare a Blake.
Il senso di colpa sfrigolava sotto la pelle del giovane prete, quella verità a lungo agognata e solo ora scoperta, lo stava corrodendo dall’interno, per una moltitudine di motivazioni diverse.
- Sentivo… io percepivo che fosse successo qualcosa di grave! – esclamò, sbattendo un pugno sopra il tavolo.
Blake, in piedi e rivolto verso una delle finestre, era completamente nel suo mondo, invece, probabilmente non lo ascoltava neanche.
Padre Craig non poteva biasimarlo ma, in quale momento, pretendeva che lo ascoltasse.
- Un sedicenne che si risveglia in una pozza del proprio sangue e stenta a tenersi in piedi, senza ricordare nulla della notte appena trascorsa, non può essere una cosa da nulla!
Se stavate male, perché avete tenuto tutto nascosto?? Perché avete sofferto in silenzio, senza dire nulla? Perché non vi siete adoperato con me, per scoprire cosa fosse accaduto??
- Dimenticate che io non sono stato l’unico a subire un simile trattamento quella notte.
Avete sentito anche voi, no? È stato uno stupro di massa.
Ci sono state persone che sono state abusate da sei o sette individui diversi.
A me è anche andata bene, in fin dei conti.
Le parole di Blake facevano più male di una corda legata intorno al collo.
Padre Craig tutto poteva immaginare, tranne che Blake stesse adottando tale strategia di autodifesa: la strategia del minimizzare il tutto.
Oppure era solo una delle sue tecniche per farlo scoppiare, per allontanarlo e farsi lasciare in pace.
Perché era fuori questione che quel ragazzo intendesse realmente ciò che stava dicendo.
Eppure, infondo, era davvero così strano che lo facesse…? Che tentasse di autoconvincersi, di mascherare, di mentire a se stesso, in maniera tanto palese e insensata?
Se lo domandò, avendo paura della risposta.
Quando si perde la propria dignità in tal modo, il proprio “onore”, se così lo si può definire, non è come sentirsi spezzarsi, dentro, intimamente, sapendo di non potersi più ricomporre, sapendo di non poter mai più tornare come prima?
- “A voi è anche andata bene”..? – lo citò, avvicinandoglisi. – A cosa vi riferite? Al fatto che, se Naren non vi avesse sequestrato per tutta la notte, anche qualcun altro avrebbe potuto approfittare di voi, giusto per darvi il colpo di grazia? O al fatto che vi sarebbe potuto capitare qualcuno addirittura peggio di lui? – lo mise alla prova.
A tali parole, Blake si voltò finalmente verso di lui.
E padre Craig rabbrividì, esattamente come la prima volta che aveva posato lo sguardo su di lui, mesi prima.
- Oh, padre, ci conosciamo da quasi un anno. Non credi di essere ridicolo nel rivolgerti ancora a me formalmente? – esordì il ragazzo, lasciandolo a dir poco sgomento. – Tu… tu che inneggi tanto alla mia presunta “purezza” ora… forse hai dimenticato la reazione esageratamente grottesca, moralista e bigotta che hai avuto il giorno dopo il matrimonio.
Non ricordi? Non ricordi di avermi accusato di essere un meschino manipolatore e bugiardo, che ti aveva subdolamente condotto sulla cattiva strada?
Altro che fanciullo immacolato… quel giorno mi hai dipinto come il più corrotto, dissoluto e vizioso dei diavoli tentatori.
Qualcun altro, al mio posto, forse si sarebbe sentito persino lusingato.
Ma a me facesti venire solo voglia di infilarti la testa dentro il camino acceso, pur di non sentirti più.
Ti spiegai già allora che, secondo le nostre usanze, prendere parte a riti sessuali o celebrazioni che terminano in orge non è così strano.
Beltane ne è una dimostrazione.
Ciò non vuol dire che tali usanze siano gradite a tutti, né che qualsiasi servo del Diavolo sia automaticamente entusiasta nel prenderne parte.
Eppure, è vista come una cosa normale, nulla di esecrabile, nulla di proibito o degenerante.
Per questo era perfettamente naturale per me, e per molti altri, non ricordare ciò che avevo vissuto quella notte.
Neanche dopo Beltane ricordavo mai del tutto come avevo passato la nottata.
Fa parte degli effetti dei fumi e degli intrugli.
L’unica differenza, era che dopo Beltane, o dopo altre celebrazioni di altri matrimoni, non mi sono mai ritrovato il corpo massacrato.
- Dunque è così per te…? Se non lo ricordi, allora non è mai accaduto?
Lo stato in cui versava il tuo corpo non era un valido motivo per indagare…?
Perché tratti te stesso sempre in modo tanto sconsiderato?? Come se non avessi valore??
Blake strinse le mani intorno alle proprie braccia, fino a conficcarsi le unghie nella pelle.
- “Un valido motivo per indagare”…? – ripeté le parole del giovane prete. – Per scoprire che quella notte ho perso l’unico dono che possedevo in quanto essere umano…? Per scoprire che io e molti altri, abbiamo perduto la nostra facoltà di scelta? Nonché la sola cosa di valore che un uomo detiene?
Avrei voluto non scoprirlo mai.
- La tua mente non ricorda, ma il tuo corpo sì.
Il nostro corpo ricorda.
- Il corpo ricorda solo se vuole ricordare.
- Non comportarti come se non fosse successo nulla, Blake. Ti prego, non farlo.
Il ragazzo rimase immobile, continuando a dargli le spalle, negandogli il suo volto.
I suoi occhi, che mai si riempivano di lacrime, ora sembravano un oceano sul punto di straripare. Ma questo, il giovane prete non poteva vederlo.  
- Per quale motivo non dici niente riguardo al fatto che io sia la causa per la quale Judith è incinta? – sussurrò in un fil di voce Blake, in tono indefinibile.
- Perché fino ad oggi ho creduto che lei fosse l’unica ad essere stata abusata.
Invece, poco fa ho scoperto che siete stati violentati tutti e due.
Perché hai agito per pura e semplice vendetta.
Perché, se non fossi stato drogato, probabilmente non ti saresti vendicato in tal modo.
Judith, invece… ha fatto qualcosa di estremamente torbido… ed egoista, e non era nemmeno mossa dalla vendetta. Neanche la sua perdita di razionalità può giustificare ciò che ti ha fatto.
Io sono sempre pronto a prendere le sue difese, ma, questa volta… ella è indifendibile – ammise angustamente il giovane prete, sedendosi e infilandosi le mani tra i capelli, tirandoli, come se provocarsi dolore in quel modo fosse in grado di distoglierlo dalla sensazione di sporcizia che si sentiva impregnata addosso, in ogni piega di pelle e sottopelle.
Tutto era andato in malora.
Oramai che importanza aveva cosa provava…?
Che peso ricoprivano i suoi sentimenti…?
Nessun peso. Nessuna importanza.
Quello che era accaduto quella notte aveva cambiato tutto:
Craig non era più (e non era mai stato) un uomo di dio.
Judith non era più una santa.
E Blake… non era più intoccato, né intoccabile.
Ma proprio per tale motivo, la prospettiva di amarli, di continuare ad amarli in silenzio, faceva ancora più male, e sembrava sempre più sbagliata.
- Blake – lo richiamò. – Guardami – la sua voce era supplicante.
A ciò, il ragazzo si voltò lentamente verso di lui, restando in piedi.
Padre Craig lo fissò negli occhi.
No, non gli avrebbe mai confessato il suo amore.
Tuttavia, poteva confessargli qualcos’altro.
Qualcosa di cui si sarebbe già dovuto accorgere da solo.
Il senso di colpa divorante che portava nel cuore, dopo aver scoperto con chi aveva passato quella dannata nottata, non gli permetteva di rimanere in silenzio.
- Quando sono giunto qui… - cominciò, cercando di stabilizzare la voce. – Non era così. Le cose sono cambiate con il tempo. Con il tempo… io ho iniziato a guardarti con occhi diversi – confessò. E già solo in quelle poche frasi, vi era contenuta una menzogna:
Non è vero che le cose sono cambiate col tempo.
Io ti ho guardato sempre, con questi stessi occhi, fin dal primo istante in cui ti ho visto.
Ma ero troppo impaurito e stupido per rendermene conto.
Ed ora sono troppo codardo per ammetterlo.
Mentirgli era quasi un’esigenza, più forte di lui.
- Ho iniziato a guardarti … - continuò, e già solo dirgli ad alta voce quel poco che era disposto a confessare, equivaleva a patire le pene dell’inferno. - … con desiderio.
“Desiderio”.
Che parola insulsa, sbagliata, terribile, inutile, banale e tremendamente riduttiva per definire l’immensa totalità e meravigliosa potenza dell’amore che provava per lui.
Quando padre Craig ebbe il coraggio di osservare la reazione di Blake, si accorse troppo tardi che quello non era affatto il momento più giusto per confessargli una cosa simile, al contrario di quel che credeva. Per il puro e semplice fatto che il ragazzo di fronte a sé, nel giro di mezza giornata, aveva scoperto di essere stato toccato e usato come un pezzo di carne, nella più barbara e carnale delle violenze; e di essere oggetto del desiderio  di un prete, di cui si era sempre fidato.
Qualsiasi altra persona, al suo posto, ne sarebbe uscita spezzata, sotto ogni punto di vista.
Dunque era a dir poco naturale che fosse estremamente destabilizzato.
Le labbra di Blake si schiusero, e quella fu la più eloquente dimostrazione di stupore che gli diede.
I suoi occhi erano un tripudio di emozioni differenti, di difficile comprensione. Padre Craig non ci provò neanche a decifrarli.
Dopo un tempo che parve infinito ad entrambi, il ragazzo parlò:
- Tutti provano desiderio per i servi del Diavolo.
L’occhio vuole sempre la sua parte, no?
- Non ridurre tutto ad una mera questione di gradevolezza all’occhio.
- Ma è così, no?
Blake cercava una conferma che non sarebbe arrivata.
- Blake, io sono un uomo di Dio.
O, per lo meno, lo ero, prima di fare tutto quello che ho fatto in questo dannato villaggio… - non avrebbe voluto parlare così di Bliaint, ma le parole gli uscirono di bocca senza che potesse controllarle. - Capisci quanto sia sbagliato, per me, guardarti e provare desiderio…? Ne hai almeno una vaga idea?
- Non mi sono scandalizzato quando provavi lo stesso desiderio per mia madre, non mi scandalizzerò neanche ora.
- Non è la stessa cosa! – esclamò, sbattendo una mano sul tavolo.
Ti amo
Ti amo
Ti amo
Ti amo
Ti amo
Ti amo
Perché non riesco a dirlo…?
- Provo tale desiderio sia per te, che per Judith.
Un desiderio che non ho mai provato prima…
Non bastano un bel paio d’occhi e un corpo voluttuoso per farmi sentire così, lo capisci??
Altrimenti lo proverei per qualsiasi singolo servo del Diavolo di Bliaint!
Tutto ciò che sentivo per Heloisa era dato dal fatto che somigliasse a te, che mi ricordasse te, dannazione!
Ed ora… solo ora vengo a scoprire che, quella notte… ho giaciuto anche con voi due mentre ero nel corpo di Beitris… ho usato i vostri corpi per il mio piacere, mentre non ero in me… potrò anche non aver commesso violenza, ma non sono migliore degli altri che lo hanno fatto.
A quanto pare, le parole che aveva appena pronunciato erano state in grado di far infuriare Blake, per qualche motivo.
- “Non sei migliore di loro”…?
Ti ascolti, quando parli?
Allóra mi incolpasti di averti traviato, accusandomi di essere il peggiore dei dissoluti.
Ora mi stai dicendo che è stato Bliaint stesso a rovinarti la vita.
Il desiderio che senti per me e per lei ti divora dall’interno perché ti credi ancora un “uomo di Dio”? È così che stanno le cose? Bene, allora per quale motivo non te ne torni da dove sei venuto?
Il tuo viaggio a scopi commerciali sarebbe dovuto durare qualche settimana al massimo. Invece, dopo quasi un anno, sei ancora qui. A piangerti addosso, a disperarti, senza tuttavia fare un passo per migliorare la tua situazione.
Io non ti ho mai capito. E mai riuscirò a capirti.
Oggi hai scoperto di aver giaciuto con me e con Judith, nonostante nessuno di noi ricordi nulla di ciò che è accaduto.
Non dovresti esserne contento, dunque??
Non dovresti essere felice di aver soddisfatto i tuoi istinti per una notte?
Quell’ultima frase di Blake fu in grado di distruggerlo, di martoriarlo dall’interno.
Avrebbe dovuto esserne felice…?
Come avrebbe potuto?
Come avrebbe potuto, sapendo che non vi fosse ricordo, consapevolezza, consenso, né razionalità nell’atto?
Come avrebbe potuto continuare a vivere, sapendo di averli stretti a sé una volta, e che non avrebbe più potuto farlo?
Come poteva provare gioia, se il corpo morto di Beitris era sempre stato l’unico a ricordare le sensazioni provate, mentre a lui non era rimasto nulla?
Né un odore, né un sapore, né una sensazione tattile. Né un’immagine.
Nulla.
Un pugno di polvere, e un cannibalico senso di colpa per averli sfiorati senza amore e senza un vero consenso.
Non gli era rimasto niente.
 
 
 
   
 
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