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Autore: MollyTheMole    01/12/2022    0 recensioni
Londra, 1934: il crimine di Londra ha un nuovo James Moriarty. Quest'uomo, però, ha una nemesi: il nuovo ispettore capo di Scotland Yard, per il quale ha in serbo una triste ed amara sorpresa.
Londra, 1936: il rinnovato castello sul lago Loch Awe, in Scozia, apre i battenti ai turisti. Il passato, però, è come la ruggine: incrosta ed imprigiona. Gli ospiti del castello si troveranno, loro malgrado, a fare i conti con esso, con l'oscuro futuro ormai alle porte e con lo spettro di un criminale che infesta i loro ricordi.
Genere: Mistero, Noir, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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4.

 

Sono stati altri elementi ad aver preso le decisioni sbagliate.

 

La cena era andata avanti per diverso tempo. I commensali non avevano mandato indietro nemmeno una portata preparata dai signori Smith, che si erano rivelati - a parte appunto qualche piccolo incidente - degli eccellenti padroni di casa. 

Era ormai sera inoltrata quando tutti ebbero finito il dolce e si decisero ad alzarsi da tavola. Danielle sentì avvicinarsi il capitano, che aveva ancora l’aria di uno che si sente un perfetto imbecille, e si domandò come mai non ostentasse una maggiore sicurezza. 

Era ovvio che lei non fosse la sua prima conquista, specialmente con tutti i viaggi che aveva sostenuto attorno al globo. Non riusciva proprio a comprendere come mai fosse così imbarazzato, e a quanto pareva non ci riusciva nemmeno lui. 

William tossicchiò, come per schiarirsi la gola, e le parlò, avvicinandosi forse un po’ troppo.

- Credo che le sorprese non siano finite.- le disse, sussurrando ed ammiccando in direzione dei signori Smith.

In effetti, i due si stavano scambiando sguardi sospetti e bisbigliavano sottovoce tra di loro. 

Danielle si chiese se non li stesse attendendo una qualche sorpresa di Steven O’Brennon. In fondo, Everard, al suo arrivo, era stato molto chiaro. 

Mia cara signora, imparerà a sue spese che il signor O’Brennon è un tipo assai curioso.

Provò pena per i due dipendenti, che evidentemente non sapevano bene come comunicare loro la pessima notizia. Danielle si lasciò sfuggire un risolino divertito e fece cenno direttamente ai signori di farsi avanti.

- Tanto l’abbiamo capito. Che dobbiamo fare?-

Everard ed Emily Smith si guardarono e sembrò che Danielle avesse tolto loro un grosso peso dal petto. Sentendosi autorizzato, a quel punto, ad interloquire con gli ospiti, il signor Smith si fece avanti:

- Signori, potrei avere la vostra cortese attenzione?- 

C’era qualcosa di affettato, di costruito nella voce del povero maggiordomo, che non potè fare a meno di divertirla ancora di più. I due sembravano perfettamente consapevoli delle stramberie del loro padrone di casa, e sembravano molto a disagio nel doverle riferire, per cui si trinceravano dietro ad una finta aria di formalità e cortesia che non faceva altro che renderli leggermente ridicoli.

- Grazie.- disse poi, quando tutti i commensali gli ebbero rivolto l’attenzione.

- Come tutti voi avrete probabilmente notato, il signor O’Brennon è un ottimo padrone di casa. In virtù di ciò, e del numero esiguo di ospiti presenti in questo castello, al fine di evitare spiacevoli inconvenienti, gradirebbe che vi conosceste tutti.-

Silenzio di tomba.

- Mi rendo conto dell’eccentricità della richiesta, di cui io sono un mero ambasciatore…-

Sua moglie, al suo fianco, aveva tenuto gli occhi bassi, incollati alle scarpine nere, muta come un pesce, e le sue guance avevano assunto una bizzarra sfumatura porpora. A quel punto, diede di gomito al marito e gli mormorò qualcosa di incomprensibile.

- E mia moglie pure.- aggiunse, annuendo convinto.- Tuttavia vi prego, in virtù della professionalità e della serietà del signor O’Brennon, che tutti noi possiamo garantire…-

Danielle aveva dei dubbi, ma lasciò che quella tortura finisse, per la salute dei poveri domestici.

- … vi prego dunque di adempiere a questa richiesta. Se vorrete accomodarvi nel salone, io e mia moglie attenderemo alle nostre incombenze e vi forniremo tutto ciò che desiderate. Una caraffa di tisana calda è già al suo posto. Buona serata.-

Detto questo, i due conclusero quel pietoso balletto e sparirono di corsa dietro la porta della cucina.

Danielle, William e Mercedes si lanciarono a vicenda occhiate divertite e sbigottite allo stesso tempo. 

Certo, questo O’Brennon era curioso, e anche assai. Quale sarebbe stata la prossima richiesta? Il coro dell’albergo? Mosca cieca? Nascondino? 

Nemmeno a dirlo, la signora Rogers non fu d’accordo. Brontolò qualcosa a proposito dell’ora tarda e dei fantasmi, del bisogno di pregare, ed era seriamente tentata di andarsene se non fosse rimasta incastrata tra i signori Northwood, la coppia di sconosciuti e il dottor Dietrich. Con grande disappunto, si era voltata e si era diretta assieme agli altri verso il salone, dove i signori Smith avevano allestito un piccolo dopocena per gli ospiti. 

La sala era bella e c’era una splendida atmosfera. Le ampie finestre vetrate lasciavano filtrare la luce notturna, e l’illuminazione impregnava la stanza di una piacevole e calda luce gialla. Le poltrone foderate di un pregiato tessuto rosso erano comode e soffici. Un grosso tavolo di legno scuro e massiccio riempiva lo spazio al centro della sala, e sotto di esso era disteso un ampio tappeto arabescato, decisamente prezioso, anch’esso sui toni del rosso. Vecchi stendardi colorati con scritte incomprensibili, alcuni grandi fino al soffitto, tappezzavano le pareti. Solo in alcuni angoli si intravedevano i ritratti di un qualche vecchio proprietario, vissuto diversi secoli prima. 

Sulla parete di fondo, un bancone ricoperto di alcolici e bicchieri, pronti per essere serviti.

Austero ed accogliente a sufficienza, anche grazie all’efficiente presenza dei domestici, che si stavano nuovamente affrettando attorno al tavolo per portare della nuova tisana e qualche liquore.

Sul tavolo era stato poggiato un vassoio fumante, che mandava un buon profumo di frutti rossi. Mercedes non aveva esitato a versarsene una tazza e ne aveva offerta una anche a Danielle, che aveva accettato di buon grado. Si era seduta su un bel pouf rosso, comodo e morbido, vicina ad un angolo del tavolo, mentre il capitano si era accomodato sulla poltrona accanto alla sua. Le aveva fatto un gesto cortese della mano, invitandola a sedersi al posto suo, ma lei aveva declinato l’offerta, trovandosi bene lì dove stava. Attorno al tavolo si erano seduti tutti gli altri, chi più vicino, chi più lontano, chi reggendo un bicchiere, chi semplicemente conversando. 

- Io credo di doverle delle scuse, Danielle. Non so esattamente perché mi stia comportando come un cretino, questa sera.- disse William, nascondendo il naso dentro la tazza per non far vedere la sua vergogna. 

- Non c’è problema, capitano. Mi spiace di averla fatta sentire a disagio.-

- Oh, no, al contrario!- proruppe, quasi strozzandosi con il tè.- Dicevo sul serio, a proposito del vestito. Lo so che lei non ci crede, ma è davvero così!-

Danielle avrebbe tanto voluto scavare una buca e nascondervi la testa dentro come gli struzzi pur di non farsi vedere mentre arrossiva come un’adolescente, ma ormai la frittata era fatta e lasciò che il capitano si godesse quella piccola vittoria sul suo glaciale controllo. Come sempre, William, le corse in aiuto, cambiando immediatamente argomento per toglierla dall’iniziale imbarazzo. 

- Lo ha notato anche lei, vero?-

Danielle intuì il significato delle sue parole e annuì.

- Pensavo che i Northwood e l’altra coppia fossero amici, e invece mi sbagliavo.-

- Secondo me, non del tutto.- disse il capitano, offrendole la poltrona.- Le due donne sembrano molto unite, sono i due uomini che non si sopportano.-

In effetti, Danielle dovette ammettere che William era un ottimo osservatore. Le due donne erano ancora intente a chiacchierare fitto fitto tra di loro, mentre i due uomini sembravano non calcolarsi nemmeno.

- Desiderate qualcos’altro, signori?- chiese Everard Smith, attento, in piedi sulla porta della sala come una sentinella, la moglie che sbirciava da sopra la sua spalla, con ancora il vassoio in mano. 

Ci fu un rapido scambio di sguardi, senza che nessuno avesse il coraggio di prendere la parola. 

Infine, fu il capitano a sollevare i signori Smith da ulteriori solleciti.

- No, grazie, Everard.- 

Una volta rimasti soli, i commensali si scambiarono nuovamente delle occhiate interlocutorie. Era chiaro che nessuno aveva la benché minima voglia di cominciare. Tuttavia, restare in silenzio a quel modo era una vera e propria tortura, per cui, dal momento che erano tutti chiusi nel salone e non potevano fare niente per evitare la bislacca richiesta di Steven O’Brennon, Danielle pregò che qualcuno prendesse infine l’iniziativa. 

Di certo non sarebbe stata lei. Sarebbe stata una mossa poco intelligente da parte sua, avrebbe attirato gli sguardi e i commenti della gente. Non aveva nessuna prova del fatto che tra gli ospiti non ve ne fossero altri come Carl Northwood. 

Presentarsi era qualcosa a cui si sarebbe sottratta volentieri.

Fu la sodale di Eveline Northwood a rompere il silenzio per prima.

- Scusate se, beh, ecco, non so come dire… Lei è chi penso io?- fece, fissando intensamente il capitano, che aveva l’aria di volersi nascondere sotto il tappeto e non emergere mai più.

- Capitano William Collins. Onorato.-

- Oh, beh, allora prima della fine di questa vacanza dovrà firmarmi un autografo!- disse, un bel sorriso esuberante disteso sul volto.- Se proprio nessun altro vuole cominciare, allora lo faccio io! Mi chiamo Jodie Webber, e questa è mia sorella Eveline.-

All’improvviso, sia per il capitano che per Danielle l’unità tra le due donne si spiegò. Non amiche, ma parenti, anzi, sorelle, ed evidentemente anche in stretto rapporto.

- Questo invece è mio marito.- disse, indicando l’uomo esageratamente alto e allampanato, con i capelli perennemente spettinati, in piedi vicino a lei.- Richard Webber. Lui invece - e Danielle non poté fare a meno di notare una piccola vena di freddezza nella sua voce.- è mio cognato, Carl Northwood.-

Il piccoletto emise un grugnito indifferente e chinò leggermente il capo, mandando giù un sorso di liquore scuro. 

Oltre alla signora Webber, nessuno ebbe il coraggio di aprire bocca. Danielle si sentiva come in una classe di studenti terrorizzati dal preside, senza il coraggio di esprimersi. Mercedes fu la prima, in un segno di pietà e comprensione nei confronti della signora Webber, a riprendersi dall’imbarazzo, sospirando.

- Mi chiamo Mercedes Estravados. Vengo da Barselona. Questo invece è il dottor Joseph Dietrich, un caro amico della mia familia.-

- Dietrich, ha detto?- fece il giovanotto col viso da furetto.- Come l’attrice?-

Le guance del dottore si colorarono di un intenso rosso porpora.

- Come l’attrice, ma non la conosco, né siamo parenti.-

- Oh, che peccato.- disse il ragazzo, scuotendo la testa.- Il mio nome è Christopher Kendall e studio legge ad Oxford. Niente di speciale, quindi.-

Tuttavia, il ragazzo aveva lanciato un’occhiata in tralice alla giovane Mercedes che non lasciava spazio a dubbi. Danielle sogghignò, maliziosa.

- Kendall ha detto?- chiese, incuriosita.- Non è un cognome molto comune.-

- Mio padre è americano. Mi sono sempre diviso tra l’Inghilterra e il Nuovo Mondo.- disse, facendo spallucce. Sembrava molto timido, poco interessato alle attenzioni altrui. Infatti, cercò di dirottare immediatamente la conversazione su Danielle.

- Lei invece è?-

- Danielle Peters.- disse a malincuore, aspettandosi una qualche reazione.

Infatti, non tardò ad arrivare.

- Peters, ha detto?- l’uomo allampanato non aveva proferito mezza parola fino a quel momento. La guardava con un interesse che sembrava crescere ogni secondo.

- Lei è chi penso io?-

Danielle stava facendo una gran fatica. Non aveva minimamente voglia di dare spiegazioni alla gente. Sospirò, accomodandosi meglio e cercando un modo per evadere la domanda. 

- Dipende.-

- La scostumata e malata di mente che ha preteso di fare un lavoro da uomo.-

Gli occhi di tutti si posarono sulla signora Rogers, seduta in disparte a sferruzzare la sua orribile sciarpa color topo. 

Danielle sospirò, scuotendo il capo sconsolata. William le lanciò un’occhiata preoccupata, ma fu Mercedes, stavolta, a prendere fuoco come un fiammifero. 

- Come ha detto, prego?- sbottò la ragazza, incredula.

- Non che tu sia da meno, ragazzina.- rincarò la dose la signora, senza alzare gli occhi dal suo lavoro a maglia.- Fare un viaggio da sola, dalla Spagna, per una ragazza per bene è praticamente impossibile. Per non parlare poi del tuo paese. Come minimo sei una spia dei fascisti.-

- Quelli sono in Italia, signora.-

- Come se non sapessimo tutti quanti come stanno le cose.-

Mercedes strabuzzò gli occhi e stava per dirgliene quattro, quando il dottor Dietrich la fermò con un cenno rigido, ma compassionevole del capo. Il capitano, dal canto suo, consapevole delle curiose inclinazioni della signora Rogers, cercò di mettere pace nell’unico modo che conosceva, ovvero usando la diplomazia per sviare il discorso dalla brutta piega che aveva preso. 

- Signora, dal momento che ci siamo presentati tutti, sarebbe così cortese da…-

- Per me questa è una follia. Non dirò il mio nome a nessuno e non intendo condividere alcunché, specie con gli elementi di questa comitiva. Buonanotte.- 

Intascò i ferri da calza nella sua orribile borsa floscia e se ne andò sbattendo la porta, lasciando la stanza in un assoluto silenzio.

- E questa chi è?- fece sottovoce Jodie Webber alla sorella, stupita.

- Mariah Rogers.- concluse il capitano, certo di non essere più alla portata dell’orecchio della signora.- E penso che non ci sia bisogno di dire nient’altro, vero?-

Il gruppo annuì come un sol uomo, per una volta d’accordo. 

- Diceva di essere cresciuto in America?- fece Danielle, cercando di introdurre un nuovo argomento e distogliere l’attenzione da se stessa.- Non ci sono mai stata. Il viaggio è troppo lungo per i miei gusti, anche se devo ammettere che l’idea di fare visita a Washington mi ha sempre intrigata.-

- Sarebbe la benvenuta. Siamo di Chicago, ma mio padre commercia tessuti, ed una delle sue industrie si trova proprio a Washington. Fa arrivare stoffe da tutto il mondo, anche se si è specializzato nella lana e nel tartan, che ha imparato ad apprezzare attraverso mia madre, che è di Edimburgo.- poi il giovane arrossì ed abbassò il capo, anche se una luce brillante d’ambizione gli si era accesa negli occhi.- Il mio professore di diritto penale non fa altro che parlarci di lei, signorina. Dice che ha rivoluzionato la prassi investigativa. E’ un piacere, per me.-

Danielle fece un sorrisetto divertito.

- Mi faccia indovinare: Moore?-

- Come lo sa?-

E’ stato uno dei pochi ad avermi difesa. 

Preferì fare spallucce e non parlarne.

- Il caso è stato clemente, allora. Magari posso aiutarla con diritto penale.-

- Volentieri.-

- Pare che alla signorina piaccia molto rendersi utile.- bofonchiò Carl Northwood, sotto i baffi, guardandola malevolo. 

Danielle finse di non aver sentito, mentre William, senza perdere il suo aplomb, lo folgorava con un’occhiataccia delle sue. 

- Abbiamo due celebrità, che bello!- fece ancora Jodie Webber, eccitatissima. 

- Oh, Ja.- le fece eco il dottor Dietrich, con il suo pesante accento tedesco.- Abbiamo recentemente avuto un assaggio delle potenzialità di Herr Collins.- disse, lanciando un’occhiata gelida in tralice al signor Northwood.- e devo dire che la sua fama lo precede, e a ragione.-

- Quella missione in Spagna, di cui si sa pochissimo.- disse con un filo di voce, gelido come il ghiaccio, la signora Northwood.- Dev’essere stata infinitamente complessa.-

Il marito sembrava sul punto di abbaiarle contro qualcosa, ma Jodie strinse forte il braccio della sorella e lo guardò con aria di sfida, cosa che lo spinse a desistere. 

Il capitano, dal canto suo, era in grande difficoltà. 

Quando era partito per la Spagna, non aveva potuto dire nulla a nessuno. I suoi genitori erano stati convinti per lungo tempo che il loro figlio cadetto si trovasse su una nave diretta negli Stati Uniti. Poi c’era stata una fuga di notizie e i suoi superiori avevano provato a metterci una pezza. 

E forse la pezza era stata peggio del buco, dal momento che erano stati costretti a metterci il segreto di Stato. Un modo semplice ed efficace per evitare che la Spagna si sentisse coinvolta e salvaguardare le relazioni internazionali, ma ormai il danno era fatto a livello di politica interna.

Il segreto c’era ancora, e forse non sarebbe mai stato sollevato. Inoltre, non poteva parlarne di fronte a Danielle. Aveva la pessima sensazione che discutere della sua situazione in Spagna avrebbe condotto la conversazione sulla missione fallita di Scotland Yard, mettendola in difficoltà. 

- Mentirei se dicessi il contrario, ma temo, signori, di non poter essere molto loquace in proposito. C’è ancora il segreto di Stato su quella missione, cercate di capirmi.-

- Naturalmente, capitano.- ribatté allegramente il signor Kendall, che sembrava essersi ripreso dall’imbarazzo iniziale.- Si dice anche che abbia dovuto gestire contemporaneamente il problema dell’infiltrazione della malavita in Scotland Yard, assieme alla signorina Peters. Sicuramente vi conoscevate prima di venire qua.-

Eccoci qui. 

Il capitano, adesso, era davvero molto a disagio. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, pensando a come svicolare senza creare problemi a Danielle, che sembrava ancora più agitata di lui. Era chiaro che quella era una parte della storia che non voleva sentire, o se non altro non voleva affrontare l’argomento davanti a tutti, e la capiva. 

Riusciva a prevedere che, una volta lanciato il sasso nell’acqua, i cerchi concentrici non si sarebbero mai fermati. Una conversazione funzionava allo stesso modo. Senza un commento netto, non ci sarebbe più stato verso di fermare il fiume di parole degli ospiti. 

- No, in verità non ci siamo mai visti prima.- tagliò corto, ed aprì la bocca per rivolgere una domanda al signor Kendall, per cambiare l’argomento. 

Danielle, però, non lo seguì. Nella sua testa vorticavano mille domande senza risposta, che non era pronta ad affrontare. Era stata lei stessa, a suo tempo, a mettersi in contatto con il capitano per avere informazioni sulla talpa che Gordon Van Allen aveva infiltrato a Scotland Yard, ed era con lui che avevano concordato la strategia per agire. 

O almeno così aveva creduto, dal momento che aveva sempre parlato con il quartier generale e mai direttamente con lui. 

Da allora in poi, i suoi contatti con William Collins erano stati inesistenti. Era stato come se lui fosse sparito dalla circolazione, tranne per soffiarle i rinforzi e farseli mandare in Spagna a suo piacimento. 

Cioè, questa era la conclusione che lei aveva tratto. 

Poi, c’era stato quello strano fatto che lui le aveva raccontato, ovvero di aver provato a cercarla, e di non essere riuscito a rintracciarla tramite Scotland Yard.

Che cosa significava tutto questo? Perché avrebbe dovuto cercarla? Perbenismo? O c’era qualcosa sotto?

Non che avesse cercato le risposte alle sue domande, anzi, le aveva sempre evitate come la peste. 

Ed adesso, nel peggior momento possibile, quel ragazzino tirava in ballo la sua storia, di fronte a un nutrito gruppo di curiosi. 

Inoltre, Danielle sapeva che la curiosità agiva come un sasso lanciato in acqua. Il capitano aveva provato a sviare la conversazione, ma le probabilità che quella domanda inopportuna avesse delle conseguenze erano molto alte, nonostante il suo intervento.

E, in effetti, fu esattamente quello che accadde. 

- Se non erro, si trattava di un marinaio congedato con disonore che aveva servito sotto di lei, non ricordo come si chiama…-

- Sì, lo avevo congedato io.- annuì il capitano, che mai come in quel momento aveva avuto l’aria di volersi tirare fuori dalla conversazione il prima possibile. - Altro infuso?-

- No, grazie.-

- Sono così dispiaciuta per l’esito tragico di quella vicenda. Quel povero poliziotto morto. Dev’essere stato orribile.- concluse la signora Webber, scuotendo il capo.- Non ho mai capito il motivo per cui non sono arrivati rinforzi. Insomma, per un caso così difficile…-

- Nicholson.-

La voce di Danielle fu come il rintocco di una campana nel silenzio assordante.

- Quel poliziotto aveva un nome. Si chiamava Eric Nicholson.-

Il capitano la guardò con l’aria di uno che avrebbe preferito cento volte trovarsi da un’altra parte.

- Vi sono state molte complicazioni.- aggiunse, vago, fissando Danielle con l’aria di un cane bastonato e pregando che capisse. - Si può dire che ci sono stati molti errori di gestione e difficoltà logistiche. Nel caso in questione, ci tengo a sottolinearlo, la signorina Peters qui presente non ha sbagliato nulla. Sono stati altri elementi ad aver preso le decisioni sbagliate.-

Nel frattempo, Danielle aveva sentito una granata precipitare all’altezza del suo stomaco ed esplodere. 

L’uomo che le faceva una corte serrata sapeva la verità dietro al suo caso. Sapeva di Eric. Sapeva delle dimissioni. Sapeva tutto. 

Era a conoscenza di tutti gli errori, di tutti gli sbagli, di rinforzi richiesti e mai arrivati. 

Soprattuto, però, era l’uomo che aveva congedato con disonore un marinaio, che invece avrebbe potuto arrestare e sottoporre alla legge marziale. 

Se aveva avuto una flebile speranza di poter riprendere in mano la sua vita, anche in parte grazie alle attenzioni che il capitano le aveva rivolto - le stesse che lei si era razionalmente ostinata a classificare come mere smancerie che non avrebbero mai avuto un seguito - quella stessa speranza si era estinta come una fiammella senza ossigeno. 

Con la lucidità sotto i tacchi delle scarpe, Danielle credette che William fosse responsabile di tutte le colpe che lei gli aveva sempre attribuito. 

E decise che non intendeva restare un minuto di più in quella stanza, improvvisamente troppo soffocante per i suoi gusti.

- Se non vi dispiace- disse, alzandosi.- Il viaggio mi ha sfinita. Buonanotte a tutti voi. Sono certa che mi aggiornerete domani mattina.-

- Danielle, la prego, mi lasci spiegare.- le bisbigliò il capitano, mentre si alzava dalla poltrona per congedarla. 

- Non c’è niente da spiegare.- 

Detto questo, se ne andò a passo spedito verso la porta, sgusciando via dalle attenzioni di William.

Lo lasciò lì, da solo, a guardare il legno scuro dal quale lei era appena sparita, con un profondo senso di colpa e rimorso all’altezza dello stomaco, senza poter fare niente per attenuarlo.

  
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