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Autore: AMYpond88    02/12/2022    2 recensioni
Suguru lo sogna ormai ogni notte.
Non ha idea di chi sia lui... anche se dopo così tanti giorni inizia a pensare di conoscerlo.
A volte è un adulto, un suo coetaneo, a volte solo un ragazzino... anche piuttosto petulante.
A volte sembra in pericolo, a volte è Il pericolo.
Ma questa volta il ragazzo con i capelli bianchi pare davvero nei guai...
Genere: Angst, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru, Okkotsu Yuta
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Non deve nemmeno entrare in cucina, gli basta una rapida occhiata dal quadro della porta.
Il lupetto nero lo aspetta sul tavolo della colazione, con il suo tenero musetto portatore di guai e catastrofi.
Sbuffa, quel peluche è in cima alla sua lista dei nemici, perché sì, è abbastanza infantile da averne una.
Megumi lo ha posizionato rigorosamente al fianco della sua tazza per i cereali, prima di cominciare a frugare in frigo, in bilico sulle punte dei piedi nel tentativo di arrivare al ripiano dove si trova il latte.
Gojo entra in cucina, appoggiandosi al tavolo, fingendo un'aria distratta e vaga, senza perdere l'occasione di dare un colpetto tra le orecchie del peluche, solo per il gusto di vederlo sbattere la testolina sul tavolo.
"Ehi, vuoi una mano?", chiede abbassando lo sguardo sul bambino.
Non è stupido, può vedere chiaramente come al piccolo serva decisamente un aiuto, ma sa anche bene quanto sia orgoglioso.
Per tutta risposta Megumi si volta appena, fulminandolo con lo sguardo mentre puntella il piede sul primo ripiano dell'elettrodomestico per darsi una spinta verso l'alto.
Gojo nasconde gli occhi nel palmo della mano, aspettando il prevedibile tonfo della caduta. A quanto pare il rischio di finire al pronto soccorso non è ancora del tutto sventato.

Una tazza di latte, abbastanza cereali al cioccolato da far venir mal di testa a qualsiasi dentista, un paio di merendine e diversi minuti di trattative sull'ultimo gioco dei pokemon (seriamente? Ha comprato "Diamante" un paio di mesi fa e ora deve mettersi in coda per "Scarlatto"?) dopo, Satoru assicura un sorridente Megumi al seggiolino della bici con tra le braccia il peluche bianco.
Vittoria, gongola, mentre dà l'ennesima sistemata alla sciarpa e al berretto del bambino.
Inclinando il capo, osserva la sua opera: praticamente ora può vedere solo gli occhi e la frangia spettinata spuntare tra gli strati di lana e felpa.
L'aria frizzante della mattina gli riempie le narici, pizzica il naso e apre i polmoni e Gojo sente montare un certo buonumore, mentre comincia a pedalare con lo zainetto di Megumi in spalla.
Il cielo su Tokyo, fatto di ritagli azzurri tra i cavi dell'elettricità, è sereno. La spolverata di neve della mattina precedente giusto un ricordo.
Nonostante il bel tempo, l'entusiasmo dura poco, pochissimo. Si spegne quando si rende conto di essere sul filo del rasoio per il treno.
Si accorge presto di come 'sul filo del rasoio' si stia velocemente trasformando in 'ritardo quasi drammatico', quando lascia la bici davanti alla stazione di Shibuya.
Sistema lo zainetto sulle spalle del bambino, prima di prenderlo in braccio e iniziare a correre, lanciando un'occhiata veloce all'orologio.
Sbuffa, mancano cinque minuti al treno, possono farcela.

Il binario è affollato e Gojo può sentire chiaramente il disagio del ragazzino, una mano aggrappata alla manica della sua giacca e l'altra intenta a stritolare la zampetta del peluche.
"Ehi, vuoi venire in braccio?", prova a chiedere, pur prevedendo la risposta.
Megumi lo guarda torvo, prima di far segno di no.
Piccolo testone orgoglioso, pensa Satoru, trattenendosi dal roteare gli occhi troppo platealmente.
Non riesce però a trattenere un piccolo sorriso quando sente le dita, prima agganciate alla sua giacca, cercare la sua mano.
Le stringe, mentre lancia un'occhiata al tabellone degli arrivi. Finalmente sente di poter tirare un respiro di sollievo: manca un minuto.
All'improvviso qualcosa cambia, come se l'aria attorno si fosse fatta più fredda. È come una sensazione, un brivido che scivola e avvolge le sue ossa.
Un senso di inquietudine che lo assale sempre più forte, quasi gli rimbomba in testa e guida il suo sguardo, mentre gli occhi scivolano lenti tra la folla in attesa del treno.
Un ragazzo lo sta guardando. È pallido, estremamente. La pelle più simile al grigio che a qualsiasi altra tonalità, così come i capelli, quasi azzurrognoli, lunghi e lasciati in liberi di cadere in ciocche unte sulle spalle.
Tutto in lui sembra malato, marcio. Ricorda il puzzo di un frutto troppo maturo lasciato al sole.
Grottesco.
Solo in un secondo momento Gojo, distratto come è stato dal senso di disagio, nota un altro particolare: l'uomo è coperto di cicatrici.
Ma non sono normali, sembrano cuciture, percorrono le braccia, scoperte nonostante il freddo, attraversano il suo viso. Lo rendono simile più ad una bambola di pezza fuori misura che ad una persona, è come rattoppato.
Un tremito corre sulla pelle, penetra le ossa, tende i nervi di Gojo, mentre stringe più forte la mano di Megumi, ma non è paura. È disgusto.
Più simile alla nausea e quasi gli attanaglia la gola, bloccandogli il respiro.
Ed è a quel punto che il ragazzo sorride.
Un sorriso infantile che stona così tanto da parere una dissonanza.

Rattoppato, risuona una voce nella sua testa.

Questo deve essere il rattoppato... , ripete ancora quella voce che ora sembra tanto simile alla sua, come sentire un vecchio vocale registrato sulla memoria del telefonino.

"Questo..."

"Questo è il nostro treno, Satoru!"
Abbassa lo sguardo verso Megumi, attirato dal richiamo del bambino. Quando lo rialza il ragazzo è sparito.
Scuote la testa. Probabilmente si sarà trattato solo un comune senza tetto, il resto tutto lavoro di fantasia della sua mente priva di sonno.
"Satoru, aspetta... ", sente appena, ma lo sferragliare del treno sui binari copre il resto della frase.
Le porte si aprono e fa un passo per entrare.
Improvvisamente, non sente più la mano del piccolo nella sua.
È un attimo. Nel tempo che impiega a voltarsi, le immagini attorno a lui cominciano a scorrere a rallentatore.
Vede il peluche a terra sulla banchina.
Poi Megumi che, sfuggito alla sua presa, scende dal vagone per raccoglierlo e, mentre stringe il lupetto tra le mani, gli sorride.
Gojo sente come se il suo stesso corpo fosse frenato. Trattiene il fiato, l'aria attorno a lui come risucchiata.
Le porte si chiudono con un fischio, mentre il sorriso sul viso del piccolo si trasforma in un'espressione prima sorpresa, poi spaventata.
Quando finalmente il tempo decide di riprendere a scorrere a scorrere, Satoru si lancia contro le porte, il palmo della mano che preme frenetico il pulsante di apertura, ma il treno sta già partendo.
E Megumi è su quel maledetto binario.
Da solo.
Sbatte le mani contro il vetro del finestrino facendogli segno che rimanga lì, che non si muova. Cerca di sorridergli, di non farsi vedere spaventato.
Non può fare altro per evitare che Megumi si faccia prendere dal panico, mentre il mezzo è quasi sul punto di entrare nella galleria della metro.
Prima che il vagone abbandoni il binario, ormai svuotato e pronto a riempirsi di nuovi passeggeri, vede ancora il rattoppato, guardare verso di lui.
La testa in una posizione innaturale, impossibile. Impossibile per chiunque sia vivo.
O umano.

Deve rimanere calmo. Deve analizzare la situazione. È bravo in questo.
Alza lo sguardo verso lo schermo che elenca le fermate del treno. La prossima è  a cinque minuti.
Scenderà, tornerà da Megumi.
Abbassa gli occhi sul finestrino davanti a lui, il buio dell'interno della galleria gli sfreccia di fronte. Tutto uguale, quasi claustrofobico, riflette la sua immagine.
Un breve scorcio di città interrompe il nero sporco dei mattoni, prima che l'oscurità torni a soffocarlo.
Quasi fa un salto indietro quando il suo riflesso riappare.
È il suo, ma il volto che lo fissa è deformato da sei spettrali occhi azzurri.
Sta per tirare un urlo, chiedendosi in quale momento Tokyo si sia trasformata nel set del suo personale film horror, quando il suo telefono suona, facendolo sobbalzare ancora una volta.
Un numero sconosciuto sta chiamando il suo contatto di whatapp.
Risponde, titubante.
"Parlo con Gojo Satoru?", chiede una voce femminile all'altro capo.
"Sì, sono io... "
"Sono qui con Megumi..."
"L'hai rapito?", butta fuori stridulo, portando una mano alla bocca, mentre trattiene il fiato.
"Decisamente no, tu l'hai abbandonato sul binario?", risponde la donna, tra lo scocciato e l'ironico.
"No! Certo che no!", scatta.
"Bene, allora che ne dici se la smettiamo con le domande idiote?"
Allontana la cornetta dall'orecchio e lancia un'occhiata storta al cellulare. Chiunque sia la persona con cui sta parlando, andrebbe d'accordo con Utahime.
"... c'era questo numero sullo zainetto. E sul peluche. E da quanto mi sta facendo vedere il bambino, nell'interno del cappuccio", continua la donna e Satoru può chiaramente sentire come si stia trattenendo dal scoppiare a ridere.
Effettivamente potrebbe aver esagerato nel segnare contatti d'emergenza sui capi di Megumi. Potrebbe.
"Posso lasciarti il piccolo ostaggio alla prossima fermata?"
Annuisce, cercando di ignorare il termine 'ostaggio', prima di ricordarsi che la sua interlocutrice non può vederlo.
La sente sbuffare. "Lo prendo come un sì".
La telefonata si chiude e lui rimane qualche istante a fissare lo schermo ora scuro, del cellulare.
Sì, conclude, chiunque sia quella donna andrebbe decisamente d'accordo con Utahime, ma non può negare di sentirsi in qualche modo rasserenato.
Il suo riflesso lo guarda dal vetro del finestrino. Due soli occhi questa volta, ma decisamente stanchi, ricambiano il suo sguardo.

Quando il treno ferma ad Harajuku*, Gojo salta sulla banchina. Il jumpscare che il suo cervello gli ha gentilmente offerto già dimenticato, soffocato dall'ansia di vedere Megumi.
Secondo il tabellone mancano meno di cinque minuti all'arrivo del prossimo treno, quello su cui quello che è, almeno legalmente, praticamente suo figlio è senza di lui e con una perfetta estranea.
"Sono un tutore fantastico", borbotta, scimmiottando se stesso e la boria dimostrata la sera prima con Utahime, mentre mani in tasca, fa rotolare sotto il piede una cartaccia. Probabilmente l'unica su tutto il binario.
Decide che è meglio ingannare l'attesa elencando nella sua mente tutti gli incidenti che potrebbero capitare come no a quel maledetto peluche, evidente unico colpevole della situazione.
Il treno arriva mentre lui sta pensando a quanti danni, possibilmente non letali dato che quel maledetto giocattolo gli serve, possano fare uno o più giri in lavatrice a 90 gradi.
I suoi occhi cadono sulle mani e sulla fronte di Megumi, schiacciate contro il vetro, prima che il vagone sia fermo sul binario.
Quello che sembra un decennio dopo, sta stringendo il bambino, sollevandolo in un abbraccio stritolaossa e ignorando ogni suo lamento imbarazzato.
Tende le braccia, sostenendolo sotto ascelle, per avere una visuale completa su eventuali ferite, almeno per quanto glielo permetta il giubbotto imbottito in cui l'ha fasciato. Megumi quasi scalcia per protesta, mentre Gojo cerca di ignorare come il suo cervello gli mandi indietro l'immagine di un gattino arruffato, per concentrarsi nella ricerca di eventuali danni.
Tutto, dal loro arrivo in stazione, è stato troppo inquietante perché possa darlo per scontato.
Quando è certo che stia bene, lo riposa a terra, ridacchiando mentre lo guarda affondare nella sciarpa per nascondere le guance rosse per l'imbarazzo.
Solo allora, sbuffando una mezza risata, alza gli occhi verso la donna.
"Grazie", sussurra e subito sente un piccolo corto circuito, un pensiero che si radica nella sua mente: lui l'ha già vista.
La osserva. La figura snella avvolta in un cappotto chiaro, capelli scuri su un volto diafano e segnato da occhiaie profonde.
Un trucco leggero e frettoloso, ma non sciatto, le rende gli occhi castani più evidenti.
Stringe una sigaretta tra le dita, pronta per essere accesa fuori dalla stazione.
È elegante, bella in una maniera non comune, affascinante anche solo per l'aria di stanchezza cronica che pare portarsi dietro.
Si ricorderebbe di una persona così. Eppure, quella sensazione non lo abbandona. Una strana familiarità che non riesce a spiegarsi.
"Ho pensato non fosse normale un ragazzino di cinque anni da solo sul binario della stazione più affollata di Tokyo... ", risponde lei.
La voce della donna lo riscuote, interrompendo il suo flusso mentale.
"Ehi, ne ho sei!", protesta Megumi sbucando dalla sciarpa e ricordando a Gojo che bestiolina indisponente possa essere.
"Dai ringrazia la signora...", lo incoraggia.
Il bambino arrossisce, il cipiglio cocciuto intento a fissare le proprie punte dei piedi.
"Grazie... anche per avermi aiutato a pulire il mio peluche", borbotta.
Gojo si accorge solo ora di come Megumi stringa un pacchetto di salviette in mano.
"È stato un piacere, non farti più abbandonare, eh?", scherza la donna, dando un leggero buffetto al bambino.
Satoru rotea gli occhi cercando di non intenerirsi troppo, poi si ferma, indeciso se chiedere. Non può averlo notato solo lui.
"Ehi, hai visto qualcuno sul binario?"
"... mi stai seriamente chiedendo se ho visto qualcuno sul binario della stazione più affollata del mondo?", sbuffa lei, trattenendo un ghigno.
Eccola lì, la strana familiarità che non riesce a spiegarsi. Qualcosa che lo fa sentire come se potesse scherzare, ridere, come se si potesse fidare di quella sconosciuta.
Vorrebbe fare una descrizione del tizio sfregiato del binario, ma si rende conto di rischiare di sembrare più strambo di lui, quindi lascia perdere.
"Scusa, non ti ho nemmeno chiesto come tu chiami... ", dice invece.
"Shoko. Ieiri Shoko".

Non gli sembra vero, quando finalmente sono nei corridoi della scuola, davanti al preside.
Con il suo metro e novanta, Gojo deve comunque alzare la testa di qualche centimetro, per incrociare lo sguardo dell'uomo, leggermente più alto di lui e largo il doppio.
Che diamine ci fa un maledetto Navy Seal in una scuola elementare?, si chiede, mentre l'energumeno di fronte a lui fa un passo indietro e tende la mano.
"Sono Masamichi Yaga, il preside. Lei è?"
Sente chiaramente Megumi stritolare le sue dita.
Lancia un'occhiata furtiva al bambino e quasi gli scappa da ridere.
Il piccolo è evidentemente indeciso tra nascondersi dietro le sue gambe o mantenere il contatto visivo con l'insegnante, come se volesse studiarlo. O come se pensasse di rendersi invisibile rimanendo fermo.
Gojo ride, pensando se sia il caso di spiegare a Megumi che quello non è un t-rex e in ogni caso quelle di Jurassic park sono leggende metropolitane.
Che stessi fermo o no, le tue probabilità di essere mangiato da un tirannosauro non cambiavano.
"Sono Gojo Satoru, ho appuntamento per l'inserimento di Fugushiro Megumi".
"Mezz'ora fa...", puntualizza con tono stanco l'uomo di fronte a lui.
"Mezz'ora fa...", ammette in risposta, senza cedere un millimetro, mentre il preside lo squadra da capo a piedi quasi come se fosse un suo alunno.
È evidente che quello che ha davanti non gli piace, Satoru può vedere chiaramente la vena sul collo del preside pulsare.
Ha preso tutta la giornata a lavoro, sia mai che Megumi abbia una crisi di nervi e lui debba recuperarlo, quindi non è che sia esattamente in completo.
Fa mente locale del suo abbigliamento, composto dalla felpa più calda che abbia trovato in casa, che si dà il caso sia rosa, jeans un po' troppo corti alle caviglie per essere suoi (Entra nei mom jeans di Utahime? Davvero? ), all stars alte e giaccone.
Sembro un cavolo di quindicenne, conclude, passandosi una mano tra i capelli.
E deve pensarlo anche il preside, anche se quello che pare davvero insospettire l'uomo sembrano essere gli occhiali da sole, ancora fermi sul ponte del suo naso.
Li tira su e posa sopra i capelli, strizzando gli occhi per l'immediata sovrastimolazione del suo nervo ottico.
"Tra poco dovrebbe arrivare l'insegnante, accomodatevi nell'ufficio", lo informa Yaga, con il tono di chi non vede l'ora di liberarsi di lui.
"Fantastico", sospira, non è l'unico in ritardo.
"Satoru?", si sente chiamare. Abbassa lo sguardo verso Megumi, accovacciato a terra a rovistare nello zaino.
"Satoru abbiamo dimenticato l'acqua...", lo rimbecca il bambino, mentre comincia a lottare per liberarsi della sciarpa.
"Scusi, c'è un macchinetta?.. posso lasciare Megumi-Chan con lei?", chiede, ricevendo in risposta un 'vada' masticato tra i denti e un cenno della mano.
Mentre si allontana, Satoru si domanda quando sia diventato alunno di quell'armadio a due ante. Prima di girare l'angolo e assicuratosi che l'uomo sia entrato nell'ufficio, si volta per fargli una linguaccia con tanto di dito medio alzato.

"Buongiorno! Lei deve essere il nuovo insegnante di Megumi-Chan... ", esordisce, mentre rientra nell'ufficio.
Lo nota immediatamente: un uomo alto, quasi quanto lui, con i capelli neri legati sulla nuca, gli da le spalle.
Profuma di caffè. Un po' anche di sigaretta. A lui non fa impazzire il caffè, tanto meno il fumo, ma quell'odore si abbina bene alla camicia bianca e alla crocchia di capelli corvini.
"Sono Gojo Satoru, il tutore", continua, ormai distratto.
L'altro si volta ed è... è letteralmente l'uomo più bello che abbia mai visto.
Sembra arrivare da un'altra era, forse da un'altra vita.
Un po' gli spiace essere conciato come un quindicenne, ma pensa di avere tutto il tempo per scoprire quali suoi vestiti possano piacere al ragazzo che ha di fronte, perché sta per chiamare Utahime e dirle di trovarsi un altro vibratore umano, che lui ha appena deciso di sposarsi con questo insegnante.
Qualcosa però non va, il ragazzo lo guarda come se fosse un fantasma.
Ad un certo punto quasi barcolla e lui deve resistere all'impulso di sostenerlo.
"Satoru...." ripete l'uomo, incrociando il suo sguardo e guardandolo come se lo avesse riconosciuto, come se lui fosse qualcuno del suo passato.
Ma lui non ha proprio idea di chi sia. Se lo ricorderebbe.
È la seconda volta che ha questa sensazione in una sola mattina, ma questa volta è diverso. È più radicato, struggente e aumenta ad ogni respiro.
Non un semplice e spontaneo dejavù, somiglia più ad una strana nostalgia?
Come tornare a casa, senza aver la certezza di poter restare.
Come far pace un istante prima di salutarsi, senza sapere se sarà davvero solo un arrivederci.
Come sentirlo ridere dopo dieci anni, prima di dire addio.
Ha una strana stretta allo stomaco a questo pensiero, illogico ed estraneo, e quasi sente come se gli dovesse venire da piangere. Ma come si può avere nostalgia quando non si ha ancora vissuto nulla con una persona?
Come si può aver nostalgia di qualcosa che non si ha vissuto?

Si stropiccia gli occhi con le dita, cercando di scacciare la sua solita emicrania che arriva a bussare, insistente e subdola, ma utile. Il fastidio lo riporta alla realtà.
"Geto, stai bene?", prova il preside tendendo la mano verso di loro, facendo esplodere la bolla in cui è finito.
Aspetta cosa?
Non ha davvero tempo di riflettere su cosa stia succedendo, che l'uomo vacilla davvero e lui questa volta non può fare a meno di sostenerlo per le braccia, affondando le dita nel tessuto bianco della camicia bianca, stringendo forse più del dovuto la presa.
Al contatto il ragazzo sembra riscuotersi, mentre Yaga si avvicina di un passo, evidentemente preoccupato.
"Suguru! Suguru, cosa succede?", lo richiama, l'uso del nome a dimostrare tutta la sua preoccupazione.
Poi si rivolge a lui, dicendo cose che Gojo sente solo in parte.
'Mi scusi', 'forse è il caso di farlo sedere'... frasi senza senso.
Perché Suguru Geto ha alzato lo sguardo verso di lui e iniziato un goffo tentativo di mettersi in piedi, ma lui non riesce a lasciarlo. Non può lasciarlo.
Perché ad ogni respiro, ad ogni battito, ad ogni secondo che passa, quel volto prende il suo posto, incastrandosi come un pezzo ritrovato nel puzzle dei suoi sogni, dei suoi ricordi vorrebbe quasi dire.
Il ragazzo che da mesi nei suoi momenti onirici gli accarezza i capelli, che perde gli elastici, che apre il palmo della mano perché lui ci lasci cadere una caramella, ora ha un viso.
E come il ragazzo, anche l'uomo che lo aspetta, stravolto e in fin di vita, in quel vicolo, ora ha un volto e una voce.
L'uomo che la notte precedente ha sognato di star per uccidere.
Quello che rideva sereno nei suoi ultimi attimi, mentre andandosene si portava via un pezzo di lui.
Poi sente la sua voce, sussurrare stanca nella sua testa.

Almeno alla fine, fammi sentire qualche maledizione.





*Harajuku: la fermata dopo Shibuya sulla Yamanote line, la linea ferroviaria principale di Tokyo.


"Gojo che... "
"No! Cervello no! basta con Gojo che fa cose zozze... "
"Ma guarda quante visualizzazioni l'ultimo capitolo!"
"Cervello dai, sono certa che sia per l'analisi del personaggio... "
"..."
"Per baby Megumi?"
"..."
"Sì, ok è per Gojo ignudo, ma qui abbiamo una trama... "
"E che palle che sei... "
"Cervello?"
"...dimmi"
"Posso chiamarti Kenjaku?"

Questo siparietto per ringraziarvi di tutte le visualizzazioni dell'ultimo capitolo. Quindi ecco un regalo:
https://mobile.twitter.com/_3aem/status/1596069199121551361/photo/1  
https://mobile.twitter.com/_3aem/status/1584124329654030341/photo/1  
Queste sono le fanart che mi hanno ispirato il jumpscare del treno.
L'artista secondo me è bravissima, se non la conoscete, consiglio un giro sul suo profilo, in alcuni casi potrebbe poi servire una doccia fredda.
Tornando a noi, come direbbe Tyrion Lannister, I wish to confess: uno: avevo detto che avrei pubblicato presto, che il capitolo era praticamente fatto ed è passato comunque un po', ma succede se cambi tutto da capo.😅
Secondo: ho scritto i primi due capitoli sottolineando che fosse dicembre, poi nel terzo ho piazzato Gojo e Utahime a chiacchierare sul terrazzo. Diciamo avevano le giacche e facciamo finta di niente? Diamo la colpa al cambiamento climatico?
Per chi mi segue, i prossimi programmi: Ho un paio di pezzi che se la girano, mezzi buttati giù, mezzi nella mia testa, per la raccolta One and Only. Stranamente potrebbero essere i pezzi più autoindulgenti della storia.
Tattos and coffee però credo avrà la precedenza.
Come sempre, un abbraccio
Amy
   
 
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