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Autore: drisinil    07/12/2022    2 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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38 - Amare


31 dicembre 2012

Anche nelle terre del sogno Tsukishima Kei ha sempre camminato con gli occhi bene aperti. Il suo mondo onirico è vivido, colorato, incredibilmente realistico. Da bambino si svegliava di soprassalto, confuso, pretendendo che Akiteru gli dimostrasse (perché dirlo e basta non era abbastanza) quale fosse la realtà "reale".

A sedici anni, Kei sogna ancora a quel modo, senza abbandono, come se anche nel suo subconscio valessero le leggi della fisica e gli effetti dovessero per forza seguire le cause. Si tratta di sogni di intensi, spossanti perfino, esatti come formule matematiche e densi di emozioni e stimoli sensoriali. Solo la scansione del tempo sfugge a un rigido realismo: accelera per dare risalto ai momenti che contano e lascia svanire nel nulla i passaggi fra una scena e l'altra, gli intermezzi di ordinarietà, tutto quello che non è abbastanza forte o significativo; nei sogni di Kei, la noia non esiste.

Quello che sta vivendo dev'essere per forza un sogno. Perché sono le sei di pomeriggio dell'ultimo giorno dell'anno ed è seduto, con tutta evidenza, sugli sgabelli di legno chiaro dello Zanmai Sushi di Nerima e non riesce proprio a capire come ci sia arrivato, quando solo poche ore prima era in camera sua.

Soprattutto, c'è Kuroo lì di fronte. In carne e ossa. Vivo, vero, che non smette di sorridere come se avesse il mondo in tasca, non smette di guardarlo, continua a parlare e Kei non sa di preciso cosa stia dicendo. La presenza di lui, il suo modo di occupare lo spazio ben oltre i confini del corpo, parlano molto più forte delle parole e gli incasinano i pensieri.

Le ore del giorno si sono sgretolate nelle ombre di pochi momenti luminosi. Come quando l'ha visto in aeroporto (contro ogni pigrizia, Kei è partito di mattina apposta per poterlo andare a prendere a Haneda), che camminava spedito trascinandosi appresso un vecchio trolley fucsia e un'aura di dominanza capace di sciogliere identità e lineamenti di chiunque gli si avvicinasse. In quel momento Kei si è chiesto se non si sarebbe sciolto anche lui, se, dopotutto, non fosse quello il destino cui stava correndo incontro: di consumarsi lì accanto, come una torcia accesa.

Una manciata di secondi dopo, si è trovato le braccia di Tetsu avvinghiate attorno, la sua mano nei capelli, il viso di lui affondato nel collo, le sue parole articolate sulla pelle e il mondo intanto girava impazzito al quadruplo della velocità di crociera.

E allora Kei si è staccato, lo ha respinto, facendo leva su due braccia e un cuore che pretendeva di restare lì per sempre.

Forse è di questo che Tetsurou sta parlando.

«Anche gli amici si abbracciano quando si rivedono dopo un sacco di tempo» sta dicendo, mentre immerge il tonno nella soia.

«Solo quindici giorni»

Solo.

«Sedici» corregge Kuroo, con la bocca piena.

E quattro ore e ventidue minuti.

«Comunque noi non siamo amici» ribatte Kei, pescando singoli chicchi di riso e portandoli alle labbra uno a uno.

«Siamo anche amici, te l'ho già detto.»

Kei solleva gli occhi, si spinge in su gli occhiali, lo guarda. «E' una fesseria.»

«Per niente!» Tetsurou mastica beato. Pesca con le bacchette un chutoro, quello meno grasso del piatto da portata, e lo appoggia con delicatezza al centro della ciotola di Kei.

Kei osserva stupito quel gesto. E' di se stesso che si sta stupendo e di tutto il fastidio che non prova. Vorrebbe sussurrargli all'orecchio di farlo ancora, ché solo lui può. Cos'è che non può Kuroo Tetsurou?

«Non farlo più» dice Kei risoluto, prima di mettersi in bocca quel pezzo di tonno.

«Cosa? Servirti il sushi? Abbracciarti stretto? Perché no?»

«La seconda. Non farlo più in pubblico. Non lo sopporto.»

Le bacchette di Kuroo si fermano a mezz'aria.

«Faccio fatica anche a guardarti» prosegue Kei, con lo sguardo nel piatto.

«Che cazzo significa?»

«Arrivaci da solo.»

«Kei...»

«Sì?»

Tetsurou scuote la testa e riprende a mangiare. Ha lo sguardo amareggiato, ma nessuna intenzione di far andare storta la serata.

«Dai. Vai avanti. Che c'è? Non hai niente da dire? Io non lo capisco come fai a essere così tranquillo» riprende Kei, inasprito. «Forse è perché alla fin fine non te ne frega proprio un cazzo.» Le sue stesse parole, mentre le pronuncia, gli franano addosso.

«Traduci» replica Tetsurou, senza scomporsi.

«Eh?»

«Quando spari stronzate inutili così a raffica è perché non stai dicendo quello che davvero vorresti dire. Quindi dai, traduci.»

«Crepa.»

«Molto meglio» sorride Kuroo, appoggiando nel piatto di Kei un nighiri al pesce spada. «Ti piace, questo?»

Kei annuisce e se lo infila in bocca. Tacere è senz'altro meglio che recitare così male un ruolo che non gli si adatta più.

«Il problema è che non vuoi che ti abbracci in pubblico?» domanda Kuroo. «E perché? Non mi sembra poi questa gran cosa... »

«Dio, quanto sei scemo. Non è che non voglio, non posso.»

«Non puoi?»

«No. Non posso» sibila Kei. «Se mi abbracci in quel modo, ti finisco con la lingua in bocca nel giro di dieci secondi. E se penso al fatto che la cosa non è reciproca... »

«Certo che è reciproca! Se non mi avessi praticamente sparato via, ti sarei finito con la lingua in bocca molto prima di dieci secondi. Speravo di farti dimenticare che eravamo in mezzo all'aeroporto, ma niente, cazzo, te ne sei ricordato lo stesso. Sai che significa?»

Kei sospira e non risponde.

Tetsurou appoggia due dita tese sulla fronte di Kei e spinge leggermente. «Che qui dentro l'autocontrollo supera la lussuria» si risponde da solo. «Vale a dire che non sono abbastanza irresistibile... ancora

«Di sicuro sei abbastanza cretino. Più che abbastanza. La prossima volta te la faccio vedere io la lussuria.»

«Davvero?» si sporge Tetsurou, occhieggiando speranzoso.

«No. Ma un gomito nello sterno vedrai che lo rimedi... »

«Mnn. Mi piaci quando fai il cattivo...»

Kei gli tira un calcetto col piede e ride. Ride suo malgrado, senza poterci fare niente, e intanto fissa le increspature della salsa di soia a ogni sottile vibrazione del piano del tavolo. E' del tutto assurdo che si stiano sussurrando cose del genere al bancone di un sushi bar affollato, la sera di capodanno. Anche se, maledizione, fra l'aeroporto, la metro e il sushi, dopo tre ore non lo ha ancora baciato. La risata si spegne in uno sguardo corrucciato.

«A cosa pensi?»

«Mi chiedo perché cazzo stiamo perdendo tempo qui» brontola Kei.

Tetsurou solleva solo un angolo delle labbra. «Hai pranzato, Tsukki?»

Figuriamoci. Pranzare sul treno, in una giornata come quella, con lo stomaco completamente sconvolto già prima di salire a bordo. «Te l'ho detto: se mangio quando viaggio... »

Il viso di Kuroo si avvicina, a pochi centimetri. Ha gli occhi così neri che affondarci dentro è inevitabile. «Credi che a casa ci preoccuperemmo di mangiare?»

Nella mente di Kei lampeggia vivida la fantasia evocata da quelle parole e il salmone gli si incastra in gola, facendolo annaspare senza pietà.

Tetsurou gli versa acqua con un mezzo ghigno «Quindi un po' ci stai pensando... »

Un po': eufemismi in libertà. Lo sguardo di Kei impreca con eloquenza da sopra l'orlo del bicchiere.

«Meno male, perché io sono giorni e giorni che non riesco a pensare ad altro... » aggiunge Tetsurou, serissimo. Le parole esplodono come granate sul bancone; a Kei viene da tapparsi le orecchie e serrare gli occhi: il maledetto Kuroo Tetsurou è una zona di guerra. L'invasione del corpo è l'unica cosa che gli manca, il cuore se l'è già preso secoli fa, il cervello è perduto, l'anima si è arresa senza fiato.


Dal ristorante a casa, la camminata è solo un pressante accumulo di aspettativa. Un'aspettativa concreta, che significa orecchie rosse e pelle d'oca, un nodo dello stomaco, respiri troppo profondi, passi affrettati, sguardi vaghi che cercano di cogliere i particolari. 

Tetsurou si scopre avido di particolari: un centimetro di pelle bianca di Kei che spunta dalla sciarpa, la mancanza delle onnipresenti cuffie, le grinze dei jeans intorno alle ginocchia, il modo, per niente casuale, con cui le loro spalle si sfiorano, come le braccia e i dorsi delle mani, continuando a cercarsi fra la folla, negli spazi angusti fra una negazione e l'altra.

In strada è pieno di gente. Si respira l'euforia un po' fasulla dei giorni di festa, la ricerca di un divertimento sopra le righe che abbia la forma (e quasi mai la sostanza) della libertà. Per loro non ci sono eccessi, né feste comandate, c'è solo quella troppo lenta, troppo veloce camminata verso casa. 

A Tetsurou sembra di poter vedere con gli occhi la bolla che li avvolge e tiene fuori il resto del mondo. Luminosa, traslucida, lì in mezzo al freddo di Tokyo, con i passanti che si aprono al loro passaggio e scivolano intorno, respinti senza accorgersene da quelle pareti invisibili e sottili. Di cosa sono fatte? Sentimenti? Speranze? Desideri impazziti? Tetsurou non lo sa e nemmeno gliene importa. 

Quello che gli importa, e un po' gli fa paura, è che non si è mai sentito così prima d'ora. Mai nella vita. E il sesso, benché muoia dalla voglia di farlo, non c'entra (quasi) niente. C'entrano un sacco di altre cose che è difficile mettere in fila.

C'entra Kei. Anzi centra Kei, perché tutto, alla fin fine, gira intorno a lui.  Al suo corpo, ai suoi occhi, a come muove quelle mani eleganti, come cammina a falcate lunghe e regolari, senza esitare, a come storna lo sguardo. Come sospira senza accorgersene. Come guarda l'orologio, quasi volesse accertarsi di restare in sincrono con la propria vita, sempre sul filo di un programma che forse neanche esiste. Come pensa, senza sosta, lasciando che di tanto in tanto quei pensieri arrivino in superficie, nei rossori, nei moti impercettibili del viso e delle labbra, nelle dita che tamburellano, nel gesto inconsapevole di ruotare i polsi per scioglierli.

Tetsurou li vorrebbe per sé, quei pensieri. E vorrebbe anche tutto il resto. Forse fare l'amore sarà proprio questo: violare i confini di quel corpo meraviglioso e prendersi tutto quanto, piantandogli salde nel cuore tre metri di radici.

Però non lo sa se sia normale, se sia davvero normale, sentirsi così. Così scombinati, così perduti, così eccitati. Ecco, eccitato da dentro a fuori, in un unico blocco. Un'enorme erezione inquieta, dall'inguine al cervello. Il pensiero (di essere un grande cazzone, in effetti) lo fa ridere e un po' però lo emoziona. Anche l'emozione lo fa ridere.


Kei si chiede come faccia lo scemo a ridere  a quel modo, mentre camminano verso casa, come se tutto fosse sempre facile e naturale e le cose cadessero una nell'altra senza sforzo e senza rumore. Lui, altro che ridere, sta trattenendo il fiato da sei ore. 

No di più. Giorni. Mesi. Kei trattiene il fiato da ottobre, da quando Kuroo ha abbassato la visiera del casco e lo ha lasciato in piedi davanti al vialetto di casa, confuso come un moccioso, a chiedersi come funzionava quella cosa di respirare, che prima sembrava tanto semplice. 

Trattiene il fiato più forte quando varca con il piede la soglia e sente il rumore metallico della porta alle sue spalle, pesante come il blindato di un bunker che chiude il mondo fuori.

E invece no, invece il mondo è tutto dentro. E fanculo i rifugi antiatomici: con Kuroo, le bombe esplodono comunque sotto i piedi e non esistono difese. C'è solo l'urgenza assoluta di toccarlo.

Kei apre la mano e lascia cadere lo zaino nell'ingresso. Il tonfo lo sente dopo, molto dopo, quando già ha le labbra incollate a quelle di Tetsurou e il corpo premuto su quello di lui, una delle sue mani intorno al collo e l'altra giusto al centro della schiena.

«Okaeri, bentornato» sussurra Kei, senza controllare bene i pensieri. Lo dice come se lo avesse aspettato lì, tutto quel tempo. E la tenerezza nella sua voce è più forte di qualsiasi sarcasmo. 

La risposta è un abbraccio più stretto, le schiena sbattuta contro la porta, un bacio più profondo.

«Soggiorno» ansima Tetsurou, staccandosi a fatica. «Soggiorno prima che ti strappi i vestiti.»

«Non ti azzardare. E non ti azzardare a smettere.»

«Cosa?»

Il bacio di Kei  diventa languido. «Questo, brutto scemo.»

Tetsurou lo allontana tenendogli il viso fra le mani. «Soggiorno, Kei.»

«Letto... » rilancia Kei, il tono di una supplica.

«Ma come siamo diventati vogliosi, Tsukki-kun... ti faccio questo brutto effetto?»

«Crepa!» sbuffa Kei, spingendolo via. Si toglie le scarpe e il cappotto e si dirige a lunghe falcate in soggiorno.

Mezzo secondo dopo si sporge con la testa dalla soglia: «Comunque non sono io quello così infoiato che ha lasciato di fuori la valigia...»

«La valigia? Cazzo!»

Quando Tetsurou compare in soggiorno trova Kei rannicchiato in una poltrona bassa e comoda, lo sguardo vagamente riottoso.

«Portato in salvo il trolley? Che colore del cazzo, fucsia.»

«Era di Ayumi.»

«E dovevi per forza tenertelo?»

«Fra un trolley nuovo e un biglietto per Sendai a metà dicembre indovina cosa ho scelto?»

Come contrappeso alla soddisfazione del sorriso che non è riuscito a frenare, Kei alza il dito medio.

Tetsurou è ancora sulla soglia e gli sorride a sua volta, perso nella contemplazione della familiarità di quella scena. Vedere Kei in casa propria, a suo agio fra le cose di ogni giorno, gli stringe lo stomaco e gli scalda il cuore. Si rende conto che non fa che immaginarlo lì, disteso fra i cuscini, affacciato al balcone, seduto per terra, o, come adesso, accoccolato nella poltrona preferita della nonna.

O chino su di lui, a cavalcioni delle sue cosce, mezzo nudo magari.

Invece Kei è vestito, completamente. E tirarselo addosso su quella stessa poltrona, dopo averlo preso in giro, è meno facile del previsto. Alla fine Kei cede, un po' accaldato, un po' reticente, parecchio eccitato. Le mani fresche di Tetsurou ai lati del viso, il pollici che gli accarezzano il collo, lo fanno tremare. I baci di Kei sono piccoli, brevi, fugaci, seguono mappe sul viso di Kuroo che solo lui conosce.

«Allora, mio prezioso kohai. Dimmi un po': quali sono le regole?» domanda, senza smettere di accarezzargli le guance.

Kei s'interrompe e alza le sopracciglia, interrogativo.

Tetsurou risponde afferrandogli i fianchi e tirandolo più vicino. E' un conforto sapere che non è l'unico che sta scoppiando dentro i jeans.

«Hai regole per ogni singola cosa al mondo. Non ci posso credere che non ne hai qualcuna per me... per stanotte, intendo. Vorrei davvero... cioè, ci tengo che... anzi no, voglio...» Tetsurou esita, rilasciando il respiro.

«Beh? Completare una cazzo di frase è contro la tua religione? Cos'è che vuoi?»

Le cose che Tetsurou vuole sono così tante che non riesce ad esprimerle. «Voglio farlo con te. Non sai neanche quanto. E voglio che sia fantastico

A Kei passa per la testa che l'unico motivo per cui potrebbe non essere fantastico è che, se lo scemo non la smette di fare quella faccia e di muovere i fianchi, si verranno entrambi nelle mutande nei prossimi quindici secondi. Ancora meno fantastico se sarà solo lui a finire così.

«Voglio davvero che sia fantastico, Kei. Per te. Per tutti e due. E poi...» continua Kuroo, circondandolo con le braccia, «... non lo so.... voglio farti stare bene. Benissimo. Solo bene, capisci? Non voglio farti male... »

«Cioè, te la stai facendo sotto? Puoi sempre tornare a scoparti le  femmine, così fila tutto facile, liscio e umido al punto giusto... »

«Piantala! Io sono serio! Davvero, ho paura che... » Tetsurou non prosegue, ma irrobustisce l'abbraccio, nascondendo la fronte contro la spalla di Kei.

«Ehi» Kei si allontana col busto. Quando raddrizza la schiena è veramente alto. Torreggia sul compagno, gli stringe le spalle con entrambe le mani, forte.

Kuroo alza lo sguardo, ha gli occhi liquidi, scuri, dolci.

Forse per la prima volta, Kei lo vede improvvisamente giovane quanto lui, insicuro quanto lui, forse persino innamorato quanto lui, il che è praticamente impossibile. Ma in quel momento sembra vero.

«Piantala tu, di dire cazzate. E non ti azzardare a trattarmi come una femmina. Non sono una femmina, non sono fatto di vetro, odio le moine. E sai che c'è? Mi devi aprire il culo: farà male di sicuro, meglio che ti abitui all'idea e te la fai piacere.»

Tetsurou sta per ribattere, ma Kei gli appoggia un dito sulle labbra. «Sarà fantastico, scemo. Anche se farà un male cane, sarà fantastico lo stesso. Però se continui così, di sopra neanche ci arriviamo.»

Di sopra, è impossibile arrivarci. Appena le mani di Tetsurou si insinuano sotto la camicia di Kei e lui geme e boccheggia, appena le labbra di Kei raggiungono le dita  di Tetsurou e la lingua le avvolge, si trovano entrambi affannati, vicini al limite, a guardarsi negli occhi da molto vicino.

«Facciamo a chi resiste di più?» propone Tetsurou, soffiando le parole sulla gola di Kei.

«Da pisciasotto a sbruffone in trenta secondi netti. Sul serio, non sei credibile... »

«Non devo essere credibile per farti venire.»

«Ci tieni tanto a ridurre uno schifo questa poltrona?»

«La poltrona è la mia priorità. Non ti slaccerò nemmeno la cintura... »

Purtroppo, lo scemo può farcela. «Te l'ho mai detto che detesto gli sbruffoni?»

«La posta in gioco la lascio scegliere a te...»

«Non ho detto che ci sto.»

«Hai qualcosa da perdere?»

Dignità per esempio? Autostima? Un minimo di decenza? Tutto a farsi fottere alla prima carezza, alla prima immagine erotica dipinta dalle parole di Kuroo, al primo sguardo predace.

E' il gemito di Kei, la scia lucida di saliva fra le labbra il mento, il modo in cui gli si inarca fra le braccia con la testa gettata all'indietro, la grazia superiore con cui abita il mondo, intatta anche in un momento triviale come un orgasmo nelle mutande, a portare Tetsurou a sua volta oltre il limite. Finiscono così, ansanti e appiccicosi a guardarsi male per finta e a ridersi addosso l'adolescenza e l'imbarazzo e la tensione e tutto quello che c'è lì fra loro e brilla così tanto che bisogna chiudere gli occhi per non farsi travolgere dall'emozione.


Ma è sempre un sogno e come alla fine ci arrivino, di sopra, Kei non lo sa più.

C'è stata di mezzo una doccia, un pungolarsi per qualcosa, una quantità di baci che non si conta più e comunque non è neanche lontanamente abbastanza.

Il tempo scorre spezzato, scattando istantanee che immortalano sensazioni e attimi discreti.

Gli accappatoi sulla pelle umida, gli occhiali sfilati delicatamente dalle mani di Tetsurou (ti starò così tanto vicino che mi vedrai per forza), i piedi nudi sul tatami, l'odore di colonia che filtra da ogni parte. La notte che striscia nella stanza dopo un tramonto pallido, la luce lontana di un paio di stelle, i telefoni spenti (se Kozume si presenta in piena notte giuro che lo faccio fuori). La folla fuori che si insegue, la televisione che ride e che canta a voce troppo alta nelle case degli altri. Tra loro solo bisbigli soffiati sulle labbra e fruscii di  lenzuola.

Kei è nudo. Del tutto. In ogni modo in cui si può essere nudi di fronte a un altro essere umano. Spogliato di tutte le sue regole, le convinzioni, i principi, le ostinazioni e i pregiudizi. 

Kei è nudo e tutto il suo corpo vibra, insieme a un'anima così giovane e ardente che stenta a riconoscerla per propria. E se la strapperebbe di dosso per mettersela sulla pelle e  farsela succhiare via, un bacio dopo l'altro.

Kei è nudo e Tetsurou pensa, guardandolo nella penombra della propria stanza, che è la cosa più preziosa e più bella su cui abbia mai posato lo sguardo. Una bellezza stordente che fa girare la testa e brucia sotto le dita, mentre le carezze gli scivolano addosso languide, sul profilo del collo, lungo il torace, al centro del ventre.

Inizia ad amarlo con le dita e con gli occhi, saziandosi dei dettagli, come quel neo minuscolo sul collo, fra una vena azzurra e l'attaccatura dei capelli. Oppure l'incavo che dal fianco arriva all'inguine, un'insenatura lunga e profonda da percorrere lentamente con la punta della lingua, fino a fargli inarcare la schiena come un gatto, mugolando e spingendo in alto un sesso gonfio e congestionato, che gli pulsa fra le mani quando lo percorre dalla punta alla base con i polpastrelli.

Tetsurou ha la testa leggera e i sensi riarsi. Non sa più niente, se non che impazzirà solo a guardare quegli occhi ambrati, quelle cosce bianche fra le sue ginocchia, quella gola esposta, quei capezzoli di un rosa pastoso e tenero, come fossero dipinti e così sensibili e duri che fanno venire voglia di morderli troppo forte. Vuole divorarlo e adorarlo insieme ed è quello che fa, sfiorandolo con devozione e poi subito leccando, succhiando e lasciando segni ovunque senza permesso.

Il corpo di Kei è un tempio di lussuria e al contempo un sentimento puro, il più alto, il più profondo che Tetsurou abbia mai provato. In qualche modo perverso, persino strofinargli il cazzo addosso è una forma di adorazione.

E poi baciarlo, baciarlo, baciarlo su quella bocca dolce e calda, come nei sogni più bagnati. Sulla sua lingua gli odori diventano sapori e si sciolgono sul palato.

Sottobosco: il profumo dei frutti nascosti, freschi, pungenti, seppelliti fra il muschio e le foglie, fra la gola e il palato.

Miele di castagno: il gusto dolceamaro della pelle, da succhiare con avidità, l'oro dell'autunno che filtra tra le palpebre abbassate, tracce di luce in tutti i punti dove arriva la lingua e la pelle è caldisima.

Sesso: l'essenza di Kei, carnale fino al cervello, fino ai battiti del cuore, fino a dove muoiono i respiri, fino a dovunque si possa toccare e assaggiare.

Dio, cos'è Tsukishima Kei che sospira desideri inarticolati, che si lascia spingere due dita in bocca e le succhia e poi si solleva a sedere e si china e gli posa le labbra sulla punta del cazzo e si mette a succhiare anche quello. Piano, pianissimo mentre la bocca scende fino alla base, con studiata lentezza. Solleva gli occhi e, insieme al rumore liquido del risucchio, quello sguardo porta Tetsurou a un passo dal venirgli in gola. Lo ferma bloccandogli i polsi, costringendolo disteso, tornando a torturargli i capezzoli, a ridisegnarlo a furia di carezze a sussurrargli frasi scomposte negli incavi dei muscoli e all'angolo della bocca.

Adesso deve entrargli dentro. Subito, perché resisterà ancora poco.

Kei gli avvinghia le cosce ai fianchi ed è ben più che un invito. Gocce fredde di lubrificante sfuggite al flacone gli fanno vibrare gli addominali sottopelle. Quel culo esposto è più erotico di qualsiasi sogno, di qualsiasi fantasia.

Ed è diabolicamente stretto. Si richiude attorno al dito che lo viola come se ne avesse la forma esatta. Il sesso di Tetsurou risponde a quello stimolo indurendosi ancora, Kei sorride mentre ansima e trattiene il fiato. E prova dolore. Ma è lui stesso a spingere, sollevando la schiena.

Due dita spariscono nel corpo di Kei, lo esplorano, premendo ovunque; la sua espressione non ha più nulla del sarcasmo e dell'arroganza: è contratta, lasciva, aggrottata nello sforzo di accogliere l'intrusione, disfatta di desiderio. Tetsurou sa che dovrebbe continuare con un terzo dito e dargli tempo. Sa che dovrebbe prenderla con calma, farlo abituare, dargli piacere per fargli scordare il dolore. Ma non può, non riesce. Vuole solo, disperatamente, possederlo.

«Apriti» sussurra. «Ti prego. Per me.» Una supplica con il tono di un comando. E ormai Kei non è più capace di negargli nulla, neanche con il corpo.

Tetsturou inizia a spingere, duro, lucido di lubrificante, teso come non mai. Sente il muscolo cedere piano intorno alla punta, aprirsi e poi richiudersi, stretto come le porte del paradiso. E rovente. La carne di Kei è viva, si tende, lo cerca, gli si serra intorno, come le dita affusolate e forti, le unghie che si sente conficcate addosso.

Kei ha gli occhi chiusi, la schiena inarcata, le dita dei piedi contratte, il sesso eretto e curvo, con la punta che sfiora l'addome. E' bellissimo. Bello da piangergli addosso mentre lo sfonda. Perché dovrebbe aspettare ma di nuovo, non riesce. Vuole entrargli dentro e perdersi. Vuole sentirlo urlare. 

In un momento di suprema confusione, Tetsurou pensa che, se urlasse di dolore, gli andrebbe bene lo stesso e quindi spinge senza riguardi. E tutto si riduce a quel nodo di carne e di pelle che sono diventati, saliva, sudore e qualche lacrima nascosta fra le costole di Kei mentre intreccia le sue dita fra le proprie e stringe tanto forte da fermare il sangue. E finalmente arriva in fondo, in fondo fino all'anima.

Kei soffre. E gode, senza riuscire più a distinguere una cosa dall'altra. Ed è l'esperienza più dolorosa e sublime che gli sia mai capitata e forse che gli capiterà mai.

Si sente strappare a brandelli, lacerare e, mentre sopporta e annaspa, mentre si sforza di rilassarsi e le lacrime gli si aggrappano alle ciglia, accoglie una semplice e spaventosa verità: che da lì, da dentro di lui, Kuroo Tetsurou non se ne andrà mai più. Neanche quando i loro corpi saranno disgiunti, quando spunterà il mattino e un treno lo porterà via, quando un oceano, un continente, una galassia, oseranno mettersi fra loro. Neanche se un giorno dovesse lasciarlo, tradirlo, o morire. E che questo, precisamente questo, è amare.

E tutto di Kei sta amando, alla massima potenza, consumato nell'incendio di una passione smisurata: non esiste parte di lui che non sia in fiamme e non frema per la voglia di essere riempita. Di sperma, di sospiri, di saliva, di parole, di carezze, di baci.

Il piacere nasce furtivo dal dolore, in sordina, da quel ritmico e spezzarsi e rimettersi insieme una spinta dopo l'altra. Un piacere bruciante e crudele, come oro fuso colato fra quelle fratture. Tutto il corpo di Kei è kintsugi, un'opera d'arte di lussuria, ferita e fremente, pronta a traboccare.

Trabocca sugli addominali di Tetsurou, con un lamento soffocato nel cuscino e gli occhi pieni di lacrime. Nella macchia umida che si allarga sulla stoffa sono scritti i caratteri di una confessione, una resa, una speranza, la somma sconclusionata delle mille parole d'amore che impiegherà una vita a pronunciare, ma che sono già tutte lì, impastate nei sussulti del suo corpo soddisfatto, negli spasmi che arrivano dritti intorno al sesso di Kuroo come scariche elettriche.

Tetsurou è al limite ma continua a spingere con frenesia, a toccare punti nascosti, provocando gemiti sfrenati e sillabe senza senso che lo fanno impazzire.

E mentre sprofonda dentro il suo amante, violando il confine fra amore e piacere, si domanda, attonito, se non sia sempre stata casa sua quella, se quel corpo non sia il proprio più della carne che ha sulle sue stesse ossa. Se non abbia vissuto (quante vite?) per trovarsi lì, in quel momento, a svuotarsi l'anima dentro Kei e a riempirlo di sé.

Tutto Kei, riempito con tutto se stesso. L'intuizione formidabile di un sempre e di un per sempre che dura solo un attimo. E forse sono solo gli ormoni, o i sensi troppo saturi di piacere o l'erotismo insostenibile di quel momento.

Al culmine dell'orgasmo, quando tutto il suo corpo trema e le tensioni si sciolgono nel piacere, il nome di Kei è l'unica verità che Tetsurou ha in testa, un monosillabo luminoso che emerge da un plasma bianco di pensieri sciolti e fuochi d'artificio.

Fuochi d'artificio anche fuori dalle finestre, che esplodono e baluginano contro un cielo ridicolmente piccolo e lontano. Insignificante rispetto a quella stanza e alle sue ampiezze smisurate, colme di sesso e di sudore e del pasticcio appiccicoso e umido che sono loro due.

La prima parola di Kuroo Tetsurou per l'anno 2013, pochi secondi dopo la mezzanotte, è Kei. Subito dopo, Tetsurou dice ti amo. Lo dichiara in un sussurro sgomento, tenendo Kei stretto fino al parossismo, inchiodato al futon, rimodellato intorno al proprio corpo, il volto abbandonato sul suo petto.

«Ti amo» ripete, ancora più piano, ancora più intenso. Il cuore di Kei quasi esplode e Tetsurou sente quel battito sotto le labbra così chiaramente che gli viene da piangere, di beatitudine e di gratitudine e di altre cose splendide che non hanno nomi.

La prima parola di Tsukishima Kei per l'anno 2013 arriva nella luce del mattino. Per tutte quelle ore dense avviluppate nel buio, la voce di Kei è rimasta intrappolata fra le lenzuola e i bordi dell'anima, sopraffatta dalle esigenze del corpo, dalla potenza dei sentimenti, da tutto quel dolore e quel piacere, quel mordere e succhiare, che stanno sbocciando in fiori delicati, gialli e azzurrini sulla sua pelle diafana, sottili tralci di rampicanti rossi che gli risalgono le cosce fino ai fianchi.

Quando solleva le palpebre, la prima cosa che Kei vede sono gli occhi neri di Tetsurou, enormi, smarriti di gioia. Disteso sul fianco, lo sta contemplando in silenzio da chissà quanto tempo. La luce attraversa la stanza, piovendo di traverso fra le persiane in lunghe strisce che si spezzano sugli angoli dei mobili e sulle curve dei loro corpi nudi aggrovigliati alle lenzuola.

Kei sorride. Gli sfugge un sorriso tenero e innocente, di felicità e di appagamento. Fra due secondi si sentirà un idiota e i dubbi e le incertezze torneranno, ma adesso no, adesso ogni cosa è trasparente, lambita dalla luce dell'alba. Perfetta.

Negli occhi innamorati di Tetsurou vede accendersi una piccola, ma chiarissima, scintilla di trionfo. 

E' allora che gli si libera la voce e  la prima parola del nuovo anno è: scemo.  La seconda parola, languida e pigra, scivola nello spazio fra le braccia tese: ancora.

 

   
 
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