Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    08/12/2022    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Nota: non mi riusciva proprio per niente dare una comunicazione che non fosse in un capitolo con un numero tondo.
La storia è quasi giunta ad una fine.
Esatto. A quasi un anno dalla pubblicazione del primo capitolo, mi sembra così strano essere arrivata innanzitutto così lontano senza aver mai mollato, e poi proprio alla fine fine di questa storia. Ci ho speso tanto tempo, energie e sudore cerebrale da affezionarmi profondamente a Siri e a tutta la trama che piano piano ho intessuto, e sperare, nel profondo, che non finisse mai.
Altri 8 capitoli e tutto sarà finito. Ho già pianificato tutti i prossimi capitoli, non resta che scriverli.
Non posso dirvi quando pubblicherò di nuovo, sono sommersa dai miei impegni universitari ma cercherò di concludere questa storia quanto prima.

Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, mi piacerebbe chiedere magari ai più "silenziosi" e non tra voi, un parere generale sulla storia: è una cosa che non ho mai fatto, ma, visto che siamo quasi alla fine mi piacerebbe capire cosa ne pensate finora e se questo finale alternativo vi sta piacendo, o magari lo trovate una porcheria, quello che vi pare insomma. è solo un invito, qualora vogliate rifiutarlo a me andrà bene comunque, non cambierà nulla!
Adesso ho veramete finito di tediarvi, buona lettura e al prossimo capitolo!
 

Capitolo 30 – Un patto è un patto

 
I'll stay in the pool and drown
So I don't have to watch you leave
I put on Survivor just to watch somebody suffer
Maybe I should get some sleep
Sinking in the sofa while they all betray each other
What's the point of anything?
 
Il giorno seguente Hange e la squadra di Levi andarono lo stesso alla riunione per la protezione degli Eldiani e, come Siri aveva loro accennato, era stata una perdita di tempo, oltre che una delusione colossale. L’unico vero risultato che ottennero da quella infelice visita fu quello di perdere Eren che, con una lettera, annunciò la sua decisione di agire in autonomia d’ora in avanti.
Siri era a dir poco furibonda quando Levi ed Hange le riferirono la notizia una volta rincasati dagli Azumabito. Lei e la comandante avevano un piano preciso e ben studiato, adesso il ragazzo gigante, la pedina fondamentale sulla loro scacchiera, l’aveva scombinato in maniera quasi irreparabile.
- E adesso che facciamo Hange?! Quel maledetto idiota doveva limitarsi a starsene buono a Paradise. – Siri si prese la testa fra le mani seduta sullo spazioso divano bordeaux – È mai possibile che non va mai nulla come pianifichiamo…
- Non che me lo aspettassi, ma Eren è sempre stato così. Adesso ha qualcosa per la testa e… – lanciò un’occhiata a Levi per poi proseguire – Non è detto che questo ci venga a nuocere.
Il capitano incrociò le braccia, consapevole di essere il terzo incomodo in quella stanza, guardò brevemente Siri ancora con la testa fra le mani e di rivolse al comandante: – Come hai intenzione di procedere adesso?
A quel punto anche Siri alzò lo sguardo su Hange che sospirò, per poi togliersi gli occhiali dal naso: - Rimane tutto invariato.
- Come?! – sbottò Siri alzandosi – Dobbiamo rimanere qui e cercarlo! Dobbiamo tenerlo d’occhio!
- Siri, so che sei frustrata ma pensaci un attimo. Per il momento è meglio di no. Potremmo attirare l’attenzione, far scoprire Eren, qualsiasi sia la strada che ha deciso di percorrere. E sai meglio di me come la tua copertura sia sul filo del rasoio, non abbiamo molto altro tempo.
Levi si voltò di scatto verso l’altra a quelle parole e la osservò con un leggero velo di preoccupazione sul volto. Siri preferiva guardare altrove, perfettamente consapevole sia delle parole della sua superiore in comando che degli occhi glaciali che le erano puntati addosso.
Dopo aver camminato sul posto in silenzio, si voltò verso Hange e si leccò le labbra sovrappensiero: - Quindi torniamo a Paradise, prepariamo l’ultima missione in territorio nemico e io e la mia squadra ripartiamo.
Hange rimase in silenzio qualche secondo per poi dire laconica: - Esattamente. Noi procediamo lo stesso, tu completerai la missione e indagherai su Eren, che, nel frattempo, come ha detto nella lettera, si farà vivo. Allora decideremo come agire.
Sul filo del rasoio.
Queste parole avrebbero tormentato Levi per giorni e giorni, mentre Siri organizzava gli ultimi preparativi per la missione, più indaffarata che mai dato che avrebbero dovuto accelerare per partire il prima possibile a causa della scomparsa di Eren. intanto fu Levi ad occuparsi del trasferimento di Tina in superficie: finalmente, dopo quattro lunghi anni di riorganizzazione ed espansione territoriale, la città sotterranea era stata svuotata dai suoi abitanti e definitivamente chiusa. La donna fu felice di rivedere il capitano, molto meno di sapere che Siri era indaffarata per una missione in territorio nemico e che questo le avrebbe impedito anche di salutarla prima di partire, di nuovo. Levi e Tina parlarono a lungo una volta che lei si stabilì temporaneamente a Trost, fu l’unica con cui l’uomo riuscì ad aprirsi e spiegare come si sentisse perché, infondo, era la sola che avesse sperimentato cosa significasse avere Siri lontana e sopportare il pensiero che stesse rischiando la vita ogni singolo giorno, non potendo fare nulla per impedirlo. Probabilmente fu questo che gli permise di affrontare meglio i pensieri ansiogeni che, nonostante sapesse mascherare molto bene, avevano comunque fatto regredire i suoi progressi con l’insonnia.
Levi l’accompagnò a trovare il figlio ad Utopia e quando tornarono poi a Trost, rimase sorpreso da come si era ritrovato quasi a necessitare della sua presenza. Si presero cura l’uno dell’altro senza neanche mai parlarne, fino a quando non arrivò il momento anche per il corpo di ricerca di agire in territorio nemico, e raggiungere le spie appena un mese prima del loro ritorno.
- Riportamela a casa, va bene, Levi?
Il capitano fissò Tina intensamente, in silenzio.
- Neanche questa volta mi ha salutata e vorrei solo che tornasse lo stesso. Proprio come l’ultima volta.
Lui si limitò ad abbassare il capo e incamminarsi verso la nave pronta a partire.
***
 
Sono solo quattro mesi, resisti Siri, si disse.
Poi inizierà il vero inferno.
Non ho neanche salutato Tina prima di andare.
Uno scossone della nave la distolse da quei pensieri, facendola alzare dalla sedia fissata al pavimento del traghetto.
- Dove vai lucertolina?
- Stiamo per arrivare, qui sotto si balla troppo. Vado a prua, tienili d’occhio tu e dì loro di smettere di alzare così tanto la voce.
Bernard annuì e la osservò risalire le scale e scomparire dopo qualche gradino. La missione che dovevano svolgere a Liberio era già molto complicata di per sé e, nonostante in quell’anno e mezzo ormai fossero arrivati alla sua conclusione, quell’ultima fase era anche la più delicata.
Bernard sospirò strofinandosi il pizzetto.
Di certo l’aggiunta di Eren alla loro lista delle mansioni peggiorava il tutto e, come al solito, chi rischiava più tra loro quattro era Siri.
Alzò lo sguardo sui ragazzi che adesso si stavano rifocillando con una bibita dolciastra. Yvonne osservava rapita le bollicine dal vetro semitrasparente.
Non era bravo a fare piani come Siri, era questo che alla fine che le aveva permesso di prevaricarlo, ma non smetteva mai di provarci lo stesso. Il suo obiettivo da tempo non era più quello di sbarazzarsi di lei, non poteva nemmeno aspirare ad averla tutta per sé, quello che gli era rimasto era semplicemente cercare di proteggerla.
Guardò ancora più intensamente Yvonne, che, dopo aver quasi finito la bottiglietta, ci stava soffiando dentro per sentire il suono vibrante fuoriuscirne.
Bernard non si sentiva neanche lontanamente in colpa per averla trascinata in quell’affare, e quindi poi in tutti gli altri che questo avrebbero comportato. Lei non era come lui, lei voleva solo proteggere le persone che amava e per questo si era arruolata, ma il punto era che poteva semplicemente unirsi al corpo di ricerca e invece… era stata plagiata da lui perché prendesse parte alla loro squadra.
Bernard infondo si vergognava di quello che le aveva fatto, ma non se ne pentiva più di tanto perché aveva bisogno di lei per proteggere Siri, cercava di metterla nelle situazioni più pericolose per evitare una morte che, al contrario di quella della sottoposta, l’avrebbe distrutto. Ma ancora una volta, Siri si era rivelata una persona estremamente diversa da lui e si era caricata di tutte le responsabilità, anche del ruolo più pericoloso che lui aveva desiderato tanto spettasse a Yvonne. Si chiese più volte se Siri effettivamente avesse scoperto quello che aveva fatto alla sua sottoposta, o se avesse occultato bene le sue tracce tanto da non farle scoprire, o se ancora la spia fosse talmente disgustata da lui che non la sorprendesse più nemmeno una cosa del genere.
Magari Siri aveva semplicemente fatto due più due e, studiando bene la storia di Yvonne, capire che avesse propositi ben più nobili di tutti loro messi insieme, seppur ben mascherati dalla sua “eccentricità”.
Quella stessa sera, dopo che Yvonne e Jean furono andati a dormire, Bernard raggiunse Siri sul balcone della loro casa a Liberio, una di quelle fornite dagli Azumabito. Seduta su una sedia di vimini, stava sorseggiando del super alcolico, la cui bottiglia in cristallo molto pregiata giaceva su un tavolino basso accanto a lei. Bernard prese posto in una sedia uguale a quella dell’altra, al lato opposto: - Com’è questo qui?
Siri guardò il bicchiere velocemente, poi fece spallucce: - Buono, come gli altri. Però è assurdo come quello di Orvud sia comunque più buono, nonostante le risorse ridotte.
- Beh, credo siano semplicemente più bravi, non lo pensi anche tu?
- Il mondo è comunque immenso. – bevve un sorso dal bicchiere – Potrebbero esserci posti piccoli come Orvud che ne producono uno altrettanto buono.
- Se me lo chiedessi potrei provare a trovartene uno. Solo per te.
Siri voltò la testa e lo vide incredibilmente serio. Lei tornò a fissare i palazzi davanti a lei e scosse la testa contrariata, portandosi di nuovo il bicchiere alla bocca, così Bernard continuò: - Se me lo chiedessi, Siri, io farei qualsiasi…
Siri, interrompendolo, lo sovrastò col suo tono di voce, fermo e molto chiaro: - Sai cosa c’è alla base di una relazione Bernard?
La domanda spiazzò l’altro che, però, le rispose ammiccante lo stesso: - La passione?
Lei, di tutta risposta, sbuffò. Aspettò qualche secondo prima di rispondergli per sottolineare l’importanza di quanto stava per dirgli: - La fiducia, Bernard. – sospirò – E io di te non mi fido neanche un po’.
Toccato nel personale, lui si stizzì e le rispose d’impeto: - Io sono affidabile.
- Bernard… – Siri si voltò completamente verso di lui, decisa a fargli capire una volta per tutte come quei sentimenti che lui era convinto di provare per lei non potessero trovare un risvolto in alcun modo – Non solo io la penso così, lo sai. Non è un caso che Erwin dagli Aurille, quella sera, abbia permesso a Levi di raggiungermi e quando l’ho visto, ho capito subito il messaggio che voleva comunicarmi il comandante.
Bernard deglutì, aprì la bocca per controbattere ma Siri si affrettò a continuare.
- Non dovrebbe essere già un brutto segno il fatto che mi sia fidata più del giudizio di Erwin che di te? Sì, mi fido di te a livello professionale, sei molto bravo, ma a volte mi ritrovo a pedinarti, ti spio, ti controllo perché temo tu faccia qualche stronzata. Non sei una persona stabile, forse un giorno lo sarai, ma non è questo quello che cerco. Non posso sobbarcarmi la tua irresponsabilità, io ho bisogno di una persona di cui mi possa fidare, incasinata quanto me magari, ma che non mi veda come un oggetto da collezionare o come un dio rilucente per il quale traboccare di desiderio.
Siri distolse lo sguardo da lui per un secondo, poggiò il bicchiere sul tavolo in vetro producendo un suono acuto, poi tornò a guardare il suo viso, su cui adesso era possibile osservare un leggero velo di amarezza.
- Bernard tu… sei una brava spia, ti voglio bene e so che tu ne vuoi a me, nel tuo strano modo di voler bene ad una persona. Ma io non sono la persona giusta per te. Io spero tanto tu possa levarti dalla mente questa immagine che hai di me e che tu capisca… – la donna prese coraggio per dire quelle parole che sarebbero stata l’ultima stilettata nel cuore della persona che le sedeva di fronte – Che tu capisca che non ci potrà mai essere un momento in cui mi stancherò di Levi.
Bernard fu il primo a distogliere lo sguardo, calò così tra loro un silenzio pesante. Le luci notturne della città sfarfallavano nel buio di quella notte così calda, in un’altra occasione quella sarebbe stata un’atmosfera romantica, non era però certo quello il caso.
Siri tossì per schiarirsi la voce, riprese il bicchiere ed elegante lo finì, quindi si alzò e, indugiando sul finestrone spalancato, un piede all’interno l’altro sul balconcino, disse infine: - Se Levi mi avesse rivelato di non fidarsi del giudizio di Erwin o adesso di quello di Hange, io l’avrei seguito, fino alla morte. E non solo perché lo amo più di quanto tu possa provare ad immaginare, ma perché mi fido di lui così tanto che potrei anche sopportare l’idea di morire. È questa la differenza Bernard… mi dispiace.
La situazione poteva apparire ironica, sapendo che Siri aveva ammesso per la prima volta i suoi sentimenti con chi aveva sempre rifiutato, ma non ma non ne aveva mai parlato col diretto interessato.
***
 
Liberio era una città di mare, uno dei fiori all’occhiello di tutta Marley ma sempre impregnata da quella fastidiosissima umidità che soprattutto al porto si attaccava al corpo, ai vestiti e persino agli edifici con muffa e salsedine. Era per questo che Willy Tybur non era mai troppo entusiasta di tornarci, che fosse per lavoro o per piacere. I pezzi grossi delle forze militari erano nel panico più assoluto, appena conclusa la guerra col medio-oriente, non c’era assolutamente nulla da festeggiare: si erano scatenati dei disordini nella nazione meridionale costringendo Marley a bloccare i commerci via mare della grande penisola mediterranea che, chiaramente, non ne era affatto contenta, mentre la piccola penisola mediterranea stava pressando gli organi centrali per amplificare le ricerche dell’ambasciatore scomparso niente meno che in territorio Marleyano, le accuse e le indagini si sprecavano, oltre che il malcontento dilagante. A peggiorare il tutto, c’era quella misteriosa malattia del raccolto e, non meno importante, quella donna.
Quella donna l’aveva raggiunto per la prima volta nella sua dimora segreta nel cuore del paese un anno e mezzo prima, non aveva idea di come avesse fatto a scoprire dove abitasse o che fosse colui a guidare il paese nell’ombra, era semplicemente scioccato quando vide il pugnale lungo e affilato conficcato nel legno del suo tavolino da tè. Da quel giorno aveva ricevuto continuamente visite, a cui, per altro, non poteva dileguarsi perché, a detta della donna, un altro “di loro” aveva sotto tiro uno dei suoi figli: che fosse vero o meno, non era certo disposto a rischiare per scoprirlo.
Stava percorrendo i corridoi della sua dimora a Liberio per tornare in camera dopo una lunga mattinata di riunioni con militari e funzionari del governo, tutti discretamente preoccupati della situazione che si era venuta a creare con le nazioni annesse. Willy si era raccomandato di tenere a bada la stampa e non far arrivare le voci dei disordini anche nelle città proprie di Marley per “non destabilizzare gli equilibri nazionalistici”.
Aprì la porta a doppio battente della sua camera congedando le cameriere che l’avevano seguito fino ad allora, entrò e tirò un lungo sospiro stanco. Magath aveva ragione a quanto pare, l’egemonia di Marley era vicina alla fine, forse era meglio arrendersi e lasciare che le cose accadessero. Si tolse il cappotto e lo lasciò con cura sull’appendiabiti vicino la porta.
No, non posso lasciar perdere proprio adesso… rifletté Willy voltandosi a guardare la sua camera, quando il suo sguardo si fermò sul pugnale poggiato sulla mensola in marmo del caminetto, un sorriso placido gli si dipinse sulle labbra rosee.
Si diresse alla cantinetta degli alcolici vicino le poltrone nell’angolo della camera più vicino al finestrone spalancato, quindi prese una bottiglia di whisky, l’alcolico preferito della sua ospite, che vide emergere silenziosa da dietro la pesante tenda gialla. Come sempre, aveva il volto coperto tranne che per gli occhi, persino le mani erano nascoste alla sua visione. A volte si chiedeva che aspetto potesse avere quella donna, nelle notti insonni si ritrovava ad immaginare i suoi lineamenti, quale forma le sue labbra potessero avere, quanto potessero essere larghe le sue narici, o se avesse dei nei particolari in viso.
- La ringrazio, non so perfettamente che usanze abbiate qui, ma per un diavolo come me è un po’ troppo presto per il whisky. – disse lei sedendosi sulla poltrona.
Willy sorrise affabile e alzò i bicchieri e la bottiglia, quasi a scusarsi: - Non ha tutti i torti. Faccio preparare del tè, allora.
- Come è accogliente, ma mi vedo costretta a rifiutare anche quest’altra sua gentile offerta. – gli indicò col palmo la poltrona di fronte a lei – Questa è l’ultima volta che le faccio visita, signor Tybur.
Per essere un’assassina, come gli si era presentata il primo giorno che l’aveva trovata seduta nel buio dei suoi alloggi, aveva un portamento in sua presenza impeccabile. Conosceva bene il galateo, si sapeva sedere, parlare, persino versare le bevande: se non fosse che quegli incontri si svolgevano con un coltello puntato alla gola, metaforicamente, l’avrebbe scambiato per uno coi capi del governo degli alleati.
- Oh. – disse, sedendosi – Come mai non avrò più il piacere di ricevere una delle sue visite?
- Andrò via molto presto, torno finalmente a casa.
- Sono molto felice per lei e, beh, mi perdoni, soprattutto per me.
La donna sorrise educata, coprendosi la bocca: - Non ha tutti i torti. – sovrappose quindi le mani sulle cosce – Ormai però abbiamo ben chiarito le nostre posizioni, gli interessi delle nostre nazioni sono stati fatti, quindi, non c’è più motivo che io rimanga qui.
- Sono d’accordo.
- Ma… ecco, manca ancora una cosa che, se non le dispiace, bisogna regolare.
Temeva volesse mettere nero su bianco tutto quello che avevano stabilito. Dio solo sapeva quanto Marley avesse bisogno delle risorse di Paradise, soprattutto il quel momento: ma il fondatore era nelle loro mani e non poteva fare altro che chiedere aiuto agli Alleati, e, come se non fosse abbastanza, ora era stato messo con le spalle al muro da un accordo che, sì, avrebbe soddisfatto entrambe le parti, ma avrebbe stroncato qualsiasi mira espansionistica verso l’isola.
- Non credevo fosse necessario.
La donna tirò fuori dalla sacca che aveva in vita un plico di fogli che posò delicatamente sul tavolino: - Oh, lo è invece. È solo una formalità dopotutto. Scusi ma… mi era sembrato di capire che volesse mettere fino a tutti questi anni di guerre e screzi, mi sono forse sbagliata? Ci ha forse ripensato?
- No, assolutamente. Credevo solo che sarebbe stato più opportuno farlo in altre sedi.
Lei alzò un sopracciglio, inclinando leggermente il capo: - Altre sedi? I demoni non possono mettere piede in luoghi così integri ed integerrimi. Alcuni demoni, perlomeno. – detto ciò, allungò verso l’altro i fogli facendoli strisciare sulla superficie liscia e pregiata del tavolo.
Willy ricambiò lo sguardo penetrante dell’altra nel più completo silenzio, poi scosse la testa abbassando la testa sui documenti, aprì la bocca per parlare ma la donna lo precedette.
- Può usare la mia. – disse, porgendogli una penna. Lui la prese riluttante, per poi firmare i fogli accanto all’elegante firma della sovrana di Paradise. Historia Reiss, lesse nella mente, un bel nome davvero.
Non appena firmò, alzò la testa e sobbalzò quando si rese conto che la spia era in piedi accanto a lui e lo guardava dall’alto al basso.
- La ringrazio davvero tanto del vostro tempo e della vostra comprensione, signor Tybur. Vedrà che tutto questo ci porterà lontano. – prese i fogli e la penna e li ripose nella sacca – Magari un giorno potrà farmi visita, la nostra isola è davvero splendida. E il nostro whisky nettamente migliore.
- Addio, è stato un piacere fare la sua conoscenza. – le disse, mentre la vedeva scomparire dalla finestra, accecato dalla luce del sole che prorompeva all’interno della stanza.
Willy rimase ancora seduto qualche secondo, poi si diresse alla porta e fece chiamare dalla servitù un militare, non appena arrivò, aspettarono che la cameriera si allontanasse per parlare sommessamente tra loro.
- Hai trovato quello che ti avevo chiesto?
- Ci sono almeno due passaggi che può aver usato. Uno è nello studio qui accanto, l’altro al piano inferiore. Perché non ci ha permesso di seguirla?
- Sono abbastanza sicuro abbia usato le fogne per andarsene, non vi avrebbe portato a nulla tentare di seguirla lì. Intensifica le ronde e le esplorazioni. Quando scoprirete dove si nascondono, vi darò ulteriori istruzioni.
Ho bisogno di fare il loro gioco, si disse. Il trattato di non aggressione che aveva appena firmato sarebbe stato un’altra gatta da pelare più tardi.
  
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