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Autore: CedroContento    10/12/2022    7 recensioni
[Orgoglio e Pregiudizio Hogwarts!AU Torneo Tremaghi]
Quando il Calice di Fuoco viene posizionato al centro della Sala Grande, Elizabeth Bennet non ha dubbi, deve tentare la sorte e gettare una pergamena con il suo nome tra le fiamme; davanti ad una sfida non si è mai tirata indietro.
Fitzwilliam Darcy ritiene sarebbe un grande onore rappresentare Hogwarts, e non vede chi altro dovrebbe candidarsi alla competizione se non un mago talentuoso come lo è lui per tenere alto il nome della sua scuola.
Charles Bingley, dal canto suo, è sicuro che partecipare al Torneo sarà divertentissimo, un' esperienza unica che capita una sola volta nella vita, non può certo lasciare tutto lo spasso a Darcy.
In questa Hogwarts!AU i protagonisti del celebre capolavoro della Austen indossano le divise di Hogwarts, e di Beauxbatons e di Durmstrang, e si sfideranno fino all'ultimo colpo di bacchetta per vincere il Torneo Tremaghi. Chi sarà premiato con la gloria che spetta al vincitore?
[Questa storia partecipa al “Torneo Tremaghi - Multifandom Edition” indetto sul gruppo Facebook "L’angolo di Madama Rosmerta"]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Bingley, Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy, George Wickham, Jane Bennet
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un cannone tuonò, da qualche parte sopra il tetto della tenda dei Campioni, facendone oscillare pericolosamente i supporti.
I suoi tre occupanti guardarono l’intera impalcatura traballare e poi assestarsi di nuovo. Quello era il segnale che il primo Campione era chiamato ad affrontare la Prima Prova del torneo; o meglio, Campionessa, visto che la prima sarebbe stata una ragazza di Beauxbatons, allampanata, con le lentiggini, e i capelli corvini tagliati cortissimi. 
 
Erano stati estratti a sorte e scoperto cosa avrebbero dovuto fare solo una manciata di minuti prima. Elizabeth era riuscita a mantenere tutto sommato una certa calma quando era stata scelta lei, ma doveva ammettere che il sangue freddo le era venuto un pochino meno, quando aveva scoperto che la prova consisteva seriamente nell’affrontare un vero drago. Un drago vivo, in carne e ossa, con le fiamme e tutto il resto. 
 
Bingley - che ormai era fortemente sospettato da lei e Darcy di nascondere doti da veggente - aveva spalancato gli occhi per la meraviglia alla notizia. “PA-ZE-SCO!” aveva mimato con le labbra, già pregustando lo spettacolo e rammaricandosi di non essere lui il prescelto. 
 
Elizabeth, dal canto suo, aveva dovuto mordersi la lingua per non dire ad alta voce che avrebbe fatto volentieri a cambio. Non era riuscita ad impedirsi di guardare Darcy, che aveva sostenuto il suo sguardo con tale serietà che si era sentita rimpicciolire all’istante. Non avrebbe saputo dire cosa lui stesse pensando, e non lo disse. Probabilmente che la causa di Hogwarts era già irrimediabilmente persa, ancora prima di cominciare. 
 
Poi, ad eccezione dei tre sfidanti, tutti erano stati invitati ad uscire. E ora, con il cuore in gola e una nausea fastidiosa che le stava uccidendo lo stomaco - e per sua fortuna quella mattina non era riuscita a buttare giù niente a colazione-, Elizabeth osservava la ragazza di Beauxbatons darsi un violento schiaffo in faccia, così forte da lasciare la guancia arrossata, e uscire ad affrontare il suo drago, a testa alta.
 
Lei e il giovane di Durmstrang - che non riuscì a reprimere una risatina nervosa - si lanciarono un’occhiata fugace. A quel punto, erano rimasti soli, loro e nient’altro che i rumori che venivano dall’esterno, da cui cercavano di indovinare cosa stava succedendo. 
 
L’ovazione della folla, la voce amplificata di qualcuno che faceva da cronista, che tuttavia rimaneva incomprensibile se non per qualche parola o qualche esclamazione sbraitata più forte. Quell’attesa era una vera tortura, ogni minuto sembrava durare almeno un’ora. 
 
“Nervosa?” le chiese ad un certo punto il ragazzo di Durmstrang.
 
Elizabeth lo aveva notato prima di quel momento tra i campioni di Durmstrang. In effetti, lei e Jane avevano anche già deciso che era senza dubbio il più carino tra gli studenti stranieri, con i suoi capelli biondo cenere tenuti lunghi, gli occhi chiari e vispi, e quell’atteggiamento affascinate di chi sa di essere di bell’aspetto, ma finge che non gli importi. 
 
“Parecchio…” ammise Elizabeth, rigirandosi nervosamente tra le dita la copia in miniatura del drago che avrebbe dovuto affrontare. Il Nero delle Ebridi.
 
“Hai quello nero inquietante, vero? Una gran bella bestia”.
 
“Direi di sì. Ma preferirei non essere prossima a verificarlo di persona. E non così da vicino. A te cosa è capitato?” chiese, approfittando volentieri della distrazione e sbirciando il drago che il ragazzo teneva in mano.
 
“L’Ungaro Spinato. Mi fa paura anche solo il modellino. Anche il tuo cerca in continuazione di morderti?”
 
“In realtà no! È abbastanza dolce,” rise Elizabeth, il cui drago le stava annusando curioso il pollice. “Anzi, spero ce li facciano tenere dopo. Se sopravviveremo, chiaro”. 
 
“Mi piace il tuo ottimismo. Comunque, in quel caso ti concederei di adottare anche il mio.” Il ragazzo sorrise e si avvicinò: “Sono George Wickham,” disse, tendendole la mano.
 
“Elizabeth Bennet,” ricambiò la stretta, e il sorriso. “Dovrebbe essere contro il regolamento far aspettare così sulle spine i partecipanti, non credi?”
 
“Tranquilla, andrai bene. Non credo potrai mai fare peggio di me. In realtà non ho idea del perché il Calice mi abbia scelto, non sono un mago particolarmente qualificato per tutto questo.”
 
“Be’, cosa ci faccia io qui me lo sto chiedendo da quando ho scoperto del drago,” confidò Elizabeth.
 
“Sei una Grifondoro, giusto? Suppongo sia stato il leggendario coraggio della tua Casa a portarti dove sei ora. Sconsiderato, meraviglioso coraggio”.
 
Soprattutto sconsideratezza.” Il fruscio della tenda alle loro spalle indusse entrambi a voltarsi, proprio nell’istante in cui Darcy varcava la soglia.
 
Elizabeth sobbalzò, sorpresa di ritrovarsi faccia a faccia proprio con lui, ma tentò di nasconderlo e attese che il nuovo arrivato dicesse loro cosa diavolo volesse. Ma la sorpresa non fece che raddoppiare, quando notò che Darcy guardava, con ancora più sufficienza di quanto fosse solitamente capace, Wickham, il quale a sua volta si era irrigidito ed era diventato improvvisamente serio e taciturno. 
 
Con un tempismo perfetto il cannone tuonò, le pareti di stoffa tremarono per la seconda volta, e quel suono sembrò ridestare il campione di Durmstrang. “Con permesso, credo sia il mio turno,” disse, rivolto esclusivamente ad Elizabeth.
 
“Buona fortuna!” gli augurò lei. Ma finì col parlare alla sua schiena, dal momento che lui era uscito così velocemente da far intendere che preferiva affrontare un Ungaro Spinato che stare ancora un secondo in compagnia di Darcy. E non sarebbe stata di sicuro Elizabeth a biasimarlo per la scelta. 
 
“Sei venuto per dire qualcosa o volevi solo cercare di intimorirmi ancora un pochino?” chiese, voltandosi a braccia incrociate verso Darcy. “Hai portato scopa e paletta?”
 
“Conoscendoti so che non potrei intimorirti neanche volendo,” disse lui, muovendo qualche passo cauto verso di lei. “No, io e Charles volevamo venire a farti gli auguri per la prova, ma poi lui è stato trattenuto da tua sorella, quindi sono venuto solo io”.
 
“Jane sta bene?” si allarmò Elizabeth. 
 
“Sembrava un pochino turbata, ma sta bene,” la rassicurò Darcy. 
 
“In ogni caso non credo sia permesso a nessuno di entrare nella tenda,” fece notare lei. 
 
“Lo so, temo di aver infranto questa regola. Se vuoi me ne vado”.
 
“No, resta. Almeno, a me sta bene se resti,” arrossì Elizabeth. 
 
Darcy annuì. Tacquero per il resto del tempo.
 
Nel silenzio, Elizabeth si sforzò di rilegare l’ansia che provava in un angolino della mente. Ora che non aveva più nessun argomento con cui distrarsi, la preoccupazione era tornata a farsi sentire prepotente, ma non voleva che proprio Darcy notasse quanto era tesa.
 
Cercò di capire dalle reazioni del pubblico come se la stava cavando Wickham, ma non riusciva a distinguere nulla, almeno fino a quando dopo un tempo indefinito la folla non esplose in un unisono grido di esultanza, che poteva significare solo vittoria. 
 
Pochi istanti di silenzio e il rombo del cannone squarciò l’aria per la terza volta quella mattina. Elizabeth guardò istintivamente nella direzione da cui era provenuto il suono. Stava succedendo veramente, toccava a lei. Ma allora perché i suoi piedi non ne volevano sapere di muoversi? Si sentiva come pietrificata sul posto, le sembrava di essere come slegata da suo corpo; le gambe semplicemente non obbedivano. 
 
Fu il tocco di una mano che afferrava la sua a farla tornare in sé, un tocco delicato e forte allo stesso tempo. La mano la guidò, invitandola con fermezza a muovere quei pochi passi nella direzione giusta. 
 
Draco dormiens nunquam titillandus,” disse piano Darcy, prima di lasciarla andare. “Buona fortuna”. 
 
Quando Elizabeth si voltò per guardarlo, lui era già sparito oltre l’uscita, ma le aveva lasciato qualcosa. Aprì la mano e sul palmo si ritrovò la sua spilla da Caposcuola. 
 
***
 
Dalle tribune gli studenti di Hogwarts, Durmstrang e Beauxbatons stavano dando il meglio di sé per tifare degnamente i tre Campioni, senza fare troppo caso a quale scuola appartenessero; l’intera gara era già abbastanza emozionante così, ai punteggi si sarebbe pensato dopo. 
 
Elizabeth rispose all’ovazione che l’accolse salutando con la mano, senza troppa convinzione, dato che in realtà stava pregando di non fare una pessima figura davanti a tutti. O peggio, una fine molto dolorosa davanti a tutti.
 
Stringendo saldamente la presa sulla propria bacchetta, si guardò attorno disorientata per diversi istanti, prima di mettere bene a fuoco l’arena. Uno spazio enorme, delimitato da spesse pareti di roccia grigia e tappezzato da pietre spigolose, intervallate in alcuni punti da un’erbetta corta spessa e appuntita. 
 
E il drago era lì, a pochi passi da lei, intento ad osservarla già da un pezzo. Il cuore di Elizabeth perse un battito quando si rese conto che stava avanzando sinuosamente, elegantemente, e per fortuna molto lentamente, nella sua direzione. 
 
Era veramente un esemplare stupendo, stupendo e terribile. Le sue squame erano nere come la pece e lucide come specchi, rilucevano in tutto il loro splendore sotto il sole della tarda mattinata. I suoi occhi viola ametista, acuti e intelligenti, la stavano studiando con un misto di sospetto e curiosità. Elizabeth dedusse dalla sua stazza ridotta e dal fisico slanciato che doveva essere ancora giovane, lungo poco più di sei metri. Ciò non lo rendeva comunque meno imponente e temibile. 
 
Mentre lei era impegnata a respirare il più silenziosamente possibile - o preferibilmente a non respirare affatto - il testone del drago si inclinò di lato, prima da una parte e poi dall’altra. Emise un versetto interrogativo, prima di piegare il lungo collo su di lei e annusarla a dovere.
 
Elizabeth rimase perfettamente immobile, serrando convulsamente la presa sulla sua bacchetta. Sperò che il drago decidesse che lei gli piaceva. In caso contrario, quella poteva rivelarsi la sfida più breve della storia del Torneo Tremaghi: la Campionessa inghiottita in un solo boccone dopo appena un minuto di gara. 
 
Tuttavia il drago decise di essere magnanimo e di non mangiarsela, almeno per il momento. Ritirò lentamente il capo, e solo allora Elizabeth notò il suo obiettivo: il cilindro di piombo che doveva recuperare, fissato al collo della creatura attraverso un robusto collare di cuoio.
 
Gli spettatori, dalle tribune, avevano osservato tutta la scena in religioso silenzio, perfino il cronista aveva taciuto. Ma la magia venne interrotta presto, bastò un piccolo urlo di incoraggiamento, seguito dalla voce amplificata del commentatore, che il pubblico tornò a farsi sentire, e a quel punto il drago si agitò e sbuffò innervosito. 
 
Elizabeth non ci pensò due volte prima di decidere che era il caso di togliersi di mezzo. Corse verso una roccia e ci si riparò dietro, cercando di figurarsi come avrebbe fatto a recuperare il maledetto cilindro.
 
Come aveva ben sospettato, il drago se la prese con lei per tutta la confusione che c’era attorno a loro. Infastidito, pestò le zampe e ruggì ferocemente, facendo venire i brividi ad Elizabeth. Si sporse dal masso giusto in tempo per vederlo spalancare le grandi ali diafane e ruggire ancora più forte. 
 
Con un certo allarme, vide una luce nascere dal profondo della sua gola, che aumentava di intensità ad ogni istante e si irradiava con venature color fuoco vivo su tutta la superficie del suo collo. 
 
Elizabeth non ci pensò due volte, e prima che il drago avesse tempo di fare fuoco, balzò in piedi e prendendo la mira urlò “Aqu-”. 
 
Troppo tardi.
 
Ebbe appena il tempo di accucciarsi e ansimare “Protego”, che le fiamme divamparono attorno a lei. Per un attimo, non esistette altro che fuoco; ne sentiva il calore sulla pelle, inghiottì erba e le rocce, l’aria. Il calore la avvolse completamente, e nonostante fosse protetta dall’ incantesimo scudo, avvertì l’odore delle punte dei propri capelli che si erano bruciacchiate.
 
Dopo la fiammata ci fu un istante di pausa. Elizabeth intuì che il drago stava caricando un altro colpo. Questa volta fu più pronta. 
 
Aqua Eructo!” esclamò, puntando per la seconda volta la bacchetta. 
 
Il getto d’acqua colpì il drago dritto in gola. Quello, colto alla sprovvista, scosse violentemente la testa ed emise dei versi strozzati, simili a dei colpi di tosse. Con un po’ di fortuna, forse per un po’ non ci sarebbero stati più falò. 
 
L’animale ruggì e si dimenò, facendo oscillare la coda appuntita, mandando in frantumi pietre e rocce. Il cilindro continuava ad oscillare al suo collo, del tutto inarrivabile. 
 
Quando puntò dritto su di lei, Elizabeth corse per cercare un altro riparo, ma non fu abbastanza rapida, e la coda della bestia la colpì alla schiena, mandandola a schiantarsi sulla dura roccia. Impattò pesantemente contro il terreno e subito avvertì delle fitte di dolore arrivare dalla schiena, lì dove le creste affilate che il drago aveva sulla coda avevano lacerato la stoffa ed erano affondate nella sua pelle, graffiandola in profondità. Ma non fu quello ad allarmata: nella caduta era atterrata con violenza sul proprio braccio destro. Le era già capitato di rompersi una gamba, giocando a quidditch, e dal dolore familiare capì subito che si era fratturata qualcosa, anche prima di constatare che c’era un osso che sporgeva fuori posto dal suo avambraccio. 
 
Una pioggia di sassolini e polvere le colpì la testa e la convinse a rialzarsi alla svelta e mettersi fuori portata. Sull’orlo delle lacrime per il male e lo spavento, arrancò quasi a carponi fino a trovare rifugio dietro ad una sporgenza. Quell’impresa era disperata, Darcy aveva avuto ragione. 
 
Fece dei profondi respiri controllati, dicendosi che poteva ancora farcela se reggeva la bacchetta con la mano sinistra, se la cavava bene anche con quella. Per un attimo valutò di appellare la propria scopa, sarebbe stato tutto più facile volando, ma escluse quasi subito l’idea, visto che reggersi in sella sarebbe stato troppo complicato. 
 
Fu in quel momento che il tintinnio di qualcosa che le sfuggiva dalla tasca attirò la sua attenzione. La spilla di Darcy, aveva dimenticato di averla con sé. La raccolse e se la rigirò tra le dita. Darcy era così prevedibile, perfino la sua spilla era talmente tirata a lucido da sembrare un pezzo raro di un autentico… 
 
E allora Elizabeth capì cosa aveva voluto suggerirle.
 
Draco dormiens nunquam titillandus, non solo era il motto della scuola, ma anche il titolo di uno dei loro libri di testo. 
 
C’erano diverse metodologie per distrarre e per calmare un drago, ma ce n’era una, fortemente sostenuta da ex professore di Hogwarts che sapeva tutto sull'argomento - un certo John Ronald qualcosa - che funzionava con più successo delle altre. Poteva valere la pena di tentare, in ogni caso peggio di così non poteva fare. 
 
Elizabeth non perse tempo, si sporse dal suo riparo e urlò: “Bombarda Maxima!”
 
L’incantesimo sfrecciò tra le zampe del drago inferocito e andò a schiantarsi dritto dritto sulla parete rocciosa alle sue spalle, quella che già aveva provveduto l’animale da sé a sgretolare in buona parte, e sotto la quale si stavano ammucchiando un mucchio di detriti.
 
Una volta che ebbe individuato di nuovo la sua preda, il Nero delle Ebridi si voltò di scatto verso di lei, nel farlo urtò ancora una volta il muro con la coda, facendo piovere ulteriori pietre. Esattamente ciò che serviva ad Elizabeth. 
 
Bombarda!” esclamò lei ancora. 
 
Questa volta non fu abbastanza brava da evitare il drago e lo colpì senza volerlo ad un’ala. L’animale emise un acuto verso di dolore, che fece venire i sensi di colpa ad Elizabeth, ma cercò di non farsi distrarre dall’operazione di demolizione, dicendosi che almeno ora erano pari. 
 
Ripeté l’incantesimo, ancora e ancora, muovendosi in continuazione e assicurandosi di rimanere fuori portata dalla coda e dalle zanne del drago furibondo. Solo quando ritenne di aver accumulato una montagnola di pietruzze abbastanza alta, fece la sua mossa e la incantò, tramutandola in una montagna di sonanti monete d’oro, diamanti, smeraldi e rubini. La trasfigurazione richiese tanta concentrazione e le risucchio buona parte delle energie, non sarebbe stata in grado di ripiegare su un piano B, in caso avesse fallito. 
 
Le orecchie fini del drago captarono all’istante il tintinnio delle monete che scivolavano l’una sull’altra, quando queste apparirono. 
Senza esitazione, aprì le ali e planò davanti al bel gruzzoletto, che più o meno ormai era alto quanto lui. 
 
Con cautela, Elizabeth - che a quel punto, oltre essere ferita, era sporca di terra e aveva un fiatone di tutto rispetto - mosse qualche passo verso l’animale, curiosa di vedere cosa sarebbe successo. Il drago percepì il movimento alle sue spalle e subito inarcò la schiena sulla difensiva, ma allo stesso tempo continuava a girare la testa verso l’oro, incapace di resistere a quella ghiotta tentazione. 
 
Elizabeth si costrinse a stare ferma e tenere la bacchetta bassa, aspettando pazientemente che il drago prendesse una volta per tutte la sua decisione.
 
Il Nero delle Ebridi la degnò di un’ultima occhiataccia di antipatia, prima di tuffarsi tra le monete sonanti ed Elizabeth esultò dentro di sé, mentre sotto al suo sguardo affascinato, l’animale cominciava a rotolarsi tra gemme e monete, emettendo tanti gorgoglii soddisfatti, sbuffando e facendo schioccare felice la mascella. Scavò con la testa fino a farsi sommergere dall’oro quanto gli consentiva la sua mole. Alla fine Elizabeth dovette ammetterlo, quel professore aveva avuto ragione, era vero che i draghi erano creature estremamente avide e vanitose, e niente più di un bel tesoro poteva farli felici. 
 
Ma non poteva starsene lì a cincischiare, se voleva recuperare il cilindro, doveva approfittare subito del momento di debolezza del suo avversario. Si mosse il più silenziosamente possibile e si avvicinò quanto riuscì per sussurrare “Immobilus”. 
 
Con il drago già abbastanza tranquillo, l’incantesimo riuscì; prima di provare non era stata certa al cento per cento che potesse funzionare, ma era valsa la pena correre il rischio. Fortunatamente per lei, buona parte del collo del Nero era rimasto scoperto, lasciando in mostra il collare di cuoio a cui era appeso il cilindro, mentre il muso era del tutto nascosto nel tesoro.
 
Con un fine movimento della bacchetta, Elizabeth fece scattare la chiusura del collare, e il cilindro di piombo scivolò sulle monete accompagnato da un fruscio, esattamente ai suoi piedi. 
 
Prima di allontanarsi definitivamente, ammirò per l’ultima volta da vicino la bellezza e la letalità dell’animale che aveva sconfitto. Le squame erano così lucide che Elizabeth poteva addirittura vedercisi riflessa. Decise all’istante che avrebbe rinnovato l’illusione del tesoro prima di andare, perché durasse un pochino di più. Quel poverino, trascinato lì contro la propria volontà, infondo se lo meritava. 
 
Solo in quel momento tornò pienamente cosciente di non essere sola, di dove effettivamente si trovasse. Durante l’azione, l’adrenalina aveva fatto in modo di chiudere fuori tutto ciò che non era importante, l’aveva tenuta in una bolla, concentrata. Ma ora il rombo della folla tornava a farsi sentire, l’irruenza della voce amplificata del commentatore, che aveva seguito le sue mosse fino a quel momento, proruppe energicamente. 
 
Elizabeth raccolse il cilindro e lo sollevò trionfante per aria con il braccio sano e dal pubblico si levò un unico grido entusiasta. Chi batteva le mani, chi pestava i piedi, le arrivò anche il rumore di un tamburo e di diverse trombette. La Campionessa di Hogwarts era decisamente ammaccata, ma ce l’aveva fatta. 
 
Elizabeth rispose ai saluti, arrancando più che camminando verso l’uscita dell’arena, e cercando di ignorare il fatto di provare dolore in ogni singola fibra del corpo.
 
Alla fine di tutto, c’era solo una persona che le premeva guardare in faccia, in quel momento, mentre il drago che aveva sconfitto ancora giaceva inerme lì dove lo aveva lasciato, e lei non era stata ridotta ad uno stupido cumulo di cenere da raccogliere con la scopa. 
 
Lo individuò sugli spalti. Darcy non stava applaudendo, tuttavia Elizabeth poteva leggere qualcosa di simile all’ammirazione nella sua espressione. Come minimo poi avrebbe detto che in realtà era stato lui, con la sua idea, a salvare la situazione. 
 
Ciò che però si chiedeva Elizabeth era: perché le era stato vicino nel momento in cui ne aveva più bisogno se la disprezzava tanto? 

 
Punteggi
 
Campionessa di Beauxbatons - 20/50 (3-3-4-3-7)
George Wickham - 48/50 (10-9-10-9-10)
Elizabeth Bennet - 43/50 (10-10-7-8-8)

 
Nota: per i punteggi ho preso come riferimento la Prima Prova di Harry nel romanzo, in cui c’era una giuria, composta da cinque giudici, ognuno dei quali poteva dare un punteggio da uno a dieci.

 
 
Angolino dell’autrice:
 
Bentrovati a tutti! Giuro solennemente che il fatto che alla fine sia davvero capitato il drago è stato puro caso. Però a questo punto non poteva non essere Elizabeth ad affrontarlo, con buona pace di Bingley, che comunque ha potuto consolarsi stando accanto a Jane :3
 
Spero davvero che questa prova non faccia acqua da tutte le parti! E ringrazio tantissimo chiunque sia arrivato a leggere fin qui <3
 
Al prossimo aggiornamento con il Ballo del Ceppo!
***
 
…10 anni dopo, da qualche parte sulle più alte montagne della Scozia.
 
Il vento del Ben Nevis ululava nelle orecchie di Barnicus Cooper. Lavorava per il ministero da appena due mesi, ed in effetti già poteva affermare tranquillamente che quello non era il posto più bizzarro in cui fosse stato mandato in missione. Ma il più freddo e il più desolato sì.
 
“Adesso mi vuoi dire cosa stiamo nascondendo qua su, in mezzo al nulla?” chiese al collega, Romeo, un veterano dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche.  
 
“Ok, basta che non ti innervosisci e fai fare tutta la fatica a me, come l’ultima volta,” ribatté quello. 
 
“Non è una buona premessa, ‘non innervosirti se te lo dico’, ma parla”. 
 
“C’è la tana di un Nero delle Ebridi sotto la montagna. Ha accumulato un bel tesoro, ci avrà messo una decina d’anni. Ora si sta facendo un bel pisolino, e non vogliamo che qualche escursionista babbano lo svegli per caso e si faccia fare arrosto”. 
 
“Pensavo peggio,” ammise Barnicus. “Quando andavo a scuola ne ho visto uno. C’era il Torneo Tremaghi e una studentessa della nostra scuola lo affrontò. Non ricordo come si chiamasse,” raccontò, un po’ distrattamente. 
 
“Magari è proprio quello là, non ce n’è più molti in circolazione”. 
 
“Chissà…” 
 
“Dai questi sono gli ultimi incantesimi confondi-babbani e poi andiamo a bere qualcosa di caldo al pub del paese,” propose Romeo. 
 
Barnicus si sforzò di ritrovare la concentrazione e ricominciò a dare man forte al collega con gli incantesimi contro gli intrusi; impresa non facile visto che continuava a rabbrividire per la corrente d’aria gelida che aveva trovato il modo di infilarglisi sotto la canottiera. Non avrebbe mai capito che ci trovassero gli appassionati di montagna a spingersi fino a quei posti dimenticati da Dio. Fortunatamente Romeo aveva avuto ragione, e nel giro di dieci minuti finirono il lavoro senza intoppi. 
 
“Ecco fatto, per un po’ potrà fare la nanna tranquillo!” 
 
Barnicus annuì, pregustando già il calore del pub, un bel bicchiere o due di whisky incendiario e la gradevole compagnia di quel barista carino a ripagarlo per la dura giornata di lavoro. “Elizabeth Bennet!” ricordò all’improvviso. 
 
“Cosa?” si bloccò Romeo, che già era pronto a smaterializzarsi. 
 
“La studentessa che affrontò il drago. Era così che si chiamava!”
 
“Ah, ok,” fece spallucce Romeo. “Sei pronto ora che te lo sei ricordato?” 
 
Barnicus annuì e i due maghi girarono su sé stessi e sparirono con uno schiocco secco, lasciando il vento ad ululare nella sua solitudine. 
 
Elizabeth Bennet. 
 
L’eco della voce che aveva pronunciato quel nome rimbalzò sulle fredde pareti di roccia, nella profondità della montagna. Il Nero delle Ebridi socchiuse un occhio, si stiracchiò, e sbadigliando si rigirò dall’altra parte.
 
Ricordava anche lui la ragazza, Elizabeth. 
 
Le voci che avevano disturbato il suo sonno erano tornate a valle, da dove erano venute, e quella era buona notizia. Non aveva proprio voglia di scomodarsi. Aveva lavorato a lungo e duramente per mettere da parte il suo bel tesoro, e ora aveva tutta l’intenzione di goderselo in santa pace, almeno per i prossimi cento anni, o giù di lì.
 
Ammesso che anche quello un giorno non decidesse di svanire nel nulla, com’era successo all’ultimo; era stata una bella seccatura quella.

 
   
 
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