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Autore: crazyfred    13/12/2022    1 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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 Capitolo 28



 
A Roma, d’estate, non c’è tanta scelta: il caldo arriva, implacabile e non puoi fare niente se non subirlo. L’unica alternativa è barricarsi in casa con l’aria condizionata, ma arriverà sempre quel momento in cui dovrai mettere la testa fuori e affrontare l’afa. E quindi è meglio armarsi di coraggio e vivere il meglio che la città sa offrire nelle serate in cui la calura scende e le mura, roventi di giorno, iniziano a disperdere il calore accumulato. Al calar del sole ci si veste leggeri e si esce, ci si siede ad un tavolino e si sta fuori in qualche piazza con una bevanda tutta ghiaccio tra le mani finché la stanchezza non ha la meglio.
In passato per Maya avrebbe significato passare di dehors in dehors nei locali più alla moda di Ponte Milvio e zone limitrofe, tra alcol, musica e pettegolezzi stantii che si ripetevano sera dopo sera, sempre uguali. Ma quell’estate per Maya era tutta da reinventare: quartiere nuovo, amicizie nuove. Viveva a Testaccio e non aveva ancora sperimentato tutti i locali della zona e dei quartieri vicino e certo nella sua situazione attuale era meglio non strafare ma ad una cosa non avrebbe rinunciato: una serata di cinema all’aperto tra amiche.
In piazza San Cosimato, a Trastevere, nel cuore del quartiere più romano di Roma – checché ne dicesse Alex – ma lontano dagli itinerari turistici, ogni estate si riversavano gli amanti del cinema per serate all’insegna del buon cinema e della cultura, con tanto di incontri con star e registi, nostrani ed internazionali. Ne aveva sempre sentito parlare in redazione da quelli della sezione Cinema, inviati regolarmente a raccontare le serate e ad intervistarne i protagonisti. Lei però non ci era mai stata: troppo lontana dai suoi standard l’idea di stare seduti per terra o al massimo su sedie da campeggio portate da casa vicino a sconosciuti sudati, rumorosi e, se girava male, pure maleodoranti.
Ma quella Maya era stata messa in un cassetto di cui era stata buttata via la chiave e quella nuova aveva deciso di abbandonare ogni pregiudizio e provare ad abbattere ogni fobia che ancora le era rimasta.
Ogni angolo della piazza era esaurito: Maya aveva sentito dire da qualcuno dell’organizzazione che le sedie previste avevano iniziato ad essere occupate due ore prima della proiezione e quindi chi arrivava all’ultimo minuto aveva tirato fuori teli da mare, cartoni, qualcun’altro si era accontentato dello zaino e poi decine di sedie portate via dal balcone o dalla cucina di casa. Qualcuno addirittura approfittava dell’attesa per cenare, l’odore di vassoi pieni pizza aleggiava nella piazza, anche le bottiglie di birra venivano stappate con strumenti di fortuna. C’erano i locals, i trasteverini, qualche turista, e pure qualche romano in trasferta, che pur di assistere a quello spettacolo sotto al cielo stellato ha attraversato la città, lei stessa ne aveva riconosciuti un paio. Era pur sempre cinema d’essai e andare a Trastevere, così come al Pigneto, era una di quelle cose che venivano considerate come uno scambio culturale e facevano intellettuale per quelli di Roma Nord.
Faceva caldo a San Cosimato quella sera, ma era un caldo diverso: era il calore del rione che, come ogni anno, si trasformava in un salotto a cielo aperto e accoglieva fisicamente chiunque, anche solo di passaggio, volesse farsi rapire dal cinema anche solo per cinque minuti.
Anche Maya, Olivia ed Alice erano rimaste senza sedia ma Alice, da anni frequentatrice dell’evento, non si era fatta trovare impreparata. Dalla sua tote bag aveva tirato fuori una coperta da pic nic, degli snack e un thermos con il tè freddo. Non sarebbero bastati per tutta la sera, ma era il gesto che contava. Maya e Olivia, due novelline della serata, era rimaste senza parole.
“È tutto bellissimo qui, possibile che non ci sia mai venuto in mente di venirci prima d’ora?” domandò Olivia a Maya “devo venire con Max alla prossima proiezione, sono sicura che per una volta riuscirei a non farlo brontolare”
L’amica le ricordò che la ragione principale per cui non conoscevano l’esistenza di quelle serate di cinema all’aperto era molto semplice: avevano una compagnia di merda, la cui massima aspirazione culturale erano gli after party del Festival del Cinema. “E comunque” riprese Maya “che ce frega di quella gente lì, io sono venuta per stare con le mie amiche, sono andata avanti e sto benissimo”
“Bravissima, così si fa” la applaudì Alice “changing subject, abbiamo preso una bella tintarella, eh Maya, alla fine ce l’hai fatta a farti prendere l’ombrellone in spiaggia a Capalbio da tua madre”
Prima di partire, andava blaterando che l’unico modo che sua madre aveva per convincerla ad andare a darle una mano con la mostra per una settimana intera, mentre i suoi fratelli sarebbero tornati a Roma dopo l’inaugurazione, era un ombrellone in prima fila all’Ultima Spiaggia per abbronzarsi almeno un po’; tuttavia con il suo pallore nobiliare congenito, come lo chiamava sua nonna, l’abbronzatura si traduceva in un vago rossore e lentiggini sul naso e sulle guance, ma rispetto al colorito da statuina di porcellana di Capodimonte, era un notevole miglioramento.
“Oh senti!” protestò Maya, senza impegnarsi troppo a nascondere un sorriso ironico “sarò anche meno stronza e più proletaria, ma se c’è una cosa che non è cambiata è che Maya Alberici non lavora per la gloria e in qualche modo mi dovevano ripagare. Mi sono fatta una settimana intera con la principessa Torlonia, non so se mi spiego”
“Seh … bonanotte…”
“Che c’è?” contestò Maya.
“Adesso si chiama abbronzatura … c’è un altro motivo per cui la nostra amica sembra il ritratto della salute” suggerì Olivia, allusiva.
“E sarebbe a dire?” domandò Alice, ovviamente incuriosita da quella pulce che Olivia le aveva messo nell’orecchio.
“Perché non glielo dici tu, Maya?!”
“Non c’è proprio niente da dire…”
“Seh… ciao core! Se non era per me la signorina Alberici qui presente si sarebbe paccata il tuo capo senza tanti complimenti addossata alle mura della rocca di Capalbio”
“Veramente?” Alice chiuse immediatamente il telefono che aveva tra le mani e lo ripose nella borsa, prestando la sua totale attenzione a quell’argomento di conversazione.
“Non è vero! Stavamo semplicemente parlando” minimizzò Maya, pur in evidente difficoltà.
​“Sì, con lui che ti fa il baciamano e tu che mi dici quella cosa
, come no …”
“Beh quello a casa mia non si chiama paccare” liquidò la questione Maya “Alex è un signore, e mi rispetta”
“Ok ma cosa ti ha detto, Olivia, non puoi gettare la pietra e nascondere la mano così!!!” protestò Alice, che sembrava in piena trance agonista o impegnata a vedere il finale di una serie tv, in attesa del lieto fine tra i protagonisti.
“Che se lo sposa, ecco cosa mi ha detto” chiosò Olivia, orgogliosissima di quello scoop. Che Maya fosse a disagio, spalle al muro, 1 contro 2, alle due amiche non importava minimamente in quel momento. Loro avevano preso la loro missione di shipper, consapevoli o meno della cosa, in maniera tremendamente seria, e poco importava che fino ad una settimana prima se avessero visto Alex a piedi per strada lo avrebbero tirato sotto molto volentieri.
“Ma quella era una cosa detta così per dire, va vista nel contesto …”
“Ah si? E quale contesto ti fa pensare alle nozze se non uno estremamente romantico?” rimbeccò l’amica di sempre.
“Sembrate Elizabeth Bennet e Mr Darcy, Maya, che cosa bellissima!” squittì l’ex collega, rapita dalla storia che le stavano raccontando e dai film che stava girando nella sua mente “i miei Albelli ci stanno riprovando!!!”
“I tuoi che?” chiese Olivia.
“I suoi niente … non ti azzardare a ripetere un’altra volta quella parola” la minacciò la diretta interessata. Non l’aveva mai incoraggiata, ma nemmeno attivamente osteggiata nell’usare quel soprannome atroce, ma aveva sperato che fosse caduto nel dimenticatoio. Mai riporre troppa fiducia nella sanità mentale e nella serietà di Alice in quei frangenti.
“E quindi adesso che succede?” domandò la ragazza.
“Assolutamente niente” rispose Maya, lapidaria “gli ho chiesto di darmi del tempo …”
“Per farci che?”
“Per fidarmi di nuovo di lui principalmente. Mi ha fatto troppo male”
“Per quanto mi riguarda quando succede una cosa del genere puoi aspettare anche 10 anni e avere sempre il terrore di non poterti fidare ancora. Tu puoi solo provarci e scoprire se hai fatto bene o meno, perché non si manifesterà mai magicamente un cartello che ti dice BUTTATI CHE È MORBIDO” “Olivia ha ragione, Maya. E poi la vita è una, le cose belle non cadono dal cielo, te le devi prendere da sola. E se pensi che Alex sia una di queste, vai!”
Maya avrebbe voluto rispondere che forse l’attrazione che provava per lui era solo per via dei ricordi belli che aveva di lui e dei loro giorni insieme, perché per quanto breve la loro relazione era stata una delle esperienze più assurde e incredibili della sua vita. Non si era mai sentita così, prima di allora. Ma proprio in quel momento le luci si spensero nella piazza e la proiezione cominciò, facendo calare il silenzio sulla folla.
 
Il film era stato piacevole tutto sommato, era una pellicola messicana del 2001 ma niente di troppo impegnativo, una sorta di storia adolescenziale on the road, di quelle dove tutto è sesso droga e rock and roll fin quando si scopre che questi non ce la fanno a nascondere o lenire totalmente il dolore e i drammi che ci si porta dentro. Oh almeno quello era stato l’argomento di conversazione tra Olivia e Alice mentre andavano a prendere l’auto di Olivia in un parcheggio privato della zona. Sì perché Maya era stata tutta la sera a pensare a quello che le sue amiche le avevano detto a proposito di Alex e del tornare a fidarsi. Da un lato aveva senso il loro ragionamento, dall’altro perché rischiare di farsi male ancora, magari irrimediabilmente? Chi glielo faceva fare? Beh sì, c’era una cosa chiamata batticuore e un’altra chiamata “stare bene quando si sta insieme”, ma valeva davvero la pena rischiare? Magari poteva provare ad iscriversi ad una palestra, oppure andare ad uno di quegli eventi per single tipo degustazioni o robe simili, conoscere qualcuno e scoprire che Alex era solo un’ossessione perché avevano chiuso male e troppo in fretta un flirt fugace. Ma alla fine era arrivata alla conclusione che ogni lasciata è persa e lei magari faceva parte di quel numero esiguo di persone a cui dice culo nella vita, lui ha davvero capito cosa aveva sbagliato con lei e tutto sarebbe andato per il verso giusto. Troppi pensieri, ho bisogno di un’aspirina!!!
“Comunque Olli, davvero, prendo la metro al Colosseo, non c’è bisogno che vieni fino a Piazza Bologna” protestò Alice mentre salivano in auto, ma andare con i mezzi di notte da sole era qualcosa di inconcepibile per Olivia e Maya, che faticavano persino a prenderli di giorno. L’idea di starsene nei corridoi della metro di notte, silenziosi e vuoti, metteva loro addosso un senso d’ansia e innescava un certo spirito di sopravvivenza. E poi Nomentano è praticamente di strada, aveva tagliato corto Olivia. No, comunque la si guardava non lo era per niente da Rione Monti, ma glielo aveva detto in un modo che sembrava quasi una minaccia e ad Alice non restò che ringraziarla per la gentilezza.
“Tornando a quello che mi hai detto prima che iniziasse il film…” esordì Maya, in auto, prendendo coraggio “mi sa che mi puoi aiutare”
“Di cosa stavamo parlan-...Alex?” domandò Alice, stupita “io posso aiutarti con Alex?” Nella voce della ragazza c’era un misto tra confusione ed eccitazione, come se non credesse alle sue orecchie, ma allo stesso tempo fosse qualcosa in cui sperava da tanto.
“Sì perché se prima Olivia mi avesse fatto finire anziché iniziare con le sue teorie bacate”
“Non erano teorie bacate” rimbottò la giovane donna, ferma all’uscita dell’autorimessa, in attesa che passassero un paio d’auto e avesse la strada libera “ma va beh … vai avanti”
“Beh insomma vi avrei detto che lui in realtà mi ha invitata ad andare in ufficio da lui per parlare di lavoro. Vuole farmi una proposta”
“Che genere di proposta?” chiese Alice, sporgendosi dal sedile posteriore per essere nel vivo della conversazione tra le due amiche.  
“Non ne ho idea, non ha voluto anticiparmi nulla”
“E tu ora vuoi accettare?” Olivia aveva un tono naturalmente impetuoso nel parlare che spesso la gente scambiava per maleducazione e prepotenza, ma quella volta anche Maya, che ci era abituata, si era sentita minacciata da quello che aveva tutta l’aria di rimprovero.
“No Olli, voglio solo sentire cosa ha da dirmi”
“Non mi piace questa cosa Maya, mi dispiace” ammise, severa “Non eri tu quella che diceva di aver fatto una cazzata e che non bisogna mischiare il lavoro con l’amore? Io ti supporto con Alex, perché vi ho visti insieme”
“Li hai visti insieme? Dio che invidia!”
“Vi ho visti insieme” continuò Olivia, come se Alice non avesse detto nulla e ad interromperla fosse stata solo una mosca fastidiosa “e penso che avete ancora qualcosa, anzi no … avete ancora tanto, da dire. Ma ognuno deve andare per la sua strada. Già la vostra non è una situazione ortodossa, lavorare insieme significa non staccare mai nel bene, ma anche nel male”
“Parli come se le cose si fossero già sistemate, ma non è così. Io voglio solo ascoltare la sua proposta, capire se mi può interessare e poi valuterò anche tenendo conto di quello che hai detto, perché non credere che non ci abbia pensato.”
Olivia aveva ragione su tutta la linea riguardo al lavoro, e non poteva dire di non averci pensato lei stessa. Durante il viaggio in treno dalla Toscana si era messa le cuffie e calato gli occhiali da sole apposta per pensare a tutto quello che era successo, come non aveva potuto fare in quei giorni con la madre sempre intorno, sempre accelerata. E quando era arrivata alla proposta di Alessandro, oltre a mille ipotesi su cosa potesse essere, si era anche chiesta se fosse il caso o meno anche solo di rimettere piede in quel posto; ci aveva guadagnato in salute a stare lontana da quel covo di vipere un solo mese, ma non era quello il punto: potevano ancora lavorare insieme? Erano stati bravi a rimanere professionali, finché era durata e anche dopo, ma allo stesso tempo sapeva che non erano mai stati bravi a mettere i paletti, che duravano il tempo di dirsi vabbè ma che ce frega. In più Alex era straordinariamente bravo a prendersi un braccio quando qualcuno offriva una mano e, se lo conosceva un po’ – e sapeva di conoscerlo ben più di un po’ – avrebbe fatto di tutto per rosicchiare del tempo da quello che lei gli aveva chiesto per provare a rimettere le cose a posto.
“E sarà anche un’occasione per sondare meglio le sue intenzioni. L’atmosfera soffusa, i drink … di certo non è stata una serata normale” concesse e prova ne era stato il mal di testa del mattino successivo. “Perciò Alice, per favore. Ho bisogno che mi fissi un appuntamento con Alex.”
“Non ti preoccupare, lascia fare a me. Con Fabio ci parlo io”
In realtà, le aveva chiesto un appuntamento, non l’udienza dal papa, ma per Alice non c’era differenza. Nel suo sguardo, alla luce dei lampioni che scorrevano per strada, l’entusiasmo di star organizzando un incontro cruciale che aveva tutta l’aria di poter cambiare le sorti del mondo. Beh, di sicuro, aveva il potenziale di cambiare la vita di Maya, ancora una volta.
 
 
Il giorno dopo l’uscita tra amiche Alice aveva chiamato Maya nel pomeriggio per dirle che Alex l’avrebbe ricevuta esattamente una settimana dopo, di venerdì. Poi era arrivata una seconda chiamata, il giorno seguente, e l’appuntamento era stato anticipato al martedì (stando ad Alice, Alex era andato su tutte le furie con Fabio perché non era riuscito a trovare un buco prima e lei aveva aiutato il ragazzo a rivedere tutta l’agenda per far saltare fuori uno spazio inesistente): da quel momento Maya era stata sul punto di annullare quell’appuntamento almeno una volta al giorno, pensando ad una scusa plausibile per defilarsi. La macchina che non parte improvvisamente – no, ci sono i mezzi pubblici – un virus intestinale, una storta – sì, e poi quello come minimo ti si presenta a casa in stile crocerossino per accertarsi che stai bene… purtroppo fare la codarda non serviva a nulla, bisognava armarsi di coraggio e affrontare la realtà: e cioè che in un modo o nell’altro quell’uomo riusciva clamorosamente a fare sempre parte della sua vita e lei non riusciva ad escluderlo – non che si sforzasse, in fin dei conti.
La sera prima dell’incontro, mentre era in terrazza a raccogliere il bucato le arrivò un suo messaggio. L’ultimo, ancora lì, nella chat che non aveva avuto il coraggio di aprire da allora, gliel’aveva mandato la mattina del loro ultimo giorno, mentre lui preparava le valigie, lei era al lavoro e si illudeva davvero che avrebbero passato una bella serata insieme prima della sua partenza. Se fosse stata più vicina al parapetto probabilmente il telefono avrebbe fatto un volo di cinque piani: le era preso un colpo nel leggere il nome, anche se avrebbe dovuto aspettarsela una cosa del genere da lui. Come al solito non brillava di fantasia o poesia, era un semplice ci vediamo domani, senza faccine, senza punti esclamativi, ma il fatto che ci stesse pensando, che stesse pensando a lei in quel momento, riportò Maya indietro di 7 mesi all’incirca, quando su quel terrazzo stava guardando i fuochi d’artificio per il capodanno. Certo quando si dice le coincidenze. E allora i dubbi la assalirono di nuovo: come si sarebbe dovuta presentare? Il guardaroba non c’entrava, per quello andava col pilota automatico, ma era tutto il contorno ad essere nebuloso. C’era già stata in quello studio, ogni giorno negli ultimi 5 anni, conosceva a menadito ogni angolo di quella redazione, poteva quasi andare in giro ad occhi chiusi che non avrebbe sbattuto a nessun muro e nessun vetro ma aveva scelto di abbandonare la barca volontariamente e questo, sebbene quello fosse un covo di vipere in cui, a esclusione di Alice, nessuno aveva pianto le sue dimissioni, di sicuro era stato oggetto di conversazione vista l’avventura editoriale appena prima di lasciare la rivista. E poi c’era stata la scappatella a Capalbio da parte di Alessandro e di sicuro la parentela non sarà passata inosservata ai più svegli. No, ok, basta. Io non ci vado …
Ma come un tarlo un pensiero continuava a tormentarla: lui aveva avuto un’idea per lei e in cambio non pretendeva nulla, se non l’ascolto. E lei lo sapeva fin troppo bene che le sue idee funzionavano sempre, immancabilmente, e poteva essere un’opportunità da cogliere al volo. E così, senza rispondere a quel messaggio perché, sì, lei era una fifona, aveva riposto i panni da stirare nell’armadio della cameretta vuota e se ne andò a dormire, o almeno provandoci, combattendo contro il suo cervello che, invece di andare in stand by per farle affrontare quella giornata serenamente, le riproponeva dei flash del suo primo colloquio con Alessandro. 
Già … il loro primo incontro, quasi 6 anni prima. Se lo ricordava bene quel giorno e le veniva quasi da ridere ripensandoci. Perché oggi Maya, a quella giovane adulta, dal corpo di donna ma dalla testa poco più che adolescente nonostante la laurea fresca di stampa, avrebbe tirato due schiaffi e le avrebbe detto cresci cretina! Quell’aria di superiorità con cui andava in giro ce l’aveva addosso anche quella mattina quando si era presentata al desk di Roma Glam per la prima volta, come se fosse lei a fare un favore a loro e non il contrario. E poi la vecchia receptionist l’aveva fatta accomodare nello studio di Alessandro, dove non c’era ancora la scrivania di cristallo e alle finestre invece c’erano delle orribili veneziane. Lui era arrivato in fretta da una riunione, in ritardo e scazzato, e a pensarci col senno di poi probabilmente aveva affrontato Nardi, perché solo con lui Alessandro poteva uscire distrutto da una riunione, e l’aveva ridimensionata in men che non si dica.
“Curriculum ineccepibile ma se vuole lavorare qui testa bassa e trottare, non siamo qui per fare sfilate di moda e selfie degli outfit” l’aveva freddata immediatamente per essersi vestita come fossero alla Fashion Week, nonostante fosse convinta che lui neanche l’avesse degnata di uno sguardo entrando nello studio.
“Non ci crederà ma in quanto donna sono anche multitasking” gli aveva risposto, indispettita –
nessuno doveva dire una parola sul suo outfit. Nessuno. - “io su questi tacchi a spillo ci so anche correre” Quel commento acido e irrisorio le sarebbe costato il posto, ma non le fregava più di tanto: anche se a lei lavorare serviva a discapito dell’immagine patinata che offriva al di fuori, avrebbe preferito fare la fame piuttosto che stare in un posto dove non la apprezzavano. Eppure, incredibilmente, quel suo più grande difetto, la sua lingua lunga, quel posto da assistente personale glielo aveva fatto guadagnare: il sorriso sotto i baffi di Alessandro a quella sua stilettata, che per orgoglio e compostezza aveva tentato di nascondere dietro un pugno corso davanti alle labbra, poteva vederlo davanti ai suoi occhi come fosse accaduto ieri. Anche lui, proprio come lei, era un altro uomo: capelli leggermente più lunghi, la barba completamente rasata, ma nella sua memoria era più maturo – e per maturo intendeva vecchio - di quanto non fosse in realtà; quando a casa le avevano chiesto com’era, lei aveva risposto che era un bell’uomo scrollando le spalle, nulla di più, nulla di appetibile. Gli occhi non le erano passati inosservati, né tantomeno le mani, ma lei aveva 25 anni e nella sua testa un uomo di 40, per di più sposato e con figli, era praticamente un pensionato, totalmente fuori dal suo raggio di azione. Ah, ingenua…
 
“Fa più caldo del solito, qui, vé?” domandò Maya ad Alice, appoggiata al desk della reception. Non era caldo, semplicemente non era freddo come era di solito d’estate in quegli uffici, tanto da essere costretta ad avere sempre un blazer o una giacchina addosso anche a luglio.
“Nuova politica aziendale. Abbiamo avuto la svolta green” dichiarò Alice, alzando gli occhi al cielo “indovina chi dobbiamo ringraziare?”
“Elena o Lisa?”
“Elena, quella simpaticona. La compagna si è trasferita in Svezia e lei è entrata nella sua Greta Thunberg Era … e Alex le è andato appresso ovviamente … du palle! Cioè non che non dobbiamo fare attenzione, ma ha fatto persino togliere i vecchi distributori automatici e ha dichiarato guerra alla plastica”
“Meno male che ho la mia borraccia in borsa, allora” ironizzò Maya.
“No, meno male che a fine mese si trasferisce a Stoccolma anche lei e ci sarà una stronza in meno in questo posto”
“Deo gratias!”
Forse i pianeti si stavano allineando per far sì che quel ritorno non fosse poi una cattiva idea.
“Ecco a te” disse, passando a Maya un cartellino con la scritta visitatore da appendere al collo.
“Seriamente? C’è davvero bisogno?”
“Maya, non faccio io le regole … e lo sai com’è Alex …” Sì, lo sapeva, una guardia svizzera fuori dalle mura vaticane, per il quale non valevano solo le regole, ma pure tutta quella zona grigia di contorno che di solito è lasciata alla libera interpretazione del singolo con lui era o bianca o nera. Con Alex non esistevano secondo me. Sì era sì, no era no. Puro e semplice, in teoria, ma cozzava con la mentalità dei colleghi che erano abituati a Roma e alla sua gestione alla carlona.
“Va beh” si arrese, prendendo il badge ma senza metterlo al collo, poggiandolo sulla giacca carta da zucchero in pandant con i pantaloni che aveva scelto in previsione di temperature polari. Ora, invece, sperava che il suo deodorante avrebbe salvato la camicetta bianca con le maniche a palloncino dalla traspirazione eccessiva. Alice nel frattempo, era al telefono con Fabio per comunicare ad Alex il suo arrivo. “Ok … va benissimo, grazie” rispose, chiudendo la telefonata, ma con una voce più acuta del solito. Maya guardò l’amica di sottecchi: si era persino aggiustata i capelli dietro l’orecchio con fare imbarazzato e civettuolo mentre parlava. “Fabio ha detto di aspettare qui, Alex e Stefano ancora sono in videoconferenza con Tokyo … che c’è?”
“Mi è venuto un dubbio … spero di sbagliarmi”
“A proposito di cosa?” A proposito del fatto che, probabilmente, ad Alice piaceva l’assistente di Alessandro, un ragazzino appena uscito dall’università. No comment.
“Lasciamo stare, per ora. Oggi non è il caso, ma io e te dobbiamo fare un discorsetto”
“Sono qui, non ho niente da nascondere … io” la provocò Alice, facendole l’occhiolino. Voleva bene a Maya e proprio per questo non le aveva mai perdonato di aver ammesso di Alex solo a cose concluse.
“Accomodati pure, io ho alcune cose da sbrigare” le disse Alice, professionale, vedendo entrare il corriere con alcuni pacchi.
Maya si accomodò nel salottino dell’angolo d’attesa. Pur trovandosi in una zona interna dell’edificio, Alex aveva disposto che si ricreasse una illuminazione naturale, le sedute erano comode e pratiche, ma nelle forme strizzavano l’occhio al design, perché quel posto doveva gridare innovazione e al passo coi tempi da tutti i pori. Davanti a lei, sul tavolino, facevano bella mostra dei numeri più che esclusivi di Roma Glam, una delle tante manie di Alessandro. La rivista, infatti, era esclusivamente online e gli abbonati ne ricevevano, oltre ai contenuti esclusivi sul sito, una versione in pdf scaricabile. Ma gli ospiti che aspettavano di essere ricevuti dovevano toccare con mano quello che la rivista aveva realizzato nei suoi 10 anni di esistenza. In diversi – in realtà sempre i soliti – storcevano il naso a questi modi un po’ romantici e compassati di gestire le public relations da parte di Alessandro, ma con lui alla fine parlavano fatti e numeri e tutti dovevano abbassare la testa.
In uno di quei giornali, pensò, sfogliandone distrattamente uno a caso, c’era anche il suo nome. E forse sarebbe stato in qualcuno di più se, come al solito, non si fosse fatta prendere dalla paura.
“Ah … sei arrivata” una voce maschile richiamò la sua attenzione, ma non era Alessandro. Era Stefano, il vicedirettore. Completo blu, camicia bianca senza cravatta con un bottone di troppo sbottonato. Di primo acchito a Maya venne da pensare che le sembrava più vecchio di quanto ricordasse: i capelli erano quasi totalmente bianchi e la stempiatura si era fatta più pronunciata; del resto, quando vedi una persona tutti i giorni per anni, fai fatica a notare i cambiamenti, dopo quasi due mesi invece è come se un velo cadesse dagli occhi.
L’uomo, qualunque cosa il direttore avesse in mente, era stato avvertito del suo arrivo e di quello che aveva in mente per lei. Ma da quella breve frase era chiaro che disapprovava l’iniziativa del capo. Cominciamo bene …
“Aspetta che divento azionista, poi vediamo se la mia opinione qua dentro conta ancora come il due di coppe a briscola quando comanda bastoni” commentò, sprezzante. Ma cos’era? In un mese o poco più che se ne era andata era andato tutto in malora? Uno non può distrarsi un attimo che cambia tutto? Cos’era questa storia degli azionisti?
“La tua opinione è un’opinione, tu sei libero di darle voce, io sono libero di decidere se seguirla o meno” lo riprese Alessandro, alle loro spalle, appoggiato alla parete del corridoio che portava al suo ufficio. “Buongiorno, Maya. Ben arrivata”
Era serio, le braccia conserte e uno sguardo scuro nei confronti del suo vice. “Vieni pure” le disse, facendo cenno di seguirla. Quando il suo sguardo si posò su di lei, Maya sentì le sue guance avvampare. Il suo umore era cambiato totalmente: forse lo vedeva solo lei, anzi ne era quasi sicura, ma percepiva il dispiacere nel vedere che le brutte abitudini di quel posto non erano cambiate nonostante i suoi sforzi.
“Ma perché te lo tieni? Possibile che non ci sia nessuno meglio di lui per fare il vicedirettore?” eccallà, quel maledetto vizio di dire esattamente quello che pensava così come le veniva in mente di fronte ad Alessandro, senza mezzi termini. Non era una novità, lo aveva sempre fatto, fin dal colloquio e talvolta si tratteneva solo perché lui a fulminava con lo sguardo o la riprendeva con semplice Maya! assestato come alla maniera giusta, facendole raggelare il sangue. “Scusa, parlo sempre troppo ad alta voce”
“No tranquilla … tu puoi …” le disse, sorridendo pacatamente “che ti devo dire, perché essendo un giornalista vecchia scuola ha tanti contro ma pure dei pro pesantissimi. Sa cosa significa scrivere, come scrivere e cercare le notizie che contano, sia per noi che per i nostri lettori. E poi perché se non puoi batterli unisciti a loro, più o meno … è qui da troppo tempo, conosce troppo bene le nostre dinamiche ed estrometterlo darebbe vantaggio alla concorrenza che farebbe carte false per averlo”
“Ma nel frattempo ha sempre quest’aria polemica” disse Maya, sedendo ad una delle sedie di fronte alla scrivania.
“No, non sempre. Non gli va giù di non avere potere decisionale, ma non lo avrebbe da nessun’altra parte, quindi non gli conviene nemmeno andarsene” Però provava fargli le scarpe ogni tre per due, quello non poteva negarlo, nonostante Alessandro non fosse tipo da farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Dietro di loro, Fabio stava fermo alla porta, con un braccio sospeso per aria, titubante se bussare o meno. Alla fine, si schiarì la voce timidamente. Maya sussultò, non si era accorta di lui; l’idea che il ragazzo li avesse visti in una conversazione così alla mano quando, nella settimana di apprendistato, i rapporti con Alessandro erano a dir poco glaciali la metteva a disagio: chissà cosa frullava nella sua testa, sotto quella chioma biondo platino.
“Posso portare qualcosa?”
“Maya?”
“Un bicchiere d’acqua andrà benissimo …” erano poco meno di 60 secondi che era entrata nell’ufficio di Alessandro e già aveva la salivazione azzerata. Non sapeva quanto si sarebbe protratto quel colloquio, ma le premesse non erano particolarmente incoraggianti.
“Un bicchiere d’acqua? Ma non se ne parla … cos’era quella bevanda che ordinavi sempre d’estate? Una crema di caffè?”
“Ehm no, caffè con ghiaccio e latte di mandorla. Lo fanno al bar qui di fronte” disse, imbarazzata. Era un piccolo vizio che si concedeva in pausa caffè, con il barista che saliva apposta per lei in redazione anziché scendere a prenderselo di persona e il resto della redazione che la guardava in cagnesco. Le costava un po’ di più, ma le piaceva farli rosicare e prendersi una piccola rivincita. L’ultima cosa che avrebbe mai immaginato era che lui ricordasse una cosa del genere, in un momento in cui per lui non rappresentava nulla e il loro rapporto era esclusivamente professionale.
“Ecco sì, me ne era venuta voglia ma non sapevo dove lo prendessi. Ne ordini due Fabio, grazie.”
Mentre il ragazzo, in disparte nell’anticamera, chiamava il bar con fare irrequieto – doveva essere così di carattere, perché non era possibile andare nel panico per un ordine al bar, Alex invitò Maya a sedere su una delle poltrone della piccola area lounge dell’ufficio. Lei declinò: si contavano sulle dita di una mano le volte che si era seduta lì, sempre con grande imbarazzo; il salottino di design, con una pianta d’orchidea sempre nuova sul tavolo perché non c’era un singolo impiegato che avesse il pollice verde a sufficienza per tenerla in vita dopo la fioritura, era il luogo dove sedevano gli ospiti importanti, quelli con cui stringere le mani e firmare contratti, non per le ex assistenti-barra-ex fidanzate a cui fare proposte di lavoro.
“Lì ci siede gente importante” disse, ma non era solo per quello e lo sapevano tutti e due.
“Tu sei importante Maya, non diciamo eresie” Alex, così non aiuti, però, e che cazzo!  
“Ah sì, e come lo spieghiamo se qualcuno dovesse entrare?”
“Spiegare cosa? Che stiamo seduti uno di fronte all’altro parlando di lavoro? Certo che detto tra noi ti fai certe pippe a volte…”
Maya non poté fare a meno di ridere perché era vero: faceva la tenace e coraggiosa per le cose importanti e poi andava nel panico per le cazzate. “Se solo non fossi l’ultima a sapere le cose mi farei meno film mentali” decretò critica, ma sorridendogli beffarda. Con lei Alessandro faticava a capire dove finiva la serietà e dove iniziava il gioco e quel dilemma continuo, quel perenne contrasto lo mandavano fuori di testa e lo ammaliavano allo stesso tempo. Lo sapevano entrambi perché lei avrebbe preferito la sedia, ma erano adulti e non così disperati da non riuscire a tenere le mani a posto.
Maya avrebbe dovuto sapere, del resto, che Alessandro si trasformava 
quando lavorava, diventando completamente un’altra persona: poker face da manuale e il lavoro diventava, d’improvviso, la sua unica ragione di vita. Come poteva pensare che le sarebbe saltato addosso su un divano in quel momento se, quando si erano appena messi insieme, riusciva a far credere a chiunque che quasi non la degnasse di uno sguardo quando era in modalità ufficio, al punto che a volte ci cascava pure lei? In realtà aveva terrore di rispondere a quella sua stessa domanda retorica, perché quel piccolo bastardello del suo cervello le suggeriva che in realtà era lei a sperarci, a fantasticarci su, come un’adolescente in piena fase 365 Days.
Lei, non lui. Lui era impegnato, dopo che Fabio ebbe portato quei favolosi caffè freddi, a discutere di report sull’engagement, traffico internet, visualizzazioni, target, tutte robe di cui lei capiva poco e le interessava ancora meno, ma comprendeva il suo punto di vista: oltre che la sua creatura e la sua passione, Roma Glam era un lavoro, un investimento e la fonte di guadagno che faceva portare a casa uno stipendio a non meno di 50 persone tra giornalisti, fotografi, collaboratori esterni e personale tecnico e amministrativo.
“Quindi fammi capire” lo fermò di fronte all’ennesimo grafico che le mostrava dallo schermo del pc sulla scrivania “mi stai dicendo che state perdendo pubblico”
“Solo nella fascia più giovane. Ma lo scemo sono io: ho un figlio di quasi 16 anni e due nipoti da poco maggiorenni, come ho fatto a non pensarci prima? Hanno una soglia dell’attenzione di 1 minuto scarso, come possiamo pretendere che loro stiano lì a leggere i nostri articoli”
“E quindi?”
“Bisogna puntare tutto sui social con loro”
“Ma Roma Glam è già sui social”
“Non abbastanza e non in maniera fruibile”
Un post o una foto con un link potevano andare bene fino a qualche anno fa, ma con il boom di Tik Tok, reel e storie da 20 secondi o giù di lì c’era un solo imperativo per Alex: cambiare strategia di comunicazione.
“E quindi cosa vuoi da me? Vuoi per caso farmi fare l’influencer? Hello guys!” cantilenò Maya ridacchiando, lasciandosi andare sullo schienale della sua sedia, più rilassata.
“Se avessi voluto un’influencer per raccattare followers e collaborazioni mi bastava pescare nel mazzo tra quelle che ci contattano quotidianamente e quasi pagherebbero per lavorare con noi” dichiarò Alessandro, alzandosi dalla scrivania per poggiare i bicchieri di caffè ormai vuoti sul vassoio che il ragazzo del bar aveva lasciato sul tavolo del salottino. Maya provò una sensazione di benessere piacevole, un senso di appartenenza in quel posto e in quella situazione, a discutere di lavoro con un editore importante della città e per un attimo le sfiorò l’idea, non completamente nuova ma ancora così strana per lei, che forse quella era davvero la strada per lei. Forse il bel mondo a cui per lungo tempo aveva sperato di far parte lei era destinata a raccontarlo, non necessariamente a viverlo. “Ma lo sai che qui lavoriamo con il pensiero laterale” continuò l’uomo tornando a sedere “Voglio una squadra che faccia ricerca e metta nero su bianco. Lo sai, noi le mode non le seguiamo, le creiamo.”
“E perché pensi io sia la persona più adatta?” domandò Maya, cercando di metterlo alla prova. Ok buttarsi, come aveva detto Olivia, ma quanto meno gettare qualcosa prima per vedere quanto è alto il precipizio non ha mai fatto male a nessuno.
“Hai ancora bisogno che te lo spieghi? Dopo il reportage su Roma? Dopo l’articolo della mostra?”
“Senza di te e le tue spintarelle non ce l’avrei mai fatta” Maya scosse la testa, ma Alessandro non era dello stesso avviso: l’idea sulla Roma ebraica era stata completamente sua, e l’articolo sulla mostra lo aveva scritto uscendo fuori tema: era tutta farina del suo sacco e si ostinava a non volerlo riconoscere. “Tu hai un talento, Maya. Si chiama meritocrazia”
In quel momento l’interfono squillo. “Dimmi Fabio”
“C’è Raissa” disse in vivavoce l’assistente al di là della porta di vetro.
“Tempismo perfetto. Falla passare … a proposito di meritocrazia…”
Tempo di togliere il dito dal bottone dell’interfono e la giornalista del reparto Eventi entrò nell’ufficio. Alta, lunghi capelli corvini, occhi vagamente a mandorla, Maya aveva sentito dire una volta che, a dispetto del suo cognome italianissimo, quei tratti somatici inconsueti fossero un’eredità materna, una ex modella russa.
Dall’aspetto giovanile, pulito e curato, era difficile darle un’età precisa: poteva avere anche 35 o 36 anni, ma non ne dimostrava più di 25 o 26. Aveva iniziato a lavorare a Roma Glam pochi mesi dopo il suo arrivo e si era fatta strada poco alla volta, con pazienza e facendo il jolly da un reparto all’altro alla bisogna, stando al suo posto e senza mai sgomitare come facevano invece molti effettivi piazzati meglio di lei, finché non aveva trovato un posto definitivo. O almeno quello era il giudizio aveva sentito esprimere da Alessandro in diverse occasioni; con lei era sempre stata corretta, ma per lei ed Alice era grasso che cola se qualcuno ella redazione rivolgeva loro anche solo un saluto e bastava veramente poco per fare loro una buona impressione. Quando aveva accompagnato Alex al gala del Festival del Cinema lei l’aveva aiutata a dare risalto alla stilista del suo abito: forse, anzi quasi certamente sperava di ottenere in cambio una buona parola con il capo, ma non era scontato con lo facesse. Finito il red carpet erano tornate ciascuna al proprio posto, ma Maya non lo aveva dimenticato.
“Raissa è la nuova content manager di Roma Pop
Roma che?” domandò Maya, ma si morse immediatamente la lingua: quell’uscita era troppo informale per il contesto in cui si trovava e davanti a Raissa che era un’estranea totale. “Prego?” si corresse.
Roma Pop, un nuovo progetto editoriale che stiamo creando e lanciando.”
Alex aprì sul browser il link diretto all’Home Page del sito di Roma Glam e cliccò su un banner poco più in basso del Menù le mostrò la pagina di Roma Pop.
“In realtà il sito è solo una landing page che rimanda a Youtube, Facebook, Instagram e Tik Tok, perché si tratta di una realtà 100% social dove i contenuti multimediali e gli articoli sono progettati per essere fruiti direttamente come Instant Articles” prese a spiegare Raissa, mentre Alessandro girava lo schermo del suo computer per mostrarle la pagina del sito dove, oltre ad un'introduzione generale del progetto e ai loghi dei vari social fissi, scorrevano immagini e video stock accattivanti, in pieno stile social, di ragazzi e ragazze giovanissimi.
“Voglio che diventi il nuovo punto di riferimento per la fascia tra i 18 e i 34 anni” spiegò l’uomo.
“GenZ e Millennials in pratica” specificò Raissa “ma al contrario di altre piattaforme noi ci asteniamo da affiliazioni politiche o da schieramenti di qualsiasi tipo”
“Esatto. Bisogna raccontare tutta Roma, non più solo quella glamour: il lato pop del glam e il lato glam del pop”
“Ok, tutto bellissimo e vi faccio i complimenti perché è un’idea fantastica” Maya frenò l’entusiasmo dei due che sembravano partiti in quarta “ma io in tutto questo? Glielo hai detto a Raissa che vuoi che lavori con lei?”
“E secondo te che ci sto a fare qui? Certo che lo so e non vedo quale sia il problema … non facciamo giornalismo convenzionale, cerchiamo gente che abbia voglia di raccontare Roma alla nostra generazione usando la nostra lingua, niente formalità”
“Roma Pop è un progetto indipendente che risponde solo a me e a nessun altro. Persino le riunioni editoriali sono separate dal resto del giornale. Siamo in un periodo di prova iniziale ma l’obiettivo è di arrivare all’indipendenza totale: sito, redazione. Se Roma Glam è Adamo, Roma Pop è Eva”
Seh e tu sei il Padre Eterno, anche meno Alessa’, pensò Maya tra sé e sé. “Capisco …”
“Ci siamo dati un periodo di rodaggio di un anno per vedere se funzioniamo”
“Io non vedo perché non dovrebbe” chiosò Raissa, infervorata, ma Alessandro, che quando si trattava di business perdeva ogni capacità di provare emozioni oltre una certa soglia, continuò dritto per la sua strada
“Grazie, Raissa. Per adesso è tutto.” Dopo che la donna aveva lasciato l’ufficio Alex si fece serio, intrecciando le mani sul tavolo come faceva sempre quando discuteva di cose importantissime, soldi generalmente. “Quello che voglio offrirti al momento è un contratto a tempo determinato fino a Settembre. Lo so che non sembra molto ma penso che per te potrebbe essere una soluzione ideale: provi questa cosa, vedi se ti piace e nel frattempo puoi continuare a guardarti intorno e se esce fuori qualcosa dai colloqui che hai fatto ci puoi sempre lasciare, nessun rancore. In caso contrario, rinnoveremo il contratto”
“Oppure sarete voi ad accorgervi che non sono tagliata per fare questo lavoro”
“A quello non ci credo neanche se lo vedo, Maya, stanne certa”
Era un’offerta troppo allettante: una redazione praticamente indipendente che le lasciava carta bianca e che pretendeva da lei nient’altro che scrivere nello stesso modo in cui parlava, raccontare il suo mondo, la sua musica, i luoghi da visitare che piacevano a lei e dove ritrovarsi con gli amici per una bevuta o una cena in tranquillità, senza penne rosse e blu di correzione, magari senza neanche doversi preoccupare di aver scritto troppo o troppo poco perché tutto sarebbe passato tramite contenuti multimediali. E non avrebbe avuto a che fare con Stefano che l’avrebbe buttata fuori a calci nel sedere o gente come Lisa ed Elena buone solo a farla sentire una miracolata raccomandata. Tutto troppo bello per essere vero.
“Non ti vedo convinta …”
“Dov’è l’inghippo? Uno stipendio da fame? Dovrò fare il lavoro di 10 persone?”
“Perché pensi che voglia fregarti? Te poi … secondo te voglio fregare … te?”
E pure lui aveva ragione: stava facendo di tutto, questo doveva dargliene merito, per riconquistarla, per dimostrarle che era la persona che aveva fatto entrare nella sua vita e a cui aveva dato fiducia, in poche parole per tornare insieme. Ma Maya aveva imparato a sue spese a diffidare di quando le cose vanno troppo bene. Era successo con la sua famiglia, con la sua bolla ai Parioli, e in ultimo con Alessandro. Mettere le mani avanti, magari con un bel guanto da cucina per evitare scottature, era il minimo che potesse fare.
“Posso prendermi del tempo per decidere?” non era lei ad aver cercato quel lavoro: era una proposta e doveva vagliarla; se non altro lo doveva ad Olivia. Il suo cuore le diceva di accettare, quando le sarebbe ricapitata una proposta simile, soprattutto dopo i passaggi a vuoto degli ultimi colloqui, ma la sua testa aveva attivato le sirene d’allarme. Statevi zitte, avrebbe urlato volentieri.
“Mi piacerebbe che iniziassi a lavorare il prima possibile, naturalmente. Ma prenditi il tempo che vuoi, solo…” disse, aprendosi in un sorriso sghembo e sornione “… possibilmente prima delle ferie”.


 
Ciao a tutti!!! Chiedo scusa innanzitutto perché nell'ultimo capitolo avevo promesso che avrei aggiornato la settimana scorsa, di martedì, ma il lavoro e poi un weekend fuori porta me lo hanno impedito. Ma oggi è comunque martedì, suppongo vada bene lo stesso. Per farmi perdonare vi ho lasciato un capitolo più lungo del solito, sono certa vi abbia fatto piacere. Non commento tutto perché ci vorrebbe un angolo dell'autore più lungo del capitolo stesso, ma sicuramente c'è tanta carne al fuoco, dalla serata tra amiche al ritorno a Roma Glam passando per il ricordo del primissimo incontro tra Maya e Alex. Ora Maya cosa farà? Accetterà a proposta di Alex o darà ragione ad Olivia e gli starà lontana professionalmente?! Per saperlo alla prossima....verosimilmente venerdì ma non prometto nulla. Alla prossima,
Fred
   
 
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