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Autore: drisinil    14/12/2022    1 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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40 -Sempre


8 gennaio 2013


Essere a Tokyo e non poter vedere Tetsurou è una nuova, perversa forma di tortura. Da quando il Karasuno è approdato alla capitale per i nazionali, fra l'euforia dei lercioni e le manie di controllo dei senpai, defilarsi è impossibile. La nuova specialità sportiva di Tsukishima Kei è il conteggio delle fermate di metro fra dovunque si trovi e Nerima.

Nove fermate e un cambio: irraggiungibile, quasi come essere a Miyagi.

Cinque fermate: in un'oretta scarsa si potrebbe fare andata e ritorno e farci stare in mezzo un tè, un battibecco e un bacio molto lungo.

Due fermate: pochi minuti, la tentazione fortissima di sparire oltre i tornelli e infilarsi fra le porte scorrevoli del primo treno, fanculo la squadra e il torneo. Arrivare davanti casa, suonare il campanello, fare una faccia seccata per coprire quella trepidante e poi entrare e chiudere fuori il mondo. Anche solo per dieci minuti, o cinque, o trenta secondi.

Il tempo è relativo. Lo diceva Einstein quasi un secolo fa, ma è Kuroo Tetsurou che lo ha dimostrato, con un'evidenza schiacciante e senza bisogno neanche di mezza formula matematica.  Fra eternità e istante, il tempo non fa distinzioni.

 

 

«Quanto dura per sempre?»  

Papà solleva gli occhi dalla pagina in quel punto, e poi rivolge a Kei la domanda, con un grande sorriso.

Kei ride per il solletico di quello sguardo, perché è emozionato, e anche perché ormai conosce benissimo la risposta del libro.

«A volte, solo un secondo.»

 

 

«Non sarà ora di ridarmela?»

Kei scuote la testa, schioccando le labbra con un'espressione di finta malignità.

«Fa un freddo cane... »

«Sei così moscio?»

«Non sono moscio!» Tetsurou trattiene il fiato e gonfia un po' gli addominali, tanto per rimarcare il concetto.

«Allora resisti e non rompere.»

E' vero che fa freddo, ma non al Metropolitan Gymnasium di Sendagaya, dove anche i bagni e gli sgabuzzini sono riscaldati (magari non proprio benissimo).  Dalle finestre, si vedono galleggiare le luci abbaglianti di Shibuya, un oceano colorato e tremulo contro un cielo senza luna.

Tetsurou è in piedi, a torso nudo, con un rotolo di cerotto in mano; la sua maglietta rossa e la sua felpa sono addosso Kei, seduto sul lavabo di fronte a lui. E' l'intimità complice e provvisoria di un bagno pubblico deserto, dove aleggia un vago odore di disinfettante industriale, che riporta alla mente di entrambi il ricordo di un momento preciso e materializza un disagio che fino a un attimo prima non c'era.

«Non avrei dovuto farlo, quel giorno, a Sendai. Non ti ho mai chiesto scusa» dice Tetsurou all'improvviso, interrompendo il gesto meccanico di grattare con l'unghia sul rotolo, per trovare l'estremità libera.

«Neanch'io avrei dovuto farlo. Ma sei un rompipalle cocciuto, continuavi a farmi pressione e non sono riuscito a trattenermi.»

«Farti perdere il controllo è la mia vocazione... »

E' una verità talmente scontata da essere irritante, in più, lo scemo sta usando il superpotere e la sua voce bussa con la grazia di un ariete alla sezione lussuria del cervello di Kei, dove tutte le perdite di controllo sono altamente desiderabili. Deglutisce e si allontana di qualche centimetro, spingendosi in su gli occhiali sul naso. 

«E queste per te sarebbero delle scuse?»

Il rumore del cerotto strappato riempie il silenzio.

«No. Hai ragione. Scusami, Kei, davvero. L'unica cosa che posso dire a mia difesa è che non volevo.»

Kei non risponde, contempla le proprie dita magre e  irrequiete strette fra quelle di Tetsurou, la cui loquela, a quanto pare, è inarrestabile. «Non volevo spaventarti. Approfittarmi di te. Fare lo stronzo. Tutte queste cose. Sono andato nel panico e sono stato molto stupido.»

«Addirittura nel panico?» Il potere di mandare nel panico uno come Kuroo è afrodisiaco.

«Beh certo, ero innamorato perso. E in fondo lo avevo anche capito, ma scusa, che dovevo pensare? Tu non facevi che sfuggirmi, non mi parlavi da settimane e poi all'improvviso mi salti addosso e mi baci in quel modo... » si passa la mano libera sulla faccia e sorride fra le dita. «Eddai, cazzo... era troppo. Ho perso la testa del tutto. Che non è una giustificazione, ma... »

Anche la facilità con cui lo scemo parla delle proprie emozioni è afrodisiaca e Kei perde l'ennesima battaglia, quando è costretto a stornare lo sguardo, per manifesta incapacità di controllare il respiro.

«Ma... niente. Mi sa che già a luglio, al ritiro, ero un bel po' innamorato, ma lì davvero non ci avevo capito un tubo» prosegue tranquillo Tetsurou, continuando a fasciare con cura il mignolo di Kei. «Sai che a pensarci adesso, non mi viene in mente neanche un momento in cui posso dire con certezza che tu mi fossi indifferente.»

«Quanto sei melodrammatico! Se fino a maggio neanche sapevi della mia esistenza...»

Tetsurou stacca un pezzo di cerotto con i denti, scuotendo il capo: «Sbagliato. Ci siamo conosciuti molto prima e tu lo sai. Ogni volta che riguardo quella foto assurda che il nonno ha tirato fuori dal cilindro mi sembra più ovvio.»

«Cosa?»

«Che era destino. E quindi è per forza un per sempre. Dai Tsukki, non fare quella faccia e collabora: apri bene questa mano!»

Kei obbedisce, allarga le dita e seppellisce il tracollo emotivo fra il collo e la spalla di Testurou, premendo forte il viso nell'incavo.

Lo scemo, imperterrito continua ad appiccicare strisce di cerotto e a parlare: «Sono convinto che i per sempre debbano essere retroattivi. Sempre è sempre, non può valere solo in una direzione, altrimenti che sempre sarebbe?»

Kei vorrebbe evitare di rispondere: la concupiscenza fra la fisica quantistica e l'amore è già abbastanza immorale senza aggravarla con le parole, che però gli escono di bocca suo malgrado, bassissime e turbate. «Quanto dura per sempre?»

Tetsurou appoggia la guancia contro quella di Kei: «A volte, solo un secondo.»

Il fiato caldo nell'orecchio si trasforma in un brivido lungo tutta la schiena di Kei; le orecchie e le guance prendono fuoco, il cuore raddoppia i battiti.

«Non ti eccitare troppo, Kei-chan. Non l'ho mica letto, il libro.»

«Non chiamarmi così!» bofonchia Kei, paonazzo, tentando invano di mettere a segno una gomitata. «Che cazzo significa che non l'hai letto?»

Tetsurou si crogiola in quella reazione, in quel magnifico rossore, in quella sontuosa debolezza esposta per lui. «Akaashi-kun pensa che un po' di citazioni di roba occidentale famosa, sparate al momento giusto, mi faranno comodo al colloquio con le milf.»

«Se ci vai a torso nudo e con quella faccia da scemo, le milf ti faranno rettore senza che tu apra bocca.»

«Sono così bello?»  domanda, deliziato.

«Sei pornografico.»

«E' un complimento?»

«No!»

Bugia.

«Peccato. Coraggio, da' qua l'altra mano!»

«Devi per forza fasciarmele tutte e due?» protesta Kei, querulo.  «La sinistra non mi ha mai dato mezzo problema... »

«E' la battaglia della discarica, Tsukki, vi dobbiamo fare a pezzi. Se devo schiacciarti addosso - e lo farò - voglio almeno essere sicuro di non romperti le dita. E poi c'è Tora, che anche lui non ci va mica piano. E nemmeno gli posso spaccare la faccia.»

«Quanto sei stato stupido con Ushiwaka! Mi aveva pure chiesto scusa... » In tutta onestà, Kei non è ancora riuscito a definire cosa prova, quando pensa a Testurou che colpisce Ushijima.

«Ero fuori di me, l'abbiamo già detto.»

«Sei super-scemo, abbiamo detto anche questo.»

La mano sinistra di Kei, Tetsurou se la prende da solo e se la porta alle labbra, baciando prima il dorso e poi il palmo, dopodiché inizia a fasciarla.

Kei sospira, sazio di sentimenti fino a scoppiare, e gli appoggia di nuovo la guancia sulla spalla, con un abbandono di cui è il primo a stupirsi. «Posso farti una domanda scomoda?»

«Se te la senti di beccarti una risposta scomoda... »

Kei esita, raccoglie i pensieri e, prima di parlare, chiude gli occhi. «Come fai a crederci? A cose tipo "per sempre", dopo... quello che ti ha fatto tua madre.»

Le mani di Tetsurou si fermano. La terra gli trema sotto i piedi. Sente la guancia di Kei che preme più forte sul collo, il metallo freddo degli occhiali contro la pelle. Batte le palpebre.

 

 

Batte le palpebre e il freddo è quello delle piastrelle della cucina sotto le gambe nude. Ha cinque anni ed è seduto in lacrime sul pavimento, tutto bagnato perché se l'è fatta addosso e non sa come sia successo.

Di fronte a lui Ayumi, in uniforme scolastica, ha aperto il frigorifero e sta tirando fuori tutto quello che c'è dentro. Con metodo, estrae un piatto alla volta e lo scaglia contro il muro. I vetri e le ceramiche esplodono in frantumi, le confezioni si aprono e il cibo piove fuori.

A ogni impatto, Ayumi urla con tutto il fiato che ha in gola e senza una lacrima. A ognuna di quelle urla, Tetsurou trasale e singhiozza, il muco gli cola dal naso sulla maglietta e sulle mani, mentre il suo mondo, e il suo giovanissimo cuore, si incrinano.

Papà è chiuso in un angolo, spezzato, incapace di reagire. Non ci riuscirà mai.

Quando il frigo sarà vuoto, invece, Ayumi si fermerà. Si laverà le mani, soffierà il naso a suo fratello e lo aiuterà a cambiarsi, lo terrà stretto e gli dirà che va tutto bene, che andrà bene anche dopo. E, stranamente, non sarà affatto una bugia.

Ci penserà il nonno ad aggiustare ogni cosa; con pazienza e con cura, recupererà i brandelli sfilacciati di ognuno e li ricucirà di nuovo al posto giusto, con il filo d'oro irriducibile della sua presenza, rammendando gli strappi con amore, ricamandoci sopra motivi di fiducia, di serenità, di forza.

Qualcuno su cui contare che ti insegna l'affidabilità. Qualcuno che vale e che ti insegna il tuo valore.

 

 

«Scusami... » sussurra Kei, accarezzando con le labbra la spalla nuda e quel silenzio troppo lungo e troppo amaro. Chiede di nuovo scusa con un bacio leggero sullo zigomo e un altro fra la mandibola e l'orecchio.

Della tenerezza segreta di Kei, quella che affiora solo quando non te l'aspetti e quando hai smesso di cercarla, è impossibile smettere di innamorarsi. La mano di Tetsurou gli scivola sulla nuca, per trattenerlo ancora in quella posizione, e parlargli fra i capelli: «Lei è lei e io sono io. E tu sei tu, e non c'è nessun altro uguale a noi.»

Non è una grande spiegazione, ma in quel momento soddisfa a pieno sia la logica che la coerenza di Kei, entrambe piuttosto arrugginite.

«Lei non era capace di amare, non lo so se poi abbia imparato. Ma non era capace. Io invece lo sono. Io lo sono, Kei.  Lo sono, vero? »

«Lo sei» conferma Kei.

Non è sicuro che l'abbia detto a voce, ma a Tetsurou basta e avanza per andare avanti. «Le cose e le persone che contano uno le deve coltivare, ci deve mettere del suo: tempo, passione, energia. L'amore è impegno. La felicità si costruisce, non si va a cercarla in giro dove capita. Quelli che pensano che sia nascosta da qualche parte, già bella e pronta, si illudono e basta e poi finiscono per rovinarsi la vita e fanno del male anche agli altri.»

Lo stringe forte, mentre parla, come se le parole dovessero entrargli dentro dalla pelle. «E lei era proprio così, un'illusa: la felicità la cercava in casa nostra e quando ha capito che non c'era, si è chiusa la porta alle spalle e se n'è andata a cercarla da un'altra parte, lasciandosi indietro i cocci. Io non sono così. Non voglio mai essere così. Quando dico per sempre, intendo che sarò io a fare in modo che duri, a prendermene la responsabilità. Io, in prima persona, cazzone, testardo, egoista e tutto il resto. Perché le cose che ci succedono dipendono quasi sempre da noi, anche quando sembra il contrario.»

Kei ingoia quelle parole con una fame mai conosciuta prima. Si sente fragile e leggero, ma ancorato al corpo e all'anima di Tetsurou, alle sue convinzioni incrollabili, alle verità profonde che la sua voce gli riversa nel cuore. «E il destino? Non ci credevi, al destino?»

«Ci credo. Ci credo, al destino. Ma non penso che sia come un libro tutto già scritto, penso che sia parte di noi. La somma delle conseguenze di tutte le nostre azioni. Non possiamo evitare le tempeste, ma possiamo orientare le vele.»

Kei solleva la testa e lo guarda scettico, ma ancora con gli occhi umidi. «Guarda che non sei al colloquio con le milf, piantala di fare lo splendido. Chi cazzo è? Conrad? Melville?»

Tetsurou sorride sull'orecchio di Kei. «Kuroo Tomo.»

[NdA E anche un po' Seneca, ma Tetsu non lo sa e Tomo non ci tiene che lo sappia.]

Kei scopre in quel momento di amare tutti i Kuroo, presenti, passati e forse anche futuri. Generazioni di gente spavalda con i capelli scombinati, il cui DNA converge verso quel fantastico, irresistibile, fatidico esemplare di scemo.  Lo abbraccia con foga, cingendogli il collo, mentre il cerotto gli pende dalle dita. Lo stringe e continua a stringerlo al parossismo, finché quell'abbraccio passa da fuori a dentro, diventa enorme e profondo e già contiene un frammento di per sempre. 

Peccato che gli idilli non durino; del resto, il tempo è relativo.

 

 

L'ansia pre-partita di cui soffre Hinata Shoyou ha la sgradevole tendenza a somatizzare in modi imbarazzanti. Qualsiasi colazione faccia, dal katsudon (che non è poi così pesante) a un semplicissimo natto (che per saziarti devi mangiarne un quintale), all'idea di entrare in campo l'intestino di Shoyou si ribella, rendendo comica e improrogabile l'urgenza di raggiungere un bagno.

Il vero problema è che nei bagni degli stadi si fanno incontri pessimi. A parte il fastidio di dover espletare doveri sociali quando vorrebbe espletare tutt'altro; di tutti quelli che uno può incontrare davanti a un wc, Shoyou finisce sempre per trovarsi di fronte i più spaventosi.

Questa volta, per questa partita cruciale, Hinata Shoyou ha un asso nella manica.

Tenendosi la pancia, che lamenta sonoramente il suo malessere, sale di corsa due rampe di scale, corre lungo i corridoi che danno sugli spalti, svolta in un angolo, sotto l'indicazione verde di un'uscita di emergenza e finalmente, raggiunge la sua destinazione. Un bagno minuscolo, che sarebbe riservato agli spettatori, ma così ben nascosto rispetto a quelli segnalati dai cartelli, che in pochi ne conoscono l'esistenza. 

Hinata apre la porta con entusiasmo e si ritrova proiettato all'interno.

Poi si blocca, gli si spalanca la bocca, gli occhi si sgranano e lui li strofina, perché deve essere per forza un'allucinazione.

Davanti a lui, Tsukishima è seduto sul piano di uno dei lavabi, con addosso la maglia numero uno del Nekoma. Potrebbe averla rubata - Tsukishima è capace di cose che uno non s'immagina - senonché il legittimo proprietario è proprio lì di fronte che lo abbraccia, mezzo nudo. Tsukishima ha la guancia spiaccicata contro la sua spalla e gli sorride.

Shoyou deglutisce. Tsukishima che sorride è più inquietante di Japan che fa la cacca nel cubicolo accanto al tuo, più di Kageyama quando ti fa i complimenti, più dei commenti imbarazzanti di Suga-san sugli avversari quando si asciugano la faccia con la maglietta. Non c'è niente al mondo di più inquietante di Tsukishima che sorride a qualcuno in quel modo.

Nel frattempo, per fortuna, ha smesso di sorridere. Ha tirato su la testa e sta fissando Shoyou come se non riuscisse a scegliere il modo più atroce per farlo fuori.

«Qualche problema?» sibila.

Shoyou scuote il capo freneticamente, e vorrebbe dire di no, ma non gli escono le parole, non riesce neanche a chiudere la bocca.

Anche Kuroo si volta a guardarlo, sorpreso, più che altro. «Ciao chibi-chan. Che cavolo ci fai qui?»

Shoyou è ancora paralizzato: non ha la minima idea di cosa significhi quello e comunque non riesce a guardare nient'altro. 

«Ha il torcibudella, come sempre» commenta seccato Tsukishima. «E rompe le palle, come sempre. La combinazione delle due cose è insopportabile.»

Kuroo ridacchia, con la mano sul fianco. «Un po' in effetti rompe le palle, ma mi è simpatico. Piuttosto, Kei, mi dispiace, ero sicuro di essere l'unico a conoscere questo posto... »

Kei si sistema gli occhiali, le sue labbra si storcono. «Se lo ha fatto apposta, giuro che lo accoppo. E non me ne frega niente se è amico tuo.»

«Eh?»

«E' stato Kozume, vero?» domanda Kei a Hinata. «A dirti di venire qui.»

Shoyou annuisce, ammirato da tanta perspicacia..

Tsukishima esala un verso di disprezzo e la sua faccia è tutta un grande lo sapevo. A Kuroo viene da ridere. «Devi piacergli proprio tanto, a Kenma» commenta allegro.

«Anche a me lui piace. Ha sempre un sacco di cose interessanti da dire.»

La stima di Kei è che Hinata capisca sì e no il 15% di quello che gli dice Kozume, forse meno. Alla fin fine, tutto concorre a confermare la sua già radicata convinzione che il nano con la ricrescita sarebbe meglio buttarlo dalla finestra, checché ne pensi Tetsurou, che non è affatto lucido, quando si parla di lui.

«Boke! Sei qui?» urla una voce scura e contrariata, dall'esterno. Un attimo dopo, la porta sbatte contro il muro e compare la faccia imbronciata di Kageyama. «Come va la pancia? L'hai fatta o no? E' tardi, devi muovere il culo.»

«In tutti i sensi» aggiunge Tsukishima a labbra strette. Kuroo ride.

Come al solito, il Re del campo vive solo per le cose di cui gli importa: la pallavolo e Hinata Shoyou, non è chiaro in quale ordine. Il resto del mondo viene molto dopo, in secondo piano, quasi sullo sfondo. 

Quando solleva gli occhi e coglie la scena accanto al lavabo, la sua unica reazione è un'alzata di sopracciglia. «Ah» commenta.

Kuroo alza la mano in segno di saluto, Kei offre un sorrisetto odioso, che promette ferri corti e vendette trasversali. Ma Kageyama li ignora entrambi; sta pensando unicamente alla partita e all'intestino debole di quel grandissimo boke.

«Allora? Che ci stai a fare qui? Hai cagato o non hai cagato?» domanda spazientito.

Shoyou risponde con una manata. «Baka! Perché devi sempre essere volgare! C'è gente!»

«Come ti senti?» continua Kageyama, mentre lo scruta, valutando il pallore e il velo di sudore sulla fronte. Lo tira dal colletto per farlo avvicinare e gli piazza una mano aperta sulla fronte.

Hinata si divincola. «Devo ancora farla» ammette, con le mani sulla pancia e l'aria afflitta. «Ma c'era qui Tsukishima che ... »

«Che c'entra Tsukishima? Non è un compito in classe, devi solo cagare! Dai, andiamocene! Se qui non ci riesci, c'è un bagno anche di sotto, forse è vuoto.»

«Ma Tsukishima... »

«Muoviti!»

«Ma... »

L'intestino di Shoyou si palesa con un roboante borborigma, che lo fa piegare in due. Kageyama lo tira per un braccio, apre la porta e lo spinge all'esterno.

Prima di chiudere, rimette dentro la testa. «Tu!» dice perentorio, rivolto a Kuroo. «Per favore mettiti la maglietta, senza non ti fanno giocare.»

Tetsurou sgrana gli occhi divertito.

«E tu invece,» prosegue Tobio, guardando male Kei «mettiti quella giusta e vedi di darti una mossa. Se fai tardi ti picchio!»

L'ultima frase arriva dall'esterno, mentre la porta ammortizzata si richiude lentamente. «Ti picchio anche se a quello lì non gli fai il culo a strisce.»

 

 

Sono di nuovo soli, ma l'atmosfera è irrimediabilmente cambiata, grazie ai due prodigiosi idioti e alle loro turbe.  Restano a fissarsi, incerti se commentare o meno l'assurdità dell'accaduto e le ovvie conseguenze, che un po', comunque, fanno paura a tutti e due. Meglio stare zitti perché le paure, come le speranze, una volta dette a voce, diventano vere.

E' Kei, maestro di finta noncuranza, a reagire per primo. «Hai sentito? Sua maestà ha detto che devo farti il culo a strisce.» 

«Non vedo l'ora» risponde Kuroo, con un largo sorriso. E' il sorriso pericoloso, che prelude a qualcosa di brusco e sleale, tipo un bacio a tradimento. 

Tetsurou adora baciarlo così, rubandogli le labbra all'improvviso, la mano salda dietro al collo, il pollice che segue la forma della stanghetta degli occhiali, sulla pelle morbida sopra l'orecchio. Se lo fa bene, ottiene in premio un sospiro, l'inizio soffocato di un gemito.

Questa volta, lo fa molto bene.

La sveglia sul cellulare di Kei , implacabile e molesta, sorprende entrambe le mani di Testurou mentre vagano sulla schiena nuda di Kei, corteggiando l'elastico dei boxer.

«E' ora di andare» mugugna Kei, spingendosi a due mani giù dal lavabo. Sostituisce in fretta la maglia del Nekoma con la propria.

«Non mi va di andare... » si lagna Kuroo, infilandosi la sua svogliatamente.

«Fottiti.»

«Hai detto fottimi? No, dai, non è il caso, subito prima di giocare... »

Kei alza il dito medio.

Testurou ammicca con le sopracciglia, mentre mantiene aperta la porta, per farlo passare. «Sai? Non vedo l'ora di vederlo... »

«Cosa?»

«Il tuo culo a strisce. Non che non sia uno spettacolo anche tinta unita...»

«Crepa!»

«Centosettantadue!»

L'espressione stupita di Kei è un enorme punto a favore di Kuroo.

«Com'è malfido il mio Tsukki! Quindi credevi che avessi smesso di contarli... » lo accusa Tetsurou, schioccando la lingua canzonatorio, mentre si avvia nel corridoio.

Kei lo guarda e gli brillano gli occhi. Lo guarda così, mentre si allontana con quel grande numero uno sulla schiena e la felpa che gli oscilla dietro la spalla, appesa alle dita. Lo guarda e s'innamora. Lo guarda e vuole continuare a guardarlo, da ogni prospettiva e ogni distanza, di fronte, di schiena e di profilo. Vorrebbe aprirlo, per sgusciare all'interno e guardarlo anche dentro, dove i muscoli si annodano alle ossa, scivolando in silenzio fra i pensieri, nuotando fin dove non si tocca.

E' guardandolo che la realtà si accende e si colora; dove gli occhi di lui si posano le cose prendono vita e iniziano a splendere.

Kei guarda Tetsurou e Tetsurou se ne accorge e lo guarda a sua volta. Si avvicina finché le loro braccia nude non si sfiorano e sorride uno di quei sorrisi inafferrabili, che tracciano coordinate di spazi sconosciuti e disegnano nuove rotte per lo stesso viaggio.

La valigia di Kei è già pronta. In fondo, chi l'avrebbe mai detto, questo fatto di amare gli riesce benissimo.

La parola giusta è ikigai, il senso e lo scopo di esistere.

Qui e ora. E domani. E sempre.



*****
NdA TnH finisce qui con un sempre e un per sempre, poco prima del fischio d'inizio della battaglia della discarica. Ma è presto per salutarsi: ci sono ancora due uscite, quindi staremo insieme fino a mercoledì prossimo, per le ultime scintille di questa storia.

   
 
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