Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Jamie_Sand    14/12/2022    4 recensioni
Nell’agosto del 2005, la preside McGranitt nota lo strano nome di un nato babbano che doveva iniziare a frequentare la scuola proprio quell’anno. Chiede dunque quindi al suo ex studente Harry Potter di portare lui stesso la lettera di ammissione a casa del bambino. Quando però Harry varca la soglia del cottage in cui vive il piccolo mago, si trova di fronte la copia esatta del suo defunto padrino e una donna che dice che quello non è altro che il figlio di Sirius Black.
Dal prologo:
- Come è possibile…? Lui e Sirius… - Sussurrò Harry, continuando a fissare il ragazzo, senza accorgersi di avere gli occhi pieni di lacrime.
Poi si voltò verso la donna, che teneva in mano una tazza piena di tea. - Sono identici, non è vero? - Chiese, con voce rotta.
- Non capisco. - Disse Harry, sempre più confuso. - Se Sirius avesse avuto una famiglia, addirittura un figlio, tutti noi lo avremmo saputo! -
- È complicato. - Rispose la donna. - Lascia che ti racconti la storia. -
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lascia che ti racconti la storia'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Attenzione! 

Nella prima parte del capitolo sono presenti scene più o meno esplicite di due adulti consenzienti che fanno cose da adulti, il tutto condito da una valanga di paranoie da parte di entrambi. 

Non so scrivere scene di questo tipo dato che non ho mai letto quelli che oggi vengono chiamati romanzi spicy, quindi abbiate pietà! 

(Ovviamente se leggere certe cose vi infastidisce cominciate dopo il primo paragrafo). 


Capitolo 45


Sirius impiegò qualche secondo per capire cosa stesse succedendo. Percepì prima di tutto le labbra di Hazel premute disperatamente alle sue, poi una delle mani minuscole di lei infiltra tra i suoi capelli mentre l’altra era ancora sul suo viso e, infine, quel corpo minuto talmente vicino al proprio da farlo star male. 

Stava succedendo davvero? Lei era davvero lì o quello era solo un sogno? L’aveva desiderata così tanto, aveva passato l’ultimo anno a sognarla e a fantasticare su momenti del genere, e adesso stava capitando, stava capitando per davvero. 

Sirius la sentì sospirare e poi staccarsi dalle sue labbra, e fu solo in quel momento che si decise ad approfondire quel contatto, come guidato da una forza primordiale che per troppo tempo era rimasta assopita. 

Non ci fu il tempo per la dolcezza, quello si trasformò subito in un bacio duro e sgraziato, violento e pieno di impeto. In un secondo Hazel si ritrovò a percorrere la strada che l’avrebbe portata nel letto di lui mentre si svestiva e quando finalmente varcarono la soglia di quella stanza presero entrambi a osservarsi attentamente.  

In piedi uno di fronte all’altra, accanto al letto sfatto e alla luce fioca di una abat jour, Hazel posò una mano sul petto di lui, più o meno all’altezza del cuore, notando che i segni della prigionia, della fame e della disperazione erano del tutto spariti: Sirius non era più magro e malridotto come un tempo, adesso il suo corpo era forte e robusto come era giusto che fosse il corpo di un uomo giovane e in salute. Era bello, non c’era una parola più azzeccata per descriverlo in quel momento, Sirius era bello e consapevole di esserlo, e se non fosse stato per quel numero inciso a sinistra sul suo collo nessuno guardandolo avrebbe potuto pensare che avesse passato dodici anni ad Azkaban. 

Hazel fece scorrere le dita fino a quel punto specifico in cui quel tatuaggio dava mostra di sé e all’istante la mano di lui scattò verso l’alto, fermandola come un riflesso involontario.  

- Scusa. - Le disse subito dopo, lasciandola andare.

Lei annuì in fretta. Erano tanti i punti in cui Sirius detestava essere toccato, ma erano passati così tanti anni dall’ultima volta in cui si erano ritrovati in una situazione del genere che Hazel se n’era quasi dimenticata. 

- Sei diverso. - Commentò guardandolo e lasciandosi scappare un tono compiaciuto. 

Sirius fece uno di quei suoi sorrisi sbilenchi. - Anche tu lo sei. - Rispose con voce roca, e poi fece scorrere una mano lungo la schiena di lei fino ad afferrare con forza una natica. 

Hazel si sentì arrossire come una sciocca ragazzina. - Io sono solo più vecchia. - Disse.

Sirius scosse la testa. - Sei meravigliosa. - 

Hazel rimase zitta e immobile, incapace di trovare qualcosa di sensato da dire o da fare e lui colse l’occasione per guidarla delicatamente verso il letto.

Una volta sdraiata di schiena sul materasso, Hazel si sentì immediatamente trasportata indietro nel tempo. 

Percepiva le labbra di lui sul suo collo: avevano iniziato una lenta e dolce tortura mentre con le mani la accarezzava sotto la maglietta del pigiama, oltre cui non c’era nient’altro che pelle. 

Hazel sospirò e infilò le dita tra i capelli di lui, un gesto che Sirius interpretò come un invito a darle di più. Voleva baciarla ovunque, voleva sentirla ansimare mentre invocava il suo nome e voleva che scegliesse lui, solo lui. 

- Non sono più come tanti anni fa. - Disse Hazel, quando percepì che le labbra di lui erano arrivate molto vicine all'elastico dei suoi slip. - Non sono più giovane e bella come un tempo. - 

Lui alzò lo sguardo su di lei e poi si avvicinò nuovamente al suo viso. - Hazel… non lo senti quanto ti voglio? - Le chiese sussurrando, strusciandosi contro il suo bacino. 

Hazel si sentì mozzare il fiato. - Sì. - Riuscì a dire a malapena. - Però non… non… - 

Sirius la zittì baciandola, lasciando trasparire un bel po’ di impazienza. Fu allora che Hazel capì che non voleva lasciargli il controllo. 

La situazione si ribaltò e in un attimo fu lei a sovrastarlo, finendo a cavalcioni su di lui, liberandosi un momento dopo anche della maglietta del pigiama che ancora indossava.

Colto alla sprovvista da quella intraprendenza, Sirius si lasciò sfuggire un verso sorpreso e sgranò gli occhi: Hazel non era mai stata una tipa spigliata, lui se la ricordava timida e docile come un agnellino, ma si fidava di lui ciecamente e questo gli aveva permesso di bearsi di quel corpo in ogni modo. Ma adesso lei lo stava fissando con sguardo deciso e non sembrava per nulla intenzionata a lasciargli il comando.

In fondo l’aveva detto lei stessa, non era più come tanti anni fa. 

La bocca di Sirius cercò quella di Hazel, che però lo respinse bruscamente, bloccandolo per i polsi. 

- Non ti conviene, ragazzina. - Le disse lui, ancor più sorpreso di un attimo prima, ma anche piuttosto incuriosito.

Lei sogghignò. - Non sono più una ragazzina da un pezzo. - Rispose suadente. 

Iniziò così una vera e propria lotta per il potere, una danza di seduzione e controllo che terminò quando suo malgrado Hazel si ritrovò bloccata sul letto mentre lui alle sue spalle si faceva strada dentro di lei. 

Sirius aveva vinto e lei aveva perso. Aveva perso perché lo stava letteralmente pregando di non fermarsi, perché lo amava ancora e ne era consapevole, e perché gli aveva permesso di prendersi tutto di lei, il suo corpo, ma soprattutto la sua giovinezza, la sua anima, la sua intera vita. 

Aveva vinto lui e adesso lei tremava sotto il suo tocco e ansimava mentre pronunciava il suo nome proprio come lui desiderava.

Sirius sapeva essere un amante perfetto, Hazel non poteva fare a meno di pensarlo mentre assecondava ogni sua spinta, nonstante si odiasse per ciò che stava facendo.

Si odiava, Hazel si detestava, ma d’altro canto il resto delle sensazioni che stava provando in quel momento erano quelle che negli anni aveva sempre cercato in altri uomini, che aveva cercato anche in Percy, senza mai alcun successo.  

Percy… 

Percy, così metodico, ma così poco istintivo. 

Percy, che faceva l’amore con lei come se si trattasse di pura meccanica, che faceva le cose esattamente come ci si aspettava, sempre uguali ma efficaci. 

Percy, che non era una continua scoperta, ma che la faceva sentire come se la cattiveria e il brutto del mondo non potessero più toccarla. 

Ma dall’altra parte - anzi, dietro di lei, in quel caso - c’era Sirius, che in quel momento la stava amando, ma che probabilmente tra qualche giorno si sarebbe lasciato trascinare ancora dalla sua voglia di distruggersi e si sarebbe spento come un fiammifero consumato. Sirius, a contrario di Percy, gli ricordava continuamente che la sofferenza esisteva, che lì fuori il mondo era un posto oscuro e pericoloso, che le persone potevano sempre pugnalarla alle spalle, esattamente come aveva fatto lui anni prima.

Lo amava, ma forse non abbastanza da avere il coraggio di buttarsi, di uscire da quella caverna in cui era al sicuro, ma anche prigioniera. 

Il piacere la invase all’improvviso, cancellando come un’onda ogni doloroso e intrusivo pensiero, e poco dopo per lui fece lo stesso, abbandonandosi stanco sul suo lato del letto, il fiato corto e il volto imperlato di sudore. 

Hazel invece rimase ferma e zitta, il viso rivolto dalla parte opposta rispetto a lui, con la consapevolezza che, se si fosse mossa o se anche solo avesse provato a parlare, probabilmente sarebbe scoppiata a piangere. 

Si sentiva strana, come se dentro di lei ci fossero due persone completamente diverse, una che gridava dalla gioia perché si sentiva finalmente a casa e l’altra che si disperava e chiedeva perdono per l’errore che aveva appena commesso.

Sentì il senso di colpa fare capolino dentro di lei ma quasi immediatamente quella sensazione pungente venne spazzata via dall’ormai conosciuto senso di vuoto che aveva caratterizzato tanti momenti dolorosi della sua esistenza. Era come essere risucchiata in un buco nero, come cadere all’inifinito in una voragine senza fondo in cui non c’era luce, né suono né pensiero. Non provava niente, non le importava più di niente, a stento riusciva ad avere coscienza di sé stessa quando le capitava, e in quel momento si sentiva quasi un tutt’uno con il materasso e il lenzuolo leggero con cui Sirius l’aveva appena coperta. 

- Stai bene? - Le domandò lui cauto, prendendola tra le braccia.

Hazel annuì senza nemmeno voltarsi a guardarlo. Non aveva nessuna voglia di parlare e nemmeno di starlo a sentire, e Sirius se ne rese immediatamente conto, limitandosi a rimanere lì, immobile al suo fianco. 

Era stato sempre così tra loro, non c’era mai stata la reale necessità di riempire il silenzio con parole inutili e vuote. 

Rimasero in quella posizione per un’eternità, stretti l’uno all’altra e sospesi in una dimensione senza tempo, in cui non esisteva nient’altro che loro due. 

Hazel aveva deciso di godere solo delle sensazioni fisiche e fugaci che percepiva lì tra le braccia di lui, perché sapeva che quel momento non si sarebbe mai potuto ripetere. E lui, Hazel lo sapeva, ne era perfettamente consapevole. Lo si capiva dal modo in cui non aveva smesso un momento di accarezzarla, dagli occhi che la scrutavano attentamente e dal piccolo sorriso triste che spuntava sulle sue labbra quando lei ricambiava lo sguardo.

- Che cosa succederà adesso? - Domandò Sirius, ormai a tarda notte, osservando il soffitto attraverso l’oscurità di quella stanza. 

- Niente. - Fu la risposta sussurrata che fornì Hazel. 

- Già. Lo sospettavo. In effetti Weasley rimane la scelta più sensata, visto ciò che desideri. Un matrimonio tradizionale, una famiglia tradizionale, una vita tranquilla e la tua tanto adorata stabilità… con me tutto questo non sarebbe possibile. - 

Hazel non rispose, ancora vittima del suo vuoto e senza la forza di ribattere. 

Lui allora sospirò. Improvvisamente la tristezza lo aveva attanagliato. - Spero che lui possa renderti felice come non ho saputo fare io, Hazel. Lo spero davvero. - 

- Lo spero anche io. - 

 

°°°°°°

 

Il giorno del suo matrimonio Percy Weasley si svegliò di botto, ritrovandosi steso nel suo vecchio letto, nella sua vecchia stanza. Aveva fatto un sogno strano, anzi, un sogno catastrofico, probabilmente dettato dall’agitazione per l’evento del giorno, o forse dall’alcol che aveva bevuto la sera prima, quando i suoi fratelli l’avevano praticamente trascinato nell’unico lurido pub del paese. 

Aveva sognato di danzare con Hazel al centro di una pista da ballo molto affollata. Intorno a loro c’erano tutte le persone che Percy aveva conosciuto nel corso della sua vita, tutti li stavano guardando mentre da qualche parte arrivava una musica che si faceva via via sempre più fioca. Danzavano e poi, all’improvviso, il corpo di Hazel si sgretolò tra le sue braccia come se fosse fatto di sabbia, scomparendo nel nulla. 

Percy sbuffò, si portò le mani agli occhi e si stropicciò il viso prima di alzarsi a sedere, e poi si guardò attorno. Camera sua era rimasta più o meno uguale a quando l’aveva lasciata: c’era ancora la libreria dove erano fieramente esposti i libri più importanti e complicati che aveva letto durante l’adolescenza, c’era ancora la scrivania che l’aveva visto studiare per ore e ore durante le vacanze e le pareti erano ancora tappezzate da quella vecchia carta da parati verde, il suo colore preferito. Era ancora tutto molto ordinato e preciso, forse solo un po’ più polveroso rispetto a molti anni prima. 

Al di là della porta chiusa, Percy sentì la voce di Lucy che gridava contro Janus per chissà quale motivo e questo gli fece capire che forse non era poi tanto presto come pensava. Decise così di alzarsi e lasciare la sua camera da letto per dirigersi prima di tutto verso il bagno. 

Lì una rapida occhiata allo specchio gli fece capire che c’era un bel po’ di lavoro da fare se voleva rendersi presentabile. 

Anche se di primo acchito poteva sembrare di no, Percy Weasley teneva molto al suo aspetto. Gli piaceva essere sempre in ordine e pulito, adorava che i suoi completi fossero sempre impeccabili e le sue camicie sempre perfettamente stirate. Non gli importava un bel niente di essere alla moda, — a contrario di Hazel, che invece vedeva in essa un’altra forma d’arte e che dunque spendeva un sacco di soldi in vestiti, — ma essere ordinato per lui era come un imperativo categorico. Quel giorno non avrebbe di certo fatto eccezione, dopotutto era il giorno del suo matrimonio e voleva essere all’altezza dell’evento. 

Decise così di farsi una lunghissima doccia rigenerante, di radersi e di pettinarsi, prima di scendere in cucina, dove si rese conto che in verità era l’unico, a parte Janus, a essere già fuori dal proprio letto. 

Il ragazzo era in piedi davanti ai fornelli, in attesa che l’acqua per il tè fosse pronta per essere versata. Indossava gli stessi vestiti del giorno prima e teneva la bacchetta infilata nella tasca posteriore dei pantaloni. 

Percy lo fissò per un po’, fermo sulla soglia della cucina, con lo stesso sguardo con cui fissava le sue figlie. Gli voleva bene e sapeva che anche per lui era lo stesso, sapeva che Janus lo stimava e ogni tanto Percy aveva l’impressione che quel ragazzino fosse l’unico che lo trovasse interessante. Percy non era lo zio preferito di nessuno dei figli dei suoi fratelli, non poteva di certo competere con Charlie, George o Bill, ma nemmeno con Ron che era piuttosto bravo con i bambini, ma con Janus era diverso. Certo, ci avevano messo un bel po’ per costruire un rapporto, ma ora eccolo lì, che preparava un tè come se la Tana fosse anche casa sua. 

Quando il bollitore fischiò, il giovane versò l’acqua e fece infondere la bustina, poi tirò fuori la bacchetta, la puntò contro la tazza e… 

- Stai usando la magia fuori dalla scuola, per caso? - Lo interruppe Percy, facendolo sobbalzare. 

Janus si voltò, la bacchetta in una mano, la tazza nell’altra. - Ehm… può darsi? -  

- Lo sai che non puoi farlo, sono le regole. - Lo bacchettò Percy, avvicinandosi. - Manca poco al tuo compleanno, ma hai ancora la traccia addosso. - 

- Sirius dice che è una regola stupida. - 

E ti pareva che Black non avesse un pessimo ascendente sul proprio figlio, pensò Percy. - Che sia stupida o meno va rispettata. - Asserì il rosso con decisione. - Cosa volevi fare? - 

Janus si infilò nuovamente la bacchetta nella tasca posteriore dei pantaloni e poi guardò la tazza. - Non c’è il caffè, quindi pensavo di trasfigurare il tè. - Spiegò. 

- Il caffè è nella dispensa, terzo scaffale… e togli la bacchetta da lì, può essere molto pericoloso. - Gli intimò Percy. - Conosco un mago che si è seduto per sbaglio proprio sulla sua bacchetta. Adesso il suo fondoschiena è ridotto a un colabrodo. Non ti dico il modo in cui è costretto a fare i suoi bisogni adesso. - 

- Come sei catastrofista, Weatherby. - Sogghignò Janus, abbandonando la tazza che aveva in mano sul tavolo e dirigendosi verso la dispensa. - Dimmi, sei emozionato per oggi? - Domandò poi, dopo aver trovato il caffé sullo scaffale. 

Percy ci pensò su per qualche istante, scoprendo che no, in effetti non si sentiva affatto emozionato. Si sentiva però molto felice, quel tipo di gioia che poche volte nella sua vita era riuscito a sperimentare. Si ritrovò a pensare a Hazel, al tortuoso percorso che avevano fatto insieme negli ultimi sette anni, alla malinconia che avevano combattuto insieme e al meritatissimo futuro che li attendeva; se la immaginò vestita da sposa, che gli veniva incontro lungo una navata piena di fiori e di riflesso un sorriso gli incurvò le labbra. 

- Allora? Sei emozionato o no? - Ripeté Janus, sedendosi davanti a lui, con un’altra tazza piena di caffè fumante tra le mani. 

Percy si riscosse. - In verità no. - Rispose tranquillo.

- Ottimo. - Annuì il giovane. - Però quando la vedrai fingi un po’ di esserlo. Lo sai che si lamenta sempre del fatto che sei poco emotivo. - 

- Non è mancanza di emotività la mia. Mi piace semplicemente mantenere un certo contegno, soprattutto davanti agli altri. - Obiettò Percy, e poi si portò la tazza di tè precedentemente abbandonata da Janus alle labbra. - Hazel è il mio esatto contrario in questo, ma se fossimo entrambi inclini alle lacrime ed emotivi come lo è lei allora il nostro rapporto sarebbe un vero e proprio delirio. -

- Sì, come ti pare. - Lo liquidò Janus in fretta, facendo un gesto sbrigativo con la mano. - Tu fingi comunque di essere emozionato, almeno un po’, almeno per oggi. - 

- Non ho alcuna intenzione di fingere il giorno del mio matrimonio. - Replicò lui. - La tua mamma è troppo intelligente, impiegherebbe pochi secondi a rendersene conto. - 

Janus scrollò le spalle con nonchalance. - Il mio era solo un consiglio spassionato. - Buttò lì, fingendo disinteresse. Poi il suo sguardo si posò sul liquido scuro che fumava ancora all’interno della sua tazza. - Vorrei che mamma fosse felice. - 

Percy aggrottò la fronte e poi si tirò su gli occhiali sul naso, un gesto che faceva spesso quando si innervosiva o agitava. - Pensi che non lo sia? - Domandò. 

- Be’, non saprei. Ultimamente l’ho vista un po’ sotto pressione. - Rispose Janus. - Anzi, direi un po’ sotto tono. Un po’ giù di morale, ecco. - 

- Devi sapere che organizzare un matrimonio non è affatto semplice. - Spiegò Percy. 

Janus si limitò ad annuire, poi si portò la tazza alle labbra e bevve. - Sono successe così tante cose nell’ultimo anno. - Disse, senza un reale motivo. - In realtà sono successe tante cose negli ultimi anni. Sembra una vita fa quando eravamo solamente io e lei, mentre adesso… insomma, vi sposerete. - 

- Non dirmi che ho perso la tua benedizione. - 

Janus alzò lo sguardo dalla tazza. - Ma no. - Lo tranquillizzò, come se fosse scontato. - Perce, tu sei quasi come un padre per me e sono felice per voi, davvero. Solo che ogni tanto è difficile, mi sento un po’... fuori luogo. - 

Percy rimase zitto per una bella manciata di secondi, l’espressione illeggibile e lo sguardo fisso su quel ragazzo che, a sua volta, ricambiava quell’occhiata un po’ preoccupato. 

Janus non poteva definirsi propriamente un tipo affettuoso: non si lasciava andare a smancerie, odiava gli abbracci e il suo modo di dimostrare affetto era contorto, difficile da capire, per non parlare del fatto che raramente dava modo a qualcuno di guardargli dentro.

- Non sei fuori luogo. - Ribatté Percy, mantenendo un rigido ritegno pur di nascondere il fatto che si sentiva piuttosto toccato dalle parole del giovane. - Io sarò come un padre per te, ma ti assicuro che tu sei davvero come un figlio per me. Sono molto fiero dell’uomo che stai diventando. Sei un bravo ragazzo. - 

Janus sorrise. - Sì, però adesso sta diventando tutto un po’ strano. - Disse con tono beffardo, prima di alzarsi in piedi. 

Percy arrossì. - E sarei io quello poco emotivo? - Borbottò indignato. - Ti dico che ti voglio bene e tu in tutta risposta te ne scappi! - 

- Mamma dice che ci somigliamo, Perce. - Sottolineò Janus. 

L’uomo aprì la bocca per parlare quando una voce sovrastò ogni suo tentativo di ribattere: 

- Buongiorno! - Urlò allegramente Charlie, appena entrato in cucina e andando dritto verso il fratello. - Ecco qui che arriva il testimone! Sei pronto per sposarti, eh, Perce? Sei pronto? - 

- Chissà se questa volta riuscirai a tenertela una moglie, caro prefetto. - Rimarcò George, varcando la soglia seguito subito dopo da Bill e Ron. 

- Cosa ci abbia trovato Hazel in te è tutt’oggi un mistero. - Disse il primo.

- E perché Audrey? Miseriaccia, è incredibile che Percy abbia tutto questo successo con le donne! - Rincarò la dose Ron

Percy alzò gli occhi al cielo, mentre Janus sogghignò divertito, certo che quella sarebbe stata una mattinata molto interessante. 

 

Qualche ora più tardi la casa di Hazel si era piena di gente, ma lei si era rifugiata in camera sua, seduta sul letto in silenzio, proprio davanti allo specchio che faceva da anta all’armadio. Stava fissando il suo riflesso da qualche minuto, studiando attentamente il suo viso ben truccato che le faceva risaltare la profondità dei suoi grandissimi occhi scuri, la sua acconciatura da sposa che le raccoglieva i capelli color cioccolato in uno chignon morbido e adornato da una sorta di fermaglio di perline. 

Al suo fianco, abbandonato sul letto, il suo abito era pronto per essere indossato, proprio come le scarpe, ben sistemate in un angolo della stanza. 

Hazel sospirò e dopo essersi fatta coraggio si alzò in piedi. Si spogliò con lentezza e di nuovo si guardò allo specchio. Non si era mai sentita bella, mai, neppure una volta in vita sua. Era sempre stata troppo bassa, il suo corpo non era mai stato particolarmente atletico nonostante le corse che faceva ogni singola mattina, inoltre la gravidanza le aveva lasciato una montagna di smagliature e inestetismi. Ma era il suo viso il problema: i suoi occhi erano troppo grandi, il suo naso troppo piccolo, inoltre non le piaceva per niente il suo sorriso, lo riteneva troppo proponente per stare sulla sua faccia. 

Sapeva che Percy si era innamorato di lei per il suo cervello, per la sua personalità, ma aveva sempre avuto il sospetto che in realtà lui non la trovasse un granché attraente. La loro relazione era nata tra le pagine dei libri di filosofia, era cresciuta nelle gallerie d’arte, ma Hazel non aveva mai percepito tra loro quella scoppiettante fiamma fatta di desiderio e passione. Percy non l’aveva mai guardata come la guardava Sirius, neppure all’inizio.

Hazel fece scorrere le dita lungo il suo collo fino a un punto preciso sul seno destro, dove un segno violaceo gridava al mondo ciò che era successo la notte prima. 

Dannato idiota, pensò, mentre riviveva nella sua testa quel disperato amplesso. Aveva dimenticato quel lato di lui, quei marchi che Sirius le lasciava sulla pelle come un monito per gli altri; “lei è mia” sembravano gridare. 

Ma non era sua. Lei non era di nessuno se non di sé stessa, o almeno era questo ciò che si ripeteva. 

Quando si era svegliata nel letto di Sirius, qualche ora prima, si era resa immediatamente conto della persistenza del suo senso di vuoto, quella conosciuta sensazione di non essere del tutto presente a sé stessa. Le capitava spesso quando ciò che le accadeva attorno non le piaceva, ma anche quando la vita diventava troppo per lei. 

Si era rivestita senza fare rumore, lo aveva guardato nella penombra di quella camera da letto per qualche minuto, aveva posato piano le labbra sulla sua guancia per l’ultima volta e poi aveva lasciato quella casa senza provare nulla. 

Nulla, ecco cosa provava anche in quel momento. Non c’era tristezza, non c’era felicità, non c’era neppure il senso di colpa. Nulla. E a lei andava bene così, visto che non provare nulla l’aveva aiutata a sopravvivere parecchie volte.

La porta alle sue spalle si aprì all’improvviso facendola sobbalzare, e Ninfadora Tonks apparve sulla soglia nel suo abito da damigella rosa perla, che le stava talmente bene da sembrare disegnato solo per lei. I suoi capelli erano castani e il suo aspetto in generale era insolitamente ordinato. - Hai bisogno di una mano con l’abito? - Domandò la strega, sorpresa di vederla ancora svestita. 

Hazel si limitò ad annuire e Tonks allora entrò e si chiuse la porta alle spalle. 

- Sai, non mi aspettavo che fare da damigella fosse così stancante, ma è anche molto più divertente di quanto immaginassi! - Disse, tirando su l’abito di Hazel dal letto. 

Hazel nuovamente non rispose. Non aveva molta voglia di parlare in quel momento, era troppo faticoso scavalcare la barriera emotiva dietro cui si era rifugiata. 

Si infilò in quel vestito color champagne dalla linea semplice ed essenziale e ancora una volta rivolse lo sguardo allo specchio. 

- Ecco qui. - Fece Dora tutta soddisfatta, dopo aver abbottonato per bene tutta la fila di piccolissimi bottoni perlati sulla schiena. Quando dopo alzò lo sguardo sullo specchio, incrociando gli occhi di Hazel, sorrise. - Sei bellissima. - 

Le labbra di Hazel si strinsero in una smorfia un po’ insoddisfatta. Non si sentiva affatto bella, in realtà, mascherata in quel modo, si sentiva un po’ come un’attrice in attesa di esordire su un importante palcoscenico. Si sentiva la protagonista di un grande inganno, di una stupida falsa. 

Hazel si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato e Dora, alle sue spalle, adocchiò il riflesso del suo viso con uno sguardo indagatore. - Se hai cambiato idea è questo il momento per dirlo, lo sai questo, vero? - Disse all’amica, facendole un sorriso. 

- Lo so. - Si limitò a rispondere Hazel, atona. - Ma non ho cambiato idea. - 

- Bene. Meglio. - Annuì Tonks. - Sono passata alla Tana poco fa. C’è un caos… Percy è tranquillo, ma vuole che sia tutto perfetto. Molly invece è molto felice del fatto che l’ennesimo dei suoi figli si stia finalmente per sistemare come lei desidera, di sicuro le prenderebbe un colpo se tu abbandonassi il suo Perce all’altare. - 

Già, non mi ci far pensare, Dora, pensò Hazel, percependo per la prima volta una vaga sensazione di disagio afferrarle le viscere. Scappare via in quel momento non solo avrebbe fatto soffrire Percy, ma anche i signori Weasley, mentre probabilmente Ginny e gli altri non l’avrebbero mai più guardata in faccia. Per non parlare di Janus… che cosa avrebbe pensato suo figlio se avesse scoperto ciò che aveva combinato la sera prima? 

Hazel rabbrividì e subito si affrettò a distaccarsi da quei pensieri.

- Adesso manca solo Charlie. - Disse nel tentativo di distrarsi e parlando con fare piuttosto allusivo.

Dora si limitò a ridacchiare. 

- Avanti, Dora, perché non gli dai una possibilità? Una sola, piccola piccola? - La spinse Hazel, voltandosi verso la strega. - Charlie è un figo, avete già un trascorso e, come se ciò ancora non bastasse, Teddy lo adora. Cosa ti frena? - 

- Tantissime cose. - Buttò lì Tonks. - Ad esempio il fatto che sarebbe un vero e proprio cliché: io sono la damigella e lui il testimone dello sposo. - 

- Appunto! È un destino segnato il vostro! - Rise Hazel. - Sareste adorabili insieme. - 

Dora alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. - È che Charlie non è proprio il mio tipo. - Disse storcendo il naso. - Se proprio devo uscire con qualcuno allora sceglierei quel tuo collega… quello che insegna filosofia morale, hai presente? - 

- Certo, il professor Wallace, quello che somiglia a Remus. - Insinuò Hazel. - Anche io sono uscita con uno che somigliava a Sirius, molti anni fa. L’ho detestato. - 

- Non somiglia affatto a Remus! - Esclamò Tonks. - Devi sapere che gli insegnanti mi hanno sempre colpito molto. Credo di aver avuto perfino una cotta per Piton, ad un certo punto, mentre ero a scuola… non giudicarmi! - 

Hazel rise. - Mi dispiace ma io tifo per Charlie, scusa. Non sarà un insegnante, ma alleva draghi, e poi è pur sempre il mio futuro cognato. - 

Tonks sbuffò. - Per Tosca… sei peggio di mia madre e Molly messe assieme, Hazel. - Borbottò, fingendosi infastidita, prima di aprire il suo viso a un gran sorriso divertito.

Anche Hazel sorrise per un attimo, prima di tornare a lasciarsi prendere dall’apatia che aveva caratterizzato le ultime ore. - È ora, non è vero? - Chiese all’amica. 

Tonks annuì. - Sì… sembra che pioverà, quindi ci sarà un bel po’ di traffico: vale la pena uscire un po’ prima. - Spiegò. 

- Dannata Gran Bretagna, guarda te se deve piovere in pieno luglio, proprio il giorno del mio matrimonio. -

 

Sebbene non ci fossero iconografie né simboli sacri, la sala in cui si sarebbe svolto il matrimonio sembrava proprio una chiesa. Si trattava di un ampio spazio rettangolare, dai tetti alti e dal pavimento di marmo, in cui erano state sistemate due lunghe file di panche. Lì, nel mezzo, un tappeto bianco portava a una sorta di altare posto in fondo insieme a due sedie ben decorate da un immacolato tessuto bianco. 

Anche se il tempo si era più o meno ripreso rispetto all’inizio della mattinata, quel giorno di luglio decisamente non si presentava agli invitati come una tipica giornata estiva; e meno male, pensava Janus, che con la giacca, la camicia e la cravatta stava morendo di caldo, mentre si sventolava con lo spartito spiegazzato della canzone che avrebbe dovuto suonare di lì a poco. 

Quasi tutti gli invitati erano arrivati: Janus riconobbe suo zio Chris con la moglie Rosemary e il loro figlio di due anni di nome Archie, un paio di amiche babbane di sua madre e un’infinità di facce poco note. In mezzo a quel gruppo variegato, i maghi potevano essere riconosciuti lontani un miglio, dato che si sforzavano così tanto di apparire normali da sembrare strani. La signora Weasley, ad esempio, che aveva fatto del suo meglio per comprare un abito da cerimonia che fosse in linea con la moda babbana, indossava un tailleur giallo canarino, con tanto di cappellino, che la faceva sembrare una parodia della regina Elisabetta; il signor Weasley, invece, che per fortuna si era affidato completamente al gusto estetico di Hazel, passava più inosservato nonostante la sua volontà di parlare con più babbani possibili. Una che si faceva decisamente notare era invece Fleur, che era seduta insieme a Bill e al resto della famiglia Weasley nella fila di destra, attirando decine di sguardi anche grazie allo stupendo abito color oro che aveva scelto di indossare per l’occasione. 

E poi, ovviamente, c’era Percy, molto in tiro quel giorno, con i capelli rossi più folti di quanto non fossero mai stati da quando Janus l’aveva conosciuto, probabilmente grazie a  un qualche incantesimo o a quale elaborata pozione, e vestito di tutto punto. Camminava avanti e indietro guardando insistentemente l’orologio che Charlie portava al polso, e borbottando di tanto in tanto una cosa come “è in ritardo” o “ma quando arriva?”.

- Credo che mi sono innamorato. - Disse improvvisamente Teddy, sedendosi accanto al cugino e tenendo lo sguardo dritto verso i Weasley. 

Janus gli scoccò lo sguardo di tralice. - E di chi? - Chiese, senza capire. 

- Ma come di chi? Guardala! - Esclamò il ragazzino, e i suoi capelli presero una vaga sfumatura rossastra. - Victoire è bellissima! - 

- Preferisco Fleur. - Commentò il Grifondoro. 

- Fleur? Ma è vecchia. - Ribatté Teddy, facendo una faccia scettica. - Mentre Vic… spero così tanto che venga smistata in Tassorosso a settembre! - 

- Non credo, le manca l’umiltà per essere una Tassorosso. - Rispose Janus. - Credo che finirà banalmente in Grifondoro come ogni Weasley che si rispetti, a parte Molly. - 

Dicendo questo, lo sguardo di Janus si posò proprio sulla giovane Corvonero, che se ne stava seduta tra i suoi familiari indossando un grazioso vestito verde pastello che le donava parecchio e che la faceva sembrare molto più carina del solito. Janus pensò che probabilmente Ted era pazzo se preferiva Victoire a una come Molly. 

- Come faccio a conquistarla? Come faccio a conquistare Vic, secondo te? - Gli chiese ragazzino, teatralmente disperato. 

- Non ne ho la più pallida idea. - Rispose lui. 

- Tu come hai fatto con Faye? - 

Janus cercò tra la folla la giovane Serpeverde e quando la trovò, un po’ in disparte in un angolo della grande sala, gli venne spontaneo di sorridere, pensando che quella di Ted era proprio una bella domanda. - Dovresti chiedere consigli del genere a Harry, non a me. - Rispose infine. - Anzi no, forse dovresti chiedere a Sirius. Lui è un grande esperto di donne. - 

Teddy aggrottò la fronte. - Tu dici? - Fece, scettico. 

- Sì, ti assicuro che è bravo in queste cose. - Annuì Janus. - Mi ha detto di ignorare Faye e di mettermi con un’altra e qualche mese dopo… -

- E oggi, che tu sappia, Sirius verrà? - 

Prima che Janus potesse aprir bocca per dire qualcosa, la risposta a quella domanda si palesò a qualche metro da loro e il ragazzo fece un cenno verso la porta d’ingresso di quella grande sala. Sirius Black aveva appena varcato quella soglia con l’espressione di uno che si era proprio costretto a essere lì. 

Janus vide suo padre salutare il resto degli invitati velocemente e un po’ controvoglia, poi Sirius diede una pacca sulla spalla a Harry, che a sua volta scambiò con il padrino uno sguardo di vicinanza, e dopo si avvicinò a lui e Ted.

- Alla fine sei venuto. - Osservò Janus, con un fare soddisfatto. 

- Già. La mia tendenza a torturarmi è ormai universalmente nota, quindi sì. - Borbottò l’uomo, lasciandosi cadere tra i due giovani. 

- Non vuoi che Hazel e Percy si sposino? - Chiese innocentemente Teddy. 

Sirius guardò il piccolo Lupin con uno sguardo di perplessità mista a sorpresa. - Vuoi sapere la verità? - Disse un istante dopo, parlando a bassa voce come se si trattasse di un segreto. - Sono qui solo per portarla via nel caso cambiasse idea. -

- Quindi niente discorso in stile commedia americana? - Domandò Janus.

- Direi di no. Almeno nulla di preparato. - Buttò lì Sirius, scrollando le spalle. - In tutta sincerità, ragazzo, non so nemmeno cosa ci faccio qui. - 

Janus si lasciò scappare un’espressione apprensiva, ma non fece in tempo a consolarlo: 

- Sta arrivando! - Esclamò la voce eccitata di Ginny, attraversando la navata per andarsi a sedere accanto al marito e ai tre figli. 

Sirius sospirò e, più lugubre che mai, raggiunse il resto degli invitati, sedendosi assieme a Teddy, Andromeda e Faye sulla fila di destra. 

In fondo alla sala, dietro il piccolo altare, si palesò una donna di mezza età che diede a Janus il segnale per iniziare a suonare e poco dopo la porta si spalancò e Hazel apparve sulla soglia, con il suo bell’abito color champagne indosso. 

Non era come ci si aspettava che fosse una sposa, non era radiosa ne tantomeno tesa, era però aggraziata e veramente molto bella. Avanzò lungo il tappeto bianco senza guardarsi attorno, mentre Percy la osservava talmente estasiato che Janus, mentre suonava quella canzone romantica, si sentì ancor più in colpa per aver più volte suggerito a suo padre di sabotare quel matrimonio. Dopotutto se una persona ti guarda in quel modo vuol dire solo una cosa, cioè che ti ama, ed era questo ciò che lui voleva per sua madre: voleva solo che fosse amata. Forse era giusto così, era giusto che quei due stessero insieme, in fin dei conti Percy aveva ragione, si compensavano. 

Sì, quel matrimonio doveva essere celebrato.

Quando Hazel arrivò all’altare rivolse un sorriso allo sposo, Janus invece posò il violino nella custodia e poi raggiunse la panca in cui sedeva suo padre che guardava verso i due come se stesse per assistere a un'esecuzione capitale. 

La celebrante iniziò il rito parlando di Hazel e Percy, di quanto due individui così affini si fossero trovati e amati nonostante le difficoltà delle loro esistenze, nonostante i loro dolori, per poi terminare il discorso parlando di quanto importante, solenne e impegnativa fosse la promessa di stare insieme per tutta la vita. 

Sirius sospirò e Janus lo guardò in ansia, chiedendosi cosa diamine avrebbe dovuto fare nel caso in cui suo padre si fosse davvero alzato per interrompere quel matrimonio. Avrebbe forse dovuto lasciarglielo fare? Sarebbe stato un vero e proprio disastro, anche se… no, no, no, nessun “anche se”! Tua madre è felice così, quindi tu devi accettarlo, stupido idiota che non sei altro!

- … e adesso è il momento dello scambio delle promesse. Percy… - 

Percy si infilò prontamente una mano nella tasca interna della giacca e tirò fuori un foglio di pergamena su cui sembrava aver scritto un vero e proprio poema, strinse la mano di Hazel, prese un respiro profondo e iniziò a leggere con tono solenne:

- Sono passati quasi sette anni dalla sera in cui ci siamo conosciuti. - Iniziò, la voce inclinata dall’emozione e tenendo gli occhi fissi sul foglio. - Sono passati sette anni, ma io ricordo tutto. Ricordo che indossavi un grazioso abito dai colori autunnali che ti arrivava all’altezza delle ginocchia e che riprendeva deliziosamente la sfumatura ambrata della tua carnagione, ricordo che sono rimasto subito affascinato da te, dal modo in cui parlavi di ciò che ti appassionava, ma soprattutto ricordo che nei giorni successivi al nostro primo incontro non ho fatto altro che pensare a te. Ricordo di aver pensato che tu fossi la persona più interessante che io avessi mai conosciuto e quando poi abbiamo iniziato a uscire insieme mi sono detto fin da subito: “eccola, è proprio Lei”. Tu mi hai sollevato dagli anni più orrendi della mia vita, hai riempito la tela della mia esistenza con i colori più belli del mondo, ma da una come te non potevo aspettarmi altro, no? Tu sei la mia artista preferita ma lo saresti anche se non dipingessi, perché hai reso la mia vita un vero e proprio capolavoro. - Percy prese un attimo di pausa, alzò gli occhi dal foglio e di sfuggita rivolse un’occhiata ai suoi familiari, — notando che sua madre si stava asciugando le lacrime, commossa, — e poi guardò Hazel, che a sua volta gli restituì lo sguardo. 

Gli sembrava un po’ strana, Hazel, come se fosse… distratta. Ad ogni modo Percy decise che forse era solo un po’ emozionata e riprese a leggere: 

- Adesso potrei dirti che spero che sia per sempre, che spero di invecchiare con te, ma non avrebbe senso. Non avrebbe senso perché io so che sarà così. - 

- Che marea di stronzate. - Sussurrò intanto Sirius tra sé e sé. 

Janus gli rivolse un’occhiata terrorizzata, ma non ebbe il coraggio di contraddirlo.

- … tu mi hai insegnato l’importanza della flessibilità, mi hai ridato quella spensieratezza che forse non ho mai avuto e per questo ti amo. Grazie di essere mia, Hazel. Spero di essere all’altezza dell’amore che meriti. - 

Ci fu una sorta di sospiro sognante generale accompagnato da un lungo “oooh” da parte della maggior parte degli invitati, ma Hazel rimase impassibile, come se non avesse sentito una singola parola tra quelle pronunciate da Percy. 

Rimase ferma e zitta per una manciata di secondi, solo quando poi la celebrante le passò il microfono sembrò riscuotersi. Si voltò verso gli invitati, guardò i signori Weasley, entrambi commossi e felici, Ginny e Charlie, che ormai erano i suoi fratelli acquisiti, guardò Janus, e infine i suoi occhi si posarono delicatamente sul volto di Sirius, che scosse la testa in un movimento impercettibile nella sua direzione.

Percy le aveva rivolto parole meravigliose e tutto ciò a cui lei riusciva a pensare era il fatto che quel sentimento lei lo provava per un altro uomo, che per giunta era lì, era vivo e vero. Quando tornò a guardare Percy capì che non poteva ingannarlo oltre, che non avrebbe retto quella falsa per tutta la vita.

- Non posso. - Si limitò a dire in un filo di voce. - Mi dispiace, Perce. - Poi proseguì, rivolgendosi stavolta agli invitati: - Non ci sarà nessun matrimonio. - 

Nel tumulto generale che aveva appena provocato, Hazel si allontanò dall’altare e si mosse verso Sirius quasi correndo. 

Guardò prima Janus, che le sorrise di rimando come mai aveva fatto prima d’ora e solo in quel momento Hazel capì che in realtà quella era sempre stata quella la scelta giusta. 

- Andiamo. - Ordinò a Sirius, con il fiato corto, prendendolo per mano. 

Lui non se lo fece ripetere due volte, la seguì come se non avesse atteso altro e a nessuno dei due importò cosa stesse accadendo alle loro spalle. Semplicemente lasciarono quella sala ben addobbata e per la prima volta dopo tanto tempo Hazel sentì tutto. Fu come se tutto ciò che aveva assopito per anni, la tristezza, la rabbia, la gioia e il sentimento smisurato che provava per Sirius le fosse finalmente scoppiato nel petto. 

- Allora, dove andiamo? - Le domandò lui, una volta raggiunta la moto. 

- Scozia. Andiamo a casa. - Rispose rapidamente lei. - Avanti, parti! Su, parti, parti, parti, prima che cambi idea! - Esclamò, quando la folla degli invitati li raggiunse all’esterno. 

- E Scozia sia. - Annuì Sirius. - Tieniti forte, se cadi da qui sarà complicato recuperarti viva. - 

Spiccarono il volo e Hazel rise e gridò spaventata allo stesso tempo. Si strinse al corpo di lui e una volta presa un po’ di quota il vento spettinò i suoi capelli e la liberò dal velo, che cadde nel bel mezzo dello spiazzo sotto di loro, ai piedi di un affranto Percy Weasley. 



 

Ciao persone, ben ritrovate. 

Teoricamente questi dovevano essere due capitoli, ma dato che sono praticamente la Queen dei capitoli di passaggio ho deciso di unirli per non allungare ulteriormente le cose, spero che non vi sia dispiaciuto. 

Ad ogni modo manca sempre meno (a dire la verità manca un capitolo e l’epilogo, che credo dovrò dividere in due parti, ma non lo so dato che non l’ho ancora scritto) e poi ci saluteremo, anche se credo che mi rivedrete presto su efp con qualcosa di nuovo o magari con qualche one shot, dato che di sicuro sentirò nostalgia di questa storia. 

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo o della storia in generale,

J. 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Jamie_Sand