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Autore: drisinil    17/12/2022    2 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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EPILOGO - Le cose che Tetsurou adora


20 luglio 2014


«Ehi quattrocchi, perché non vieni a fare qualche muro?»

Kei solleva la testa di scatto e i suoi occhi frugano il buio da dietro le lenti; prima che possa rendersene conto sta già sorridendo. La scena è diversa da due anni prima: oggi il quattrocchi del Karasuno è sulla soglia della palestra tre e l'ex capitano del Nekoma si trova all'esterno, sotto le pensiline che collegano gli edifici, ma quelle parole lanciate nel buio non hanno perso il loro potere magico.

Tsukishima Kei continua a sorridere (contro la propria volontà) e freme di anticipazione mentre alza il dito medio; i tre del primo anno che sono alle sue spalle si accalcano alla porta per capire cosa stia succedendo.

«Fuori! Sloggiate!» intima Kei, tirandone all'esterno uno a caso, per la collottola.

«Ma senpai... » protesta quello.

«Senpai...» si lagnano gli altri.

Tsukishima sbuffa «Niente piagnistei, è tardi: tra poco chiude la mensa.»

«Dobbiamo finire di pulire la palestra...»

«Ci penso io. Voi andate.»

«Ma che ore sono?»

«E' ora di muovere il culo e andare a mangiare.»

I primini si guardano fra loro, cercando di trovare qualche obiezione sensata e più che altro di mettere insieme il coraggio per esprimerla: dei senpai del terzo anno, Tsukishima-san è quello che fa più paura, anche se non alza mai la voce.

«Ma Shouyou-kun ci aveva detto che potevamo restare fino... »

«Ti sembro per caso Hinata? Ho qualcosa in comune con lui?» Kei, le mani appese alle estremità dell'asciugamano passato dietro al collo, si sporge leggermente verso il suo interlocutore. Incombe dall'alto, in realtà, visto che la differenza è di venti centimetri buoni.

Il ragazzino scuote la testa freneticamente.

Dopodiché si sente la risata. Una risata chiassosa e aperta, che viene da qualche parte verso la pensilina.

«Kei-chan! Piantala di fare il gradasso, non ci crede nessuno!»

I primini sgranano gli occhi. Kei-chan. Gradasso. Il tizio con i capelli scombinati dev'essere uno che vuole morire.

Invece Tsukishima-senpai sorride e poi abbassa lo sguardo e si sistema le lenti con due dita. «Crepa!» tuona.

Lo sconosciuto entra ridendo nel cono di luce del faretto, che disegna un bel fisico infilato in un paio di jeans e una maglietta nera con il logo del doppio ginko d'oro: uno studente della Todai, che a quanto pare ci tiene davvero a morire, visto che ha la brillante idea di mettersi a fare cuoricini con le dita all'indirizzo di Tsukishima-senpai, che è paonazzo (di collera, ovviamente).

Forse esploderà e verranno alle mani. Forse qualcuno dovrebbe correre a chiamare il capitano Yama.

In quel momento, gli occhi di uno dei primini si sgranano per un'improvvisa illuminazione; il suo sussurro concitato ai compagni genera meraviglia e una pioggia di bisbigli.

«Kuroo-san?» azzarda il ragazzino a voce alta.

Kei lo fulmina con lo sguardo.

«In carne e ossa» conferma compiaciuto Tetsurou, avvicinandosi e squadrando il soggetto che ha parlato.

«Com'è che hai un'aria familiare?» gli domanda, con una pacca gentile sulla spalla.

Kei sospira: «E' il fratello di Sawamura Daichi.»

«Sawamura Douji» si presenta lui, compito. Ha quello sguardo pulito e onesto che dev'essere il marchio di famiglia. «E' un onore conoscerti di persona» balbetta, con un accenno di inchino che mette in evidenza le orecchie molto rosse sotto il riverbero dei faretti. «Kuroo-san era il capitano del Nekoma, ai tempi di mio fratello» spiega agli altri.

Tetsurou stringe loro la mano e sorride spavaldo, come una celebrità assediata dai fan. Kei sospira rassegnato, mentre si abbassa le ginocchiere.

A mandarli via impiegano un quarto d'ora buono, in cui Kuroo resta al centro dell'attenzione: chiacchiera, sghignazza, dispensa consigli tecnici, racconta aneddoti, fa la ruota come un pavone sotto gli occhi esasperati di Kei.

Però è chiaro che ci sa fare con i ragazzini. In realtà ci sa fare con chiunque.

«Dovresti fare questo, di mestiere.»

«Cosa?» Tetsurou si volta a guardare Kei mentre ancora saluta i primini con la mano.

«L'affabulatore, l'imbonitore, il circuitore di innocenti.»

«E tu saresti l'innocente?» 

E' ammiccante, subdolo, indisponente alla massima potenza. Kei lo colpisce con l'asciugamano sul braccio. «Ogni volta che non ti vedo per un po' va a finire che mi dimentico quanto sei scemo. Che ci facevi lì al buio?»

«Ti aspettavo.»

Suona convincente, ma è una mezza bugia, perché prima di mettersi lì ad aspettarlo, ha passato mezz'ora a guardarlo giocare.

Tetsurou adora guardare Kei. Il problema è che guardalo non basta mai.

Ha dovuto resistere alla tentazione di fiondarsi dentro la palestra, interrompere la partita e, senza dare spiegazioni, senza salutare nessuno, prenderlo di peso e portarselo via. Era una cosa incredibilmente stupida, che lo avrebbe reso single in trenta secondi, ma l'avrebbe fatta. Stava per farla. C'è voluto molto, moltissimo autocontrollo. Kei nemmeno se lo immagina quanta disciplina mentale richieda questo cavolo di rapporto a distanza.

«Beh? Ti sei incantato?» gli occhi ambrati lo scrutano da dietro le lenti e si fanno seri in un attimo.

E' attento, Kei. Un'attenzione completa, tenace, orientata su tutte le frequenze, sensibile fino alle più invisibili sfumature. Non è premura, né riguardo, è una tensione profonda, totale, toccante e intima. Un modo di essere amati che produce esaltazione e crea dipendenza.

Assuefottuto, come dice Kenma.

Tetsurou allunga una mano verso il viso di Kei, ma lui si fa indietro: niente contatti in pubblico. E' una delle regole. Tetsurou si è convinto che esistano al solo scopo di essere scalzate via da lui, una a una, con tenacia e con dedizione, fino alla più completa anarchia dei sentimenti che prima o poi li travolgerà entrambi. E non vede l'ora.

«Qualcosa non va?» incalza Kei, con gli occhi socchiusi. Attenzione vivida, color oro colato, più le ombre della sera.

«Va tutto bene, Kei. Anzi, adesso va proprio benissimo.»

«E quindi perché te ne stavi al buio come un maniaco?»

Tetsurou ammicca, schioccando le labbra. «Non posso mica farmi vedere da chiunque, come se niente fosse. Sai che succede se si sparge la voce che c'è in giro il fantastico Kuroo-san, la leggenda del Nekoma?»

Arriva un'altra frustata con l'asciugamano, forte stavolta, e diretta al fianco.

«Ahia! Che ho fatto? E' colpa mia se sono famoso?»

«Sei insopportabile. Peggio di Oikawa Tooru. Vuoi prendere il suo posto, visto che è scappato?»

Tetsurou finge di pensarci un attimo e si torce all'indietro dubbioso. «Dici che il mio culo è all'altezza?»

Kei ride, gli getta l'asciugamano intorno al collo e lo trascina dentro la palestra; chiudendosi alle spalle la porta (e l'inutile resto del mondo).

E poi lo bacia, spingendolo contro quella stessa porta e realizzando una fantasia che due anni prima, per tutto il ritiro e anche dopo, aveva popolato i suoi sogni meno casti. Si svegliava in condizioni pietose, negando a se stesso di aver riconosciuto il soggetto di quel sogno.

Ora il sogno è lì, con le mani molto poeticamente posate sul suo sedere, che a dire il vero è proprio il posto migliore dove metterle. Ma non è lussuria: l'attrazione fisica ha sconfinato da tempo nel territorio inesplorato dei sentimenti assoluti ed è ancora lì che vaga ubriaca, fra un sospiro di appagamento e l'altro.

Iniziano a parlarsi sulle labbra mentre ancora si stanno baciando.

Succede sempre così, quando si rivedono: prima viene il contatto fisico, l'ansia di azzerare la distanza, di placare sulle dita e sulla lingua la fame del cuore. 

Dopo, vengono le parole. Cascate di parole in tutte le lingue del desiderio e della nostalgia, un lessico privato di dichiarazioni d'amore travestite da insolenze e provocazioni di cui solo loro comprendono veramente il senso e che li lega sempre più strettamente.

E quindi parlano e mangiano e le loro ginocchia si sfiorano nella palestra vuota, sui materassini logori dove sono seduti, circondati dai ricordi e dal chiarore tenue di una catena di lucine led, che Tetsurou si porta sempre dietro per i pic-nic improvvisati. Perché se c'è una cosa che ha capito di Kei negli ultimi due anni, è che da qualche parte, nascosta in quel metro e novantadue di insofferenza e mania di controllo, c'è un'anima romantica che lui adora nutrire. Di stupore, di gesti esagerati, di premure sopra le righe.

Adora nutrire anche il corpo.

La cena fredda che ha portato è la curiosa progenie dell'unione fra i capisaldi di un nutrizionista sportivo e i capricci di una primadonna.

Verdure cotte e crude rigorosamente colorate, riso integrale, salmone, uova sode, fettine di pane tostato ritagliate a forma di ranocchio, maionese con tutti i grassi saturi possibili, formaggio francese, cioccolatini, torta alle fragole in vasetto, di quella pasticceria di Nerima dove Kei si ferma sempre a guardare le vetrine, senza accorgersi di avere gli occhi spalancati.

Adesso, invece, si sta mordendo le labbra incerto, con le bacchette impugnate e sospese sui contenitori, in cerca del migliore criterio (estetico, sensoriale, filosofico...) per assortire il pasto. Kei non fa mai nulla per caso e Tetsurou adora anche questo.

«Ti hanno risposto per la sessione di settembre? Ce la fai per la partita?»

«Sì, l'esame è il 13, ho già preso i biglietti. I soliti posti, ormai praticamente ce li tengono da parte.»

«Mi sa che questa la perdiamo. I maledetti Jaguars sono diventati forti.»

«Eddai, Tsukki, non portare sfiga!»

«Non è questione di sfiga. Gli stronzi della prima divisione ci hanno fregato due giocatori. Non uno: due! E va a finire che siamo mosci in difesa, sia a muro che dietro.»

Tetsurou ingoia contrariato il suo boccone: è vero che i Frogs sono mosci, questa stagione. «Cazzo, che voglia di giocare che mi viene quando siamo lì. Prima o poi scendo dagli spalti, mi levo il maglione e vado a dargli una mano.»

«Leggenda del Nekoma, ti faccio notare che non ti alleni come si deve da due anni. Ti sta venendo anche la pancia... »

Gli occhi di Tetsurou scattano in basso, dove incontrano il solito, rassicurante fisico scolpito. Quando rialza lo sguardo, ottiene in premio un sorrisetto vagamente derisorio.

«Tu sei allenato. Sai cosa? Dovresti andarci tu.»

«Non dire cazzate.»

«Non è una cazzata. A muro, ora come ora, faresti meglio di Yamato-senshu.»

Kei finisce di masticare, deglutisce, beve un sorso d'acqua e intanto ci pensa.

Tetsurou lo vede che ci sta pensando sul serio: probabilmente sta confrontando le sue ultime prestazioni con quelle (un po' scadenti) del numero sette dei Frogs; senza che se ne accorga, gli sfugge un altro sorrisetto, stavolta criptico, nascosto fra gli occhi e le labbra.

Tetsurou li adora questi sorrisetti; non li conosce ancora tutti, ma li sta catalogando minuziosamente e spera di non finire mai.

«Perché non ti presenti ai provini?»

«Che provini?»

«Dei Frogs. A gennaio.»

«Lo stesso gennaio dei nazionali, dei senta e dei saggi di ammissione?»

«Stai dicendo che è solo questione di trovare il tempo?»

Kei solleva gli occhi e cerca quelli di Tetsurou, che non gli dà la soddisfazione di decifrare se si tratta di una presa in giro o meno. Forse stavolta non ne è sicuro neanche lui.

«Le tue cazzate sono estenuanti. Parliamo di cose serie: Ayumi-san è ripartita?»

«Sì, nel primo pomeriggio. Avevano il volo alle sedici.»

«Leo-chan era tranquillo?»

«Abbastanza.»

«Mandami un messaggio quando arrivano.»

«Se vedessi come usa il telefono con quei ditini cicciotti. Mi sa che te lo manda lui il messaggio.»

«E' davvero intelligente. E anche molto precoce. E ha una verbalità impressionante.»

«Impressionante è quando non si capisce un tubo di quello che dici? Perché allora anche chibi-chan ha una verbalità impressionante... »

L'espressione di disgusto di Kei è comica. «Non paragonarli neanche. Leon sta crescendo bilingue, ti rendi conto di che significa al livello neurologico? Praticamente incamera tutte le informazioni sul linguaggio nella stessa zona del cervello, senza distinzioni. Impara troppo in fretta per riuscire a capire in quale lingua sta pensando o parlando, è una sensazione... strana, la capisci solo se l'hai provata. E quando parla gli esce un miscuglio di giapponese e francese, anche qualche parola inventata metà e metà, però è piuttosto chiaro.»

E' un fiume di parole, per uno come Kei. Dentro di lui scorrono miliardi di pensieri, ma solo pochi raggiungono le labbra, spesso irriconoscibili e distorti. Solo qualche volta le dighe si alzano e le parole traboccano dagli argini; succede quando l'argomento lo fa bruciare di entusiasmo (roba tipo era giurassica, Tan Taigi, Levi Ackerman), oppure quando è rilassato, quando si sente al sicuro, quando è felice. Come adesso.

Tetsurou adora vederlo felice.

«Non solo è chiaro, ma anche logico nei ragionamenti» prosegue intanto Kei, con piglio un po' da scienziato, un po' da ammiratore.

«Quali ragionamenti? Kei: Leon ha un anno e mezzo.»

«Invece ragiona. Per questo dico che è precoce.»

«Non ragiona; sbava, sputacchia e smocciola ovunque. Se la fa addosso di continuo. Piange senza motivo nelle orecchie del nonno. E ti tiene al telefono per ore sillabando a caso... »

Kei smette di masticare e alza lo sguardo sopra le bacchette. «Sei geloso di tuo nipote, Tetsurou?»

«Parli francese più con lui che con me.»

«Tu il francese non lo sai.»

«Ma mi piace ascoltarti. Quel coso vi manipola tutti. Quando c'è lui neanche mio nonno mi considera, praticamente nelle ultime due settimane sono stato invisibile

«Hai un anno e mezzo anche tu?» Kei ridacchia, mentre manda giù un sorso di tè nero dal thermos.

«Almeno sono coerente.»

«Cioè?»

«Non me ne frega un cazzo di come lo chiamano. La vita è loro. Il figlio è loro. Io con questa gente non voglio averci niente a che fare... » La cantilena che imita l'insofferenza arrogante di Kei è perfezionata da due anni di esperienza.

«Crepa!» il fagiolino arriva dritto sul naso di Tetsurou, che se lo infila in bocca.

«Ammetti che gli vuoi bene!»

Kei sbuffa aria dal naso. Prende tempo dando un morso al pane tostato e masticandolo vistosamente. «Gli voglio bene» bofonchia poi, risoluto.

«Cazzo, ci hai messo tre secondi. Per farti dire che vuoi bene a me ci sono voluti otto mesi.»

Kei sorride di sbiego e si sistema gli occhiali. «Uno a zero per Leo-chan.»

Tetsurou sbuffa, fa la faccia offesa per finta e poi distoglie lo sguardo.

Il bacio lo sorprende mentre richiude le alette di plastica del bento. E' un bacio gentile, quelli che vengono prima della lussuria e dopo il bisogno disperato, una categoria a parte nella scala delle manifestazioni sentimentali di Kei, una delle preferite di Tetsurou, forse la più vicina all'amore.

In realtà, che Kei prenda l'iniziativa è sempre meno raro. Che si scopra, che lasci cadere le maschere succede sempre più spesso e Tetsurou si sta abituando. Tutto, di Kei, dai sorrisi taglienti, ai sospiri del cuore, fino ai marchi sulla pelle, sta diventando familiare. Ed è molto egoistica, e un po' infantile, la sensazione che prova, di voler tenere tutta quella meraviglia solo per sé, al sicuro. Dentro.


Anche il boschetto a ridosso della scuola è familiare. Almeno quanto la sensazione delle loro mani che si cercano (e si trovano), appena il buio li avvolge. A dispetto di qualsiasi abitudine, a Tetsurou vengono ancora la pelle d'oca sulle braccia e il batticuore.

«Hai sentito gli altri?» sussurra Kei, scrutando le ombre del bosco.

«Siamo arrivati insieme.»

«Come insieme? Non sei venuto in moto?»

«No, mi ha dato un passaggio in auto Akaashi.»

«E Bokuto?»

«Ci siamo visti tutti e tre a Shinagawa, Bo arrivava con il treno delle cinque e mezzo.»

«Che amico orrendo che sei. Non si vedono da un mese e tu ti metti in mezzo e praticamente fai il terzo incomodo.»

«Finalmente faccio il terzo incomodo.»

Ridono. All'idea che Bo e Keiji si siano messi insieme, cosa che è accaduta solo pochi mesi prima, nessuno si è ancora abituato, forse neppure i due diretti interessati.

«E dove sono finiti?»

«Secondo te?» Tetsurou ammicca disinvolto a un palmo dal naso di Kei, che gli spinge via la faccia con la mano aperta.

«Sei proprio uno scemo. Ma davvero tu pensi che Akaashi si metterebbe a fare sesso nei cespugli?»

«Penso che abbiano almeno tre anni di arretrati. E Bo... beh, lo sai come è fatto Bo.»

«Ma per favore! Keiji non lo farebbe mai.»

«Cosa non farei mai?» La voce pacata di Keiji li sorprende alle spalle, preceduta da un leggero fruscio. Un secondo dopo, Bokuto li travolge, scoppiettante come un fuoco d'artificio e altrettanto rumoroso. «Cosa non faremmo mai?» Per Bokuto, tutto ciò che riguarda Akaashi è diventato un gioioso plurale, che comprende anche se stesso.

«Sesso nel bosco» spiega asciutto Kei.

«Kei!» lo rimprovera Tetsurou, sghignazzando.

«Bokuto-san non voleva» risponde sereno Akaashi.

«E' scomodo» chiarisce Bokuto. «Non voglio che Keiji stia scomodo.»

Lo sguardo che Keiji scambia con Kei è di quelli che escludono gli altri due: Kei alza un sopracciglio, Keiji sorride come se avesse segnato un punto.

«A marzo Tsukki si diploma. Quindi questa è l'ultima volta che veniamo qui» osserva Bokuto, quando raggiungono la radura. La tranquillità con cui ha parlato è del tutto inedita, per lui.

«Non sei triste, Bokuto-san?» gli domanda Akaashi con una carezza.

Bokuto sorride, le stelle nei suoi occhi scintillano. «No. Per niente. Perché non ci serve più una promessa o una tradizione o un giorno segnato sul calendario per essere sicuri di vederci tutti e quattro e di volerci bene.»

E' una buona risposta, persino Kei lo pensa. Bo si merita una strizzata convulsa dal suo migliore amico e un bacio sullo zigomo dal suo fidanzato.

La radura li accoglie, profumata di mentuccia e ancora tiepida del calore del giorno. Dallo zaino di Kuroo esce la solita bottiglia di vino francese; ormai l'etichetta con il cavallo nero ha perso i suoi misteri, ma non il suo carico di significati.

Quest'anno non sono seduti in cerchio, ma disposti secondo una geometria degli affetti che delinea le due coppie e anche la complicità collettiva. Kei è disteso, con la testa e le spalle sulle gambe di Tetsorou, che appoggia la schiena a un tronco, e Bokuto seduto per terra, avvinghiato ad Akaashi con tutto il corpo e con tutto il cuore.

«Allora, gufaccio, raccontaci di questi Jackals!»

Bokuto storce le labbra e lancia lontano un sassolino. «Non c'è tantissimo da raccontare. Sono sempre bloccato in panchina... »

«Devi avere pazienza, sei lì solo da due mesi... » lo consola Akaashi.

L'anno di crisi di Bokuto, respinto in tutti i provini della prima divisione, è ancora molto vivido nella memoria di tutti loro. Come poi si sia sbloccata la faccenda, e Bo sia finito nei Jackals, è una storia da romanzo, commovente e anche divertente e assurda e un po' magica, come tutto quello che riguarda Bo.

La manata di Tetsurou sulla nuca è tutto meno che consolatoria «Bo! Che è quel muso lungo? Hai fatto un colpaccio. Li ho visti giocare, sono forti sul serio. E uno che schiaccia le pipe come te ancora non ce l'hanno.»

Bokuto si riaccende. «Sì, sono forti. E' una bella squadra, ci vanno giù duro con gli allenamenti e Meian-senshu è veramente figo.»

«E invece come se la cava Miya-san?» domanda Kei, curioso.

«Alla grande! Fa degli onigiri meravigliosi, vero 'Kaashi? Il locale è un po' piccolo, ma c'è sempre un sacco di gente... »

«L'altro Miya, Bo!» rintuzza Tetsurou, ridendo.

«Ah Tsum-tsum: beh, siamo arrivati insieme, per adesso è in panchina pure lui. E' più simpatico di quando eravamo al liceo.»

«Davvero?» Sulla simpatia di Miya Atsumu, Tsukishima ha le sue personali riserve.

«Mn mn» Bokuto annuisce avvinghiandosi ancora di più ad Akaashi. «E'... diverso. Sempre un po' matto, ma meno prepotente. E vedessi le facce che fa quando sbaglia, sembra voglia buttarsi di sotto, che non avrebbe per niente senso perché la palestra è al piano terra. Non lo so perché, ma mi viene voglia di essere gentile con lui.»

«Per me è borderline» diagnostica Kei.

«Ride troppo» obietta Akaashi impietoso.

«Maniaco depressivo, allora.»

«Però a giocare è bravo» osserva Kuroo. «Era già bravo al liceo.»

«E' diventato anche più bravo, secondo me si è allenato come un matto. Io però preferirei le alzate di Keiji» si lagna Bokuto, affondandogli il viso nel collo. «E preferirei abitare a Tokyo.»

«I rapporti a distanza sono una bella merda: benvenuto nel club» ribatte Kei, irritato, tirandogli un pugno sul ginocchio.

Akaashi risponde schiaffeggiando quella mano.

Tetsurou si abbassa a baciargli la tempia, Kei lo asseconda e neppure finge di essere infastidito. Le barriere fra loro quattro sono tutte cadute da un pezzo e lì, nell'alone bianco delle torce, al riparo dei sussurri del bosco, possono concedersi il lusso di essere soltanto se stessi.

«Ho sentito dire che Suna Rintaro ha passato il provino con i Raijin, per il rotto della cuffia» dichiara Bokuto.

Kei sgrana gli occhi. «Suna Rintaro? Lo snob dell'Inarizaki?»

Bokuto mugola un assenso, Tetsurou reagisce con un'espressione disgustata. «Con i Raijin? Ma siamo sicuri?»

«Tsum-tsum è sicurissimo. Dice che il rotto della cuffia è perché sta anche studiando.»

Tsukishima incamera quell'ultima informazione socchiudendo gli occhi e sistemandosi l'assetto delle lenti. «Può anche vincere un nobel e giocare in nazionale, ma non penso che diventerà umano finché si ostinerà a pettinarsi in quel modo.»

«A me è sempre sembrato carino» commenta Akaashi placido. Bokuto, allacciato a lui da dietro, si sporge per guardarlo con la paura dipinta negli occhi. «'Kaashi! Come carino? Carino quanto

«Neanche la metà di te. E comunque era detestabile.»

«L'Inarizaki era piena di gente tremenda» conferma Bokuto.

«Kita-san forse si salvava» concede Akaashi.

Kei alza un sopracciglio. «Peccato che non sapesse neanche a cosa stavamo giocando.»

«Serpe!» lo redarguisce Kuroo, mentre però ride. «Erano orrendi un po' tutti, davvero. Ma vi ricordate quella cosa di Miya per zittire gli spalti?» Alza il braccio e stringe il pugno di scatto, con una smorfia superba. «Gliel'avrei mozzata, quella mano!»

«Adesso non la farebbe mai una cosa così, non offenderebbe mai i suoi tifosi... » ribadisce Bokuto.

«Però continua a offendere il buon gusto con quella oscena tinta gialla. O almeno, Hinata dice che la porta ancora.»

«Sì, è sempre biondo. Ma Tsukki! Anche tu sei biondo!»

Lo sguardo di Kei è oltraggiato, si solleva bellicosamente sul gomito per rispondere: «Io sono biondo. Lui ha i capelli pitturati. Color piscio, come Kozume.»

«Ma almeno senza ricrescita» rincara pettegolo Akaashi.

«Che c'entra adesso Kenma?»

«Che ne sa Hinata dei capelli di Miya Atsumu?»

«Come sta chibi-chan?»

«Come al solito. Esaltato. Analfabeta. Innamorato di Kageyama. Vaneggia di andarsene in Brasile dopo il diploma.»

«In che senso innamorato di Kageyama?»

«In che senso in Brasile?»

«Avete sentito che a Ushiwaka è arrivata la convocazione in nazionale? Se lo portano dietro ai mondiali.»

«E bravo il robottone!»

«Maddai, era scontato.»

«Dove li fanno stavolta?»

«I mondiali? In Polonia. Fra un mese. Magari ai polacchi gli piace e se lo tengono.»

«Speriamo. E Kageyama?»

«Sua maestà è nella giovanile dall'anno scorso. Stanno solo aspettando che faccia diciott'anni.»

«Tobio-kun è un mostro.»

«Mostruosamente stupido, come sempre.»

«Sei per caso invidioso, Kei-chan?»

Così fioriscono i loro discorsi, incrociati, intrecciati e sovrapposti in un dialogo serrato a quattro che si alterna alle risate, alle smorfie, alle provocazioni, alle tenerezze, a una leggerezza che porta in alto lo spirito ed è, anche se adesso lo ignorano, il vero marchio della giovinezza.

Insieme sono liberi: possono essere sinceri, melensi, collerici, espliciti, volgari, persino crudeli, perché anche esagerare fa parte di quel legame a nodo quadruplo, solido come un cerchio di mura, dalle quali non esce mai nessun segreto. Le amicizie che durano una vita migliorano invecchiando, come i vini buoni.

Bo, però, non brinda più all'amicizia, perché non riesce a pensare di averne più di così. E nemmeno all'amore, perché, anche di quello, si sente il cuore pieno da scoppiare. Bokuto Koutarou brinda ai cambiamenti, perché ha imparato che fanno male, sono scomodi, ma rendono più forti e fanno raggiungere traguardi nuovi e bellissimi, proprio come gli allenamenti duri. Tanto le cose importanti, quelle che hanno radici profonde, resistono a tutte le tempeste. E Bokuto ormai le cose importanti se le porta scolpite nel cuore.

Keiji non brinda più alla libertà, perché ora sa che, senza Koutarou, ne aveva decisamente troppa e per anni è rimasto chiuso in una gabbia di cui aveva in mano le chiavi. Quello che ha scelto di lasciarsi alle spalle non fa più così tanto male, quello che ha di fronte ha smesso di fargli paura. Akaashi Keiji brinda al presente, al diventare adulti con le proprie forze, perché sono tutti lì su quella soglia e sente d'istinto che sarà lui stesso il primo a varcarla davvero.

Kei non brinda più agli haiku, perché ha scoperto che nella vita esistono cose altrettanto potenti e altrettanto meravigliose che si possono toccare con i sensi. Anzi, a dirla tutta, fanculo Tan Taigi: fare l'amore con Tetsu è centomila volte meglio. Tsukishima Kei brinda al coraggio che ci vuole per essere felici, perché gliene è servito parecchio per arrivare lì, ma se non lo avesse avuto sarebbe stato davvero uno stronzo. Lo ha capito, ormai, che la sua vita sarà un continuo lottare contro la tentazione di chiudersi dentro se stesso a doppia mandata (come quando si è deciso a leggere la lettera di suo padre), però ha capito anche che il coraggio si può prendere in prestito e che se hai qualcuno che ti ama con abbastanza violenza, puoi consegnare le tue debolezze alla sua forza. Per questo stanotte, con le braccia dello scemo strette intorno e il suo profumo addosso, si sente invincibile.

Per ultimo, tocca a Tetsurou, Kei gli passa la bottiglia.

Tetsu si guarda intorno e gli sembra che la vita non sia mai stata più generosa: il respiro dell'estate, le risate degli amici, il profumo del vino, le dita calde di Kei intrecciate alle proprie. Si sente fin troppo avido e si sorprende a chiedersi se davvero le meriti tutte queste immense fortune, se sia all'altezza del destino che gliele ha procurate. Non ha una risposta, ma sa per certo che farà di tutto per tenersele strette, per esserne degno, per farle durare tutto il tempo del mondo. 

Stringe più forte la mano di Kei e poi solleva la bottiglia: «A tutto quello che noi quattro abbiamo già: l'amicizia vera e l'amore della vita!»

Beve un sorso molto lungo, che sa di tutte le cose buone del mondo, meno una. Appoggiato sulle labbra di Kei, sciolto sulla sua lingua, quel sapore diventa completo. Tutto coincide e combacia. Ogni cosa nell'universo occupa esattamente il suo posto.

Dura solo un secondo, ma quel secondo è perfetto.

Quanto dura per sempre?
A volte, soltanto un secondo

Tetsurou adora le cose perfette.




 

***

NdA - A questa storia manca ancora un piccolo tassello, prima che prenda il largo e diventi invisibile dalle banchine.
Arriverà mercoledì prossimo, e sarà un modo per chiudere davvero il cerchio.

 

   
 
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