Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: drisinil    21/12/2022    1 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2 maggio 2011

Ciao Kei,

è la terza volta che ricopio questa lettera senza sapere se la leggerai.

Ho deciso di farne sei copie manoscritte e ho incaricato una persona di fiducia di consegnartele, facendo un tentativo ogni due anni. Mi aspetto che almeno le prime tre facciano una brutta fine.

Per sicurezza, poiché non mi sento di escludere che le farai a pezzi tutte quante, alla stessa persona ho lasciato anche una copia digitale e le indicazioni perché tu possa trovare la password.

Mi piace pensare che, prima o poi, in una natura analitica com'è la tua, la curiosità supererà il risentimento e il dolore che ti ho inflitto sarà solo un'ombra del passato, scalzato via, io spero, dalle felicità future.

A quel punto, forse, avrò di nuovo la mia occasione di parlarti.

Ho bisogno di crederci.

Credere è un verbo che, nella vita, ho utilizzato troppo poco; implica un tipo di convinzione radicata e incrollabile che ho sempre faticato a trovare in me stesso e, di conseguenza, a offrire agli altri. Sono un pessimo comunicatore, anche se in molti pensano il contrario. Tu invece, che sono pessimo, lo sai benissimo.

In questa stanza di ospedale spendo molto tempo a immaginarvi adulti, te e Aki.

E' un esercizio mentale che mi porta a un livello di serenità insperato, considerata la situazione. Ho scoperto che è facile fantasticare a occhi aperti, che viene naturale, che dà persino soddisfazione, con in più il vantaggio di non doversi spendere di persona, di non dover affrontare nulla. La verità è che non ci avevo mai provato a fare sforzi d'immaginazione, prima d'ora. Il che mi rende, in effetti, una persona triste, come mi hai detto tu quando avevi dieci anni.

Dieci? Così pochi? Sei sempre stato precoce. Hai anche detto meschino, nella stessa occasione, e io non trovai di meglio che complimentarmi per il tuo lessico.

La cosa triste e meschina è che, in quel momento, pensavo che l'ampiezza del tuo vocabolario fosse realmente più importante dell'opinione che avevi di tuo padre. Quella l'avresti cambiata col tempo, mi dicevo. E' la fase della ribellione, il complesso edipico, la preadolescenza. Una gran quantità di scuse, per nascondere la paura che avevo di non riuscire a mostrarti il mio affetto.

E indovina? Non ci sono riuscito.

Non ho mai avuto un vocabolario di emozioni sufficiente. Non ho mai saputo come costruirlo, le rare volte che ne ho avuto l'occasione ho pensato di passare oltre, perché c'era sempre qualcosa che sembrava più importante, più urgente.

E' paradossale che abbia tempo per rifletterci proprio adesso che il mio tempo sta scadendo. In effetti, non ho memoria di un altro periodo nella vita in cui avessi così poco da fare; anche la mia infanzia era piena di incombenze.

E invece qui dentro le ore e i minuti mi appartengono e non so più dire se siano troppo veloci o troppo lente. Troppo veloci per uno che sta morendo, troppo lente per uno che sa di stare morendo.

La verità, Kei, è che con la mia morte ho fatto pace. L'ho sentita arrivare, l'ho guardata in faccia. Ho scoperto che ha un volto gentile, che non mi fa paura.

Kei, mi fa paura la vita. Non è un'iperbole drammatica, sai che odio gli eccessi e anche di più il dramma. E' una pura constatazione: mi fa paura la vita che ho vissuto molto più della morte che ho scelto.

E forse questa è la prima delle cose di cui dobbiamo parlare.

Come si fa a non sprecare una vita?

Una volta mi hai fatto una domanda del genere. Eri piccolo: sette anni, forse otto. Mi chiedesti come si dovesse convivere con il fatto che ogni secondo che passava eravamo tutti un secondo più vicini alla nostra morte. Non era un pensiero tanatico, ma scientifico e io lo capivo. Ti risposi che il tempo è relativo: usarlo bene lo dilata, sprecarlo lo riduce.

Pessima risposta. Non so se lo pensasti anche tu, forse no, eri troppo giovane e troppo accecato dall'affetto che a quel tempo provavi per me, per mettermi in dubbio. Hai imparato poco dopo.

Ecco, Kei, questo è importante: voglio che tu sappia che io l'ho sempre apprezzata la tua coscienza critica, anche a mie spese, anche quando sei stato sgraziato, cinico o malmostoso.

Vederti lucido e critico mi ha sempre dato un'incredibile soddisfazione. Non sono mai riuscito a dirtelo, purtroppo. Sembrava che il tempismo fosse sempre sbagliato: non potevo certo applaudirti mentre mi gridavi contro e nei momenti di quiete sarebbero sembrate lodi futili e decontestualizzate, un'odiosa captatio benevolentiae.

Neppure ho saputo mai punirti, credevo (o volevo credere) che lasciare ai miei figli la libertà di giudicare da soli la propria condotta, e correggerla, fosse un atto illuminato. Invece era una banale vigliaccheria, perché - così mi ha detto chi mi ha aperto gli occhi in merito - i confini da non superare, per un figlio, diventano certezze: che qualcuno vegli su di te, che qualcuno ci tenga a guidarti, che gli importi abbastanza da tenerti al sicuro dietro un muro di regole da abbassare piano piano e un giorno da varcare.

A me importava Kei, ma costruivo mura che ci separavano, anziché tenerci al sicuro.Purtroppo non sapevo fare diversamente e quando poi mi sono deciso a imparare, il destino ha riso di me.

Sto divagando. Il tema era: come si fa a non sprecare una vita.

Se mi rifacessi oggi quella domanda, ti risponderei, Kei, che il segreto è rendere ogni secondo un per sempre. Ti ricordi quando leggevamo Alice in Wonderland?

Leggilo di nuovo. Leggilo più volte. Se un giorno avrai dei figli, leggilo anche a loro: in quel libro ci sono tante risposte ai fatti della vita che io non ho saputo darti.

Usare il tempo bene o male è un concetto sbagliato per principio, perché il tempo non si usa, Kei, il tempo si vive. E quello che rende eterno un istante è la felicità che riesci a metterci dentro.

E' molto occidentale l'idea che il tempo sia moneta. Perché è prezioso, ovviamente, e questo è vero, ma la moneta è un oggetto fisico che rappresenta un valore, una quantità finita, una merce di scambio a numerabilità discreta, il che, credimi, è riduttivo.

E' la felicità l'unica misura del tempo, la qualità che fa perdere di senso alla quantità. Non ci sono tante cose che ho capito della vita, ma questa sì: come esseri umani noi abbiamo il dovere - dobbiamo, imperativo morale - sforzarci di essere felici.

Non a spese degli altri, certamente, ma neppure coltivando l'illusione di inseguire vane perfezioni; neppure sacrificandosi a se stessi sull'altare della solitudine, chiusi in una torre troppo alta, affannandosi a cercare in tutte le cose significati nascosti, pericoli invisibili, spie di futuri dolori.

Qualche volta un sigaro è soltanto un sigaro.

Il problema è che ci vuole coraggio per chiamare le cose con il loro vero nome.

E questo, del coraggio, è il nodo di tutto. Abbi coraggio, Kei. Impara ad averlo, accompagnati con amici impavidi, concedi a te stesso di osare.

Me ne sto qui a fare il moralista da quattro soldi, il dispensatore di frasi fatte e e consigli tardivi e non riesco ad andare al sodo.

Ti meriti una spiegazione, Kei, per questo padre che non ha saputo - per superbia, dirai tu - tornare indietro e salvarsi, salvarti, parlare con te.

Perché l'ho fatto? Perché dopo aver buttato via la vita, e aver capito che ormai era sprecata, solo una cosa mi restava: la coerenza. E purtroppo, ne hai pagato tu il prezzo, perché lo scontro delle nostre ostinazioni non può che produrre ferite.

Però, Kei, voglio che tu capisca che non è stata una forma tardiva e vanitosa di eroismo, solo un cercare, disperatamente, di dare un senso a una catena di errori lunga una vita.

Non sono mai riuscito a farmi capire da voi, riesco a spiegarmi solo davanti a una lavagna, di fronte a una stanza piena di estranei; fra le quattro mura di casa mia sono più impenetrabile di una lastra di piombo.

Mi ricordo bene la tua espressione lo scorso agosto, un momento che fra noi è stato uno spartiacque e forse rappresenta il punto più basso della mia esperienza di padre. So bene che le mie azioni ti sono state incomprensibili.

Quello che volevo, che ho cercato di fare, era smettere di infliggervi pena con la mia assenza, eliminando l'aspettativa quotidiana di una presenza. Suona assurdo, forse, ma è ciò che ho sempre avuto in mente: farvi meno male, in qualche modo, e vivere tutti più sereni. In quel periodo stavo cercando di ricominciare, il che rende ancora più paradossale l'atto del divorzio.
Eppure una logica c'è e sono certo che tu possa vederla. Avevo sbagliato con tua madre in tutti i modi possibili: togliere il disturbo era l'azione più decente, darle modo di attribuire a me ogni colpa la più dignitosa.

E anche verso di voi, credevo fosse nel vostro interesse evitarvi la disfunzione sentimentale della nostra famiglia sempre davanti agli occhi. Esisteva un'incrinatura irreparabile fra me e voi tre, che minacciava l'equilibrio di tutti, ritenevo più sano farla diventare una spaccatura vera e propria e diminuire il tormento.

Quanto a me, il piano era punirmi con la solitudine che meritavo e pian piano avrei cercato, con voi figli, di ricucire gli strappi. Avrei coltivato delle doti che non avevo, avrei frequentato chi potesse insegnarmele. Avevo persino deciso di andare da uno psicologo e un consulente familiare. Pensavo che avrei potuto appoggiarmi ad Akiteru per raggiungere anche te. Pensavo di poterlo fare con calma, di avere tutto il tempo del mondo. Che sciocco.

Sotto quella muraglia di dieci metri d'acqua che c'è franata addosso due mesi fa, con lo scricchiolio dei contatori geiger nelle orecchie, di fronte all'idea concreta di vivere solo poche settimane o pochi mesi, mi sono chiesto cosa dovessi fare.

Avrebbe avuto senso, Kei, dopo avervi trascurato per anni in nome di qualcosa, rinnegalo a quel punto, buttarlo via, per voltarsi indietro? Non avrebbe dovuto essere parte integrante delle mie scelte sbagliate assumermi la responsabilità delle stesse? Non sarebbe stata solo viltà di fronte alla morte la mia fuga, anche addolcita dalla tua clemenza?

Ci ho pensato, tanto a lungo quanto mi era concesso di pensarci, e ho deciso che mi restava solo una cosa da onorare nella vita, visto che avevo calpestato tutto il resto: la coerenza.

E così ho scelto.

Nelle ultime settimane ho riesaminato la mia vita attentamente, riga per riga, come il codice di un software, in cerca delle mie anomalie. In cerca del momento in cui il legame fra noi ha superato il punto di rottura, di quello in cui la delusione che ho inflitto a tua madre l'ha fatta chiudere nel suo guscio, di quello in cui Akiteru ha deciso di sottomettersi senza domande, perché di fare altro, con me, non valeva la pena.
Una drammatica serie di fallimenti.

Che però iniziava prima.

Prima che voi nasceste, prima di sposarmi, prima di tagliare i ponti con mio padre.

Così indietro che i ricordi sono tutti sbiaditi, ma hanno ancora quel  tossico potere di illusione che me li rende cari.

Da ragazzo ero ancora capace di amare con trasporto. Mi accadde la prima volta che venni in Giappone a conoscere i miei nonni, fu sconvolgente e meraviglioso. Fatale forse, nel senso che il fato decise che lì iniziassi a sbagliare e poi proseguissi attirato dalla gravità che ciascun errore esercita sui successivi in un'indole arrogante, perché rompere la catena significa ammettere la colpa, vivere il rimpianto.

Non avevo molti anni più di quelli che hai tu, a quel tempo, e mi persuasi, perché a nessun altro posso darne la colpa, di una serie di motivazioni molto razionali per cui quel sentimento, in quella precisa situazione, era altamente indesiderabile. E lo era, secondo tutti i parametri di giudizio eccetto quello del mio cuore, molto inesperto, molto giovane, molto insicuro.

La vita, però, richiede follia. Quel momento l'avrebbe pretesa.

E forse tutto sarebbe stato diverso.

Una diversità tragica o radiosa (nessuno può dirlo), in cui non ci sareste stati tu, né Aki-chan e io non vi avrei resi infelici.

Fui, semplicemente, ordinariamente, vigliacco.

Credo che sia la vigliaccheria, Tsukishima Kei, il tratto meno nobile del sangue che hai nelle vene. Quello che reca maggiori probabilità di renderti infelice. Paradossalmente, l'intelligenza abbinata alla mancanza di coraggio non è vantaggiosa, perché tende a produrre un'infinita serie di motivazioni per giustificare qualsiasi scelta conservativa.

Le scelte conservative, molte più volte di quanto non vorremmo, nascono dalla nostra paura. Di perdere il controllo, di trovarci indifesi, di porgere il fianco a qualcuno che ci ferisca e nemmeno sospetti quanto a fondo colpisce e quanto a lungo farà male.

Il confine fra la paura e la prudenza è così sottile che per vederlo ci vuole una luce chiara di ottimismo e di fiducia che noi due non abbiamo.

Questo coraggio è la cosa che avrei dovuto insegnarti, perché la matematica l'avresti imparata da solo senza sforzo. Ma che qualifica avevo, io, per insegnarti qualcosa che non ho mai saputo?

E così ho fallito, tanto profondamente quanto profondo era il mio affetto.

Ecco, fai così, Kei: misura l'amore di tuo padre col metro del tuo risentimento, che è proporzionale ai miei errori. Vedrai che ti ho amato moltissimo.

Ti amo anche adesso, mentre il mio telefono, con il vivavoce, prova a richiamarti ogni dieci minuti, anche sapendo che non sbloccherai il mio numero.

E' questa l'evidenza lampante del mio fallimento umano, sono stato infelice, ho reso altri infelici. Ho evitato la felicità.

Tuo fratello è in collera con me, ma si è imposto di superarla, date le circostanze. E' venuto molte volte nelle ultime settimane. Non lo dice, ma si capisce che soffre molto della freddezza che c'è fra di voi, gli sembra che tu ti senta in colpa delle sue menzogne (quelle sulla pallavolo, quando era ancora al liceo), come se le tue aspettative su di lui fossero il motivo che l'ha spinto a mentire. E' molto arrogante, da parte tua, negargli il diritto a mentire per sua scelta, non trovi, Kei? La colpa è stata sua, interamente, e se lui è riuscito a perdonarsi, dovresti farlo anche tu.

Ma nuovamente, non sono preoccupato. So che Akiteru troverà il modo e il momento per riavvicinarsi e so anche che tu glielo permetterai.

Mi ha mostrato le foto delle tue partite di pallavolo, mi ha detto che ti piace, che ci tieni molto, anche se fingi il contrario. Spero che continuerai a tenerci. Che non ti ritroverai troppo presto a pensare che, se in qualcosa non puoi essere il migliore, allora non vale la pena neppure di provarci.

In realtà mi immagino che prima o poi cadrai in questa trappola o in una simile, tesa con maestria da te stesso.

Anche questa è una forma di vigliaccheria Keicchin: rifiutare il confronto sapendo la sconfitta, scegliere la strada con ovvie garanzie di successo, piuttosto che quella che va nel senso dei tuoi puri desideri.

Non porti dei freni, Kei, non rivolgere l'arma della tua intelligenza contro te stesso, meglio essere stupidi che usare male il proprio ingegno (dieci punti se riconosci la citazione). Desidera. Desidera intensamente. Desidera anche contro la logica e contro la probabilità: è il seme del coraggio che devi coltivare.

Andrà male, o anche malissimo, forse più di una volta.

Accettalo, Kei. Accetta che si possa fallire e andare avanti. Fallire e riprovare.

Spalle su cui piangere, o appoggiarti, ne hai abbastanza da lasciarmi sereno.

Tuo fratello per primo, che ti ama con una purezza e una forza che non avrei mai potuto eguagliare, neppure se mi fossi ravveduto.

Il piccolo Yama, anche. Mi guarda con occhi così ostili che non credevo che l'infanzia potesse possederne di simili. E' il riflesso del bene che ti vuole e io ne voglio a lui per questo. 

E tua madre, che, con tutti i suoi difetti ha fatto la madre meglio di quanto io abbia fatto il padre. Nei momenti difficili, anche su di lei potrai contare, anche se pensi il contrario.

E se mai avessi bisogno del consiglio di un adulto al di fuori dei tuoi legami più stretti, qualcuno che possa giudicare i fatti senza farsi influenzare, qualcuno abbastanza giovane da comprenderti e abbastanza grande da avere esperienza del mondo, la latrice di questa lettera mi ha promesso che, per quanto glielo concederai, veglierà su di te come una sorella maggiore. Non allontanarla a priori, solo per via della stima che ho per lei, concedile un giudizio più critico e più puro, sapendo che ha sofferto dolori grandi e li ha superati. E' una di quelle persone che vanno sempre avanti, gente che resiste e che resta in piedi.

Non come noi, Kei. Noi soccombiamo a noi stessi. Per questo, quelli come noi hanno bisogno di quelli loro e non viceversa. Riconoscere questa verità è un atto di umiltà che forse richiederà parecchi anni, ma confido che un giorno ci arriverai. 

Adesso chiudo questa lettera, è già troppo lunga, le cose importanti non hanno mai bisogno di molte parole.

Prima, però, qualcosa che avrebbe dovuto essere nelle righe iniziali: Keicchin, scusami.

Ti chiedo umilmente scusa per tutte le mancanze che mi hai sempre attribuito, per i dolori che ho procurato, per le azioni a cui ti ho costretto e che ti ha fatto male compiere. Quasi tutte le accuse che mi hai rivolto negli anni le ho meritate.

Perdonami, se vuoi, o non farlo, purché non ti porti addosso sensi di colpa, né rimorsi per me.

Le nostre strade a un certo punto si sono separate e questa lettera porta a zero il bilancio: niente colpe, niente obblighi. Per come eravamo disposti, non esisteva alcuna possibilità che i nostri percorsi tornassero a incrociarsi, almeno nel breve termine. Era inevitabile, Kei. E bisogna accettare anche l'inevitabile, senza per forza caricarselo sull'anima.

Liberati dai pesi, figlio mio, sei troppo sottile per portarli.

Nuota sempre verso l'alto, è forse l'unica cosa che ti ho insegnato bene.

Vivi. Cerca la tua felicità, qualsiasi forma abbia, e dalle valore.

Ti voglio bene.

Scusami.

Tuo padre
 

P.S. Il tuo carnotauro mi ha fatto buona compagnia in questi mesi, è un tipo silenzioso e simpatico. Quando non ci sarò più, vorrei che tornasse al suo legittimo proprietario. Aki ha promesso di impegnarsi per convincerti a riprendertelo, spero che ci sia riuscito.


 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: drisinil