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Autore: Stillathogwarts    23/12/2022    2 recensioni
Tre anni dopo la guerra, Draco Malfoy fa il sogno più strano della sua vita, il quale gli darà la spinta necessaria a risollevare le sue sorti e riprendere in mano le redini del suo futuro.
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Una piccola rivisitazione del famoso classico di Natale "A Christmas Carol" di Charles Dickens, a tema Dramione, con una morale del tutto diversa che darà una lezione importantissima a Draco, aiutandolo a comprendere cosa desidera veramente dal suo futuro.
- SHORT STORY (Prologo, 6 CAPITOLI, Epilogo)
- DRAMIONE + ACCENNI DRASTORIA
- POV DRACO MALFOY
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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A Christmas Carol
 





PARTE 2

The Ghost of Christmas Present
 







Apro gli occhi e sbadiglio a fondo, sgranchendomi le braccia.
«Ciao Draco.»
Sobbalzo e scatto a sedere.
«Astoria
Lei mi sorride, quel sorriso luminoso che mi ha colpito subito quella notte di due anni fa e per poco non dimentico che la sua presenza nella mia camera da letto è del tutto fuori luogo.
Lei è una donna sposata e io non sono quel tipo di uomo! Che diavolo ci fa nella mia stanza? Al Manor in generale? Che accidenti ho fatto ieri sera?
«Cosa ci fai qui?» chiedo confuso, stendendo un braccio per cercare la mia bacchetta e appellare degli abiti, ma poi realizzo che, come nel risveglio precedente, anche questa volta sono già vestito.
Strano.
«Crabbe non ti ha detto che stavo arrivando?»
Apro la bocca e la richiudo subito dopo.
Sta parlando di quell’assurdo sogno che ho fatto la scorsa notte?
«Non capisco», dico, chiedendomi se non debba stare al gioco. «Mi ha parlato di un altro fantasma.»
Lei sorride mestamente. «Già, eccomi qui.»
«Ma tu sei viva!», obietto, corrugando la fronte. «Come puoi essere un fantasma?»
Astoria non risponde e tutto a un tratto noto la semitrasparenza della sua figura.
«Oh», sussurro spiazzato e dispiaciuto.
«Sono morta questa notte, Draco» mi informa sottovoce, dopo una breve pausa di silenzio drammatico. «Giusto in tempo per essere qui per te.»
D’accordo, questo è solo un sogno, ma non fa che diventare più cupo e assurdo minuto dopo minuto.
Perché non riesco a svegliarmi?
«Non ho mai rinunciato all’idea di aiutarti», aggiunge ancora. «Non ho mai smesso di credere in te. Se riesco nella mia missione stanotte, avrò fatto un’ultima cosa buona prima di lasciare questo mondo.»
«Non puoi essere morta», mormoro con voce spezzata. «Non sei appena diventata madre?»
Astoria sorride triste. «Temo che la gravidanza abbia accelerato l’azione di una brutta maledizione del sangue che mi affliggeva» mi racconta. «Pare non ti sia andata poi così male, rinunciando a me. Avremmo avuto solo due anni insieme e forse ti avrei lasciato un vuoto più grande di quello che sarei riuscita a colmare standoti a fianco per un tempo così breve.»
Non riesco a guardarla in faccia. «Mi dispiace», è tutto ciò che lascia la mia bocca. La tristezza mi attanaglia lo stomaco e la gola.
«Altre persone racconteranno di me a mio figlio», risponde, rassegnata. «Spero che sapere come ho condotto gli anni finali della mia vita, lo porti sulla giusta strada.»
Annuisco, perché davvero non saprei cos’altro dirle.
«E spero di aiutarti a scegliere il vicolo giusto dove svoltare nella tua di vita, Draco.»
Mi tende la mano e io la guardo titubante.
«Vieni con me?»
La mia mano si muove in automatico, come se il mio corpo avesse preso il sopravvento e stesse agendo di sua spontanea volontà, e la afferra.

 

 
Il viaggio con Astoria è più piacevole dell’esperienza con Crabbe, ma non vuol dire che sia semplice. La nausea all’atterraggio è violenta come quella che ho sperimentato nel precedente sogno. Sempre che si tratti effettivamente di sogni.
Ed io che pensavo di non essere ubriaco fradicio, prima di mettermi a letto!
«Cosa mi aspetta questa volta?» le chiedo rassegnato. «Il ricordo di altro dolore?»
Astoria mi sorride dolcemente. «Io ti mostro il presente, Draco.»
È l’unica cosa che dice prima di iniziare a camminare; svolazza accanto a me con lentezza studiata, mi guida tra le vie di una cittadina che non conosco.
«Questa», rivela, «è Godric’s Hollow.»
Il nome mi è familiare; il villaggio magico di Godric Grifondoro… quello in cui è nato Potter e dove i suoi genitori hanno perso la vita.
«Non starai mica per mostrarmi il solo felice Natale che i Potter hanno avuto la possibilità di vivere prima che Tu-Sai-Chi li uccidesse, vero?»
Non sono sicuro di poterlo reggere.
Sono certo che nell’unico anno che Potter ha potuto vivere con i suoi genitori, sia stato profondamente amato; non voglio avere un termine di paragone che mi porterà inevitabilmente a odiare ancora di più il rapporto che io ho con i miei genitori.
Aver fatto questo pensiero mi fa sentire un po’ un verme. Come posso invidiargli un solo Natale felice, che probabilmente neanche ricorda? I suoi genitori sono morti! Non li ha mai conosciuti veramente!
«Come ti ho detto, Draco» ripete pazientemente Astoria, «io ti mostro il presente.»
C’è una villetta innevata poco prima del confine del villaggio; è grande, ma umile e accogliente, addobbata a puntino di decorazioni natalizie, le finestre illuminate da una luce calda.
Ci avviciniamo, spiamo dalla finestra.
È casa di Potter, nel presente.
«Non preoccuparti», mi tranquillizza Astoria. «Non possono vederci.»
Osservo la combriccola riunita nel salotto di casa Potter.
Ginevra Weasley ride con un bicchiere di vino elfico in mano, ha le guance arrossate; Potter le ha circondato le spalle con un braccio e la stringe a sé.
Ronald Weasley siede sul divano di fronte a loro e stringe la mano della sua compagna, Padma Patil. E poi Bill e Fleur Weasley che cantano un’allegra canzone natalizia, mentre George fa facce strane per far ridere il piccolo Teddy, che con il suo potere da Metamorfomagus lo batte a mani basse.
Una figura composta ed elegante attira la mia attenzione; il suo volto è dolce, ma terribilmente familiare: dalla somiglianza con Bellatrix Lestrange, e vagamente anche con mia madre, capisco che quella è Andromeda Tonks, mia zia, quella che non ho mai avuto il piacere di conoscere.
Sono quasi tentato di bussare alla porta, ma poi rammento che non sono veramente qui, in realtà.
«Perché mi fai vedere questo?»
È un’altra tortura, dopotutto, esattamente come mi aspettavo.
Questa volta, mi viene mostrato ciò che avrei voluto, ma che non ho mai potuto avere, per mia scelta inconsapevole o perché i miei genitori ci hanno messo lo zampino.
«È per mostrarti il vero spirito del Natale, Draco.»
Grugnisco spontaneamente. «Per quelli come me, il Natale è solo benzina sul fuoco della sofferenza, Astoria.»
La mia voce è più dura di quanto intendessi, ma è la verità: per chi è solo, il Natale non è altro che dolore e mancanza, freddezza disarmante.
Riporto lo sguardo sulla scenetta amorevole all’interno della casa; cerco di immaginare un contesto in cui avrei potuto avere un posto lì con loro, ma non riesco a farmi venire niente in mente.
Non sono mai stato destinato a niente del genere, qualcosa di così puro non è mai stato nelle carte, per me.
Poi, all’improvviso, individuo la nota stonata in quel quadretto altrimenti armonioso. «Dov’è la Granger?»
Mi sembra strano che non sia con loro.
Astoria mi sorride triste. «Credi di essere tu la persona più sfortunata, Draco?» mi chiede, poi mi tende nuovamente la mano. «Vieni con me, abbiamo un po’ di tappe da fare prima che il nostro tempo insieme giunga al termine.»
Deglutisco e afferro la sua mano, consapevole di stare nuovamente per sperimentare quel pazzo tipo di viaggio che i fantasmi sembrano adorare.
«Non potremmo, che ne so, Smaterializzarci?» le domando, trattenendo a stento i conati di vomito, una volta atterrati su un vasto campo imbiancato dalla neve.
Noto delle luci poco distanti, forse una piccola casa.
La Tana, credo.
«Sono un fantasma», mi ricorda lei, sghignazzando. «Fare magie non è più nelle mie capacità e non posso Smaterializzarmi congiuntamente.»
Annuisco distrattamente. Era ovvio, a dire il vero, ma non so quanto ancora posso viaggiare in quel modo senza vomitare sulle mie costosissime scarpe.
«Forza, questa sarà una breve fermata.»
Non so perché Astoria voglia mostrarmi come Molly e Arthur Weasley stanno trascorrendo il Natale, ma ciò che vedo mi colpisce con violenza alla bocca dello stomaco.
«Perché non sono con gli altri?» chiedo esitante.
«Perché Molly e Arthur piangono ancora il figlio perso in battaglia», mi spiega pazientemente Astoria. «Il lutto non è così facile da superare, specie quando coinvolge una persona che era così giovane, piena di vita e di luce, come Fred Weasley.»
Essere testimone inosservato del dolore dei Weasley è disturbante su molti livelli e senza dubbio scatena nella mia mente una miriade di riflessioni.
Li ho mai visti per come sono veramente?
Forse, ammetto finalmente a me stesso, sì.
E ancor più duramente, riconosco che il mio odio nei loro confronti non ha mai avuto a che fare con il loro essere “traditori del proprio sangue” o con la loro scarsa liquidità di denaro, no; ne invidiavo l’unità, il legame familiare che condividevano.
La famiglia è sempre stata la cosa più importante, per me, sapete? E ho sempre agito di conseguenza. Ma cosa fai quando realizzi che la tua, la stessa famiglia per cui eri disposto a sacrificare la tua vita pur di tenerla al sicuro, non meritava assolutamente niente da parte tua?
«Come vedi, anche nel dolore, l’amore può portare un po’ di conforto», mi dice Astoria. «E so che pensi che per te sia troppo tardi, ma non lo è. Sei vivo, Draco. Non puoi tornare indietro, ma puoi andare avanti.»
«Sto andando avanti» ribatto, ma so che non è propriamente vero.
«No, tu stai esistendo», mi corregge. «Ma non stai vivendo. Ti sei bloccato in un limbo, una sorta di via di mezzo che non ti conduce da nessuna parte. E non sei l’unico in questa situazione.»
Afferro di nuovo la sua mano e la seguo a malincuore.
Questo sogno mi sta facendo così male che forse avrei preferito rivedere l’enorme serpente di Voi-Sapete-Chi; almeno, in quel caso, mi sarei risvegliato subito, urlando dal terrore.
Questa volta, non posso fare altro se non proseguire.
Non ho la più pallida idea di dove mi trovi, quando atterriamo per la terza volta. Non credo di essere ancora nel Regno Unito, la struttura delle ville e delle case... tutto è troppo diverso e inusuale per essere ancora a casa.
«Dove siamo?» domando perplesso.
«Siamo a Ottawa», risponde lei. «In Canada.»
«E cosa ci facciamo in Canada?» indago ancora, sempre più confuso, ma non c’è alcun bisogno che Astoria risponda a quel quesito.
La vedo quasi subito, una figura seduta su una panchina; è disillusa, ma l’effetto dell’incantesimo deve starsi indebolendo, perché riesco a individuarla con facilità.
All’improvviso mi è chiaro perché la Granger non era a casa Potter insieme agli altri, prima. Lei è qui.
«Cosa ci fa la Granger in Canada?»
Se ne sta seduta, da sola, le guance rigate di lacrime e il dolore nello sguardo; fissa la finestra di una piccola casa, addobbata, ancora una volta, a puntino.
Un uomo e una donna stanno cenando insieme, si sorridono con affetto.
Lo stesso tipo di affetto che posso scorgere nell’espressione della Granger mentre li guarda.
«Sono i suoi genitori», mi spiega Astoria. «Ha dovuto obliviarli durante la guerra, per proteggerli. Non ricordano di avere una figlia, non sanno chi sono veramente.»
Mi volto di scatto verso di lei, la mascella a terra e gli occhi sbarrati. «La Granger si è rimossa dalla loro vita?»
Il fantasma annuisce, triste. «E poi ha mandati in Australia per tenerli alla larga dalla guerra. Li ha persi di vista per un anno o due, perché si sono trasferiti qui e lei li ha dovuti cercare.»
Guardo la Granger e un intenso moto di dispiacere per lei si leva dentro di me
«Non è mai riuscita a invertire l’incantesimo. Ovviamente, l’Oblivion non ha rimedio» prosegue Astoria, «Ma ogni anno, ogni Vigilia di Natale, Hermione viene qui e li osserva dalla finestra. Credo che lo faccia per sentirsi più vicino a loro in questo giorno che tutti dovrebbero trascorrere con i propri cari.»
Una strana sensazione mi attanaglia lo stomaco; è dispiacere, misto a senso di colpa. Io ero dal lato di quelli che hanno costretto tante persone a misure così drastiche, ero parte del problema; se la Granger si trova in questa situazione, se soffre così tanto, è anche colpa mia.
«Non eri tu a dar loro la caccia», mi tranquillizza Astoria, come se potesse leggermi nel pensiero. «Non addossarti anche questa colpa.»
«Ma lei… io…» le parole mi muoiono in gola e il mio avambraccio sinistro sembra pesare più del solito, come non pesava da tempo ormai.
«Dimmi, Draco, credi ancora che il Natale renda un po’ triste solo te?»
«Non mi rende un po’ triste» la contraddico io, sbuffando. «Mi rende inesorabilmente triste. Loro hanno un po’ di amore nella loro vita a bilanciare la sofferenza. Io sono solo.»
«E di chi è la colpa, Draco?»
La guardo cercando di scorgere l’accusa nel suo sguardo, ma non ve n’è neanche l’ombra.
«Scegli tu di restare rintanato tra le mura del Manor ogni giorno», prosegue lei. «Sei tu che ti punisci con la solitudine, non ti è stata imposta da nessuno.»
«Credi veramente che esista qualcuno che mi vorrebbe attorno?» soffio irritato. «Sono un reietto da entrambi i lati della società magica!»
«Io volevo starti vicino», mi zittisce. «Tu non me lo hai permesso. E non provando a ricercare altri rapporti umani, Draco, stai decidendo di isolarti. Stai togliendo alle altre persone la possibilità di scegliere se darti la loro amicizia o meno.»
Ahia, tasto dolente.
L’argomento “libertà di scelta” è molto delicato per me, dato che non ho mai avuto modo di farne una autonomamente.
O forse, è proprio quello che Astoria sta cercando di dirmi: appena ho potuto fare da me, ho scelto male. Forse ormai è un vizio, ma mi è chiaro cosa intende: sto scegliendo io di restare solo ed è, ancora una volta, un errore. Magari, provando a relazionarmi con gli altri sarei comunque solo, ma non così solo, non so se mi spiego. Deglutisco.
Quando Astoria mi tende nuovamente la mano, so già cosa devo fare. A questo punto, il volo è quasi piacevole. Il gelo di dicembre non sembra così problematico dopo aver assistito al dolore della Granger. Credo che sia la persona verso cui i miei sensi di colpa sono più intensi, dato che è quella che ho ferito di più. Quella con cui ho sbagliato di più. Il modo in cui l’ho trattata a Hogwarts, l’essere rimasto a guardare mentre Bellatrix la torturava in casa mia…
Hermione Granger è senza dubbio la persona a cui più mi interesso ultimamente, il nome che ricerco assiduamente tra le pagine della Gazzetta del Profeta; ho lo strano bisogno di accertarmi che stia bene, l’impulso di fare qualcosa per garantire il suo benessere, in caso contrario.
Non so da cosa nasca, esattamente, ma inizio a pensare che se desidero davvero perdonare me stesso, se voglio avere veramente la possibilità di farlo, un giorno, devo prima trovare il modo di ottenere il suo di perdono. Mi rendo conto che non ha importanza nemmeno ricevere l’assoluzione da parte di Potter, in confronto a quanto sento di dovermi sdebitare con lei.
La tenuta che mi appare di fronte, questa volta, la conosco bene.
«Villa Zabini?» esordisco, confuso. «Cosa ci facciamo qui?»
«Guarda tu stesso.»
Mi solleva leggermente per aria, in modo che possa vedere attraverso la finestra del salotto.
Pansy Parkinson siede sul divano, accanto a Blaise Zabini, ha il capo poggiato sul suo petto e un’espressione rilassata sul volto. Ha un anello di fidanzamento scintillante al dito.
«Sembra che abbia trovato la sua vera metà» commenta Astoria, studiandomi con la coda dell’occhio. «Sembra felice.»
La consapevolezza della trovata serenità romantica della mia ex non mi scalfisce minimamente. Non ha alcun effetto su di me. Il tempo in cui mi importava di Pansy è andato, ormai; sembra quasi un’altra vita.
«Facile esserlo, se vivi nell’ignoranza», ribatto caustico. «Non è quello che anche noi due abbiamo fatto a lungo?»
Il fantasma annuisce debolmente. «Non ha mai capito di aver sbagliato.»
«E non si è mai pentita delle sue azioni», aggiungo io. «Non ha mai compreso, né appoggiato, il mio cambiamento.»
Astoria si volta verso di me e mi sorride. «Non era quella giusta per te», mormora. «Tirava fuori solo il peggio di te. Ma se lei può essere felice, Draco, puoi esserlo anche tu.»
Le scocco un’occhiata scettica.
«Hai molta potenzialità inespressa, sai?» mi dice. «È quello che mi ha attirato in te. Qualcosa di nascosto, molto bene devo riconoscertelo, dentro di te che urla desiderio di migliorarsi. Non hai un animo malvagio.»
«Credo che il resto della popolazione magica dissentirebbe.»
«È davvero così rilevante, quello che pensa la gente?» mi domanda. «Non sarebbe meglio focalizzarsi su quello che pensano poche persone, ma giuste?»
«Chi sarebbe disposto a darmi un’occasione per dare prova di me stesso?» le chiedo esasperato. «Non c’è anima viva che mi reputi degno di una seconda possibilità!»
Mi rendo conto di quello che ho detto, così le porgo delle scuse farfugliate, a disagio, ma lei non sembra turbata dalla mia inopportuna e accidentale scelta di parole.
«Potter ti reputa degno di una possibilità», mi fa notare, invece. «Ha contribuito a farti scagionare o sbaglio?»
Non rispondo, perché non so cosa pensare in merito.
Non ho mai capito perché lo abbia fatto veramente.
«Probabilmente stava solo cercando di sdebitarsi con mia madre o qualcosa del genere.»
«La Granger ti perdonerebbe se le chiedessi scusa», riprova ancora e io deglutisco senza guardarla. «Perché sei cambiato Draco e chiunque ti abbia conosciuto a scuola, se ne accorgerebbe subito.»
Resto in silenzio per due, lunghi, istanti, poi glielo chiedo. «Voi fantasmi potete leggermi nella mente?»
«Non essere sciocco», mi ammonisce giocosamente. «Sei anche un Occlumante provetto. Nessuno riuscirebbe a oltrepassare quella barriera che tieni su così ostinatamente, Draco Malfoy.»
Mi riporta a terra subito dopo e poi sospira gravemente, abbozza un timido sorriso.
«Temo che il mio tempo stia per scadere», rivela con voce sommessa. «Ti dispiace se facciamo un’ultima tappa?»
Scuoto il capo, tanto ormai sono familiare con la questione.
So già in partenza che assisterò ad altro dolore; non fa che peggiorare, tappa dopo tappa, e ogni volta, sembro lasciare un pezzetto di me indietro.
Non appena atterriamo davanti all’ingresso di Villa Pucey, ne ho la conferma definitiva.
Questa volta, Astoria apre la porta e io la seguo in quella che è stata la sua casa fino a quel momento. Mi guida su per una lunga rampa di scale e poi svolta verso la zona notte.
Non se devo continuare ad accompagnarla.
«Puoi fare tu una cosa per me?» mi domanda debolmente. «Puoi restare con me, questa volta?»
Capisco che Astoria mi sta dando l’opportunità di correggere un mio errore passato, l’occasione finale di fare la cosa giusta per lei; quando ci siamo conosciuti, non ho voluto restare al suo fianco, intraprendere con lei il sentiero alla ricerca della pace interiore che non reputavo possibile raggiungere in prima persona e di cui non volevo privare lei.
Ora, però, posso farlo; posso esserci per lei e ripagarla per la speranza che ha acceso in me, la speranza di un futuro migliore.
Annuisco e la prendo per mano.
Come funziona questa cosa? Perché la mia mano non attraversa semplicemente quella dei fantasmi che mi portano scorrazzando in giro per il tempo e per lo spazio?
Tutto sembra avvalorare la mia tesi iniziale: sto solo sognando.
Un assurdo, bizzarro, sogno elaborato da una mente offuscata dall’alcol.
Non c’è altra spiegazione, ma la seguo ugualmente.
Pucey è seduto su una poltrona con il volto tra le mani. Piange, singhiozza disperato e ogni tanto il nome di Astoria scivola dalle sue labbra, supplichevole, ma al contempo consapevole che lei non tornerà mai da lui.
La scena mi spezza il cuore.
C’è il piccolo di pochi mesi che dorme incurante nella culla accanto al letto matrimoniale, troppo grande ora per Adrian. Quel bambino dall’espressione serena che non ha la minima idea di ciò che sta accadendo, che è completamente ignaro del fatto che vivrà la sua intera vita senza conoscere la madre.
Adrian si getta sul pavimento, si tira i capelli.
È disperato, non c’è altra parola per descriverlo.
Se lo avesse visto, Lucius lo avrebbe definito un debole; io sto sempre ben attento a non farmi scoprire da lui, quando piango. Lo faccio da quando ero piccolo, ho imparato la mia lezione in merito.
Astoria tira su col naso, gli si avvicina e prova ad accarezzargli il volto, ma non succede niente; la sua mano lo trapassa e basta.
Penso che non sia giusto: io posso toccarla, ma Adrian ha più bisogno di quel tocco di me.
Il fantasma torna al mio fianco e mi guarda con gli occhi colmi di lacrime.
Mi chiedo se possa piangere.
«Sai, forse hai fatto bene a rifiutarmi», mormora. «Altrimenti avresti potuto essere tu, quello intento a piangere per la mia scomparsa, ora.»
Non rispondo.
Per soffrire così tanto, bisogna aver amato altrettanto intensamente.
Io non so se ne sono capace.
Quando ritrovo il coraggio di incrociare il suo sguardo, lei sorride tristemente.
«Esatto, Draco» dice. «Vorrebbe dire che avresti conosciuto l’amore e credimi, viverlo vale quel dolore.»
Fa una pausa, cerca di lasciare un bacio sulla fronte del figlio in fasce, ma anche questa volta non accade niente.
Mi viene voglia di piangere.
È così doloroso ed io sono solo uno spettatore esterno.
Non oso pensare all’entità della sofferenza di Adrian in questo momento.
«So che desideri amore, Draco. Te lo leggo nello sguardo. L’ho visto nel tuo sguardo fin dal primo momento. Vuoi amare e vuoi essere amato. È una delle cose che nascondi bene, ma non puoi celare ciò che provi a qualcuno che è come te.»
«Non sei mai stata come me», le rispondo. «Io sono macchiato dall’oscurità in maniera irreparabile. Tu sei buona e non hai mai commesso azioni crudeli quanto le mie.»
Astoria sospira, dà un ultimo sguardo alla sua famiglia, poi inizia a ripercorrere la strada da cui siamo venuti e mi affretto a seguirla.
Non voglio più osservare quel dolore lancinante.
«La persona giusta per te è lì fuori, Draco» mormora il fantasma, risoluto. «E sono sicura che quella persona darà più importanza a chi sei oggi di quello che sei stato in passato. Ma devi essere coraggioso. Devi trovare la forza di rischiare, di aprirti all’amore.»
«La rovinerei», mormoro con voce spezzata. «La gente si fa male, quando è vicino a me.»
Astoria fa una pausa, poi corruga la fronte. «Buffo» commenta. «Potter diceva la stessa cosa.»
Dischiudo le labbra e un attimo dopo sono di nuovo in volo verso il Manor.
«Devi proprio andare?» le domando supplichevole non appena mi ritrovo nella mia stanza.
Non voglio dirle addio, so già che quella è l’ultima volta che la vedo.
È difficile da accettare. La prima persona che è riuscita a farmi sentire qualcosa di positivo, qualsiasi cosa fosse, è già andata, fuori dalla mia vita.
Mi sorride mesta, ma annuisce. «Questo non è più il mondo a cui appartengo, Draco. Ma è il tuo mondo e spero che lo sia per molto altro tempo», confessa. «Hai ancora molto da dare.»
Volta lo sguardo verso la finestra, fa un passo, ma prima di spiccare nuovamente il volo, si volta di nuovo a guardarmi.
«Sai, vorrei aver avuto più Natali con i miei cari» rivela sommessamente, «e un giorno, tu potresti desiderare di averne avuto almeno uno.»
Deglutisco, perché in realtà lo desidero da una vita.
Un Natale felice, sereno, circondato da calore e affetto.
Un tipo di contesto che non è mai stato presente nella mia vita, che i miei genitori non sarebbero mai stati in grado di darmi.
Persino Pansy e Blaise, nel loro piccolo e freddo Natale, avevano un po’ di calore.
Io sono e sono sempre stato circondato solo dal freddo.
«Non chiuderti in te stesso» mormora ancora, «ti farai solo del male, ti priverai di tutte le cose belle della vita e non potrai incolpare nessun altro, se non te stesso.»
Stringo il labro inferiore tra le labbra. Perché mi è così difficile ricorrere all’Occlumanzia in questo momento?
È davvero colpa mia la solitudine che mi circonda? Deriva davvero da un mio sbaglio recente e non da quelli del mio passato?
«Riflettici, Draco», mi incoraggia Astoria. «Ma se ti renderai conto che ho ragione, promettimi che farai qualcosa. Che troverai il coraggio di agire. Fammi andar via con la speranza di averti aiutato, alla fine.»
La guardo sbattendo le palpebre per un paio di secondi, poi annuisco.
L’ultimo sorriso che mi regala, lo ricorderò per sempre.
«Buon Natale, Draco Malfoy» mi dice. «Spero che questo sia l’ultimo che trascorri in una triste solitudine.»
E un attimo dopo, è come se Astoria non fosse mai stata lì.
Mi trascino nuovamente sul letto, mi disfo dei miei vestiti e mi rintano sotto le coperte.
A un certo punto, forse dopo ore trascorse a fissare il soffitto sentendomi indescrivibilmente spento e vuoto, Morfeo mi chiama finalmente a sé.

 
   
 
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