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Autore: nephaelibatha    23/12/2022    0 recensioni
Tutti nel Mondo Magico conoscono i Black. Forza; onore; lealtà: queste sono le caratteristiche che hanno scritto la storia centenaria della famiglia, il cui destino sembra quello di continuare a prosperare nella purezza di generazione in generazione. Ma quando una terribile tragedia colpisce la famiglia, sta alla minore delle sorelle, Narcissa, con l'aiuto di un vecchio amico di famiglia, impedire che un oscuro segreto offuschi lo splendore della stella dei Black.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton | Coppie: Lucius/Narcissa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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9. Pirati e segreti
 

La superficie scura del Lago Nero brillava come uno specchio di diamanti neri sotto i raggi caldi del sole di metà mattina. Quello era il momento perfetto per godersi qualche ora all’aperto a lasciarsi cullare dai primi, timidissimi accenni di brezza primaverile, e difatti gran parte degli studenti ne avevano approfittato, sparpagliandosi sulla distesa verde brillante del prato di Hogwarts in attesa dell’ora di pranzo. Solo un ragazzo se ne stava in disparte, seduto all’ombra di un grande cedro con cui condivideva una secolare solitudine. Teneva un libro aperto sulle ginocchia, ma il suo sguardo veniva catturato, a intervalli regolari, da una scena in atto qualche metro più avanti. Poche cose al mondo erano in grado di stupire Severus Piton, e la chioma rosso fuoco di Lily Evans che ondeggiava al ritmo delle sue risate rientrava tra queste. Era in compagnia di un paio di amiche, ma Severus sapeva che ben presto si sarebbe aggiunta a loro una presenza sgradita: James Potter, il ragazzo più insignificante dell’intera scuola. Negli ultimi tempi aveva preso l’abitudine di seguirla ovunque, e a lei non sembrava dispiacere. Non era sempre stato così; c’era stato un tempo, un tempo dolorosamente lontano, dai confini dorati, in cui Lily condivideva il suo stesso disprezzo per Potter. Non che questi, dal canto suo, avesse mai dimostrato interesse per Lily. Severus era stato il primo a notarla, sia nel privato che a scuola, ed era stato anche il primo a conquistarsi l’amicizia e la stima della piccola Evans. Fino all’anno scorso, quando il sogno si era spento. Dal giorno della loro lite non c’era stato nemmeno un attimo in cui Severus non si fosse pentito di ciò che le aveva detto, ma aveva imparato a sue spese che le scuse sono come i desideri: non basta serbarle nel cuore per vederle attecchire. Aveva perso Lily, e questo sembrava aver automaticamente attirato Potter nella sua direzione. Non sapeva di preciso a che livello fosse giunto il loro rapporto: amicizia, interesse amoroso, una storiella adolescenziale? Non sapeva nemmeno quand’è che tutto era cominciato. Perciò li osservava, per capire; e più osservava, più non riusciva a comprendere cosa ci potesse trovare una persona viva e ardente come Lily in un ragazzo tanto arido come Potter. Severus osservava, osservava ogni cosa, incapace di rassegnarsi ma del tutto impotente di fronte alla sua stessa rabbia. Il dolore però era una benedizione. Da quando Lily se n’era andata, al posto del suo cuore si era creata una voragine grande abbastanza da potercisi sporgere ma non al punto da precipitarvi dentro. Soffrire era meglio che restarsene lì, con la coscienza penzoloni sul bordo del precipizio. La sofferenza, anche se in modo crudele e contorto, lo avvicinava a Lily.
Fu così che lo trovò Lucius: con lo sguardo malinconico di un pirata costretto alla detenzione della terraferma.
«Buongiorno, Severus» lo salutò in tono cordiale, rivolgendogli un sorriso carico di affetto. Lucius non sapeva di Lily; non lo sapeva nessuno, in effetti. Da buon pirata, Severus aveva sigillato quel tesoro in fondo agli abissi del suo cuore da tempo immemore.
«Buongiorno, Lucius». Un soffio di vento avrebbe fatto più rumore della voce di Severus.
Dopo aver superato i convenevoli, Lucius gli mostrò le carte trafugate a Carrson.
«Avrei bisogno che esaminassi questo documento. Le macchie che vedi sono state aggiunte con la magia, voglio sapere cosa c’è scritto sotto».
Mentre Lucius spiegava, Severus aveva già posato gli occhi sul foglio con cupa curiosità.
«Come mai Narcissa non è con te stavolta?» Mentre gli porgeva quell’interrogativo, lo sguardo gli scivolò in fondo al foglio. Severus era un buon osservatore; anche per questo Lucius si era affidato prevalentemente a lui per questioni del genere, e finora aveva sempre funzionato. Ma in quel momento, per la prima volta da quando si conoscevano, Lucius si ritrovò a sperare che la scrupolosità dell’amico non intralciasse con i suoi piani.
«Aveva da fare» rispose indirizzandogli un sorriso sbrigativo. Gli occhi di Severus tuttavia restarono fissi in quelli dell’amico con pungente insistenza.
«Lei non sa che sei qui, vero?»
«Da quando in qua ti servono spiegazioni per farmi un favore?»
Per niente turbato dal nervosismo dell’amico, Severus rigirò il foglio verso di lui, l’indice puntato laconicamente sulla firma di Cygnus Black.
«Mi servono se il favore che devo farti non riguarda te» mormorò calmo, il pallore del viso accentuato dal chiarore dei raggi di sole che baciava entrambi. A quel punto Lucius si vide costretto a mollare la presa per primo. Pensare di battere Severus sul campo dell’ostinazione era come illudersi di poter sfidare un campione di scacchi aggrappandosi alla fortuna del principiante; oltre che faticoso, sarebbe stato anche sciocco.
«No, Narcissa non sa che sono qui, ma sa che ti avrei contattato. C’è qualcosa che non mi quadra in questa storia e forse con il tuo aiuto posso scoprirlo».
A quel punto Severus ripiegò con cura il foglio e lo ripose al sicuro nella borsa. Sembrava soddisfatto, come un serpente a sonagli che è riuscito a guadagnarsi il pasto restando comodamente in agguato.
«Va bene. Avrai mie notizie al più presto».
«Grazie, come sempre».
Si salutarono con un sorriso d’intesa, dopodiché Severus liberò di nuovo lo sguardo alla ricerca dell’inconfondibile chioma color ruggine di cui conosceva a memoria ogni sfumatura. Ma Lily non c’era più. Potter doveva averla raggiunta mentre Severus parlava con Lucius, e ora loro due erano insieme chissà dove a fare chissà cosa. Tirare a indovinare non avrebbe cambiato le cose: qualunque scenario avesse creato nella sua testa, comunque non avrebbe potuto essere più crudele della realtà: Lily era felice, e lo era lontana da lì, senza di lui. Di colpo sentì l’aria attorno irrigidirsi, e i raggi del sole perdere d’intensità; perfino l’erba, fino a qualche secondo tiepida, ora pungeva sotto i vestiti come un prato di spine. Fuori la primavera stava tentando il suo timido ingresso nel mondo, ma nel cuore di Severus, senza quel fuoco rosso a scaldarlo, sarebbe stato sempre inverno.
 
*
 
Narcissa sedeva sulla poltrona nella sua camera, il diario di suo padre chiuso sulle ginocchia. Fin da quando l’aveva trafugato il giorno in cui si era intrufolata in casa con l’aiuto di Lucius, non aveva ancora trovato il coraggio di aprirlo e sfogliarlo, nonostante per anni fosse stato uno dei suoi desideri più reconditi. Sapeva della sua esistenza dall’età di dieci anni, solo che finora non aveva mai avuto modo di metterci le mani sopra. Non che le fossero mancate le occasioni, o le capacità. Al contrario, per anni si era dilettata a progettare quel furto nei minimi dettagli, senza tuttavia riuscire mai a portarlo a compimento. Qualcosa l’aveva sempre trattenuta; non tanto il pudore nei confronti dell’intimità del padre, quanto piuttosto la paura degli effetti che quel gesto, se scoperto, avrebbe avuto sul rapporto con lui. Difficilmente Cygnus Black perdonava un errore, anche se a commetterlo fosse stata la preferita tra le sue figlie. E così, Narcissa aveva sempre rimandato quell’incursione non autorizzata nei pensieri del padre. Almeno fino ad ora. Adesso non c’era più niente che la fermava, se non la speranza che, se avesse anche solo provato a sfiorare la cinghia che teneva chiuso il diario, lo spirito di suo padre avrebbe attraversato l’aldilà pur di materializzarsi lì e sgridarla. Una speranza infantilmente dolce, dal retrogusto amaro.
Con un sospiro, Narcissa fece scattare la cinghia. Era incredibile come all’epoca in cui l’aveva trafugato le fosse parso un oggetto sorprendentemente sottile e maneggevole, mentre ora che si accingeva a violarlo, alla luce del senso di colpa, le appariva per ciò che effettivamente era: un vecchio diario rilegato in cuoio dalle pagine spesse e pesanti.
La prima pagina fu la più difficile da girare: era come se il diario avesse una volontà propria che si opponeva strenuamente a quell’intrusione. Di colpo, il profumo di suo padre ancora impresso sulla carta la colse alla sprovvista, come un vento di terra improvviso. Le prime pagine risalivano a molti anni prima, quando Narcissa non era ancora nata. Lentamente, si lasciò guidare dalle parole, abbandonandosi al ritmo mareale della malinconia, finché non arrivò a una pagina che conquistò la sua attenzione. Quella era l’unica a non riportare la data, e oltretutto la scrittura di suo padre lì si faceva più fitta e disordinata, quasi avesse voluto liberarsi in fretta di quelle parole gettandole via dalla piuma d’oca:
 
Oggi ho visto Gregory per la prima volta. È diverso da come me l’ero immaginato; chissà perché, ero convinto che mi somigliasse, o che quantomeno avesse preso qualcosa dal resto della famiglia. Ma lui è diverso: da me, da Alphard; perfino da Walburga. Non ha niente dei Black, e forse per lui questo è un bene. Crescerà con la madre, e anche questo è un bene. Mi sono prodigato in tutti i modi per garantirgli un futuro il più stabile possibile, cosicché Hélène non debba preoccuparsi di nulla. Sarà lei a occuparsi dell’orfanotrofio, d’ora in poi. Oggi abbiamo firmato l’atto, dunque è ufficiale. Non li rivedrò mai più. Non è stato semplice prendere questa decisione. Anzi, devo ammettere, almeno qui, che è stata la più difficile di tutta la mia vita, ma non avevo scelta. Hélène non merita altra sofferenza, e io non posso mettere ancora a rischio la serenità della mia famiglia. Ciò che mi addolora maggiormente è non poter dire nulla a Druella. Mi stupisce che non si sia accorta di niente; forse l’ha fatto, ma ha preferito non volerne parlare, e in fondo è meglio così. Non c’è altro modo in cui questa storia possa uscire da questa casa se non nel silenzio. Un silenzio che però farà eco nel mio cuore per sempre.
 
*
 
Lucius rincasò in tarda serata. Aveva trascorso il resto della giornata al Ministero, il naso sottile immerso nella pila di scartoffie che richiamavano la sua attenzione da diverso tempo, in modo da lasciarsi la serata completamente libera. Finora il lavoro aveva assolto uno dei pochi compiti per il quale Lucius aveva deciso, tempo addietro, che valeva la pena impegnarsi in un impiego: la totale distrazione da qualunque pensiero. Lavorare gli consentiva di tenere la mente lontana da tante cose; ma fra tutte, quella che voleva evitare in tutti i modi e che dalla sera precedente non gli aveva mai dato tregua riguardava l’anello che aveva regalato a Narcissa. Quando l’aveva commissionato all’orafo non si era accorto di aver riposto dentro quell’oggetto una fiducia smisurata, quasi provvidenziale. Se Narcissa l’avesse accettato, lui avrebbe smesso di recitare quella farsa del buon vecchio amico e si sarebbe impegnato a corteggiarla a dovere; se invece lei l’avesse rifiutato, si sarebbe abbandonato alla corrente della sorte, senza opporre la minima resistenza. Era la sua scommessa col destino, una brutta abitudine che aveva ereditato dall’adolescenza. Ma era anche un’immensa bugia, così come quella che aveva raccontato a Narcissa. Se lo prendi, le cose tra di noi non cambieranno. Che falso egoista! La verità, quell’incredibile e spaventosa dama dagli occhi accecanti come il sole, era che si era innamorato. Non riusciva ancora a risalire alle radici di quell’incantesimo, sapeva solo che era reale. E in quanto tale non avrebbe potuto mantenere la promessa fatta a Narcissa, né tantomeno rispettare la scommessa con la sorte. L’amore era un gioco sporco, e Lucius era sempre stato bravo a barare. Solo che, proprio perché gli piaceva vincere, non poteva permettersi passi falsi. Ecco perché finora non aveva avuto il coraggio di aprire il cofanetto di velluto che aveva lasciato la notte prima sul divano, accanto a Narcissa, né l’avrebbe trovato quella sera stessa. Il rischio della delusione era una sconfitta che ancora non era pronto ad elaborare. Meglio rimanere così, sul filo dell’attesa, tenuto in equilibrio dall’ignoranza. Finché il cofanetto restava chiuso, Lucius era ancora in gioco. Ma naturalmente aveva paura, ed ecco così spiegata quell’intera giornata di reclusione al Ministero.
Più forte della paura, però, c’era il desiderio. Il desiderio di rientrare in casa con la certezza che ad accoglierlo ci sarebbe stata Narcissa; il desiderio di strapparle qualche ora del suo tempo; il desiderio di condividere lo spazio con lei, di starle accanto e respirarne il profumo. Queste e altre infinite fantasie l’avevano spinto, verso metà pomeriggio, ad accelerare il ritmo del lavoro per liberarsene il più in fretta possibile. Il desiderio era una creatura multiforme e perennemente affamata.
E così, a pochi minuti dalle sette, Lucius aveva fatto ritorno a Villa Malfoy. Fuori imperversava un violento temporale, il che aveva reso il rientro a casa ancora più gradevole. Si dice che gli eventi più straordinari, nel bene e nel male, si diffondono prima nell’aria. Lucius ne avvertì il sentore poco dopo aver superato l’ingresso; poi sopraggiunse il rumore, che diffuse l’allarme anche agli altri sensi. Lentamente, Lucius si diresse verso la cucina. Da dentro si sentivano dei mugolii indefiniti che richiamavano i lamenti di un animale ferito. Non appena entrò, Lucius vide Dobby intento a picchiarsi la fronte con un mestolo di legno. Sulla pelle grigiastra si era già formato un taglio dal quale fuoriusciva, purpureo, del sangue.
«Che diavolo stai facendo, Dobby?»
La voce di Lucius, arrivatagli alle spalle come l’agguato di un felino, fece sussultare l’elfo domestico, distraendolo dalla punizione che si stava auto impartendo.
«Dobby deve punirsi, padrone, Dobby doveva fermarla… ma Dobby è stato lento e… stupido».
«Fermare chi?»
«La signorina Black, padrone. Dobby ha provato… ha tentato…» Lacrime e sangue in quel momento si mescolarono sul viso di Dobby, formando un macabro disegno.
«Che cos’è successo a Narcissa?» La voce di Lucius ora era ridotta a un sussurro teso.
«La signorina Black è uscita, sembrava sconvolta».
«Quando? Quanto tempo fa è uscita?»
A quel punto gli occhi di Dobby sprofondarono nel vuoto.
«Dobby non ricorda… Dobby non ricorda» mugolò, tornando a picchiarsi con il mestolo che minacciava di esplodere in un mucchio di schegge al colpo successivo.
«Fermati» gli intimò Lucius, e per un attimo sul volto dell’elfo comparve un’emozione che il suo padrone non gli aveva mai visto addosso: incredulità. Dobby aveva servito un numero di Malfoy sufficiente a imparare che, se voleva tenersi la pelle attaccata alle ossa, gli conveniva prevenire le fantasie dei padroni. In fondo scegliersi da sé la propria punizione aveva un che di confortante, quasi liberatorio. Ecco perché in quel momento l’esitazione di Lucius ebbe l’effetto di accecarlo, come un miraggio. Ma durò giusto un istante, il tempo di un’illusione ottica tra un battito di ciglia e l’altro.
«Penserò più tardi a come punirti adeguatamente» sibilò Lucius, prima di lasciare la cucina. Si precipitò prima nel suo studio: il terrore che Narcissa fosse riuscita in qualche modo a entrare e avesse scoperto la sua seconda vita da Mangiamorte fu il primo pensiero che gli attraversò la mente. Ma la porta era ancora chiusa a chiave, segno che Narcissa non si era nemmeno avvicinata lì. Allora Lucius prese a salire la scala, saltando i gradini a due a due, fino a raggiungere la soglia della camera di Narcissa. Per un istante i suoi piedi esitarono: proprio perché conosceva molto bene il valore di un segreto non gli piaceva l’idea di infrangere quello di qualcun altro, ma alla fine la preoccupazione ebbe la meglio sulla sua etica. Entrò e si guardò attorno, alla ricerca di indizi. Non dovette faticare molto: abbandonato sulla seduta della poltrona giaceva, ancora aperto, un quaderno in cuoio. A Lucius bastò sfogliare qualche pagina per rendersi conto che si trattava di un diario, il diario di Cygnus Black. A quel punto qualcosa scattò nella sua testa, facendolo saltare nuovamente in piedi come una molla: sapeva dov’era Narcissa.
Un minuto dopo, al riparo dal mantello che gli aveva regalato lei solo un paio di giorni prima, Lucius andava incontro alla tempesta.
 
*
 
La carrozza si fermò davanti al grande cancello in ferro battuto. Era aperto, e Lucius ci passò attraverso di corsa, la bacchetta tenuta alta per ripararsi dalla pioggia. Tutt’intorno, lampi bianchi come cicatrici graffiavano il cielo simili ad artigli di fiera. Il profilo del maniero si stagliava davanti a lui, cupo e lugubre nel suo austero silenzio. Il rumore dei suoi passi affrettati sulla ghiaia imitava quello di un orologio impazzito, finché i piedi di Lucius non incontrarono la morbidezza del giardino. La piccola radura era rimasta uguale al giorno del funerale, fatta eccezione per le rose, la cui fragile bellezza era stata deturpata dalla violenza del temporale. Alcuni petali giacevano sul terreno, strappati, altri erano volati via fino ad adornare il pavimento spoglio del gazebo. Qualche metro più avanti, verso nord, una figura familiare sedeva sul terreno fradicio, il busto chino in avanti come in segno di supplica. Lucius si precipitò da lei, lottando contro il fango che cercava di trattenere ogni suo passo.
«Narcissa» la chiamò, ma lei non rispose. Il mantello le era scivolato dalle spalle sotto i colpi della pioggia, e di conseguenza capelli e vestiti erano fradici. Sul suo viso, impallidito dal dolore, lacrime e pioggia si mescolavano in una danza frenetica. Teneva lo sguardo fisso sulla lastra di marmo dove era inciso il nome di suo padre, le belle labbra solitamente rosate, ora invece bianche, mute. Lucius si inginocchiò accanto a lei per ripararla dalla pioggia.
«Narcissa, che fai qui? Sei fradicia» mormorò lui, sfregandole le braccia per infonderle un po’ di calore. «Tirati su, ti riporto a casa». Nonostante il fragore della pioggia, quelle parole raggiunsero le orecchie di Narcissa, come un richiamo ancestrale. Ubbidì, ma un improvviso capogiro le fece scivolare la presa sulla realtà. Lucius l’afferrò al volo con entrambe le braccia, e l’ombrello invisibile creato con la magia sulle loro teste scomparve, lasciandoli entrambi in balia del temporale. Solo a quel punto, congelata tra il freddo dei graffi della pioggia e il calore delle braccia di Lucius che la avvolgevano, Narcissa parve riscuotersi. Sollevò lo sguardo, uno sguardo perso e disperato, sul bel volto di Lucius che in mezzo alla tempesta somigliava ancora di più a un arcangelo giunto con una promessa di pace. Gli occhi azzurri di Narcissa erano chiarissimi, come se la pioggia unita alle lacrime ne avessero lavato via il colore.
«È suo figlio» sussurrò lei con un filo di voce. Lucius la guardava interdetto, la fronte corrucciata e le labbra dischiuse. Un violento tremore attraversò le palpebre di Narcissa, minacciando di chiuderle. «Gregory è suo figlio». Prima che Lucius potesse chiederle spiegazioni, lei si accasciò tra le sue braccia, il capo riverso all’indietro come i tanti boccioli di Maiden’s Blush picchiati dalla pioggia. Prontamente, Lucius le fece scivolare un braccio dietro la schiena, mentre con l’altro le sollevava le gambe. I vestiti di Narcissa erano zuppi, eppure, sotto la spinta dell’apprensione, lei gli sembrò incredibilmente leggera. Corse sorreggendola fino alla carrozza, e una volta che furono al riparo, prese le coperte che teneva sotto i sedili e vi avvolse il corpo di Narcissa abbandonato contro il proprio.
Mentre le scostava i capelli bagnati dalla fronte, una morsa di compassione gli attanagliò il cuore nel vederla così, il volto ringiovanito dal dolore al punto da farla sembrare una bambina. Quante ore era rimasta lì, sola, sotto la pioggia?
«Oh, Narcissa» sussurrò contro la sua fronte pallida.
A metà tragitto, Narcissa cominciò a tremare. Lucius la stringeva, cercando di avvolgerla con il suo calore, ma i vestiti bagnati rendevano vano ogni suo sforzo. Una volta raggiunto il cancello di Villa Malfoy Lucius si precipitò fuori dalla carrozza con Narcissa in braccio. Non si fermò nemmeno quando Dobby, alla vista del corpo di lei abbandonato tra le braccia del padrone, cominciò a piagnucolare una serie interminabile di scuse. I tremori di Narcissa intanto si erano fatti più violenti. Con disperazione febbrile Lucius salì i gradini a due a due, senza smettere di parlarle nella speranza di farle riprendere coscienza. Calciò la porta della propria camera e adagiò delicatamente il corpo di lei sul letto. In fretta, si tolse i vestiti fradici e si asciugò per indossarne di asciutti e puliti. Un attimo dopo era di nuovo da Narcissa. Avrebbe dovuto fare lo stesso con lei se non voleva rischiare che cadesse preda dell’ipotermia, eppure le sue mani ebbero un sussulto di esitazione al pensiero di doverla spogliare. Non che l’idea non avesse attraversato la soglia dei suoi sogni di recente; solo che nelle sue fantasie Narcissa era sveglia e ben consapevole di ciò che lui le avrebbe fatto. Un tremore più violento degli altri lo riscosse. Non c’era tempo per il pudore in quel momento. Si avvicinò a Narcissa e la prese tra le braccia con cautela, ricominciando a parlarle.
«Devo toglierti questi vestiti bagnati» le disse dolcemente, sfilando per primo il mantello. Per rispetto, Lucius chiuse gli occhi mentre le dita si muovevano abili a sciogliere i lacci del corsetto del vestito. Fortunatamente il bustino che le faceva da biancheria intima era asciutto, e Lucius non lo sfiorò nemmeno.
«L-Lucius». Bastò il suo nome sussurrato in quell’innocente balbettio a spalancargli le palpebre. Narcissa era di nuovo cosciente, gli occhi velati ma aperti e le mani aggrappate alle spalle tese di lui. Provò a sorridere, ma uno spasmo curvò le sue labbra in una smorfia. Doveva scaldarla. Senza pensarci due volte, Lucius la tirò su e si infilò nel letto con lei, stringendola in un abbraccio avvolgente. Per un po’ tremarono insieme, Narcissa che si avvinghiava quasi con disperazione alla sua schiena mentre lui condivideva con lei l’attesa, muto e paziente. Poi, lentamente, i tremori si diradarono, fino ad acquietarsi del tutto. A quel punto Narcissa scostò il capo dal suo petto per guardarlo. Aveva gli occhi arrossati e indeboliti che tuttavia brillavano di gratitudine liquida. Era cosciente, ma a giudicare dal sorriso languido che gli indirizzò Lucius non era del tutto sicuro che fosse anche lucida. Eppure, perfino con i capelli arruffati e il viso debilitato dal freddo, era splendida. Una forza oscura gli mosse le dita, attirandole verso la guancia di lei, ora arrossata. Lentamente e con una delicatezza che non credeva di possedere, Lucius la accarezzò. Non aveva mai condiviso un momento tanto intimo con un’altra persona, e poco c’entrava il fatto che entrambi erano stretti l’uno all’altra, i corpi seminudi. In quel momento nemmeno avvertiva più la propria pelle, né la stanza attorno a loro; perfino il tempo era sparito. C’erano solo gli occhi di Narcissa, completamente aperti nei suoi, che li ricambiavano con la stessa verità.
Quel che accadde dopo segnò una cesura nelle loro vite.
Lentamente, Narcissa si chinò verso di lui, le palpebre chiuse in un tremolio che non aveva niente a che spartire con il freddo. Dalle labbra il respiro le si mozzò, come prima di una confessione. La bocca di Lucius era già pronta ad accoglierla, e Narcissa vi affondò piano con la sua, assaggiandone il sapore dolcemente. Le labbra di Lucius erano calde e morbide, pazienti e gentili. Quel bacio durò una manciata di istanti, eppure proiettò entrambi in una dimensione eterna, senza confini di spazio o tempo. Quando si staccarono, Narcissa si sentì avvampare di un ardore freddo. Di colpo aveva le labbra in fiamme, dolorosamente bramose di una sete sconosciuta. Il desiderio di bere ancora dalla bocca di Lucius la bruciò, causandole un violento capogiro. Lui se ne accorse e le sorresse la nuca con una mano, mormorandole parole di conforto con la voce arrochita dalla sorpresa. Baciare Narcissa era stato come ricevere un assaggio del Paradiso – o probabilmente dell’Inferno, visto lo stato di estasi bruciante in cui versava ora la sua mente –, il padre di tutti i sogni, ma per quanto desiderasse prolungarlo, non poteva continuare. Non con Narcissa in quelle condizioni. Aveva bisogno di riprendersi, e Lucius avrebbe atteso con gioia il momento in cui, lucida e in forze, avesse voluto di nuovo offrirgli le sue labbra.
«Adesso devi riposare, Narcissa» mormorò, accarezzandole piano i capelli.
«Resta con me» soffiò lei in un sussurro contro il suo petto.
Lucius ubbidì, stringendola con ogni muscolo del suo corpo.

 
*
 
Il mattino seguente, un sole pallido si affacciò in cielo contendendosi il posto con le ultime nuvole rimaste dopo la tempesta. Aveva piovuto tutta la notte; Lucius era rimasto ad ascoltare quel concerto cosmico, in silenzio, senza sapere più quale fosse il significato della parola dormire. La sensazione del corpo di Narcissa abbandonato accanto al suo, con il capo adagiato sul proprio petto, gli aveva strappato dagli occhi tutta la stanchezza di una vita, rendendolo immune al sonno. Parecchie volte era stato tentato di accarezzarle la testa o le spalle, ma la sua bellezza l’aveva sopraffatto sempre, intrappolandolo nella più pura delle contemplazioni. Se lei gliel’avesse chiesto, Lucius avrebbe trascorso volentieri altre cento notti così, anche solo per il senso di benessere che gli dava la sua vicinanza, o per il piacere scaturito dalla lieve pressione della sua pelle contro la propria. Senza contare il fatto che il ricordo del bacio che lei gli aveva dato ardeva ancora vivido nella sua mente, rendendogli incapace qualunque ritorno alla realtà. E così Lucius era rimasto sveglio, a guardarla e a sognarla, gli occhi pieni di meraviglia.
Ecco perché non si rese conto subito che Narcissa si stava svegliando. A riscuoterlo dalla sua fantasia a occhi aperti lunga quanto una notte fu proprio il mugolio che proveniva dalle labbra dischiuse di lei. D’istinto, Narcissa fece scivolare la mano sul tessuto morbido della camicia di Lucius, provocandogli un brivido inaspettato.
«Buongiorno» mormorò lui con voce suadente, già pregustando il sapore di un altro bacio. Ma la sua voce ridestò del tutto Narcissa, che si staccò da lui con un’espressione confusa.
«Lucius?!» esclamò lei, scostandosi i capelli dal viso con una mano. Poi i suoi occhi, che piano piano stavano prendendo confidenza col mondo, saettarono per la camera, sgranati e atterriti.
«Dove sono?»
«Nel mio letto» rispose lui con ovvietà, accarezzandole una spalla nuda mentre lei si tirava faticosamente su a sedere. Soltanto allora Narcissa si rese conto di avere addosso solo il bustino che solitamente aveva sotto ai vestiti come biancheria: un corpetto avorio di seta pregiata che le fasciava la vita sostenendo i seni e lasciando le gambe completamente nude. Lucius aveva approfittato di quell’attimo di distrazione per ammirarla, gli occhi che correvano a caccia di lembi di pelle nuda, ammaliati.
«Non guardarmi!» strillò lei, afferrando il lenzuolo per coprirsi il busto.
«E perché no? Mi hai chiesto tu di restare» protestò lui di rimando, sinceramente offeso.
«Cosa?»
L’immagine di Narcissa che lo fissava atterrita con i suoi occhioni azzurri, i capelli arruffati e le mani che cercavano di coprire maldestramente le sue morbidezze, gli piovve addosso come una doccia rigenerante nella realtà. Era chiaro che l’unico tra i due a rammentare quanto accaduto solo qualche ora prima era lui. Narcissa aveva rimosso tutto, dal bacio lento e intenso fino al modo in cui si era accoccolata sul suo petto in cerca di conforto. Era chiaro che non si sarebbe mai più lasciata andare in quel modo con lui, non da sobria almeno. Quella consapevolezza lo colpì in pieno petto come una stoccata vincente, prima ancora che lui riuscisse a recuperare lo scudo d’indifferenza che solitamente indossava contro il mondo. Narcissa lo aveva spogliato di tutte le sue difese, e ora Lucius si ritrovava il cuore a brandelli.
«Non ricordi niente, eh? Ti ho trovata sotto la pioggia nel giardino di casa tua, hai rischiato l’ipotermia» raccontò, mentre il suo sorriso si trasformava in una smorfia amara. A quel punto, con gli occhi di Lucius lontani dal proprio corpo, Narcissa si rilassò un poco.
«Sì, questo me lo ricordo. Dopo cos’è successo?»
«Ti ho portata qui e ti ho aiutata a scaldarti».
Narcissa fece correre lo sguardo sulle lenzuola stropicciate per poi riportarlo prima su di sé e poi su Lucius, la fronte aggrottata.
«Ma noi non… non…»
Gli aveva appena spezzato il cuore senza saperlo, e tuttavia Lucius non aveva dimenticato lo stato penoso in cui l’aveva trovata davanti alla tomba di suo padre. Nonostante il dolore gli graffiasse il cuore con prepotenza come una bestia intrappolata in cerca di una via di fuga, il dolore di Narcissa premeva più forte.
«Non preoccuparti, non è successo niente» la rassicurò, lo sguardo fisso sul suo viso pronto a registrare il minimo cenno di sollievo. Ma Narcissa continuava a fissare le lenzuola, ancora troppo turbata dalla propria confusione per mostrare altre reazioni.
«Anche se non la finivi di implorarmi di strapparti di dosso il bustino, io sono un gentiluomo e non ti ho sfiorata» aggiunse subito dopo, per riscuoterla. A quel punto Narcissa gli lanciò un cuscino, arricciando le labbra indispettita. E pensare che non era passato nemmeno un giorno da quando aveva assaggiato un suo bacio. D’istinto, Lucius si passò rapidamente la lingua sulle labbra, seguendo la scia del ricordo. Poi si tirò su, premendo con la schiena contro la testiera del letto per avere qualcosa di reale a cui aggrapparsi.
«Come ti senti?»
In tutta risposta Narcissa sospirò.
«In imbarazzo. Mi dispiace, io… io non dovevo chiederti di restare. Ma grazie, per… per tutto» mormorò, indirizzandogli un sorriso triste.
«Non c’è di che. Starmene a letto a consolare belle donne è la mia specialità».
Con finta disinvoltura, Lucius incrociò le braccia dietro la nuca.
«Io… devo mettermi qualcosa addosso. Dove sono i miei vestiti?»
«Tecnicamente hai già qualcosa addosso» le fece notare lui, sgranando gli occhi con fare provocatorio. Narcissa inclinò la testa di lato, l’espressione seria.
«Lucius».
«In bagno, ma saranno ancora umidi».
Di fronte a quelle parole Narcissa spostò lo sguardo verso il bagno, calcolando con orrore che non ce l’avrebbe mai fatta a correre dal letto fino a lì così in fretta da evitare che Lucius la squadrasse dalla testa ai piedi.
«I vestiti sono sopravvalutati, sai? Stai molto meglio così» commentò, indicando con un cenno del mento il lenzuolo che si era arrotolata attorno al busto a mo’ di abito. Quel commento gli fece guadagnare un’occhiataccia più che meritata.
«Ti diverti, non è vero?»
Con un sospiro, Lucius si alzò dal letto sotto lo sguardo diffidente di Narcissa. Lentamente, iniziò a sfilarsi la camicia e la gettò sul letto nella sua direzione.
«Tieni, puoi indossare questa per il tragitto da camera mia alla tua. Ma ti avverto che un paio di gambe nude non scandalizzerà l’elfo domestico: è abituato a molto peggio». Dopodiché oltrepassò la soglia del bagno per darle modo di cambiarsi lontano dai suoi occhi.
«Grazie» disse lei, affrettandosi a infilarsi nella camicia prima che lui avesse il tempo di uscire. Fortunatamente, Lucius era molto alto e su di lei quella camicia somigliava più a un vestito. Quando ebbe finito di abbottonarla, solo le gambe restarono scoperte, proprio come aveva preannunciato lui. Sentendosi improvvisamente più sicura con busto e braccia nascoste, Narcissa uscì dal letto. Stava per imboccare il corridoio quando si sentì afferrare per un gomito.
«Mi hai fatto preoccupare, ieri sera». Lucius era rimasto a petto nudo, i capelli scarmigliati che gli circondavano il volto in una cornice dorata. Per un attimo Narcissa restò senza parole: nonostante quel risveglio fosse stato improvviso e destabilizzante, c’era una parte di lei che avrebbe desiderato rimanere lì per scoprire cosa sarebbe accaduto se avessero deciso di cancellare qualunque confine. Ma era una parte minuscola e pericolosa, che Narcissa si sforzava a tutti i costi di reprimere. Anche se aveva deciso di fidarsi di Lucius, non era di certo così sciocca da restarsene nel suo letto per scoprire quanto di vero ci fosse nelle voci che lo dipingevano come un impenitente dongiovanni. Di qualunque natura fosse il loro rapporto, Narcissa non voleva perderlo, non con tutte le delusioni che aveva accumulato nell’ultimo periodo. Eppure quegli occhi di ghiaccio che ardevano con così tanta intensità sembravano saper promettere la più devota fedeltà.
«Mi dispiace, io… non era mia intenzione» sussurrò lei, chinando lo sguardo con sincero dispiacere.
«Non voglio le tue scuse, voglio sapere cosa sta succedendo. Me ne parlerai?»
Lucius aveva pronunciato quelle parole con dolente urgenza, e questo la colpì nel profondo, al punto che i suoi occhi tornarono a sollevarsi verso di lui. Narcissa annuì, piano. Era stanca di trascinarsi dietro quel fardello; quanto accaduto la sera precedente lo dimostrava più di mille parole. Non era più in grado di custodire quel segreto, e dopotutto che senso aveva continuare ad affannarsi a quel modo? Suo padre non c’era più, a quanto ne sapeva lo stesso poteva dirsi per Hélène; l’unica persona rimasta a inciampare negli strascichi di quella storia era lei, e non era giusto. Se il tradimento avesse avuto delle ripercussioni sulla sua famiglia, ne avrebbe pagato la conseguenze, ma almeno lo avrebbe fatto a viso scoperto. Non aveva più senso nascondersi.
«Sì, te ne parlerò» promise, indirizzandogli un piccolo sorriso.
«Ti aspetto nel mio studio per la colazione» mormorò lui, lasciandole un’ultima carezza sul braccio prima di lasciarla andare.
 
*
 
Narcissa aveva appena finito di parlare. Aveva raccontato tutto d’un fiato, certa che anche la più piccola esitazione avrebbe potuto compromettere il fluire della verità. E ora il segreto che per anni suo padre aveva faticosamente nascosto a tutti aleggiava tra loro, come una maledizione. Narcissa si sentiva in colpa, ma al contempo non poteva ignorare il sollievo che ora irradiava da ogni singolo muscolo del suo corpo. Non aveva omesso nulla, nemmeno l’incursione nello studio di Lucius durante la quale aveva dato fuoco alla lettera di Hélène. Se Lucius voleva sapere, avrebbe saputo tutto, anche a costo di scatenare la sua rabbia. E invece lui era rimasto immobile, ascoltando ogni sua parola, le sopracciglia aggrottate come unico segno di turbamento.
«Sei arrabbiato?» provò a domandare lei, interrompendo l’ostinato silenzio dietro al quale Lucius si era trincerato in seguito alla fine del suo racconto. Lui era in piedi accanto al camino, un braccio elegantemente appoggiato alla mensola.
«Arrabbiato? Dopo quanto mi hai appena detto questa è la tua prima preoccupazione? Mi credi così insensibile?»
A quel punto Narcissa si alzò e prese a camminare lentamente per lo studio. A ogni suo passo la pesante gonna di seta blu notte ondeggiava solennemente.
«Tu non c’eri quando il mondo ha saputo di Andromeda» mormorò, gli occhi vitrei e una mano premuta sul ventre per darsi coraggio. «Se Bellatrix è riuscita a sposarsi e la nostra famiglia ha conservato il suo posto in società è solo per merito di mio padre e delle sue conoscenze. Lui ci ha protette, e io l’ho tradito. Se questa storia dovesse uscire allo scoperto…»
Vedendola sull’orlo delle lacrime, Lucius le si avvicinò di corsa per prenderle le mani.
«Narcissa, ascoltami. Ascoltami» sussurrò con forza, richiamando i suoi occhi nei propri. «Il segreto di tuo padre è al sicuro con me. Per niente al mondo rivelerei qualcosa che possa danneggiarti. Mi hai capito?» Le palpebre di Lucius erano contratte, come se vederla in quello stato causasse più sofferenza a lui che a lei. Narcissa annuì, deglutendo a fatica il nodo in gola che quella faccenda le aveva causato.
«Chi altri pensi che possa saperlo della tua famiglia oltre a tuo zio Alphard?»
«Nessuno, credo».
«Bene, faremo in modo che anche lui tenga la bocca chiusa».
«Lucius, no, ti prego. Io ne ho abbastanza di questa storia. Ti ho raccontato tutto perché volevo che sapessi, ma non ho più intenzione di indagare oltre. Troveremo un altro modo per aggirare il testamento, Carrson deve restarne fuori».
Gli occhi di Narcissa puntavano verso i suoi, tremendamente seri.
«D’accordo».
«Ho la tua parola?»
Le mani di Lucius si contrassero lievemente in quelle di Narcissa.
«Ma certo».
«Grazie» sospirò lei, distendendo il viso in un’espressione sollevata. D’istinto le labbra di Lucius si curvarono in un piccolo sorriso.
«Mi dispiace per tutto questo» mormorò, chinando lo sguardo sulle mani bianche di Narcissa per accarezzarle anche con gli occhi.
«Avevi ragione anche stavolta. Forse dovevo darti ascolto, se l’avessi fatto mi sarei risparmiata una grossa delusione». La voce di Narcissa ora si era tinta di amaro disincanto, eppure i suoi occhi continuavano a brillare, come se sul loro fondo fosse nascosto davvero un piccolo zaffiro.
«Che vuoi dire?» le domandò Lucius, scavando in quello sguardo.
«Abbiamo tutti dei segreti, ricordi?» gli rammentò lei, sollevando le sopracciglia in un’espressione arresa.
«A volte i segreti sono necessari». Per un attimo Lucius si guardò attorno con fare didascalico: se Narcissa si era intrufolata di nascosto nel suo studio, era solo per miracolo che non aveva trovato nulla che potesse tradire la sua identità di Mangiamorte. E allora come avrebbe reagito, scoprendo che anche l’uomo che si spacciava per il suo principale benefattore nascondeva una vita di sotterfugi e menzogne?
«Può darsi, e probabilmente devo solo farmene una ragione, ma ciò non toglie che il ricordo di mio padre adesso si è guastato».
D’istinto, Lucius le sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, strappandole un piccolo brivido. Magari avesse potuto cancellare il suo dolore con un gesto altrettanto semplice.
«Vedrai che troveremo una soluzione anche a questo».
Narcissa annuì, stavolta con più convinzione, lasciandosi incantare da quelle parole. Non le importava se avrebbero avuto l’effetto di un palliativo; in quel momento contava solo la promessa di salvezza racchiusa in esse, e il calore delle dita di Lucius sul suo viso.
 

 
N.d.A.: Che dire, se non che sono riuscita a pubblicare prima di Natale proprio per farvi un regalo? Ho amato questo capitolo dall’inizio alla fine, è così ricco di emozioni e sentimenti, proprio come dovrebbero esserlo questi giorni di preparazione alle feste. Spero di aver fatto emozionare anche voi! Lucius finalmente ha capito molte cose, il che è un grosso guaio visto che Narcissa invece sembra ancora sulla difensiva. Ma del resto, nulla che valga la pena in questa vita è facile, e la Lucissa non sarebbe la mia coppia preferita se così non fosse!
Detto questo, vi auguro di trascorrere delle feste per quanto possibile serene, con tutto il mio cuore.
 
Un abbraccio e alla prossima,
nephaelibatha

 
 
 
 
 
  
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