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Autore: Brume    27/12/2022    3 recensioni
"…Ho passato anni immersa nella mia missione, nel mio mondo.
Ho sempre guardato avanti e accettato le sfide, combattuto contro nemici in forma umana e verso i miei demoni finché, ad un certo punto della mia vita, mi sono accorta che - come lama il cui filo è rovinato da chissà cosa - anche io ho cominciato ad osservare piccole crepe, pertugi che aprendosi nel cuore e nell’ anima si andavano a dilatare ed allargarsi sempre più, facendosi contaminare da una serie di cose… dal sentimento, dalle passioni…Ecco; per questo motivo, ad un certo punto, non me la sono più sentita di portare avanti la mia missione: stavo cambiando, inesorabilmente.
Ma non ho in ogni caso dimenticato chi sono, né ho mortificato me stessa.
Ho solo accettato alcune cose, ho lasciato che i sentimenti si avvicinassero sempre più al raziocinio. Ho aperto il mio cuore, ho amato, sono stata amata. Ho portato avanti i miei ideali, accettando questo cambiamento, lasciando che la vita mi travolgesse…e ne è uscito un quadro fantastico. "
NB: Aggiornamenti settimanali, compatibilmente con impegni lavorativi.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Abbiamo lasciato Parigi da un giorno.
Con mia enorme sorpresa, al momento, non ho particolare malinconia; i miei occhi cercano di cogliere con nuovo sguardo e nuove prospettive ciò che questo viaggio ci riserva ed il mio cuore, la mia anima, stanno facendo lo stesso.
André  ha condotto il carro per gran parte del tempo; Alain gli ha dato il cambio un’ora e mezzo fa ed ora stai riposando, steso sul pianale tra la botte di birra e la teca di una Maria bambina che la moglie dell’ oste ha voluto a tutti i costi rifilarci  affinché la si consegni a non so quale curato di una altrettanto a me sconosciuta chiesa che dovrebbe trovarsi sul cammino. Mi chiedo come faccia a stare comodo, essendo un poco più alto di me; lo guardo, di tanto in tanto gli accarezzo i capelli. Lui nemmeno si muove, è proprio distrutto.

Mi faccio cullare dal rumore di questo carretto e dal suo ondeggiare.
Siamo partiti da quattro ore, presto ci fermeremo per far riposare il cavallo; mi auguro che la locanda indicata da Monsieur Arnaud non disti molto, ma questo Alain lo saprà di sicuro, quindi decido di domandarglielo.
“Da quanto mi ha detto, la chiesa a cui dobbiamo consegnare quella…quella cosa …è poco fuori Senlis…che dovrebbe essere il villaggio oltre la Foresta di Ermenonville. La locanda è li vicino” risponde.
Poi si volta a e mi guarda.
“Sei stanca?” domanda, poi, dopo nemmeno qualche secondo.
“Un po'…la mia era una pura curiosità” rispondo.
“Sicuramente mancano non meno di un paio d’ore. Non direi di andare oltre, non voglio sfruttare troppo questo vecchietto” dice riferendosi al ronzino  che ci sta trasportando da parecchi chilometri.
Restiamo in silenzio per un attimo, poi gli faccio ancora una domanda.

“Non rallenteremo i tuoi progetti, vero?”

Lui fa spallucce.
“No, non ti devi preoccupare: quando arrivo, arrivo. Se non partirò questa settimana lo farò la prossima” risponde. André si muove, mi volto per guardarlo, in realtà ha solo un po' di sonno agitato. Gli prendo la mano.

“Sei proprio convinto, partirai?” domando , infine.

“Si, Oscar. Non riuscirei a stare un attimo di più, qui. Ho paura, non credere: ma non voglio passare i miei anni a pentirmi di non averci mai provato. Potrò sempre tornare a casa, prendermi un pezzo di terra e fare il contadino” risponde. E so che sarebbe in grado di farlo”

“Chi farà il contadino? Ma se non sei nemmeno buono a pelare decentemente le patate!?!?”

André è sveglio,  assonnato ma sveglio.
Presto si mette a sedere, si sistema la giacca, si passa una mano tra i capelli.
“Beh, nemmeno tu che io sappia sei questo gran genio , in cucina” risponde Alain a tono: non passa molto che scoppiamo a ridere ed è una bellissima sensazione, rovinata in parte dal  vento fresco  che inizia a soffiare portando con sé nuvole scure, le quali ci accompagnano per parecchio tempo, finchè non oltrepassiamo un fiumiciattolo e ci portiamo nei pressi del villaggio.

“A che punto siamo?” domandi ad Alain, stringendoti a me.
Lui indica un insieme di tetti scuri; siamo abbastanza vicini al centro abitato, inizio a sentire alcune voci. Aguzzo la vista, cerco il campanile.
“Bene…credo che a breve ci toglieremo di torno questo catafalco “ dico indicando la teca: mi inquieta, devo essere onesta. Ne ricordo una simile a casa di una vecchia zia e onestamente ho ancora i brividi che mi percorrono la schiena…
André squadra da cima a fondo quell’ orrenda scultura.
“…una cosa mi chiedo: ma a che serve? Che ci faceva nella casa di un’ oste?” domandi.
“Non dico nulla…” rispondo. Mi viene solo da pensare che dovessi vivere in casa con una roba del genere, la coprirei sicuramente con un drappo nero.

Dopo questa piccola parentesi ce ne restiamo in silenzio; entriamo nel centro abitato e ci guardiamo in giro.
 Il paese è grazioso, vedo un panettiere, un fabbro, perfino un negozio di stoffe. Sembra che il tempo si sia fermato, è una piccola oasi felice. Se devo essere onesta, non mi aspettavo tutto ciò.
Alain dirige il carretto verso una piccola piazza dove una statua, forse quella dedicata ad un particolare benefattore, svetta lucida; li si ferma. A poca distanza c’è la chiesa e, più in la, la locanda.  Il sacro ed il profano dico tra me, notando come i due luoghi siano davvero vicini.
“Sembra proprio che siamo arrivati” dice André, scendendo e aspettando che io faccia lo stesso. Alain è sceso a sua volta, sta accarezzando il muso del baio, allungandogli di tanto in tanto una mela che teneva in tasca per ogni evenienza.
“Sta facendo sera, amici…io direi che…che non vedo l’ ora di starmene al caldo fino a domattina. Sentite:  vado alla locanda, sistemo questo vecchietto al caldo della stalla e poi vi attendo…sapete, ho una certa allergia ai prelati di ogni ordine e grado…” dice. André senza perdere tempo recupera la teca; non è leggera, tuttavia la distanza da coprire è davvero poca.
“Va bene, Alain. Noi allora andiamo, a dopo” rispondo; io e Andrè quindi ci incamminiamo verso la canoninca. La porta è aperta, mi annunci: dopo pochi minuti arriva un uomo, giovane, con una gobba pronunciata, completamente calvo.

“Buonasera, siete voi Pére Bloquet?” domando.
L’ uomo ci squadra da capo a piedi, forse non è abituato a ricevere visite; in ogni caso è cortese, ci fa entrare.
“Si, sono io…Vossignorie desiderano?” domanda.
“Come vede, portiamo con noi un dono. Siamo…siamo Monsieur e Madame Grandier. Siamo stati incaricati dalla famiglia Arnaud di farle avere questo…” dico. Ed indico la teca tra le braccia di André.
Come un bambino che riceve un dono tanto desiderato, gli occhi del giovane curato si illuminano e, con le braccia tese, prende la teca e la posa delicatamente su uno dei pochi mobili presenti. E’ un luogo spoglio, non so se per scelta o altro e l’ unica nota di colore sono i pavimenti rossicci. Questa chiesa deve avere parecchi anni….
“Grazie, non mi aspettavo un dono simile; mia cugina, la moglie di Arnaud, lo costudiva gelosamente da anni…” dice, poi “ ma venite, sarete stanchi, posso offrirvi del cognac? E’ l’ ultima bottiglia rimasta…”
Io e André ci guardiamo, per un momento pensiamo alle bevute che ci siamo fatti…ma non so, non mi sembra il caso. Senza risultare maleducati, decliniamo l’ offerta con un gesto del capo.
Il giovane, che non deve avere avuto molta compagnia ultimamente – né da parte dei fedeli né da altri – sembra quasi deluso.
“Vi ricorderò nelle mie preghiere, allora, sempre che vi faccia piacere” dice, quasi timidamente, buttando gli occhi ogni tanto su quella piccola statua.
“Ve ne saremo grati” rispondo “ ora …davvero, vi prego di scusarci; arriviamo da una giornata di viaggio e vorremmo riposare, un nostro amico ci attende nella locanda qui vicino….” Dico.
Bloquet sorride bonariamente, c’è ancora uno scambio di battute poi, finalmente usciamo, più leggeri. Non appena oltrepassiamo la porta mi prendi per mano.
“Finalmente” dici. Stringo forte la tua mano, ti avvicini, mi appoggio alla tua spalla.
“Ora non ci resta che riposare un po' …e mangiare, naturalmente…”
Tu mi guardi, mi rubi un bacio.

“Sei felice, Oscar?” domandi, a tradimento.

E’ una domanda importante ed indugio, giusto qualche secondo.
“Si” ti dico, alla fine “lo sono, André. Perché sono con te….”
Mi sorridi, ancora.
Abbracciati, arriviamo davanti alla porta, entriamo. Vedo subito Alain, non è certo difficile da individuare:spicca su tutti, con la sua stazza. Lo raggiungiamo.
“Ho ordinato tre birre, arriveranno tra non molto. Come è andata?” ci domanda.
Prendiamo posto; è bello tornarsi a sedere normalmente…
“Bene, direi. Soprattutto perché non saremo più costretti ad osservare quella cosa. Alain, hai già chiesto se hanno camere a disposizione?” rispondi , sedentoti vivino a me.
“Si, ci sono…ho solo un avvertimento da fare; ci sono fanciulle allegre, un po' troppo allegre, quindi vi consiglio di chiudere la porta a chiave….”
“Beh, sono ancora allenata, io, se proprio danno noia….” rispondo a tono. André sorride.
La nostra serata inizia così, tra qualche battuta e del buon cibo; il posto è relativamente tranquillo nonostante le premesse di Alain: qualcuno di passaggio, gente del posto…perfino il curato, vediamo; comincio però a sentire la stanchezza, forse ho chiesto troppo al mio corpo.
“André, io me ne andrei in camera ma tu, se hai voglia, resta pure qui con Alain” dico, ad un certo punto.
“Va bene, Oscar. Ti raggiungerò presto.” rispondi.
Ti do un bacio, poi mi reco dall’ oste: le camere sono già state fissate poco dopo il nostro arrivo quindi non mi resta che prendere le chiavi e salire, con la mia piccola sacca a spalle.
La stanza è la prima a sinistra ; apro e rimango colpita dalla pulizia ed il profumo di fresco che si sente, non me lo sarei mai aspettato. Non è grandissima ma ha ciò che può servire: una piccola stufa, un tavolino tondo, alcune mensole dove poggiare i panni e delle grucce dove poter appendere qualcosa; il letto, coperto da un telo chiaro, sembra morbido.

Cerco una bacinella perché vorrei almeno darmi una rinfrescata, la trovo.
 La stufa, già accesa da una mano gentile, è abbastanza calda; appoggio con molte attenzioni la brocca all’ esterno del piano, credo basteranno pochi minuti per scaldarla…infatti; è così.
Presto riesco ad avverare il mio desiderio ed è un sollievo!, sentire l’acqua calda scorrere sulla mia pelle…Chissà, quando io e André sistemeremo le cose ed avremo una casa nostra… spero che il destino ci aiuti, ancora per un po'…

“Oscar, sei presentabile? Posso entrare?”

 Mi viene da sorridere: quando mai hai chiesto il permesso, caro il mio André? Avanti! Ti dico, e tu con mille attenzioni entri.
“Perché sorridi?” domandi. Presto detto: perché non devi chiedere il permesso, questa stanza è nostra…rispondo.
Entri, e ti lasci cadere sulla sedia, godendo il calore che la piccola stanza riesce a trattenere.
“Ti ho chiesto il permesso perché…il corridoio era un poco trafficato e….”
Finisco di sistemarmi i capelli, li lego con un nastro. Infine mi volto verso di te.
“Avevi timore che potessero scorgere la tua donna in deshabillé?” domando.
Annuisci.
“Sei bellissima, Oscar…” sussurri, infine.
 Mi avvicino a te e poso sui tuoi capelli un bacio leggero; tu allunghi le mani e mi prendi, ti peso, facendomi sedere sulle tue gambe.
“Ed ora, Grandier, hai intenzione di cullarmi come una bambina?” domando.
Un sorriso furbetto compare sul viso.
“Avrei intenzione di farti ben altro, comandante de Jarjayes!...ma sono troppo stanco, temo crollerò non appena sfiorerò il cuscino…” rispondi.
“Non preoccuparti! Quando saremo a casa nostra. Metterò in conto tutto!” dico, ed una risata cristallina mi esce dalla gola.
Mi guardi, intensamente.
“E’ bello sentirti dire questo…una casa nostra, Oscar…lo avresti mai creduto possibile?”
“No, per niente… non lo avrei mai pensato ed è per questo che…che è ancora tutto più bello…”


Mi stai per baciare quando, d’ un colpo, sentiamo Alain chiamarci.

“André! Oscar!”

La sua voce ha qualcosa di strano…sembra quasi in affanno.
Mi alzo in piedi, guardo André.
Vado verso la porta.
“Alain! Cosa succede?” domando, una volta aperto. Lui è quasi in imbarazzo, tiene gli occhi bassi.
“Forse dovresti vedere una cosa, Oscar; però ti prego, indossa qualcosa sopra la camicia da notte!” dice, arrossendo.
Mi volto verso André.
“Dammi la mia giacca, per favore…ed i pantaloni…” dico, passando oltre l’ imbarazzo che mi fa arrossire fino alla punta delle orecchie “ così vado…vado a vedere che succede!”. Richiudo la porta, Alain mi aspetta fuori. Dopo qualche minuto sono pronta e, insieme a te, seguiamo il nostro amico.
Non appena arrivo nei pressi della sala dove abbiamo cenato, per poco non mi sento male: ad uno dei tavoli è seduto un uomo e…e indossa una giacca che molte volte ho visto indosso a mio padre. Ne sono certa: è un pezzo unico, di velluto scuro con degli arabeschi chiari come decoro e, sul polsino della manica sinistra, sono ricamati con sottili fili d’oro lo stemma di famiglia e le inziali. Lo ha fatto Nanny, avrò avuto si e no dieci anni.
Mi sento avvampare, vorrei correre e strappargliela di dosso; sto per avanzare a spron battuto quando  sento la tua mano trattenermi.

“No, Oscar, rischieremo di dare spettacolo. Ricordati che qui i nobili non sono ben visti; piuttosto, cerchiamo di capire perché quel giustacuore è finito addosso a quell’ uomo” dici.
Respiro profondamente, guardo André e poi Alain.
Entrambi mi sono accanto.
“André ha ragione. Non è una buona mossa, anche perché quel tale ha un’aria da attaccabrighe…ascolta…lascia fare a me. Ti fidi?” mi sussurra, quest’ ultimo, in un orecchio.
Mi giro, lo guardo.
“Che vorresti fare?”
“Nulla: chiedere dove ha preso quella giacca perché mi piace parecchio” dice.
“André…che ne pensi?” ti chiedo. Tu guardi me e poi Alain.
“Credo sia la cosa migliore da fare…”

Annuisco in direzione di Alain, il quale  subito si reca come se niente fosse al tavolo dell’uomo e, con una scusa qualsiasi, attacca bottone; indica la giacca, l’ altro sorride, lo invita a sedersi.
Come avrà fatto a finire addosso….addosso a lui? mi chiedo, curiosa; non fiato, rimango li nell’ angolo, provando a capire cosa si stanno dicendo…
“Oscar, vieni” ti sento dire ad un certo punto.
“Dove vuoi andare?” domando.
La locanda comincia a riempirsi di gente, entrano a gruppi, sono quasi tutti uomini di mezza età.
Il tuo sguardo si fa dolce, mi prendi la mano.
“Qui potrebbe anche andare per le lunghe, conviene tornare in camera. Alain ci raggiungerà li” rispondi; non hai tutti i torti…del resto, non posso stare qui in piedi tutta la sera, appollaiata come un falco sul trespolo, osservando in silenzio la scena…
Mi lascio condurre da te, allora, nella nostra stanza.
Aspetteremo Alain e ci faremo dire tutto.
Quando rientriamo, mi siedo sul letto, inizio a giocare con ciuffi dei miei capelli e mi mordicchio le labbra, nervosa; tu ne approfitti per darti una sistemata e, quando sei pronto, ti siedi accanto a me.
L’ attesa è snervante.
Sono silenziosa.
Agitata.

“Tu non sei curioso di conoscere la verità?” chiedo.

“Certo, Oscar; lo sono. Tuttavia, pensaci bene… potrebbe essere un caso, in fondo a Palazzo è entrata parecchia gente dopo i fatti di luglio. Può essere che sia stato trafugato qualcosa, in quella occasione” rispondi e devo dire che, come al solito, sei sempre più obiettivo di me.
“…e se invece li avessero assaliti? Se si trovassero qui vicino e fossero stati costretti a vendere ciò che avevano appresso per vivere?”
“Oscar, Oscar…” mi abbracci ed io mi appoggio a te “… non correre troppo, mia cara. Vedrai che la spiegazione sarà più ovvia di quanto si possa immaginare…”
Io…non so; non riesco a controllarmi, i pensieri si accavallano l’ uno sopra l’ altro, trascinandomi in un vortice di dolore.
Inizio a respirare lentamente, devo darmi una calmata…

Intanto, tu mi accogli, mi parli piano, accarezzi il mio viso ed i miei capelli.
Piano piano, ritrovo un po' di quella pace che mi serve per affrontare la realtà delle cose.
Rimaniamo in attesa per un’ ora, forse.
 Poi finalmente udiamo dei passi.
Dei colpi alla porta.
Mi alzo, come una furia; Alain non fa in tempo ad entrare che lo travolgo con un fiume di parole, domande, richieste.

“Scusate, ci ho messo parecchio tempo” dice , entrando. André gli indica una sedia.
“Dunque?” chiedo.
“Quell’ uomo si chiama Robert, vive non molto distante da qui. Mi ha detto che la giacca gli è stata venduta da una donna, un paio di giorni fa, al mercato di Apremont…”
risponde.
“… non ti ha detto …chi era? ”
Mi rendo conto di essere incalzante, di non lasciargli tregua…Alain mi guarda, annuisce.
“Una vecchia contadina. La giacca gli è stata venduta da una vecchia contadina che a sua volta
l’ ha acquistata da una donna non troppo alta, dai capelli bianchi, con un accento del nord….”

Ti vedo trasalire.

“Nanny?!” butto lì.

Tu mi guardi.
“Potrebbe essere… ma non voglio illudermi” rispondi.
Tieni il viso rivolto verso il pavimento, so che cosa stai provando: sono forse gli stessi sentimenti che pervadono la mia persona.
Alain , le mani in tasca, ci guarda.
“Ci ho provato, Oscar: volevo acquistare quella giacca ma, naturalmente, non ha voluto. Mi dispiace!”
Mi alzo, mi avvicino, prendo le sue mani.
“Grazie, Alain…grazie. Va bene così” rispondo. Lui se ne va, le orecchie basse, chiude piano la porta dietro di sé.

“Che ne pensi, André?” domando, tornando da te.

“…non saprei proprio, Oscar. Forse è meglio farsi una bella dormita e , domattina al risveglio, decidere cosa fare. Potremo fare una deviazione e raggiungere il villaggio,  Apremont...”
Infilo le mani nei tuoi capelli, sorrido. Ti do un bacio.

“Va bene, André. Ora…andiamo a dormire, ti va?”

Sorridi e , una volta sistemata la stufa per la notte, mi raggiungi nel letto dove già io mi sono stesa; è bello riposare su di un materasso  invece che su dure assi di legno.
Prima di dormire, abbracciati, parliamo un po': ma le preoccupazioni per le novità che ci sono capitate tra capo e collo prendono il sopravvento e passano almeno un paio di ore prima che il sonno passi a trovarci, portandoci verso il riposo del quale tanto abbiamo bisogno.
 
 
***


“Allora è deciso? Apremont?”

Siamo appena risaliti sulle quattro assi che, si spera, ci porteranno ad Arras ; abbiamo fatto una bella colazione e, con qualche livres in più, abbiamo anche comprato del pane appena sfornato, una rarità di questi tempi. Alain è seduto vicino ad André, almeno per la mattinata toccherà a lui condurre il nostro fido amico…
“Si, André. Sempre che Alain non abbia cambiato idea…” rispondo, tirandomi il cappuccio del mantello sulla testa. C’è un bel sole, ma l’ aria è fredda.
“Un giorno in più o in meno non mi cambia nulla. Te l’ ho già detto. Forza, partiamo…sarà una giornata lunga, immagino!” risponde.
“Va bene” dici e poi… dai una voce; finalmente si parte.
Il cavallo ci mette un po' a prendere l’ andatura ma, alla fine, sembra proprio che si mantenga ad un buon passo. Se continua così saremo al villaggio anche prima di mezzogiorno; il viaggio è di per sé breve e, infatti… manca poco a mezzogiorno quando fermiamo il carro.
“Apremont, suppongo” ti sento dire.
Alain infila la mano in tasca e prende un foglio scarabocchiato con del carbone. Così sembra dice. Sorride.

“Ed ora, Oscar? Ora che faremo?”
“Pensavo di fare un giro per il villaggio per capire…se qualcuno ha voglia di parlare” ti rispondo.
E’ quello che abbiamo pensato ieri sera e credo sia la via migliore.

Passi le redini ad Alain e scendi, con un balzo;  mi aiuti, ed insieme iniziamo a camminare su di una strada acciottolata, guardandoci intorno. L’ invero e la forte nevicata che è giunta anche qui ha messo definitivamente a riposo qualsiasi lavoro o altra mansione, la gente è rinchiusa al caldo delle proprie abitazioni godendo di quel poco che ha; è desolante, non vediamo nessuno, solo alcuni bambini che, incuranti, giocano qui e la nei cortili e ci fissano curiosi.
“Oscar, qui…qui non troveremo nessuno che possa aiutarci” dici sconsolato mentre camminiamo; io, però, non ho alcuna voglia di arrendermi. Ci sarà una locanda, una osteria…un posto dove chiedere informazioni…

“Ehi, voi: chi siete?Non vi ho mai visto qui!”.

Ci voltiamo, automaticamente; dietro di noi è comparso da chissà dove un giovane, avrà si e no una quindicina di anni.
“Non siete del villaggio, che volete?” domanda con una certa insistenza.
 “Siamo due viandanti di passaggio, in viaggio verso Arras. Siamo alla ricerca di alcune persone che forse possono essere passate di qui: un uomo ed una donna di mezza età ed una donna…anziana…” dici.  Per un istante, immagino la reazione di Nanny alla parola anziana e , nonostante tutto, mi viene da sorridere.
Il ragazzo si avvicina, ci gira intorno.
“Non siete …non siete qui con cattive intenzioni…?”
Lo osservo. Il coraggio a mascherare la paura.
“No, affatto!” ti sento rispondere sicuro “ …anzi, se vuoi, controlla pure: non ho con me nessuna arma” dici, e fai il gesto di aprire la giacca.
Il ragazzino indugia un attimo.
“Mi chiamo Serge e  sono una delle poche persone rimaste qui. Venite, vi porto da mia nonna: forse lei può aiutarvi…” dice; non abbiamo modo di dubitare di lui quindi lo seguiamo, curiosi.

“Nonna, ci sono alcune persone che vorrebbero fare alcune domande” dice non appena entriamo nella casupola dal tetto basso , poco distante da dove ci trovavamo. La vecchia è intenta a far bollire qualcosa in un pentolone. La sentiamo borbottare qualcosa poi, finalmente, ci degna di uno sguardo.
“Chi cercate?” chiede. Sono tutti molto spicci, da queste parti; probabilmente lo sarei anche io, vivendo qui, di questi tempi.
Mi faccio avanti e mi presento semplicemente come Françoise; cerco di essere gentile, calma.
“Sto cercando i miei genitori, credo siano passati di qui. Ieri ho incontrato un uomo che dice di aver…aver comprato una giacca al mercato che si è tenuto un paio di giorni fa…quella giacca apparteneva a mio padre” dico. La faccio corta e racconto le cose anche in modo un po' confuso.
“Una giacca scura, bella, da ricchi?” domanda. I suoi occhi ora si fanno più acuti.
“Si. Apparteneva a mio…mio nonno, che l’ ha ricevuta in dono dal suo padrone” ribadisco, dicendo la prima cosa che mi viene in mente. La donna è vecchia  ma non stolta: mi osserva, cercando altri indizi, non so cosa…
Il ragazzo che ci ha portato fino a li ora ci fa accomodare.
Credo che il peggio sia passato, possiamo restare. Non ce lo facciamo ripetere due volte.
La donna prende alcune ciotole e ci offre del cibo, sedendosi con noi.

“Difficile non ricordare quella giacca, Adrienne ci ha fatto parecchio denaro, fortunata lei…” dice. Io e te ci guardiamo, speranzosi.
“…Vi prego…se sapete qualcosa…” imploro.
Gli occhi della donna mi scrutano, ancora. Mi sento sotto esame.
“L’ unica cosa che so è che gli è stata venduta da una vecchia, vestita di scuro.Non era di qui e diceva… diceva che le servivano dei denari per un lungo viaggio…”
“…sapete da dove proveniva la donna che ha parlato in questo modo? Ha detto un nome, o altro?” domandi.
Il giovane borbotta qualcosa in direzione della nonna, credo sia un dialetto locale perché non ci capisco granché, ma ascolto in maniera nitida un nome: Compiègne.

“Compiègne? Ne siete certa?”  dici.
La vecchia annuisce.
Sconvolti, ci alziamo: la città  non solo è sul nostro itinerario di viaggio, ma è anche un luogo controverso, non sappiamo chi e cosa possiamo trovarci.
“Grazie, buona donna” dico. E lascio cadere, senza farmi vedere, alcune livres: poi salutiamo ed usciamo, tornando da Alain.

“Alain, Alain! “ dici, scuotendolo dal torpore di un sonnellino. Apre gli occhi, ci fissa.
“Allora?” domanda.
“ Forse sono…sono a Compiègne “ dico.Quasi mi manca il fiato.
Alain è stupito, si ridesta.
“Com… dove si trova il monastero?”
 Annuisco.
“Lo so. E’ pericoloso ma…dobbiamo andarci!” esclamo. Il fiato….il fiato mi sembra venir meno…
cosa mi succede, ora? Penso.

Un sole caldo spunta dalle nuvole, scaldandoci un poco le ossa.
Alain risale a cassetta.

“Direi di non perdere tempo…” cerco di dire. Mi sento strana…mi sento un po' male.
“ Dobbiamo partire subito”  mi fa eco Alain.
Ma tu non rispondi perché mi stai guardando,hai notato che qualcosa non va; infatti, all’improvviso sembra quasi mi si offuschi la vista; troppe emozioni mi hanno provata, mi sento davvero stanca, debole, nonostante abbia anche bevuto alcuni cucchiai della zuppa che ci è stata offerta….

“André, non mi sento molto bene” dico.
Le tue braccia si allungano giusto un attimo prima che il mio corpo tocchi terra, sentò anche la voce di Alain, preoccupata.
“Non è nulla, è solo…solo stanchezza” mi sento dire.
La mia voce, tuttavia, è come se…come se fosse lontana.
Ho sonno…tanto sonno…

Presto, per alcuni istanti, il buio mi avvolge: quando mi riprendo, sono in una stanza, è sera.

“Vostro marito è uscito un attimo con mio nipote” dice una voce che ho già sentito.
Metto a fuoco un viso, è la donna che ho incontrato stamattina. Mi trovo stesa, in un letto, al caldo.
La donna mi guarda.
“Ora, Madame, ditemi la verità: chi siete? Perché vi ho già visto, un anno fa, a Parigi” dice.

Sgrano gli occhi,  la paura mi avvolge,  inizio a balbettare.
   
 
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