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Autore: Gaia Bessie    04/01/2023    4 recensioni
C’era una scusa che sua madre usava per farla un po’ ridere, quando la vedeva china sui libri (ed era la vigilia di Natale) anche in tardo pomeriggio: le rubava di mano la penna, quella col pon-pon gigante, tutto rosa, e le spolverava il naso come fosse sporco di fuliggine. Quando aveva letto Mary Poppins, a otto anni, Hermione si era appassionata a quella figura lì, sporca di nero come l’uomo che vive sotto i letti e dentro l’armadio, e aveva domandato.
C’è un modo per mandare via il nero, mamma?
E sua madre, giocherellando con lo spolverino, le aveva detto che a volte esistono cose che non comprendiamo e, per questo, pensiamo siano buio. Ma, quando passi un dito tra le grucce dell’armadio o sotto al letto, scopri che quel che chiamiamo buio è solamente polvere.
[Partecipa alla "To be Writing Challenge 2023" indetta da BellaLuna sul forum Ferisce più la penna]
Per Marti L.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Hermione Granger, Luna Lovegood | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Cose che non pensavo avrei fatto in questo 2023: tornare su questa coppia. Mi ero dimostrata aperta con il fandom in sé, perché comunque ci sono delle coppie che non ho mai esplorato (e quindi seguitemi che a breve esce il capitolo di una long sui Malandrini, altra cosa che mai nessuno si sarebbe aspettato da me), ma avevo detto che non sarei tornata su Draco ed Hermione.
Sapete che sono la mia Otp storica, ma già a maggio 2022, quando avevo scritto forzatamente "Il giorno in cui ho smesso di pensare" avevo esaurito la spinta, verso questi due, non riuscivo a mantenere lo standard che pretendo ci sia in quello che scrivo. Molto presuntuoso, lo so.
Quindi ho mollato e sono migrata altrove, su altre coppie, cercando quello che raggiungevo con loro. Forse ci sono riuscita o forse no, non saprei.
Comunque, l'altra sera, mi sono svegliata e ho appuntato l'idea per questa storia. Oggi l'ho scritta, cogliendo l'occasione del compleanno di Marti: inizialmente avevo pianificato una Scorbus, ma poi mi sono detta, proviamoci. No?
Quindi, eccomi. Questa storia è tutta per te, perché alla fine il nostro grande punto d'incontro sono loro due, e spero davvero che possa piacerti.
Come sempre, lascio i miei canali social e, a fine storia, cinque noticine su citazioni improprie.
A presto,
Gaia

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C’era una scusa che sua madre usava per farla un po’ ridere, quando la vedeva china sui libri (ed era la vigilia di Natale) anche in tardo pomeriggio: le rubava di mano la penna, quella col pon-pon gigante, tutto rosa, e le spolverava il naso come fosse sporco di fuliggine. Quando aveva letto Mary Poppins, a otto anni, Hermione si era appassionata a quella figura lì, sporca di nero come l’uomo che vive sotto i letti e dentro l’armadio, e aveva domandato.
C’è un modo per mandare via il nero, mamma?
E sua madre, giocherellando con lo spolverino, le aveva detto che a volte esistono cose che non comprendiamo e, per questo, pensiamo siano buio. Ma, quando passi un dito tra le grucce dell’armadio o sotto al letto, scopri che quel che chiamiamo buio è solamente polvere.
 
 
 
 
Solo per te
Io cambierò pelle
Per non sentire le stagioni
Passare senza di te
 
La vigilia di Natale veste di rosso – è così tanto Grifondoro che non si riconosce più: fra le macerie di Hogwarts, Hermione si era infine detta che in mezzo a cocci rotti e polvere nemmeno le Case contano più qualcosa. Eppure sceglie rosso, un maglione un poco sformato sulle spalle e con i bordi delle maniche sfilacciati, una H che potrebbe stare per Hermione o per Harry, non si ricorda nemmeno chi fosse il proprietario originario di quel maglione.
Spera che non sia Harry. Spera tantissimo che non sia Harry che, se la scoprisse così dolorosamente attaccata ai ricordi (e a qualcosa di vecchio, niente di nuovo, qualcosa di prestato e sicuramente nulla di blu), ne sarebbe deluso. Non glielo direbbe esplicitamente ma, guardandola, avrebbe la bocca tesa in un sorriso pari a una cicatrice e gli occhi che glielo dicono: cosa siamo diventati?
Tutti sanno che Harry Potter non conosce pace e si sta sbiadendo e cancellando nella ricerca dei Mangiamorte che sono sopravvissuti. E, adesso che il sopravvissuto non è lui ma è diventato colui dal quale si sopravvive, il Prescelto non dorme più – dice: Hermione, come posso pensare che sia finita, tu ci crederesti?
E lei non ci crede.
Ma sa che Harry si sta logorando per espiare una colpa (Signore, pietà) che non gli appartiene più. L’ha infettato la delusione, il disincanto e, sul finire, un pizzico di rabbia che gli ha contaminato il sangue come morbo pestilenziale. Harry Potter è stato il prezzo da pagare, una pace brevissima: qualcuno inizia a dire che Lord Voldemort è sopravvissuto, nel proprio corpo, come spettro o in quella bambina minuscola che è misteriosamente sparita nel nulla, chi l’ha vista? Da qualche parte deve esserci, girerà per le vie del mondo in attesa della propria rivalsa.
Ed Harry Potter è uno di questi. Va a letto a notte fonda pensando che è l’ultima perché, quando chiuderà gli occhi su quel mal di terra che gli preme lungo la gola e sulle tempie, Voldemort entrerà in casa: Harry, Harry, sto salendo le scale1.
Non farà nemmeno male, sarà come finalmente addormentarsi, quando aprirà gli occhi un attimo per scoprire un lampo di luce verde: Harry, Harry. Rumore, scoppio, silenzio.
«Hermione».
Lei a malapena alza lo sguardo – un bambino di undici anni le porge un foglio di pergamena piegato a metà, ha al collo un ciondolo mezzo annerito (pare una macchina fotografica, pensa, con un soffio al cuore) con su scritto Versprechen.
«Grazie, Hans» borbotta, stendendo le dita per raccogliere il biglietto. «Da parte di chi è?».
Ma lui scuote il capo, con la testa biondissima che fa a pugni con il rosso cupo della tappezzeria e aggiunge, con marcato accento tedesco, che l’ha semplicemente trovata ai piedi della Signora Grassa che continuava a borbottare contro gli sporcatori seriali di pavimenti.
«C’era scritto il tuo nome sopra» borbotta. «Non sembrava pericoloso».
E cosa non lo è più, vorrebbe dire Hermione, ma sorride e gli augura una buona Vigilia (come se contasse qualcosa) mentre legge una singola frase, scarabocchiata di fretta e con le elle che si stagliano come ferite d’inchiostro, una C che sembra una G in stampatello.

 
Ci vediamo al bagno del secondo piano.
 
 
Non è firmato.
Che Hermione Granger conosce un’infinità di nomi, ma lui si comporta come se tra questi dovesse riconoscere il suo anche soltanto dal mutismo strappato a un foglio anonimo.
 
 
***
 
È rimasto sangue secco tra le piastrelle del pavimento – si nota a malapena, ma Hermione sa che è ancora lì: la professoressa McGranitt le ha detto, il giorno in cui quell’argomento è capitato, che non tutte le tracce magiche possono essere cancellate. Un po’ squallido, aveva pensato lei quando si era accorta che c’era un angolo, sotto i lavandini, che era rimasto bordeaux di sangue secco: probabilmente Malfoy avrebbe concordato, vedendo quell’uso improprio di sangue troppo puro.
Era diventata, nel tempo, la sua piccola personalissima ossessione. Si era costretta ad attingere ai propri ricordi, per quanto dolorosi, su come facesse sua madre a debellare qualunque macchia: su un tessuto, su sangue miseramente sporco, sarebbe stato facile. Ma lei si era spellata le dita, su quel pavimento, si era trovata a chinarsi, la testa sotto il marmo del lavabo, per grattarlo via con uno spazzolino da denti vecchio, prima, e poi con le sue stesse unghie. Se le era scheggiate, le unghie, ma il sangue era rimasto lì, beffardo, ridendo dei suoi sforzi.
«Non puoi toglierlo» Draco Malfoy sospira, appoggiato alla porta di uno dei cubicoli. «Pensi che non ci abbiano provato gli Elfi?».
Hermione rabbrividisce, inghiotte una risposta acida, e continua a strofinare le dita contro il sangue secco fino a sentirle pungere.
«Una pozione, un incantesimo» borbotta, tra i denti. «Qualcosa deve esserci, io non…».
Ha il sapore del pianto incastrato nelle ciglia e, per questo, cerca di non guardarlo mai anche se Malfoy, le braccia conserte sul petto scarno, la guarda come se stesse provando a impararla a memoria. Gli sta colando una sottile riga di sangue dal labbro spaccato ma, tranne quando lo tampona bruscamente con un fazzoletto di stoffa (iniziali: NB, cara madre, mi manchi ancora), sembra non essersene accorto.
«Non osare far cadere altro sangue su questo pavimento, Malfoy» sibila Hermione, esasperata. «Non ti sembra abbastanza difficile così?».
«Pensavo di essere io, quello attaccato al sangue» commenta lui, laconicamente. «Non si toglierà da lì, Granger, pensavo ci fossi venuta a patti».
Con il fatto che non può smacchiarsi dalla mente il ricordo di Harry come vorrebbe fare con il sangue ormai incuneato nella riga delle piastrelle: potrebbe fingere che non ci sia ma, quando abbassa lo sguardo su quel mosaico di stucco e piastrine, non ci riesce.
«Un giorno…».
«Un giorno ti sarà utile» risponde Draco Malfoy, scrollando le spalle. «Quello è  soltanto un pavimento e tu non puoi smacchiare la reputazione di San Potter solamente con spugna e sapone. Che, per inciso, è una cosa oscenamente Babbana».
Cioè come lei.
Ha passato tutta la propria vita a difendere i diritti di chi, come lei, alla magia non c’era abituato – ma, adesso che i giochi sono finiti e la realtà è tutta nera e grigia come se l’avessero desaturata, Hermione non ci crede più: che i ruoli si sono invertiti e, mentre lei cerca di estirpare sangue (troppo troppo puro) dal pavimento, Draco Malfoy permette che il fazzoletto di sua madre deterga le ultime tracce di cosa sono stati i Malfoy.
Lui sbuffa, la tira su quasi a forza, sollevandola tenendola per i fianchi. Hermione non oppone resistenza ma un po’, sotto quelle mani affilate come fil di ferro (e forse altrettanto spezzate), trema.
«Non devi…».
«L’ho fatto per te» sibila lui, allontanandosi di un passo. «Lo sai, non amo dare spiegazioni inutili, quindi non mi guardare così».
«Sai quante altre cose potevi fare, per me» risponde lei, senza alzare il capo. «Farsi prendere a pugni non è stata la tua idea migliore».
Lo fa sorridere, ironicamente, con i denti che sembrano lame di ceramica contro il labbro arrossato, gonfio.
«Comunque un’idea migliore delle tue, Granger» sibila, nascondendo in tasca il fazzoletto sporco. «Perché cazzo non lo dici a qualcuno?».
Lei lo guarda.
«Tu lo faresti?».
Ha un sorriso che inquieta e Draco Malfoy, che ignora platealmente le tracce del proprio sangue che adornano il pavimento del bagno del secondo piano, non riesce a non pensare che vorrebbe solamente dirle di no.
«Io non sono te» sibila, ficcando le mani in tasca. «Non costringermi a rifarlo».
Suona a metà tra una speranza e una minaccia, ma lei non gli risponde. Torna a chinarsi sul pavimento, le ginocchia arrossate come se stesse pregando un altro Dio oscenamente Babbano, le dita spaccate e una spugna dimenticata in un angolo.
«Non importa, Malfoy» sussurra, sobbalzando mentre tira via una striscia di unghia rotta. «Qualcuno direbbe che ce lo siamo meritato».
Lui non risponde.
Volta le spalle ed esce, lasciandola con la certezza di non averlo convinto – che c’è una marea di roba che potrebbe fare per lei, ma Draco Malfoy continuerà a rompersi pelle, denti e ossa contro la consapevolezza assoluta e incontrovertibile che lei continuerà a cercare di smacchiare la memoria del mondo, senza riuscirci.
 
 
***
 
 
«Quindi Malfoy si è preso un pugno in faccia, estremamente Babbano, perché Kuznetsov ti ha detto puttana?» Ginny pone la domanda con casualità, mentre tira via alcune pagine da un quaderno, svagata. «Lo avevo detto, io, che permettere questi scambi tra scuole sarebbe stata un’idea del cazzo».
Alza lo sguardo, ha l’inchiostro tatuato sul palmo e l’aria febbrile di chi si sta cancellando la memoria da sola, allo specchio, con l’ennesimo Oblivion finito male. A settembre, quando ancora c’era odore di estate, le ha detto: i miei diari segreti portano fortuna, sai, i miei desideri sono sempre fottuti appena dico che ci sono.
Lo ha detto ridendo ma, dentro di sé, non rideva nemmeno un po’. Ha cominciato a fare una cernita, dolorosa, dei propri ricordi, della pelle che ha tenuto addosso durante la guerra, fatta di parole, e che adesso non le serve più.
«Mai avuto una bella opinione dei russi» continua, scrollando le spalle. «Ma non avrei pensato che un giorno sarei finita a tifare Malfoy in una rissa».
«Non dovresti, infatti» commenta Hermione, atona. «Malfoy è stato stupido, specie perché non era una cosa che lo riguardava».
«No?».
Ginny ha lo sguardo serio di chi conosce la risposta – e la memoria cancellata di quand’è toccato a lei, non capire: il suo diario di grafia arrotondata e date scarabocchiate ai margini, all’indomani della guerra, non conta più niente (nemmeno lei).
«No».
«Potresti prendere quel che di buono riesci a trovarci» suggerisce, tornando a maciullare i propri ricordi. «Malfoy è decisamente una persona di merda, ma sembra che… che tu ci stia bene, ecco».
Hermione non mostra segno di emozione tangibile, sta continuando a strofinarsi via pelle morta e secca dalle dita.
«Sono passati mesi, Hermione» suggerisce Ginny, fintamente svagata. «Potresti quantomeno…».
Lei alza lo sguardo, a malapena, dalle proprie mani – sta facendo la muta, come il serpente di Salazar, per scoprire che dietro la pelle vecchia, bianca, è ancora rossa come quel sangue purissimo che nulla lava via. Non è cresciuta.
Pensava di averlo fatto, a un certo punto, ma alla fine è sempre quella bambina che si era nascosta a piangere nei bagni, mentre un Troll vagava per i sotterranei. Le prude la gola, ma a piangere non riuscirà mai più: tutto il mondo che le è rimasto, tutto il mondo che può appartenerle, è incrostato nelle fughe tra le piastrelle del bagno delle ragazze del secondo piano.
«No» sussurra, tornando a maciullarsi le dita. «Non potrei».
Ginny non le dice niente, non si mette a urlare che manca anche a lei, che anche lei viene chiamata puttana, che anche lei finisce dalla preside ogni tre per due a spiegare perché ha usato fatture improprie contro compagni di scuola.
Come fossi l’unica, potrebbe dirle, ma Ginny torna a fare un collage di ritagli di diario e, quando le altre compagne di dormitorio invadono la stanza, chiude tutto nel baule e non dice più niente.
Ci incarterà i regali di Natale per scoprire che a lei sono rimasti tre galeoni in borsa e una serie di cocci infranti e spaiati.
 
 
***
 
 
«Almeno la cena potevi evitare di saltarla, Granger».
Malfoy sbuffa, giocherellando con l’anello che ostinatamente porta all’indice – ha dita sottili, ha notato un giorno Hermione e lui, leggendole i pensieri, le ha detto: è l’anello di mia zia. Non Andromeda, Bellatrix.
Ma, quando lei aveva spalancato gli occhi, scossa, aveva aggiunto: lo portava Rodolphus, all’inizio, c’è lo stemma dei Lestrange. Un giorno, l’Oscuro Signore, lo sai chi è, ha detto che forse avrebbe dovuto portarlo la persona più importante di quel matrimonio (dicono che ci sia una bimba sperduta, dimenticata, sai chi è?) e, sogghignando, aveva lasciato cadere quell’osservazione liberamente interpretabile. Il giorno dopo, Bellatrix Black si era impadronita dell’anello e del nome di Lestrange.
«Tu potevi evitare di seguirmi» borbotta lei, seduta sui talloni, mentre mette in fila una serie di boccette di pozioni per le pulizie. «Se avevi così fame».
«A volte mi domando se tu non mi abbia scambiato per qualche pezzente come i Weasley» Malfoy alza platealmente gli occhi al cielo, senza mollare la pietra blu notte dei suoi zii. «Non è per la cena, Granger».
È per te.
Le ha raccontato che porta quell’anello perché rappresenta un suo desiderio – il giorno in cui Bellatrix, colta da un impeto d’ira per una missione finita male, è balzata come un gatto rabbioso addosso a suo marito e, nella foga, lo ha colpito. L’anello gli aveva rotto un incisivo e aperto il labbro, così, Draco aveva pensato, quando sua madre gli aveva mormorato di quel momento, che il prossimo a rompere un Black in mille pezzi sarebbe stato lui. Se non fosse che, alla fine della guerra, di Black non ne erano rimasti molti.
«L’ultima volta che ho controllato eri biondo» risponde Hermione, scrollando le spalle. «Non vedo cosa dovremmo festeggiare, quest’anno».
Eppure, di rosso vestita, conta i giorni che la separano dall’anno nuovo e le ore da attendere per la nascita di Nostro Signore, Gesù Cristo, china in contemplazione di una macchia sul pavimento. Prematuro, prendere il vino, mescerlo sul pavimento e dire: bevetene tutti, questo è il suo sangue, versato per uno solo, in remissione dei peccati2.
«Certo, meglio stare qua a sentire Mirtilla che canta Jingle Bells» sbotta lui, strofinandosi il volto, senza nascondere una smorfia di dolore quando sfiora il labbro spaccato. «Cazzo».
«Dovevi andare da Madama Chips» lo rimbecca Hermione, scegliendo infine una boccetta. «Se ti fa male e non è che hai solo voglia di lamentarti».
«E poi dalla preside mi accompagnavi per mano?».
Qualche volta, con lo sdegno di chi non lo ammetterebbe mai, prova a farla un po’ ridere – ma lei, che ha una marea di storie per la testa (e le sue fiabe sono tutte senza lieto fine), non se ne accorge mai e torna a pulire e spolverare il proprio buio in attesa di una sottile riga di luce. È quando Draco vorrebbe urlare, a volte, che è solamente polvere.
«Malfoy, smettila» mormora lei, ha svitato il tappo e versato la pozione in un panno, facendolo fumare. Tossisce. «Devo finire qua».
«Sorprendente» ride, amaramente. «Spostati, ti sei ustionata già tre dita su dieci, ti aiuto io».
«Non è un’occupazione troppo plebea, per te?».
Scuote il capo scivolando sul pavimento, accanto a lei. «Oscenamente Babbana» precisa, sfilandole il panno ancora fumante dalle dita. «Ma tanto non cambieresti idea nemmeno se ti cruciassi».
Lei gli permette di farlo, strofinare la fuga tra le piastrelle al suo posto, senza che le macchie si rimpiccioliscano o accennino a sbiadirsi. Si sarebbe aspettata di sentirlo sbuffare, lamentarsi, ma Draco Malfoy non emette suono se non per fermarla quando allunga la mano ferita per aprire una seconda boccetta.
«Le mie mani servono meno di quelle del Cercatore di Serpeverde» scherza lei, mentre lui versa anche la seconda pozione nel panno. «Fai fare a me».
«Le mani dell’ex Cercatore di Serpeverde valgono meno di quelle di Hermione Granger» è la risposta, atona, di lui. «Io non gioco più a Quidditch e tu hai salvato Potter e pure il Mondo Magico».
Lei gli è grata per non aver detto avevi.
«Posso aver salvato chi vuoi» mormora, rassegnata. «Ma…».
Ma è me che chiamano puttana e stronza quando camminano nei corridoi e fanno come se fossi cieca e sorda. Muta lo sono di sicuro.
E lo è anche lui mentre strofina il pavimento, senza avere il coraggio di dirle che è vero che le cose cambiano: Hermione Granger cammina a testa bassa per Hogwarts e c’è gente che la insulta ad alta voce e gente che tace e nessuno, nessuno, dice una parola. A volte, nemmeno lui.
«Vorrei che potessi andare via di qui» le dice, piano. «Che sapessi permetterti di ricominciare».
«Se avessi ricominciato, non saresti qui nemmeno tu».
Lui sorride, posa il panno sul pavimento, ha le dita spellate e arrosate (ma tanto non gli servono più).
«Esattamente quello che volevo».
Lei spalanca gli occhi, ma prima che possa porgli qualche domanda, lui si sfila l’anello di sua zia, rigirandoselo sul palmo.
«Esattamente quello che avrei voluto» rettifica, in un soffio. «Esattamente quello che vorrei».
Si alza, lentamente, senza che Hermione abbia la forza per seguirlo.
«Buon Natale, Granger, mi sa che la mezzanotte è passata da un pezzo» commenta, dandole le spalle. «Prova a riposare un poco, almeno oggi».
La lascia seduta sul pavimento del bagno, ormai disoccupato, di Mirtilla Malcontenta – e a guardarsi la mano sinistra, quella del cuore, per scoprire di avere l’anello dei Lestrange al dito e non avere minimamente idea di cosa questo rappresenti. È così scuro da sembrare nero ma, quando Hermione vi passa sopra l’indice, percorrendo i contorni della L dei Lestrange, scopre che quel che le pareva scuro era solamente un sottile strato di polvere.
I Lestrange avevano scelto un’acquamarina.
 
 
***
 
 
«Si può sapere cos’hai fatto?».
Nella sua testa sta urlando ma, quando Malfoy a malapena alza lo sguardo dalle proprie ginocchia, dove ha sepolto il viso, si rende conto di averlo detto a voce così bassa che difficilmente avrà afferrato il senso di quelle parole. Ma, quando finalmente la guarda, e ha uno schizzo di sangue che gli sfregia lo zigomo come un graffio e una lacrima, sorride quietamente.
Una manciata di suoni sconnessi, che gli scoppiettano in gola come Api Frizzole, ma lei ne riconosce la cadenza.
«L’ho fatto per te» risponde Malfoy, calmo. «Lo sai».
«Mi metti in una posizione difficile, Malfoy» mormora Hermione, chinandosi sul pavimento, davanti a lui. «Se reagisci, come posso difenderti?».
«Non sei tu a dover difendere me».
Gli ha preso una mano e nemmeno se n’è resa conto, finché non si è ritrovata a percorrergli il palmo spellato con il pollice, cercando una di quelle linee (vita, morte, amore e altri miracoli) che comunque non sarebbe in grado di leggere.
«Non ho bisogno di essere difesa da te, Malfoy».
Ma lui sorride, leggermente, e forse è anche quella una linea che è vita, morte, amore e tutti quegli altri miracoli che Hermione non sa decifrare.
«No, non ne hai bisogno» conferma, allungando le dita verso il viso di lei. «Però un po’ lo vuoi anche tu».
Lei non lo nega, nemmeno quando lui le sfiora il viso, ancora una volta, prima di lasciarla andare senza smuoversi di un centimetro.
«Perché?» pigola lei, guardando quella mano, ormai vuota, con una striscia di pelle più pallida lì dove teneva l’anello dei Lestrange.
«Perché non lo sopporto, Granger» sibila lui, a testa china. «Essere un modo per scandire il tempo, per fare passare le stagioni mentre tu aspetti che ti passi. Credi che non lo sappia?».
Hermione non domanda, non ne ha la forza.
Che sa che Harry Potter è una riga di polvere che non riesce a eliminare dalla propria vita e, dietro quel grigiore ottenebrante, non ricorda più nemmeno di che colore avesse la pelle prima che lui sparisse nel niente e divenisse ciò che lei teme più di tutto (buio e quindi polvere).
«Non sono il sostituto di Potter» ringhia, mordendosi il labbro. «E nemmeno voglio esserlo: io sono qui, lui dov’è?».
«Non…».
Ma Draco scuote il capo, non la fa parlare, spalanca le braccia come per racchiudere quel bagno, da seduto, la camicia bianca che ora è zuppa, pesante, rossa e i pantaloni stropicciati e scuciti lungo i bordi. Glielo dice così: io mi sono sporcato, per te, Potter lo avrebbe fatto?
Lei vorrebbe dirgli di sì ma, quando le dice che tutto ciò che ha fatto l’ha fatto per lei, le si incaglia quel pensiero nella fuliggine che le impolvera il capo e, allora, non dice niente: Harry ha fatto un’infinità di promesse, e le ha infrante tutte quante, mentre Draco Malfoy la guarda senza espressione, sporco di sangue, prima di allungarsi per lasciarle un bacio un po’ esitante sulle labbra.
Ha fatto una marea di cose, e tutte quante per lei.
 
 
***
 
Come la notte
Non faccio rumore
Se cado è per te
 
Ad Hogwarts, periodicamente, sparisce qualcuno e nessuno, nemmeno la preside McGranitt, saprebbe dire dove finiscano questi fuggitivi.
Un paio devono aver abbracciato la causa degli ex Mangiamorte, che pellegrinano per il mondo alla ricerca di un nuovo signore sufficientemente oscuro, la maggior parte cercano tracce del Prescelto in tutto quello che ha abbandonato, tradito e rinnegato su questa terra. Altri vanno via perché Hogwarts, seppur ricostruita, trema in ogni mattone. Ma c'è sempre qualcuno che svanisce senza una spiegazione plausibile e nessuno vuol domandarsi perché accada.
Il giorno in cui svanisce Draco Malfoy, però, in mezzo alla più generale indifferenza si sente gridare ed Hermione Granger, le unghie bordate della polvere che ha grattato via dai suoi incubi quella sera, finisce in Infermeria quando, nel tentativo vano di formulare parole, si graffia la gola con le sue stesse grida e non riesce a smettere di farlo.
Anche quando Madama Chips riesce a convincerla a prendere una pozione soporifera, nei suoi incubi, senza voce, Hermione urla ancora – che Draco Malfoy ha fatto una marea di cose, per lo più sbagliate, e le ha fatte solo per lei.
 
 
***
 
 
«Le persone vanno e vengono, qui» Luna guarda il soffitto del corridoio di fronte all’aula di Incantesimi, meravigliata. «Papà dice che le rapiscono i Gamajun3».
Hermione sbatte le palpebre, stanca, come se faticasse a comprendere le parole della ragazza che, mostrandole un ciondolo a forma di clessidra che, secondo suo padre, servirebbe a proteggerla.
«Quindi basta il tempo?» domanda, atona.
«Non si scappa dai Gamajun, vengono quando il tempo è finito» cinguetta Luna, quieta. «Sono venuti per mia mamma, un giorno, e verranno per tutti. Però se hai una clessidra dovresti riuscire a capirli».
Quando cantano non dicono parole, ma versi sconnessi – che è il rumore che continua a fare il petto di Hermione a ogni respiro, vibrato, che produce pensando che lei può ancora camminare sui suoi piedi e Draco Malfoy è sparito da Hogwarts il giorno in cui l’è parso che la macchia di sangue al bagno del secondo piano fosse finalmente sbiadita.
«Pensi che Malfoy sia morto?» sussurra, con un fil di voce. «Stai dicendo questo?».
Luna Lovegood alza le spalle, facendo ondeggiare i capelli troppo lunghi, prima di risponderle sottovoce.
«Penso che le persone svaniscano ogni giorno, Hermione» ammette. «E nessuno sa dove siano finite: non lo sai nemmeno tu, che fine ha fatto Harry. Deve averlo preso un Gamajun, ma non preoccuparti, sono molto gentili».
Ricomincia a urlare.
Ha la voce sempre roca, la testa confusa – un anello al dito che conta meno di tutte quelle promesse infrante fatte da Harry ma che, nonostante tutto, nonostante la pelle spellate dalle mille pozioni pulenti che trova e s’inventa, non riesce a sfilare dall’anulare.
 
 
***
 
 
E a San Valentino veste di rosa chiaro, come se avesse dell’ingenuità da difendere – pesca una sciarpa leggera come un paio d'ali e ci nasconde il viso, la fa sembrare pallida: nasconde la gola offesa perché, se girasse senza, le verrebbe da gridare.
Nessuno parla di Draco Malfoy.
Nemmeno come ombra negli spazi tra le parole, come pausa spezzata in un discorso, nessuno pare essersi accorto della sua scomparsa. Luna Lovegood canticchia, a colazione, dicendo che i Gamajun paiono essersi placati dopo le ultime scomparse, che perfino i Mangiamorte si sono quietati dopo le ultime aggressioni a Reykjavik. Ad Hogwarts c’è silenzio tombale, non cantano i biglietti d’amore, qualche ragazza parla di andare ad Hogsmeade.
«Andrai da qualche parte?».
Calì Patil alza lo sguardo, sentendo la domanda annoiata di Hermione, seduta a rimestare la propria colazione con aria nauseata.
«Nessuno andrà da nessuna parte, Hermione, non a Grifondoro» risponde Calì, secca. «Lavanda, lei… lei avrebbe voluto festeggiare, ma non può. Perché dovremmo farlo noi?».
Un discorso simile viene ripetuto in ogni tavolo, in Sala Grande – che i caduti sono stati tantissimi e, tutti in fila, sono ricordi che non vedranno Natale, San Valentino, Pasqua. C’è Lavanda Brown che, se fosse sopravvissuta, avrebbe scoperto di essere più cicatrice che persona, ancora non hanno recuperato il corpo di Daphne Greengrass dal Lago Nero (e una ragazzina vaga per i corridoi piangendo come Mirtilla Malcontenta: tu sai chi è?), l’elenco di nomi continua di testa in testa, perfino tra i professori, i nomi sono tutti lì. Ma nessuno nomina Draco Malfoy e nemmeno Harry Potter.
«Hai visto Ginny?» domanda quindi, alzandosi e recuperando la propria borsa. «Sono un paio di giorni che non torna in Dormitorio».
Calì sospira.
«Ginny ha mollato la scuola, Hermione» spiega, paziente. «Non te lo ha detto? È andata via la sera di Natale».
Hermione si dipinge in volto un sorriso forzato, che fa male come il labbro spaccato di Draco che, lite dopo lite, alla fine non cicatrizzava mai – ti rimarrà il segno, aveva detto Hermione un giorno, se non ci fai niente: vuoi diventare Sfregiato anche tu?
Molte cicatrici molto onore, aveva ghignato Malfoy e lei aveva riso (chissà se per finta).
«Certo» dice, voltando le spalle. «Vado in Biblioteca, a dopo».
Nei corridoi, vorrebbe avere ancora la capacità di perdersi – anche se la scuola è piena di gente e le scale non cambiano più così tanto, quando vaga per i corridoi e scopre che sono finiti i posti in cui nascondersi, tranne che in quella macchia di sangue secco e incrostato nel bagno delle ragazze al secondo piano. Nemmeno Mirtilla è voluta rimanerci, preferendo infestare il bagno dei Prefetti, ululando una serie di nomi: Cedric, Harry, Draco, Tom. Piange nella vasca vuota, che non usa più nessuno (dicono sia maledetta), e povera povera Mirtilla, ti innamori sempre troppo.
Qualche volta, quando le capita di fermarsi fuori dalla porta del bagno dei Prefetti, Hermione vorrebbe piangere anche lei – ti innamori sempre troppo e delle persone più sbagliate.

 
***

 
Le capita di sognare a occhi aperti ma, forse, più che sogni sono brandelli di ricordi: qualche volta guarda dietro di sé per scoprire che, il banco occupato da Malfoy durante le lezioni di Trasfigurazione, è sempre vuoto. Non si è visto più.
Ron le ha scritto una lettera, il giorno in cui ha compiuto gli anni, in risposta a un laconico biglietto di auguri che si era premurata di spedirgli per tempo: si è sforzato di coprire mezzo rotolo di pergamena, in righe tutte storte, per dirle che non ci sono novità ed Harry è ancora disperso. Hermione si è trattenuta dal rispondergli che, forse, se sono così tanti mesi che è sparito e non si ricevono sue notizie, o non può farsi trovare o semplicemente non vuole.
Non ha sorriso, sfiorando la firma del suo migliore amico, non ha sorriso quando ha scoperto che lui ancora un po’ la pensa, pur non condividendo le sue scelte: sa di averlo ferito, forse irrimediabilmente, pagandone ogni singola conseguenza. Ha confessato a Ron che si era innamorata, qualche giorno prima di partire per l’Australia per cercare i suoi genitori.
Quando poi era tornata, accettando di aver scoperto che i signori Wilkes erano felici senza la loro unica figlia, Hermione aveva vuotato il sacco: non Ron, Harry. Il giovane Weasley l’aveva presa bene, fingendo un sorriso partecipe e dicendole: so cosa vuol dire. Cosa?
Amare qualcuno che non ti può ricambiare e, se potesse, comunque non vorrebbe – lei non aveva avuto bisogno di dirgli che, giorno dopo giorno, si era ritrovata a guarda con insofferenza il sorriso dolcissimo di Ginny quando scriveva la sua pagina di diario giornaliera. Si era ritrovata a mal tollerarla con una patina polverosa di finta cordialità e, sul finire, aveva rinunciato all’idea di poter essere sincera con lei senza pensare perché non io.
Non ha avuto bisogno di dirlo a Ron, perché lo sapeva già. Quando si era iscritto all’Accademia Auror, per mollare dopo nemmeno tre mesi, prima di Natale, per andare ad aiutare George con i Tiri Vispi Weasley, Ron gliel’aveva detto senza parole: è sempre stata una gara, anche se in amicizia, e io ho perso sempre. Non possedeva sogni, lui, perché erano gli stessi di Harry – e quindi solamente suoi.
Hermione non gli ha risposto, quella volta, ma quando gli ha detto di aver deciso di finire la scuola, ha mormorato: metto distanza. E Ron, in silenzio, aveva compreso.
«A che pensi?».
Alza lo sguardo, scollando il naso dalla sciarpa rosa chiaro, per incontrare gli occhi di Luna: è sempre molto sola, aveva detto a Harry parlando di lei al quinto anno, è ancora molto sola, da quando dell’ES sono rimasti solamente Hermione e i suoi fantasmi.
«Forse oggi pioverà» commenta Hermione, alzando gli occhi al cielo. «Sarebbe anche ora, ha fatto troppo caldo per essere ancora inverno».
Perché le stagioni non passano più, vorrebbe gridare, nemmeno a tirarsi via la pelle dalla carne – Luna non dice niente, ma sembra comprendere: qualche volta, Hermione si è domandata se non sia in grado, lei, di innamorarsi. E si era detta di no, all’inizio, ma facendo attenzione si era resa conto che nel viso della Lovegood persisteva qualche crepa strutturale che, all’inizio, non era in grado di notare. Non aveva bisogno di un nome, di saperlo.
«Lo dici perché pensi che pioverà davvero o perché ti manca?» domanda Luna, sedendosi di fianco a lei, sul prato. «Non capisco cosa pensi».
«Parli di Harry?».
Luna sorride, beata, scrutando il cielo privo dell’ombra di una nuvola – glielo dice così, come se stesse commentando il colore del sole o la temperatura troppo calda per essere sulla soglia della primavera: non poteva piovere per sempre, Hermione.
«Harry manca anche a noi, Hermione, ma non esiste solo lui al mondo» commenta, svagata. «Solo che non te ne rendi conto».
«Lo so che manca a tutti» risponde l’altra, piccata. «Però è diverso, per me e Ron, lo sai».
«So che Malfoy è sparito da settimane» mormora Luna, schermandosi gli occhi con la mano. «E tu continui a chiedere solamente di Harry».
«Luna, dai…» sbuffa Hermione. «Lo sai anche tu che non si può paragonare Harry a Malfoy, noi… non siamo nemmeno amici».
Ma Luna abbassa eloquentemente lo sguardo, per incontrare il cupo riflesso dell’acquamarina dei Lestrange: in natura non ne esistono di così scure e, adesso vorrebbe domandarglielo, Hermione è arrivata alla conclusione che sia una pietra incantata per farla divenire color notte. Cerca di non guardarla troppo, comunque, che in quel sottile strato di polvere che l’anello attrae come un magnete Hermione riesce sempre a scorgere il suo volto.
 

 
***

 
«Professore, mi scusi».
Lumacorno alza lo sguardo dal calderone con cui sta armeggiando, con aria immensamente soddisfatta, avvolto in una coltre di denso fumo violaceo.
«Signorina Granger, qual buon vento la porta nel mio ufficio?» domanda, gioviale, facendole cenno di sedersi su una poltroncina. «Mi perdonerà, ma sto giocando con degli ingredienti che il buon Hagrid mi ha gentilmente offerto».
«Nessun problema, volevo solamente farle una domanda».
«Mi dica, cercherò di risponderle» le fa l’occhiolino, rimestando la pozione. «D’altronde, è la mia migliore studentessa, quest’anno».
Non le dice che prima era Harry Potter – con un piccolo gentilissimo aiuto del Principe Mezzosangue: shh – e adesso ha perso di motivazione.
«Lei sa cos’è successo a Draco Malfoy?».
Le pesa, domandarlo, le pesa infinitamente chiedere cosa sia successo alla persona che più sinceramente ha detestato in vita sua, prima di farsi contaminare dal male (e dall’inchiostro dei Black).
«A Draco Malfoy?» domanda Lumacorno, spalancando gli occhi. «L’ultima volta che l’ho visto, mi sembrava stare bene».
«L’ultima volta che lo ha visto?».
Il professore sorride, cordiale, prima di aggiungere.
«Mi sembra sia stato stamattina, sì, a lezione con i Tassorosso» commenta. «Ultimamente sembra stare meglio, com’è che si dice? Quando un giovane cambia taglio di capelli4…».
«La ringrazio» chiude, laconica. «Lo stavo cercando in questi giorni».
E settimane, forse più di un mese – si comportano tutti come se fosse stato mangiato dal buio e, invece, dietro uno strato di polvere Draco Malfoy è sempre lì.
 
 
***
 
 
«Cosa cazzo pensavi di fare?» potrebbe stracciarsi le corde vocali, se urlasse più forte. «Mi spieghi perché?».
Draco Malfoy, avvolto nel mantello, la guarda come se fosse impazzita – eppure ha ancora le mani spellate e, quando le dedica un sorriso un poco tremolante, le dice: se l’ho fatto, l’ho fatto per te.
«Pensavo che non importasse» ammette, calmo. «Non ce la facevo più, a vederti così».
«Così come?».
Hermione trema, come se le stesse realmente piovendo addosso (penso che oggi pioverà, fa troppo caldo per non essere primavera), bucandole le ossa come gocce d’acido. Ma, quando lui le porge il suo mantello, non riesce a prenderlo – gli permette di avvolgerla, con una delicatezza che fa ridere, lentamente, le dita che le sfiorano la gola nel chiuderlo sul petto.
«Non farò a gara con Potter, lo sai» mormora, quieto. «Non inizio guerre che non posso vincere, non fa bene alla mia autostima, farmi massacrare».
«Non capisco di cosa tu stia parlando».
«Se io ti chiedessi di andare via di qui, quando finirà la scuola» Draco Malfoy indica l’anello che le brilla sul dito. «Se io ti dicessi che non me ne frega più un cazzo del fottuto Mondo Magico, delle stronzate Purosangue e non, che voglio andarmene in qualche cazzo di posto lontano da tutti. Se ti dicessi questo e che vorrei venissi con me, cosa faresti?».
«Perché dovresti volermelo chiedere?» domanda Hermione, frastornata. «Noi… noi ci detestiamo, Malfoy, forse ultimamente meno, ma…».
Lo fa sorridere, amaro.
«Io non ti detesto» le dice, quieto. «Ma non ho nemmeno voglia di vederti mentre muori per San Potter».
«Io non…».
«Guarda che è il mio sangue che cerchi di cancellare da mesi, su quel pavimento» ride, amaro. «Ti aiuterebbe ad avere un’opinione migliore di Potter, magari. Ma servirebbe a farti dimenticare che se n’è andato fottendosene di te?».
«Non…».
«No, Granger, non la addolcirò per te» aggiunge. «Potter se ne fotte, che tu lo aspetti e che gli muori dietro, non se ne fa niente, di come lo guardi quando parla. Non se ne fa niente di te».
Lei lo guarda – non versa una lacrima, è completamente cristallizzata in un mutismo che fa malissimo ma, quando Draco fa per continuare, lei lo ferma con solamente due parole.
«E tu?».
Lo fa ridere, inclemente, tagliente come quei cocci di bottiglia che le hanno ferito le mani mentre cercava di portar via il suo sangue dalle linee delle piastrelle del bagno.
«Io ti porterei via di qui, se solamente me lo permettessi» ammette. «Non sono quello che sognavi, ma io non sparirei come Potter».
«Tu non hai un decimo del coraggio di Harry» sibila Hermione, piccata. «Come puoi dirlo?».
«Non mi serve, avere il coraggio del Santissimo Potter» risponde Malfoy, ritrovando il proprio contegno. «Non è scappato da te perché è un codardo: è scappato perché non ti vuole, Granger. E io sarò un codardo, te lo concedo, ma a differenza sua sono qua. E ti voglio».
Lei lo guarda, incredula.
«E sarebbe bello» conclude Malfoy, dandole le spalle. «Se tutto ciò bastasse, per te».
Le tende la mano, come per invitarla ad andare con lui, ma Hermione si sfila l’anello dall’anulare e glielo depone sul palmo.
Contro la sua pelle, l’acquamarina blu notte dei Lestrange torna ad essere di un azzurro cristallino e la L, controluce, sembra divenire una D.
 
 
***
 
 
Si accorge di cercarlo.
Lui, dal canto suo, fa tutto ciò che è in suo potere per risultarle invisibile – non le ha mai spiegato come abbia fatto a sparire da sotto i suoi occhi per settimane, ma ha iniziato a riprovarci: lei si sforza, lo cerca tra gli studenti e non lo trova mai.
«Perché tu non lo guardi mai».
Hermione alza lo sguardo verso Luna, intenta a giocherellare con una piuma dalla punta spezzata, che le ha macchiato di inchiostro il titolo del proprio tema di Pozioni.
«Non so di che parli, Luna» sbuffa, tornando a scrutare il resto della Biblioteca. «Chi è che non guardo?».
«Draco Malfoy» cinguetta la Corvonero. «Ti sta sempre intorno, ma tu non te ne accorgi. Così come lui non si accorge della sua piccola ammiratrice: abbiamo tutti un ammiratore segreto, pare».
C’è una ragazzina, a malapena quattordicenne, che segue il giovane Malfoy come se ne fosse l’ombra sfrangiata (tu sai chi è?).
«Non sto cercando Draco Malfoy» sibila Hermione, nascondendo il viso nel manuale di Trasfigurazione Avanzata. «Non… cosa vuoi che m’importi, di lui».
«Lui però ti sta guardando» commenta Luna, puntando i suoi occhi cerulei sul viso di Malfoy. «Proprio in questo momento. Sembra sempre così… tormentato, lui».
Silenzio.
«Sta lì tutto solo, perché non vai?» aggiunge la sua amica, sognante. «Non si è preso un sacco di guai per difenderti, da settembre a ora?».
Draco Malfoy ha una cicatrice minuscola sopra il labbro e un dente leggermente scheggiato ma, quando la guarda, Hermione non nota nulla di tutto questo.
«Non va bene, Luna» dice, semplicemente. «Lasciami studiare, devo consegnare tre rotoli per la McGranitt e quattro per Vitious. Malfoy non è la priorità, in questo momento».
E perché, vorrebbe urlare Malfoy, dal proprio tavolo, lo sono mai stato?
 
 
***
 
 
Solo per te
convinco le stelle
a disegnare nel cielo infinito
qualcosa che somiglia a te
 
E a Pasqua trova nel proprio baule un cerchietto di quand’era bambina, rosso, con il fiocco di Biancaneve: la sua principessa meno meno preferita, mamma ma anche quella di cui era più facile replicare l’acconciatura. Lo inforca come una corona e un mezzo rimpianto, quando si rende conto che aprile ha scalzato via febbraio e marzo e, adesso che piove a dirotto da giorni, le manca il sole.
Nello specchio del bagno del secondo piano, si scopre sporca di polvere, come se l’attirasse ad ogni respiro.
«Pensavo avessi smesso».
Draco Malfoy la trova a sistemare sul pavimento, in fila indiana per ordine di altezza, nuove bottigliette di pozioni, un panno umido, mille speranze e una che non si realizzerà mai. Sa che Hermione è una che non molla, ma sa anche che è stupido e insensato attaccarsi a un’abitudine così insensata e malsana: lo sa, ma non glielo dice, che Hermione si è impuntata su quella macchia, rendendola il centro di tutto il suo mondo, perché rappresenta una macchia nell’amore che prova per Potter. E non sa come tollerarlo, non sanno come tollerarlo.
«Pensavo avessi deciso di ignorarmi» risponde lei, laconica. «Cosa ci fai qui?».
In quel momento, finalmente, si concede il lusso di guardarlo per davvero: Malfoy ha il naso arrossato, come se avesse preso freddo, l’ombra di un morso sulla spalla che le fa rivoltare lo stomaco, in un moto di ingiusto fastidio.
Draco scrolla le spalle con finta noncuranza, mentre lei scorre sulla camicia abbottonata male, il maglione messo al rovescio.
«Avevo bisogno di pensare, tutto qui».
Lei vorrebbe chiederlo, urlarglielo – chi è lei, chi è – ma, quando Draco scivola sul pavimento, la schiena abbandonata contro la porta di uno dei cubicoli, le mancano le parole.
«Pensare a cosa?».
Non me lo dici mai, a cosa pensi, io non posso chiedertelo, a chi pensi: ma lui la guarda e scuote il capo, con un sorriso ironico.
«A settembre ti odiavo ancora» ammette, candidamente. «Ti guardavo e ti sentivo urlare, al Manor. Eri tutto quello che avrei voluto dimenticare».
«Lo so».
«E mi faceva ridere, ma lo sai, che volessi così tanto una persona che evidentemente non poteva e non può ricambiarti» sospira, pare rifletterci. «Ora non mi fa ridere, mi fa pensare che Potter è ancora più coglione di quanto non sospettassi».
«Malfoy, ascoltami…».
«No, ascoltami tu» la interrompe Draco, perentorio. «Non ti farò nessuna cazzo di dichiarazione strappalacrime, Granger, io non sono te, non me ne frega niente delle cause perse. Però, almeno, provaci».
«A fare cosa?» sussurra lei, alzandosi finalmente dal pavimento e avvicinandosi a lui, che la guarda dal basso con aria stanca, rassegnata.
«Fingi, no?» sussurra, scrollando il capo. «Non hai opzioni migliori. Parlami e stringimi, oppure fingi di amarmi5».
«Sei…».
«Ridicolo? Lo so, credimi se te lo dico, lo so».
«Impazzito?».
Ride – probabilmente è la prima volta in cui lo sente ridere così, quasi tossendo, uno scoppio esagerato e che gli fa salire le lacrime agli occhi.
«Io non so come fare, con te» ammette, imbarazzato. «Non capisco cosa ti passi in testa, se… se posso sperarci, se…».
Lei non gli sa rispondere. Però sa che adesso, per la prima volta in otto anni, lo vede: che è un calderone di cose sbagliate ma, quando si alza e le prende la mano, rimettendole sul palmo l’anello dei Lestrange e scambiandolo con lo straccio con cui stava pulendo la macchia tra le mattonelle.
Quando guarda, dietro di lui, come per controllare che sia ancora lì, sopprime un sospiro pieno di sorpresa.
La macchia è sparita.
 
 
 
Come la neve non sa
Coprire tutta la città
Come la notte
Non faccio rumore
Se cado
È per te
(Negramaro, Solo per te)
 
 
 


1Questa è una cosa stupidissima e non so nemmeno se sia comprensibile: quando ero piccola, si raccontava la classica storia della bambola assassina. E in pratica, per fare atmosfera, si raccontava di questa bambola che di notte andava in camera dei genitori/fratelli/della bambina ad uccidere gente, canticchiando “Sally (nome inventato), Sally, sto salendo le scale, Sally, Sally, sto entrando in camera” ecc.
Vado a farmi rinchiudere.
 
2Qui è più semplice, ho riadattato (ovviamente per spostare il focus su Draco) un passaggio del Vangelo secondo Matteo (26, 26-29), più precisamente la ben nota parte relativa all’ultima cena.
 
3Il Gamajun, che qua ho trasformato in un branco di creature, è un uccello profetico del folklore russo, che fa da “ponte” tra mondo terreno ed ultraterreno. Canta inni che predicono il futuro, ma che sono di difficile comprensione.
 
4Questa è una reference alla convinzione che quando una donna cambia taglio di capelli (che poi perché solo le donne io non lo comprendo) sta anche per cambiare qualcosa di importante nella propria vita.
 
5Tu parlami e stringimi || Oppure fingi di amarmi (Modà, Tappeto di fragole)
(Sì, da quando sono stati annunciati a Sanremo ho di nuovo quindici anni e ne vado pure gloriosamente fiera).
   
 
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