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Autore: storiedellasera    10/01/2023    1 recensioni
Estate del 1968.
Tom, Wyatt e Evelyn sono dei ragazzi di Louistown, una piccola e remota cittadina americana.
Le loro vite stanno per essere sconvolte da un mostro crudele... un mostro che adora uccidere le persone e che predilige i giovani.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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♦ Due proiettili sono più che sufficienti ♦

 





Il colpo di pistola riecheggiò per tutta la fattoria, spaventando un gruppo di corvi che si erano appollaiati pigramente sotto un vecchio spaventapasseri. Ron Davis non si aspettava un suono così forte, sembrava un tuono.
Era la prima volta che sparava.
Sentiva i polsi tremare e avvertiva nell'aria l'odore acre del fumo che usciva dalla pistola.
Con suo grande rammarico, i barattoli che aveva adagiato sullo steccato era rimasti tutti al proprio posto. Sperava di farne saltare almeno uno ma a quanto pare la sua mira era pessima.
Si prese del tempo per contemplare la pistola. Faccia-da-pizza Ron non era un esperto di armi da fuoco ma non ci voleva un genio per capire che tra le mani aveva un revolver di piccolo calibro.
L'aveva trovata nel fango, tra le erbacce attorno la casa di Price mentre rincorreva Tom e Wyatt.
Da allora Ron aveva iniziato a prendersene cura.
L'aveva portata a casa e nascosta in una vecchia scatola di sigari che conservava in giardino, in una buca scavata tra le radici di un albero.
Fece del suo meglio per pulirla a fondo.
Aveva poi confessato il tutto a Joe e Curt Limpshire. Ron non sapeva darsi una spiegazione del motivo che l'aveva spinto a fare una simile rivelazione, probabilmente voleva ricevere l'ammirazione da parte di qualcuno.
Si avvicinò di qualche passo ai barattoli posti sullo steccato, prese la mira con entrambe e le mani e premette il grilletto.
Questa volta uno dei barattoli schizzò in aria e Ron fu ammaliato dal numero di giri che compì a mezz'aria.
La pistola, al momento del ritrovamento, aveva cinque pallottole. Ne restavano altre tre.

Le orecchie di Ron iniziarono a fischiare. Quel revolver, anche se di piccolo calibro, era molto rumoroso.
Ma Ron non temeva di farsi sentire da qualcuno.
La fattoria dei Davis era isolata e suo padre, unico altro componente della sua famiglia, era rimasto a Louistown dopo i funerali di Joe, molto probabilmente per bere fino a notte fonda.

Ron osservò gli ultimi tre proiettili rimasti a sua disposizione.
Pensò di usarli su qualche animale. Questa volta però, Ron non voleva prendersela con le solite piccole vittime: lucertole, uccellini o rane. Ron aveva deciso di alzare la posta e puntare a qualcosa di più grande. Magari un bel gatto.
Stava ancora fantasticando quando udì alle sue spalle il rumore di un auto in avvicinamento.
Si voltò allarmato, nascondendo la pistola dietro di se.

L'auto sfrecciò, seppur sbandando di tanto in tanto, verso di lui.
Quando fu abbastanza vicina, Ron notò con sua grande sorpresa che si trattava di Curt Limpshire. Il ragazzo fermò la macchina a due passi da Ron.
Non appena aprì la portiera per scendere, diverse lattine vuote di birra finirono a terra.
Curt aveva un aspetto orrendo. Era sconvolto, sudato, con i vestiti sgualciti e i capelli in disordine.
Ron si sentì nervoso nel vedere Curt in quello stato. Gli ricordava suo padre quando rincasava ubriaco fradicio. Ed era proprio in quei momenti in cui il signor Davis diventava violento.
Probabilmente anche Curt aveva la stessa indole pericolosa del signor Davis.

Il ragazzo avanzò verso Ron e sbiascicò qualcosa: "la... shhhtola!"
"C-cosa?" Domandò faccia-da-pizza.
"La pi...shh-stola..." Curt tossì, si schiarì la gola e sembrò in qualche modo rinsavire: "la pistola! Hai detto di avere una pistola."
Ron si limitò ad annuire.
Curt barcollò per un istante. Il sole gli faceva girare la testa.
Faccia-da-pizza non poté fare a meno di sentire un forte odore di birra provenire da Curt.
Quest'ultimo allungò una mano verso di lui: "dammela."
Per un attimo, Ron rimase di stucco, come se Curt avesse iniziato a parlare una lingua incomprensibile.
"Dammela!" Ripeté lui, con una voce che assomigliava a un ringhio rabbioso.
Ron mostrò il revolver che aveva nascosto alle sue spalle. Tenne l'arma con entrambe le mani. Alla vista della pistola, gli occhi di Curt sembrarono illuminarsi. Ma il ragazzo sembrò cambiare umore... del resto si trovava di fronte a un'arma carica.
Sfilò da una tasca una banconota stropicciata: "li vuoi venti dollari?"
"Venti dollari per una pistola?" Esclamò Ron oltraggiato, neanche una traccia di timore nella sua voce.
Curt tossì di nuovo: "quante pallottole ti sono rimaste?"
"Tre."
"Tre... oh, Cristo!"
Curt passeggiò avanti e indietro, portandosi una mano alla bocca: "e cosa te ne fai con una pistola dopo che hai esaurito i colpi? Mica puoi andarli a comprare!"
"E a te che ti serve?"
"Non sono affari tuoi, sacco di lardo."
Ron si ritrasse. Era sicuro che Curt l'avrebbe aggredito, ma si meravigliò nel vedere il ragazzo tornare nella sua auto.
Si chinò e iniziò a cercare qualcosa che, probabilmente, doveva essergli caduta sotto i sedili.
"Ah, eccone una ancora piena!" Disse Curt con fare trionfale. Tornò a da Ron con una lattina di birra non ancora aperta: "venti dollari e la prima birra della tua vita, che ne pensi?"
"Io... non so." Ron sembrava incerto, la possibilità di bere una birra lo allettava parecchio. Inoltre, Curt aveva ragione: una volta terminati i colpi, quella pistola sarebbe stata del tutto inutile per lui.
"Facciamo così..." disse Curt, che in quel momento sembrava esaltato "...oltre ai soldi e alla birra, ti prometto che ti porto un giornalino porno la prossima volta che ci rivediamo. Eh, Ronny? Hai già visto un paio di tette? Che non siano quelle di tua madre, ovviamente."
"Fottiti, Curt."
Curt allungò i venti dollari e la lattina verso Ron: "avanti, affare fatto?"
Ron ci pensò per qualche secondo: "a una sola condizione..." disse infine "...mi fai sparare l'ultimo colpo, poi accetterò lo scambio."
-Così avrei solo due pallottole...- pensò adirato Curt, la voglia di picchiare faccia-da-pizza era irresistibile -...ma, in fondo, due proiettili sono più che sufficienti.-
"E va bene" disse Limpshire raucamente.
Ron si dimostrò più che contento di quel patto. Tornò a guardare le lattine sullo steccato, puntò di nuovo la pistola e fece fuoco.
L'eco dello sparo, misto al rumore metallico di una lattina che veniva perforata, sembrò riecheggiare fino all'orizzonte.



⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



Tom Williams era in camera sua, rannicchiato nell'angolo tra il letto e la finestra. Le imposte spalancate per via del troppo caldo e le tende che si muovevano grazie a un soffio di vento appena accennato.
Il ragazzino aveva le mani premute contro le orecchie eppure riusciva a sentire chiaramente i suoi genitori litigare in cucina.
Sua madre, Diana, urlava con tutta la forza che aveva in corpo. Tom non aveva mai sentito sua madre così furiosa... a dire il vero non aveva mai sentito qualcuno così furioso.
Ascoltava il suo sfogo con orrendo stupore. Non credeva, infatti, che un essere umano fosse in grado di raggiungere un simile livello di rabbia.
Suo padre, invece, cercava di far calmare la moglie.
Il suono di un piatto che si infrangeva al suolo fece vibrare i timpani di Tom.
"In casa nostra!" Gridava sua madre: "in casa nostra!"

Tom chiuse gli occhi, desiderando di trovarsi altrove.
Un paio di sere fa, quando Buckley attaccò lui e la famiglia Sinclair, un agente scortò Tom a casa sua. Lì, lui e il poliziotto, sorpresero il padre di Tom in compagnia della sua professoressa di matematica, la signorina Rosenberg.
Tom non sapeva come reagire, tanto meno cosa pensare. Non si era fatto alcuna idea a riguardo o forse, e Tom inizialmente non l'aveva considerato, il ragazzino voleva rifiutare di formulare un ipotesi. -Meglio dimenticare tutto- pensava tra se e se.
Ma in quel momento, mentre sentiva litigare i suoi genitori, si rese conto di quanto grande fosse stata la sua ingenuità.
"Come hai osato farlo in casa nostra?!" Continuava sua madre. Come se il fatto di aver commesso il tradimento tra le mure domestiche rendesse l'atto ancora più grave.
Tom non riusciva a capirne la ragione. Allora si sentì un completo idiota: idiota per non comprendere la gravità della situazione, idiota per non aver reagito in alcun modo di fronte a suo padre che cercava di giustificare la presenta della signorina Rosenberg in casa loro, idiota per essersi nascosto in camera sua, idiota per aver iniziato a piangere.
Un altro piatto veniva rotto... no, questa volta il suo era più acuto, doveva trattarsi di un bicchiere.
Il padre di Tom, che era sempre stato sulla difensiva, perse le staffe in un istante.
Il ragazzino sentì l'uomo cambiare radicalmente tono di voce. Era passato ad accusare sua moglie. Le diceva che erano anni che non si amavano come si doveva.
Un'altra espressione che Tom non comprendeva.
"Dici sempre di essere stanca, di essere esausta!" Le urla dell'uomo non erano così acute come quelle di Diana Williams, ma riuscivano lo stesso a raggiungere un Tom sempre più disperato.
D'un tratto, un pensiero lo colpì dritto al cuore, devastandolo: -possibile che sia colpa mia?-
Ripensò a come si comportava in casa, come si era sempre comportato in casa. Era pigro, svogliato e non aiutava sua madre nelle faccende domestiche... anzi, quella povera donna era costretta a lavorare più del dovuto per ripulire lì dove Tom lasciava sporco.
Quante volte non aveva sparecchiato la tavola? E quante volte aveva lasciato la sua camera in disordine? Per non parlare di tutte quelle volte che rientrava in casa con le scarpe sporche di fango, imbrattando i pavimenti.
Si, lui era responsabile della stanchezza di sua madre. E se sua madre era stanca, non poteva amare suo padre.
-La famiglia si sta sfasciando per colpa tua- sentenziò la coscienza di Tom.
Oltre alla disperazione e ai sensi di colpa, Tom fu scosso anche dal terrore. Era una paura che non aveva mai provato, diversa da tutte le altre terribili sensazioni che aveva sperimentato nel corso della sua vita.
L'uomo mezzo marcio l'aveva traumatizzato... ma questa volta l'orrore era accompagnato anche dai sensi di colpa.

Era così immerso nei suoi pensieri da aver perso il filo del discorso dei suoi genitori.
Diana stava perdendo la voce ma non voleva smettere di urlare. Perciò, come bizzarro risultato, la donna emetteva versi striduli che solo vagamente ricordavano delle parole.
"Dove stai andando?" Fu l'unica sua frase di senso compiuto che Tom riuscì a captare.
Come tutta risposta, si udì il marito uscire di casa, sbattendo la porta così forte da far vibrare il pavimento della camera di Tom... che si trovava al primo piano.
Poco dopo si udì l'uomo mettere in moto l'auto e partire per chissà dove.
La casa sprofondò nel silenzio più totale. Per un certo senso, quel silenzio era più spaventoso della litigata appena terminata.
Tom tese le orecchie, incapace di muoversi. Sentì il pianto sommesso di sua madre.
E nell'ascoltare quel pianto, Tom potè avvertire in maniera tremendamente chiara tutta la tristezza di Diana Williams.

Poco dopo, sua madre iniziò una sorta di rituale che Tom amava definire la routine del mal di testa.
Ogni volta che Diana veniva colpita da un'emicrania, e questa era una di quelle volte, aveva bisogno di stendersi a letto. Prima però, avrebbe tirato tutte le tende di casa, poichè il caldo e sopratutto la luce non faceva altro che acuire il suo male. Poi si rinchiudeva in camera, si cacciava in bocca un paio di pillole di sominex e, non tutte le volte, usava un pò di vino bianco per aiutarle ad andare giù. Quella combinazione di alcol e sonnifero l'avrebbe stesa per ore.



⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



Ancora una volta il silenzio tornò a regnare in casa Williams.
Solo in quel momento Tom osò muoversi. Stese le gambe la suolo, erano intorpidite. Sentì poi qualcosa di fastidioso premergli contro un fianco. Si tastò le tasche e scoprì di avere ancora il coltello a serramanico di Curt Limpshire.
L'aveva del tutto dimenticato.
Il contatto con il freddo metallo di quell'arma gli fece tornare in mente l'aggressione di Buckley... dell'uomo mezzo marcio che aveva in qualche modo deformato Buckley.
-Come riesce quel mostro a fare queste cose?-
Poi un altro pensiero gli balenò in mente... un pensiero che, per qualche motivo, era collegato al quesito che aveva appena formulato. Il giorno in cui fu aggredito dallo spaventapasseri, aveva visto delle cicale... ma i ricordi di quegli insetti erano sfumati nei dettagli, evanescenti come la materia di cui sono fatti gli spettri.
-Quelle cicale... cos'avevano di sbagliato?- Tom era certo che quel dettaglio doveva in qualche modo ricollegarsi all'uomo mezzo marcio.
Ma non riusciva a mettere a fuoco quel ricordo. Era... troppo spaventoso.
Tom era così immerso in quei terrificanti pensieri che si ritrovò a cacciare un flebile urlo quando un rumorino al suo fianco lo sorprese. Sussultò sul posto e subito dopo si sentì uno stupido per aver reagito in quel modo. Un sassolino era appena entrato nella sua stanza.
Sentì qualcuno bisbigliare all'esterno, una voce femminile: "ma sei scemo? La finestra è aperta!"
Poi una voce, questa volta Tom la riconobbe subito, era quella di Wyatt, rispose: "non è la prima volta che chiamo lo spilungone in questo modo."

Tom balzò in piedi, le gambe ancora intorpidite lo fecero tremare come una gelatina, si asciugò rapidamente gli occhi e poi si affacciò alla finestra.
Evelyn e Wyatt lo stavano fissando dal basso. Sembravano preoccupati.
"Cosa c'è?" Chiese Tom.
Wyatt esclamò a voce alta: "dove diavolo....?"
"Shhhh!" Lo zittì Evelyn.
"Dove diavolo sei finito?" Continuò Wyatt, questa volta con tono sommesso.
Tom non capì.
"Non sei venuto al funerale di Joe. E mentre stavamo venendo qui, abbiamo sentito i tuoi genitori che... bhè ...poi tuo padre che sfrecciava via e..."
Evelyn colpì Wyatt al fianco con una gomitata: "Ahi! Che ho fatto?" Domandò quest'ultimo massaggiandosi il costato.
"Sei delicato come un ippopotamo, Wyatt!" Ringhiò Evelyn. Alzò lo sguardo verso Tom e quest'ultimo si sentì divampare. Evelyn lo faceva sempre arrossire, persino in un momento come quello.
"Ci fai entrare?" Chiese la ragazza.
Tom annuì e poi indicò un angolo della casa: "vi apro la porta principale, mamma sta dormendo e... credetemi ...neanche una cannonata potrà svegliarla."
Wyatt e Evelyn annuirono e iniziarono a fare il giro della casa.



⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



Tom si sentiva emozionato. Pensò che i suoi amici avessero qualcosa di veramente importante da riferirgli.
Si mosse con estrema facilità tra le ombre del salotto. Raggiunse poi la cucina e...
L'uomo mezzo marcio lo afferrò con forza.
Caddero entrambi a terra, Tom sbattè violentemente testa e schiena contro il pavimento. Per un momento gli fu impossibile respirare.
Poi avvertì il peso del suo assalitore su di lui.
L'uomo mezzo marcio aveva un sorriso folle sul volto ormai quasi ridotto a un teschio. Dall'orbita vuota, decine di cosette bianche e striscianti caddero sopra Tom.
Le sentì fredde, viscide e vive.
Il ragazzino urlò e provò a divincolarsi ma l'uomo mezzo marcio gli afferrò la gola con entrambe le mani.
Era forte, era dannatamente forte.
Poi disse qualcosa. La voce non era umana, non poteva esserlo. E il suo alito aveva un tanfo così mefitico che Tom ebbe l'impressione di perdere i sensi.
Per via di quello stato confusionario, il ragazzino non udì tutte le parole dell'uomo mezzo marcio. Capì solo che il mostro stava esprimendo la sua gioia per averlo finalmente agguantato.
Era così vicino a lui che Tom fu in grado di vedere, nonostante la penombra, l'interno del foro che il mostro aveva al posto di un occhio.
Allora gli sembrò di vedere qualcosa scintillare in fondo a quel buco. Qualcosa di piccolo e metallico.

Improvvisamente un'ombra saettò alle spalle del mostro. Lo colpì con forza e questi cadde lontano da Tom.
Delle mani afferrarono il ragazzino e lo aiutarono a rimettersi in piedi.
Wyatt e Evelyn erano appena entrati in casa passando da una finestra. Tom ringraziò il cielo che sua madre non le aveva chiuse.
L'uomo mezzo marcio si alzò rapidamente da terra.
I tre ragazzini urlarono e si misero dietro il tavolo della cucina.
Il mostro spalancò la bocca e ruggì. Fu un suono infernale, che nessuna bestia era in grado di replicare. Era come sentire la voce del male puro.
Wyatt si guardò attorno, cercò prima un interruttore e poi la sua attenzione fu attirata da alcuni coltelli da cucina vicino al lavandino.
"Non pensarci nemmeno!" Lo intimò l'uomo mezzo marcio.
Tutto sembrò rallentare.
Sentire il mostro parlare aveva scaraventato Tom nella più nera delle disperazioni. Tom non riusciva a comprendere il motivo di quel rinnovato terrore. Volse lo sguardo verso i suoi due amici e, a giudicare dalla loro espressione, anche loro provavano le sue stesse emozioni.
L'uomo mezzo marcio si rivolse poi a Evelyn: "cosa credi di fare in compagnia di questi due?" E allungò un dito scheletrico verso Tom e Wyatt.
Evelyn piagnucolò qualcosa di incomprensibile.
Lui continuò: "non vuoi venire a salutare tuo padre?" E allungò le braccia come se si aspettasse di ricevere un abbraccio. Il suo osceno sorriso sembrò farsi ancora più largo.
Una lama di luce penetrava dalle tende della sala, dipingendo una scintillante scia dorata sul volto del mostro. Metteva in risalto la carne consumata e i vermi che pigramente facevano capolino dalla pelle putrescente.
"Che cosa vuoi da noi?" Gli urlò Tom. Fu un urlo carico di esasperazione ma anche di rabbia e terrore.
L'uomo mezzo marcio ridacchiò... e fu una risata così acuta e gracchiante da far rabbrividire i tre ragazzini.
"Voglio solo mangiarvi..." rispose "...voglio mangiarvi vivi! Il piccolo Joe mi ha dato forza! Oh, dovevate vedere come piangeva!" Altre acute risate.

Lo scatto di Tom sorprese tutti i presenti. Estrasse dalla tasca il coltello di Curt Limpshire.
La lama brillò di una sinistra luce.
"Va via!" Urlò Tom agitando l'arma di fronte a lui. Azzardò un passo in direzione del mostro. Il sorriso di quest'ultimo sembrava essersi spento, assumendo l'aspetto di un ghigno carico di astio.
"Va...via!"
L'uomo mezzo marcio indietreggiò, raggiunse il fondo della sala e poi si infilò in un corridoio buio. Prima di essere completamente inghiottito dalle tenebre, i tre ragazzini poterono osservare un crudele luccichio nell'occhio del mostro.

Tom e i suoi amici rimasero lì, interdetti, in un silenzio di tomba interrotto solo dai loro respiri affannosi.
Evelyn fu la prima a muoversi. Spalancò tutte le tende della sala per far entrare la luce.
Il corridoio restava ancora immerso nel buio.
"C'è la camera di mia madre lì in fondo" disse Tom con la voce che gli tremolava per la paura. Scattò in avanti.
"Tom, aspetta!" Implorò Wyatt.
Ma Tom era entrato nel corridoio, il braccio teso per cercare l'interruttore.
L'uomo mezzo marcio lo agguantò a un fianco, spingendolo contro una parete. Tom provò a difendersi con il coltello di Curt mentre sentiva il mostro tentare di mordergli il collo.
Sentiva le sue unghie sudice graffiargli le braccia. Scie bollenti venivano tracciate sulla pelle di Tom a ogni artigliata del mostro.
Evelyn fu la prima a soccorrere Tom. Si diresse alle spalle di suo padre e lo afferrò per la vita.
Questo lo fece separare da Tom.
Fu poi la volta di Wyatt. Il ragazzino si era diretto in cucina per afferrare un coltello, uno di quegli lunghi e sottili che di solito venivano usati per l'arrosto.
Si scagliò contro l'uomo mezzo marcio e gli affondò il coltello nel suo unico occhio.
La lama entrò in profondità nel cranio. Wyatt avvertì la punta dell'arma impattare contro l'interno della testa del mostro.
Il suo polso fece uno strano piegamento e un dolore improvviso si ramificò nel suo braccio.
L'uomo mezzo marcio intanto urlò di rabbia e paura.
Iniziò ad agitarsi come un pesce fuor d'acqua. Tom ne approfittò e si scagliò contro di lui: afferrò il coltello ancora incastonato nella sua testa, lo torse e lo estrasse. Sangue nerastro mescolato ad altro iniziò a scorrere, non zampillare, dalla ferita del mostro.

Cieco e furioso, l'uomo mezzo marcio iniziò a menare alla rinfusa.
Colpì sua figlia con un calcio e lei rimbalzò contro una parete. Spinse poi Wyatt e Tom e si precipitò di nuovo in sala.
Tom lo inseguì, il coltello da cucina in una mano e il pugnale di Curt dall'altra. Ma quando entrò in sala, Tom non vide più il mostro.
Strane macchie di sangue nerastro disegnavano un tracciato dal corridoio fino alla porta dell'ingresso.
Era socchiusa.
Tom andò ad aprirla. La luce del sole lo accecò per diversi secondi.
Quando si abituò a tutto quel bagliore, Tom vide solo il viale di casa sua, i campi di granturco e le colline all'orizzonte da cui si levava il canto delle cicale.



⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



"Sta ancora dormendo" disse Wyatt una volta tornato in cucina.
Era andato a controllare la madre di Tom. Il ragazzino si stava massaggiando il polso. Temeva una slogatura ma il dolore stava scemando rapidamente.
"Meglio così" commentò Tom. Era seduto in un angolo della cucina. Evelyn gli stava fasciando le braccia dopo averle medicate con della tintura di iodio. Il senso di bruciore che gli aveva provocato quella soluzione salina lo aveva quasi fatto piangere.
"Mi avrà infettato con qualche batterio?" Domandò lui.
Evelyn fece per rispondere ma Wyatt disse: "la tua mania da ipocondriaco è l'ultima cosa che ci serve in questo momento, Tom."
Si avvicinò poi a lui: "io ed Eve abbiamo visto tuo padre sfrecciare via da casa tua... è successo qualc...?"
Tom si alzò di scatto, zittendo Wyatt.
"Dove stai andando?" Chiese sorpresa Evelyn.
Il ragazzino rispose senza fermarsi: "avete sentito il mostro? Joe gli ha dato forza. Ora però è ferito, spero cieco del tutto. Andiamo a fermarlo una volta del tutto."
"Aspetta..." Wyatt lo bloccò prima che potesse uscire "...sei sconvolto e non ragioni lucidamente."
"Abbiamo aspettato anche troppo a lungo e guarda cosa sta accadendo! Joe morto, l'uomo mezzo marcio che entra in casa nostra e..." si bloccò di colpo.
Si voltò verso Evelyn: "prima ha detto che era tuo padre?" Un brivido fece tremolare Tom da capo a piedi.
Evelyn si alzò: "Tom, è per questo che io e Wyatt siamo qui."
Lo sguardo di Tom si spostò lentamente da Evely a Wyatt. Quest'ultimo annuì: "dobbiamo parlare."



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Si erano ritirati nel fienile. Era un enorme stabile costruito dal nonno di Tom agli inizi del secolo.
Anni di intemperie e ruggine avevano bucherellato le pareti, lasciando entrare all'interno dei piccoli fasci di luce.
Una vecchia lampadina oscillava sopra le teste dei tre ragazzi.
Wyatt aveva raccontato a Tom tutto quello che lui e Evelyn si erano detti.
Tom aveva ascoltato pazientemente, seduto su una balla di fieno a braccia incrociate. Alzò poi lo sguardo verso Evelyn: "e l'ultima volta che hai visto tuo padre...?"
Lei rispose: "era ad Atlanta."

Tom annuì, scese poi dalla balla di fieno e si avvicinò ai suoi due amici: "abbiamo incontrato l'uomo mezzo mar... Alan Reese ...nelle nostre abitazioni oppure vicino la casa di Price."
"Si..." rispose Wyatt "...e allora?"
"E allora..." continuò Tom "...io dico di andarlo a cercare lì dove lo abbiamo incontrato per la prima volta. La casa di Price è stato un errore."
Wyatt socchiuse gli occhi, un gesto che faceva inconsciamente ogni volta che si concentrava: "tu dici che nell'erba alta troveremo Alan?"
Tom annuì: "se è un mostro... si, insomma ...una specie di non-morto, allora vuol dire che deve essergli successo qualcosa quando era in vita. Magari è morto proprio nell'erba alta, nei pressi della casa di Price, o magari c'è un altro motivo che lo lega a quel posto. Sta di fatto che è molto probabile che lo troveremo lì."
Improvvisamente lui e Wyatt si voltarono verso Evelyn.
Strane emozioni si stavano agitando nel cuore della ragazzina. I suoi due amici gli concessero del tempo per riordinare le idee, poi lei annuì e disse: "è da un bel pezzo che ho compreso che mio padre è morto. Sto bene, ho accettato la cosa."
"Sicura?" Chiese Tom.
Lei avrebbe voluto rispondere, ma si limitò ad annuire.

Tom si voltò verso un vecchio tavolo da lavoro, lì si trovava una cassetta degli attrezzi. L'aprì ed estrasse un martello e un paio di cacciaviti.
"Che fai?" Chiese Wyatt.
"Dobbiamo armarci, l'ultima volta che ci siamo avvicinati all'erba alta avevamo una mazza da baseball e un coltello... che in quell'occasione non ho neanche estratto, che io sia maledetto."
"Non essere così severo con te stesso." Disse Evelyn.
Lui alzò una mano per ringraziarla: "quello che voglio dire è che una mazza e un coltello, ora che so quale mostro dobbiamo affrontare, non mi sembrano sufficienti."
Wyatt lo fissò negli occhi: "quindi la tua idea è quella di racimolare tutto ciò che trovi in giro, tutto ciò che può essere maneggiato come arma, e di usarla contro Alan?"
"Si" rispose Tom. I suoi occhi sembravano ardere di luce propria. Quel suo modo di fare sembrava non ammettere repliche. Così anche Wyatt e Evelyn iniziarono a cercare delle armi per il fienile. Trovarono una vecchia fionda appartenuta al padre di Tom. Non era una fionda giocattolo, sembrava difficile da maneggiare ma aveva un aspetto minaccioso e sembrava molto pericolosa.
Evelyn trovò una vecchia sega ma era così arrugginita che la lasciò senza più curarsene. Lasciarono perdere strumenti agricoli particolarmente grandi o pesanti.
"Hey..." esclamò Wyatt improvvisamente "...e quella?" Indicò un vecchio fucile da caccia esposto su una parete.
Con fare sconsolato, Tom scosse il capo: "non ci sono munizioni in casa... inoltre il fucile è rotto. Ha qualcosa che non va sul meccanismo di... non so, non conosco molto le armi da fuoco. Papà è rimasto traumatizzato da quello che ha visto in Germania e non ha mai voluto parlarmi di queste cose.
Teniamo il fucile qui per ricordo di mio nonno. Sapete, è stato lui ha costruire la fattoria E' morto di meningite fulminante quando io avevo quattro anni e... ehm ...ho iniziato a parlare troppo, vero?"
Evelyn non disse nulla. Si voltò verso Wyatt e lui, stringendosi nelle spalle, disse: "fa sempre così quando è triste."
"Non sono triste."

Evelyn si avvicinò a Tom e lo abbracciò forte.
Lui non sapeva come comportarsi. Sentì poi Wyatt aggiungersi a quell'abbraccio.
Avvertì che poteva, doveva, permettersi quel momento. Un momento per riprendere fiato.
Evelyn poi disse: "i miei litigavano giorno e notte, ho imparato a riconoscere i segnali. Tom... hai me e Wyatt, non pensare ad altro."
Si separarono e, per qualche secondo passato nell'imbarazzo, i tre ragazzini non dissero nulla.
Non si guardarono neanche negli occhi.
Tom finì di asciugarsi le lacrime. Aprì poi un vecchio armadio e una leggera esclamazione gli sfuggì di bocca.
Wyatt e Evelyn furono subito al suo fianco.
"Porca vacca!" Commentò Wyatt.
Tra le vecchie giacche da uomo appese in quell'armadio, che odoravano vagamente di naftalina, si trovava un vecchio machete.
Era lungo quasi quanto un braccio di Tom. Fu lui ad afferrarlo e a rimuoverlo dal fodero. La lama sembrava ancora ben affilata. Quell'arma metteva paura solo a vederla.
"Tom..." Wyatt lo chiamò quasi con un sussurro.
"Si?"
"Se nell'erba alta ci troveremo a combattere Alan... e tu mi ammazzi per sbaglio con quel coso, giuro su Dio che mi risveglierò come quel mostro schifoso e verrò a trovarti a casa. Senza offesa, Evelyn."
"Nessuna offesa" Evelyn accennò a un sorriso.



cic

   
 
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