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Autore: AMYpond88    12/01/2023    2 recensioni
Suguru lo sogna ormai ogni notte.
Non ha idea di chi sia lui... anche se dopo così tanti giorni inizia a pensare di conoscerlo.
A volte è un adulto, un suo coetaneo, a volte solo un ragazzino... anche piuttosto petulante.
A volte sembra in pericolo, a volte è Il pericolo.
Ma questa volta il ragazzo con i capelli bianchi pare davvero nei guai...
Genere: Angst, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru, Okkotsu Yuta
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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"Suguru?"

Flette le dita della mano, assicurandosi che la benda che la fascia non sia troppo stretta, prima di lasciare che il braccio ricada sulla sua coscia.
Seduto sul bordo del letto, ora che è tutto finito, ora che l'adrenalina è scemata, Suguru sente tutto il peso delle giornate passate sopraffarlo.
Guarda l'arto come se fosse un'appendice estranea. È pallido e, come il resto della sua epidermide, trema.
Non sa se è per il freddo, non ha voglia nemmeno di prendere una maglia pulita dal cassetto, o se per la debolezza. In fondo ne ha perso di sangue nell'ultimo scontro.
Sa che è stato curato, ricorda mani amiche posarsi tremanti sugli squarci che gli aprivano il petto.
Shoko, è stata Shoko, si ricorda in un angolino del suo cervello.
Lei l'ha rimesso in piedi, ha ricomposto i pezzi dopo il suo scontro con Fushiguro.
Ora, delle ferite quasi mortali lasciate dallo Zenin rinnegato rimangono poche tracce, poco più che tagli superficiali.
Il palmo della mano, uno zigomo, il torace in via di guarigione.
Però non sembrano voler smettere di bruciare.
Sfiora la pelle dello sterno con le dita. In quel punto la ferita era più profonda, Ia compagna è riuscita a fermare l'emorragia e a salvargli la vita, ma il taglio deve ancora rimarginarsi del tutto.
La carne viva, bollente al tatto, pulsa sotto l'epidermide appena formata, delicata e tesa come carta velina. Risponde alla pressione dei suoi polpastrelli, delle sue unghie che fremono per scavare.
Il dolore gli ricorda che è vivo.
Per cosa? Perché lo ha lasciato in vita?
Non pensare, vai avanti.
Non si ripete altro, negli ultimi giorni.
Non si ripete altro in questo limbo in cui è finito, mentre si tiene insieme fasciando meticolosamente ferite praticamente già guarite.
Serve a ricordare a se stesso che non può permettersi di fermarsi, non ha tempo. Non ne ha mai avuto.
Nè quando Riko è crollata a terra, un proiettile in testa a congelare il suo ultimo sorriso, nè quando quel bastardo gli ha detto di aver ucciso... lui.
Anche in quel momento, ha registrato nella sua testa l'informazione nel tempo di un secondo, soffocando l'immagine dell'amico morente, affogandola nella maledizione evocata nella sua mano e scagliata un istante dopo.
Rabbia, rabbia e altra rabbia. Nessuno spazio per piangere.
Non serve che gli stregoni abbiano un'anima.
Non pensare, non hai tempo, vai avanti, combatti.
Per cosa? Perché?
Cosa avrebbe trovato alla fine di questa corsa?
Sarebbe stato solo l'ennesimo cadavere?
Quelli dei suoi compagni lo avrebbero preceduto? Anche il suo?
No, noi siamo i più forti, si ripete.
Mente, ora lo sa. Mente a se stesso come ha fatto con Amanai.
Le ha detto che avrebbero difeso la sua scelta, la sua vita, il suo futuro. Persino da Tengen.
Nasconde il viso tra le mani, seppellendo una risata amara. Non hanno saputo difenderla nemmeno da uno stronzo con una pistola.
Se qualcuno è destinato a diventare Il più forte, non è più lui, né insieme a lui.
Suguru teme di essere sul punto di diventare una maledizione, a furia di ingoiarne.
Non pensare, non hai tempo, vai avanti, dimentica.

"Suguru?"
Giusto. Si è perso, scordandosi del ragazzo fermo sulla porta.
Riconosce la voce, quanto il peso che sente posarsi accanto a lui sul letto.
Sa che deve essere davvero preoccupato, se non ha fatto irruzione come al solito, ma ha aspettato inutilmente un suo cenno.
"Lascia che ti aiuti con questo..."
Risponde con un borbottio, senza alzare lo sguardo. Non lo vorrebbe qui. Odia che possa vederlo così. Eppure non può evitare la sensazione di conforto che sente formicolare nel petto.
Il nuovo arrivato si allunga verso le bende posate al suo fianco, prima di sostituire le mani alle sue, cominciando a fasciare il suo torace.
Dove le sue dita scavavano, le altre accarezzano.
L'Infinito è attivo e vigile, ne sente lo sfrigolio sulla pelle, ma lo sta lasciando passare.
"Mi sto allenando a selezionare cosa bloccare e cosa no", spiega il ragazzo, rispondendo alla domanda che lui non ha ancora fatto.
"...Con te è facile", continua, prima di dargli un colpetto leggero sul braccio
"Puoi girarti?"
Fa un mezzo sorriso, obbedendo e dandogli le spalle, permettendo all'altro di fissare le bende con dita agili.
"Ecco fatto", conclude l'amico, senza però staccare le mani dalla sua pelle.
Suguru socchiude gli occhi, quando sente le labbra morbide appoggiarsi tra le sue scapole, leggere. Così leggere che penserebbe di esserselo sognato, se non fosse per i capelli che solleticano la pelle del suo collo, per la punta del naso che sfiora la sua spina dorsale.
Questo è reale? Probabilmente. Altrimenti come potrebbe pesargli tanto il vuoto che lo schiaccia, quando Satoru, questo è il nome, si allontana, lasciando solo freddo al suo posto.
La sensazione fortunatamente dura poco. Il ragazzo ora è davanti a lui.
Gli occhi celesti incrociano i suoi per un istante, prima di socchiudersi.
Si aspetta quasi che gli salga in grembo e lo baci, ma no. Le sue labbra ora sono posate sul suo zigomo escoriato che Shoko ha tralasciato di curare, concentrata su ferite più gravi. Il tocco di Satoru è deciso sulla pelle lesa, gli fa quasi stringere i denti.

Non dice una parola ed è strano, quando mai sta zitto, ma Suguru non ha tempo di preoccuparsene, nè di chiedersi che senso abbia questo pensiero, dato che perde una decina di anni di vita, mentre il compagno si piazza inginocchiato tra le sue gambe.
Posa una mano sul suo ginocchio, per assicurarsi un equilibrio migliore. L'altra si alza fino al suo viso, gioca un istante con le ciocche corvine, prima di posarsi a coprire i suoi occhi.
La bocca di Satoru compie il percorso inverso della sua mano. Si ferma quando arriva all'altezza del suo torace.
Il ragazzo lambisce la pelle arrossata che sbuca dalle bende, delicato. Lo diventa anche di più, quando sbatte la testa come un gatto particolarmente affettuoso contro il suo mento, prima di accarezzare con la lingua lo spazio tra le sue clavicole.
Scende, tira una morsicata all'altezza del cuore, giocoso e possessivo ad un tempo.
È veloce, non si ferma. Gli lascia appena il tempo di sentire i denti sulla pelle, il calore del respiro. Non gliene concede abbastanza per pensare a quanto quel gesto gli faccia venire voglia di piangere.
Scende, scende ancora, mentre Suguru si lascia cadere supino sulle lenzuola.
Le dita che coprivano le sue palpebre fino ad un istante prima, scivolano sulla sua guancia nel movimento, ma lui continua a tenere gli occhi chiusi.
Si chiede se stia sognando. Forse no.
Spera di no.
Se fosse, la morsicata dispettosa, che Gojo riserva alla curva dell'anca, non dovrebbe svegliarlo?
Non dovrebbero farlo unghie che grattano la sua pelle, impegnate ad abbassare la stoffa dei pantaloni?
Invece tutto si fa più sfocato, quasi onirico, mentre il piacere attraversa come una scossa il suo corpo e rimbomba sordo nella sua testa, quando sente la bocca del ragazzo avvolta attorno a lui.
Quando il suo addome si contrae, quando Satoru geme contro la sua pelle.
Prima di scivolare via, si chiede se può bastare quello a soffocare il vuoto che sente dentro.

"Suguru..."

"Suguru..."

Socchiude gli occhi, mentre morde le dita che scavano nella sua bocca.
Non è all'Istituto, quelle che lo circondano sono le pareti di un tempio.
Il suo.
Il suo torace non è fasciato, il suo zigomo non brucia.
Non ha diciassette anni, per saperlo gli basta guardare le proprie mani, la sicurezza con cui si muovono agili per spogliare l'uomo davanti a lui.
Anche l'altro è diverso. La sua mascella netta e lo sguardo affilato, gli occhi scoperti.
Le bende che solitamente li coprono, sono il primo capo d'abbigliamento con cui se l'è presa. Con loro è quasi una questione personale.
"Suguru, questo non ha senso".
La voce è poco più di un sussurro, soffocato contro la pelle del suo collo.
Perché nonostante le sue parole, l'uomo ha ceduto nel momento esatto in cui ha messo piede in quella stanza.
Parla, ma non lo ferma. Lascia che lo spogli della divisa da stregone, subito abbandonata a terra, seguita a ruota dalle vesti da monaco, le sue.
Sparse sul pavimento, finiranno a far loro da letto. La loro unica utilità in questi momenti.
Quando non sono lo stregone più forte e La maledizione, come li etichettano all'Istituto.
Quando sono solamente loro, senza difese. Non ne hanno bisogno. O forse si illudono che non servano, tra loro.
Ma ora non può pensare a questo.
Ora che gli è addosso, ogni arto e muscolo teso per restare legato a lui. Gambe allacciate alla sua vita, braccia avvinghiate alle sue spalle, unghie ad incidergli la pelle (solo perché può), con gli occhi che si sforzano di restare aperti, fissi in quelli di Satoru.
E si sente nudo, esposto, fin nell'anima. Come se il suo petto fosse spaccato, la sua scatola cranica aperta, tutto sotto lo sguardo e gli occhi dell'uomo.
Quindi affonda il viso nell'incavo del suo collo, morde e bacia la sua gola, godendosi il battito frenetico della giugulare sotto la lingua.
Infila il naso tra i capelli bianchi, sentendo le mani prudere dalla voglia di tirarli. Peccato che non possa, dato che a quanto pare in un momento non precisato quello stronzo gli ha bloccato i polsi dietro la schiena con le sue bende, giusto per dargli un buon motivo per avercela con loro.
Quando diamine è successo?
Sbuffa, indispettito, morendo d'affetto quando il suo gesto strappa una risata all'altro uomo, negli occhi l'espressione dispettosa che conosce bene.
Per un attimo tutto sembra più leggero.
Gojo lo ingabbia tra le braccia, tenendolo più saldamente in grembo, affondando le mani tra le ciocche nere.
Ad ogni spinta, Suguru trema. E lo chiama. E tutto il suo corpo gli si stringe addosso.
E Satoru non smette di guardarlo un istante mentre lui gli chiede di più, più forte. Vuole tutto quello che l'altro uomo può dargli.
Che sia amore o morte, non l'ha ancora capito.
Il piacere, il dolore, rendono tutto sfocato e ad ogni respiro nascosto nella pelle dell'altro, ad ogni grido soffocato contro la sua mascella, tutto si fa più irreale.
Si perde nel tocco delle mani di Satoru che stringono il suo viso tra le dita.
Il leggero strato di sudore che gli bagna la fronte, quando la poggia contro la sua, gli ricorda i giorni d'estate.

"Suguru..."

"Suguru..."

È la voce di Satoru, ancora. Ora però pare un sussurro, distante. Suguru non sente più il suo calore addosso. Solo quello in divenire di una pallida alba di dicembre.
Ha freddo. Il gusto metallico del sangue punge in bocca e non sente più un braccio.
Apre con fatica gli occhi, cercando di seguire la voce di Satoru, accovacciato davanti a lui, a dire che gli dispiace, a ricordargli che è sempre il suo migliore amico.
Dice anche altro, ma lui lo sente a malapena.
Pensa che avrebbe qualcosa da rispondergli, qualcosa che è importante, che deve sapere, ma tutto si fa nero.

"Suguru..."

"Suguru Geto, quando ti ho trovato non riuscivo a credere alla mia fortuna..."
Questa non è la voce di Satoru. Non la conosce.
Il tono è dolce, ma Suguru può cogliere il gelo dietro ad ogni parola.
Poi rimane solo il silezio, il buio e il freddo di un bisturi che corre sulla fronte.
È morto, sa di esserlo. Come può sentire? Come può avere paura?
"E ora dammi il Sei occhi..."

"Dammi Satoru Gojo".

Il rumore della maniglia che si alza e abbassa copre le ultime parole che si trascinano, accompagnandolo dal sogno alla veglia.
Una luce filtra sotto le sue palpebre, tremolante. È quella che viene dal bagno.
Guarda ad occhi socchiusi Mimiko chiudere piano la porta della stanza, per poi lanciare un'occhiata verso il divano, preoccupata di averlo svegliato.
Finge di dormire per il tempo che la ragazza ci mette ad arrivare in camera da letto, solo quando sente il fruscio delle coperte, si mette seduto.
Si stropiccia gli occhi con una mano, prima di passarsi le mani nei capelli. Sono umidi di sudore, segno della sua nottata agitata. Può anche sentire il gonfiore di nuove borse formarsi sotto gli occhi.
Che cazzo di casino, pensa.
Lo sapeva che incontrare quel ragazzo, Satoru Gojo, Suguru, fingere di non sapere il suo nome non lo farà sparire dalla tua testa, non poteva non avere conseguenze.
Una parte di lui aveva quasi sospirato di sollievo trovandoselo davanti in carne ed ossa la mattina precedente.
Perché quello era evidentemente il ragazzo che continuava a sognare, l'aveva riconosciuto subito, ed era... normale?
Ok, magari non normale, decisamente non sembrava una persona ordinaria, ma era come lui. Umano.
Peccato per la sequenza di immagini rimbombata nel suo cervello un istante dopo, un'ondata di ricordi, sembravano ricordi, decisamente non suoi.
Un banco di scuola in legno, in un'aula che pare un tempio.
Una spiaggia e la risata di una ragazzina con una treccia nera.
Persone che applaudono e in mezzo, un ragazzo dagli occhi azzurri, folli.
Una gabbia di legno. Due bambine malmenate. Due bambine così simili alle sue sorelle.
Sangue, sangue per le strade di un villaggio. Altro sangue, su pareti bianche e mobili moderni.
Quella sembrava casa sua...
Una scuola elementare. Un ragazzo con una katana.
Tante, troppe immagini. Così tante da tramortirlo.
Senza contare l'assurda voglia di piangere e il groppo alla gola che l'aveva soffocato, mozzandogli il respiro nel momento in cui l'altro lo aveva sorretto.
Quel pensiero che non riusciva a tacere, un pensiero assurdo, non suo.
Ti ho trovato, sei qui.
Non aveva senso.

Ammette che pensare che la situazione si sarebbe risolta così facilmente, era stato stupidamente ottimista da parte sua.
Ma ora i suoi sogni dovevano diventare anche così simili a dei ricordi, così dettagliati, così dannatamente fisici?
Non lo sono stati fino ad ora. Almeno non così tanto.
Oddio, forse ha ragione Shoko quando gli fa notare che non fa sesso da troppo. Teme che una svolta alla sua vita sessuale non possa bastare a questo punto.
E perché un minuto prima ci stava facendo sesso e quello dopo è quasi certo che lo stesse uccidendo?
E c'era anche altro. Un'altra voce, ne è sicuro, però non riesca a ricordare.
Non ci sta capendo nulla. Sta impazzendo. Le dita della sua mano destra che come al solito scattano senza che lui riesca a controllarle, sono la cosa che lo preoccupano di meno.
Aspetta che gli spasmi si calmino, poi lancia un'occhiata verso la sveglia posata sul tavolino del salotto. Non sono nemmeno le quattro della mattina.
Chiude gli occhi e si lascia andare sullo schienale del divano.
Al buio, nel silenzio dell'appartamento, può sentire il respiro regolare delle ragazze.
Qualsiasi cosa avesse scosso il sonno di Mimiko, non le ha impedito di riaddormentarsi, oltre a non aver minimamente turbato Nanako.
Lui quante speranze ha di riprendere sonno?
Geme, portandosi una mano al retro del collo. Al turbamento lasciato dalla sequenza di sogni, si aggiunge il molto più prosaico male alla cervicale.
A quanto pare attorno ai trent'anni dormire due sere di fila su un divano non è un'ottima idea.
Come prima cosa, domani mattina ordinerà un divano letto su Amazon, che tanto le ragazze non vanno da nessuna parte, ormai ha deciso.
Ora, però, una doccia bollente pare un palliativo abbastanza efficace.
Si alza, muovendosi al buio, finché non raggiunge a tentoni l'interruttore dello specchio del bagno.

Un improvviso nuovo disagio gli prende la bocca dello stomaco. È stupido, quello è il suo appartamento, ma sotto la luce fredda del neon, la stanza ha l'aria di un laboratorio. Tutto sembra improvvisamente troppo freddo e asettico.
Ringrazia i flaconi colorati e gli accessori per capelli che le ragazze hanno sparso ovunque, anche se è pronto a scommettere che la gran parte di quelli lasciati in disordine appartengano a Nanako.
In questo momento è contento di essere un fratello dal cuore debole e totalmente privo di polso, perché quel disordine gli ricorda che è a casa.
Stropicciandosi il viso, si volta verso lo specchio.
Strofina gli occhi con pollice ed indice, cercando di scacciare il sonno, la stanchezza. Rinuncia quasi subito al tentativo.
Nel momento in cui la mano scivola via, il suo sguardo cade sul suo stesso riflesso. Deglutisce a vuoto, mentre il respiro gli muore in gola.
Guarda inorridito un taglio sottile aprirsi sulla sua fronte, un rivolo rosso cominciare a scivolare lento ai lati del suo volto.
È terrorizzato, ma non riesce a levare gli occhi dallo specchio.
Vede i lembi di pelle aprirsi, il sangue sgorgare violento dalla ferita, il bianco delle ossa della calotta cranica emergere.
Quando il lobo frontale comincia a spaccarsi, la sua materia celebrale esposta, il suo riflesso ride. Una risata fredda, maniacale. Piena di scherno.
'Che tristezza, non ti ricordi di me?', sussurra infida una voce.
È la sua? È lui che sta parlando?
Un conato gli scuote lo stomaco e il petto, il gusto acido della bile gli riempie la bocca, mentre si piega su se stesso e porta le mani alla bocca.
Quasi sbatte contro la parete alle sue spalle, indietreggiando e cercando di raggiungere alla cieca la tazza.
Quando trova il coraggio di rialzare lo sguardo sullo specchio, il riflesso che lo guarda di rimando è quello di un trentenne terrorizzato. Con il viso bianco e le labbra tremanti, ma illeso.
Nessun taglio, nessuna cicatrice, niente sangue né ossa esposte.
È semplicemente lui.
Si porta le dita alla fronte, testando febbrilmente la pelle alla ricerca di lesioni, ferite, ma nulla.
L'epidermide è gelida, il volto coperto di sudore, il suo cuore batte ancora a mille, ma sta bene.
Nulla di ciò che ha visto era reale e questo lo terrorizza.
Indietreggia fino a toccare con le spalle il muro. Si lascia scivolare a terra, sul pavimento freddo, nascondendo il viso tra le ginocchia.
Nulla è reale.

Geto Sama?

Geto Sama?

Mani delicate lo scuotono. Nel dormiveglia riconosce le voci di Mimiko e Nanako.
Geto Sama!
'Sama'? Da quando lo chiamano così?
"Ni-chan? Cosa ci fai in terra?"
"Mimi, chiamiamo Ne-san?"
"Cerco il numero!"
Gli fa male la schiena, la sua cervicale è evidentemente peggiorata e l'emicrania gli sta facendo a pezzi il cervello.
Tutto potrebbe drammaticamente peggiorare se le sue sorelle chiamassero Ieiri.
"Ehi ragazze, sto bene", le interrompe, mentendo spudoratamente. Non escluderebbe di avere un mezzo trauma cranico.
"Non è il caso di chiamare Shoko..."
Non voleva immaginare la reazione della donna ad una sua chiamata di prima mattina, sentendo dall'altro capo due adolescenti in crisi di panico.
Anzi, non serviva che immaginasse nulla. Sarebbe finita con una serie di minacce che avrebbero coinvolto lui, le sue zone più sensibili e le capacità di Shoko di dissezionare più o meno rapidamente parti del corpo umano. In breve, sarebbe stata gentile con le sue sorelle, per poi assicurare a lui che sì, gli avrebbe staccato le palle, ma l'avrebbe fatto con un bisturi sterile.
"Ma sei in terra!", sbotta Nanako.
"Sul pavimento del bagno...", insiste Mimiko, in un sussurro.
Sente il senso di colpa attorcigliargli lo stomaco, mentre fissa i volti preoccupati delle ragazze.
"Chiamerò Shoko, ve lo prometto, ma lo farò più tardi", le rassicura.
Si alza, sentendosi più accartocciato che mai.
"Mi faccio una doccia e vi raggiungo per la colazione, probabilmente sono rimasti dei pancake da ieri..."
Comprale con il cibo, funziona sempre, riflette, al diavolo la lotta allo spreco alimentare.
"Ma dovrebbero esserci delle uova. Se preferite possiamo fare delle crepes..."
Propone con un sorriso, sperando che basti.
Come previsto, il volto di Nanako si illumina, mentre anche la ragazza mora sembra rasserenarsi, anche se non del tutto.
Mentre la sorella si allontana saltellante verso la cucina, Mimiko si attarda, esitando sulla porta del bagno.
"Ni-chan, non è colpa mia vero?", sussurra.
Se prima si sentiva in colpa, ora non saprebbe nemmeno descrivere il sentimento che prova.
Stringe la ragazzina al petto, nascondendo il volto nei suoi capelli. Scuri come i suoi, a differenza della sorella.
"Mai, piccola". La rassicura, cercando di ignorare come la sua mano riprenda a tremare. Si prende qualche istante, prima di staccarsi dall'abbraccio, con tutta la gentilezza che possiede.
"Ora vai, prima che Nana faccia danni in cucina".
La ragazza fa un cenno, un piccolo sorriso, prima di dirigersi nell'altra stanza.
Passano pochi attimi e Suguru ridacchia, sentendo le due punzecchiarsi per chissà cosa.
Prima di entrare in doccia, lancia un'ultima occhiata allo specchio.
L'immagine che torna indietro è la sua. E gli urla che ha bisogno di una doccia.
Si lancia sotto il getto bollente, godendosi i primi momenti di pace.
L'acqua calda gli scorre sui capelli e scivola addosso, mentre poggia la fronte contro le piastrelle, godendosi il freddo della ceramica sulla pelle arrossata dal calore.
Si riscuote, quando si accorge che il sollievo si sta trasformando in torpore. Gli manca solo di addormentarsi sotto la doccia.
"Ni-chan! Comincio a preparare!".
Sobbalza, quando Nanako urla dalla cucina, annunciando a lui e anche ai vicini di casa la sua intenzione di dar fuoco alla stabile.
Inspira, espira.
Non è pronto, ma la sua giornata deve iniziare.




E ce l'ho fatta! Mi scuso per i soliti templi biblici, alle scuse solite (lavoro - faccio la commessa e sono iniziati i saldi, abbiate pietà - bestiolina anche chiamata figlia che quando sono a casa vive appiccicata alla sottoscritta, possibilmente cercando di mordere il naso, bisogno di una cosa chiamata sonno) si è aggiunto il marito in ferie. Inoltre, scorci di vita della sottoscritta a parte, mettersi nella testa di certi personaggi, per provare a scriverli in modo decente, può essere stancante. Per me, i pov di Suguru Geto in fase depressa (ne ha altre di fasi? A si, quella da pazzo psicopatico) sono un massacro mentale.
Sul capitolo, in breve: non doveva andare così. Notizia buona? Quello che doveva essere questo capitolo è diventato il capitolo dopo, che quindi è già quasi pronto, molto più leggero e nessuno viene torturato psicologamente.
Altro punto che mi ha levato tempo: le scene di sesso.
Ho un problema con queste e finiscono per essere riscritte sessanta volte.
Detto questo, spero che il capitolo piaccia, darò la precedenza alla seconda parte quanto prima.
Un abbraccio
Amy

   
 
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