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Autore: softandlonely    12/01/2023    1 recensioni
La stanza di Chrissy nell’appartamento di Bedford Avenue è molto più piccola rispetto a quella di Hawkins ma altrettanto vuota. Il letto, una scrivania, uno specchio, l’armadio. Nessun quadro alle pareti verde pallido, leggermente scrostate.
E lei, rannicchiata tra le lenzuola, una maglia nera troppo grande, la lettera stretta contro il petto.
Ha dovuto rileggerla tre volte per rendersi conto che è tutto vero.
Sarebbe tutto perfetto se non fosse che…
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Può sentirlo ancora, riempirgli la bocca e il cuore. È un sapore zuccherino, appagante, inaspettato.
Inizia sempre così, il sogno che lo rincorre ormai da mesi.
È un ricordo sfocato dei divanetti di fòrmica del bar in cui l’ha accompagnata mille volte a comprare le sigarette.
Quella mattina, insieme al solito pacchetto bianco e rosso avvolto nel cellophane, aveva chiesto anche un bicchiere di succo di frutta per lui. Non succedeva mai.
E l’aveva osservato tutto il tempo, con quegli occhi profondi e morbidi come il velluto, mentre lui faceva del suo meglio per berlo un sorso alla volta per far durare il più possibile quel momento. Aveva finito per buttarlo giù alla velocità della luce, senza riuscire a risparmiarsi, perché in fondo, già allora, risparmiarsi non era cosa per lui.
Sorridente, gli aveva allungato una moneta per prendere un giocattolo dal distributore lì accanto: una di quelle palline di plastica colorate di cui lui non sapeva bene cosa fare. In quel momento non era importante: era il dono più prezioso del mondo. Sembrava tutto diverso quella mattina, migliore. E Eddie era felice, davvero felice.
 
Il viaggio in auto era durato abbastanza, con il ronzio del vecchio motore e le buche sull’asfalto ad accompagnarlo in una sorta di dormiveglia. Se ne stava ancora così, steso sui sedili posteriori, quando lei aveva parcheggiato. L’aria gelata gli aveva procurato un brivido quando era scesa, allungandosi per sgranchirsi le braccia, con la sua grazia inconfondibile e i capelli scuri e lisci che le accarezzavano le spalle. Sul collo, dall’orlo del suo maglione, sbucavano ancora i segni giallognoli di un ematoma in via di guarigione. E lui lo sapeva, come se l’era procurato, ma nemmeno quella volta era stato in grado di impedire che accadesse.
 
Quando lei si era chinata per prenderlo, credendolo profondamente addormentato, l’aveva lasciata fare.
Gli piaceva sentire quel profumo speciale, inconfondibile.
E proprio come ogni figlio, gli piaceva stare tra quelle braccia sicure e amorevoli, alle quali si era abbandonato con fiducia.
 
Le molle del vecchio materasso, schiacciate dal suo peso, avevano emesso un cigolio poco accogliente, e la porta della stanza si era chiusa dietro le sue spalle.
Poteva ancora sentirla parlare.
 
“Aspetta almeno che si svegli.”
 
“Meglio di no.”
 
L’ultima volta in cui aveva sentito la sua voce, la prima volta che aveva sentito quella di suo zio.
Eccolo lì, proiettato nel futuro scelto da qualcun altro, la cosa migliore che la vita poteva offrirgli in quel momento, qualcosa di cui in fondo avrebbe dovuto essere grato.
 
Eddie spalanca gli occhi, ed è ancora in quel letto. Ogni volta che quel sogno torna a fargli visita si fa strada dentro di lui come l’aria fredda che proviene dalla vecchia finestra che nessuno ha mai riparato.
Il sole sta sorgendo dietro gli alberi, è la prima cosa di cui si rende conto. La seconda è che è solo.
Quando esce dalla stanza l’odore della polvere che Wayne usa da una vita per il bucato gli penetra nel naso, come se lui fosse tornato, come se nulla fosse successo. I vestiti puliti sono piegati in una pila ordinata, sul divano. Chrissy non c’è.
Ha il cuore che gli batte in gola, nelle tempie, quando apre la porta e la ritrova fuori, seduta sotto il portico.
Si passa una mano tra i capelli, tentando invano di mascherare la sua apprensione con l’indifferenza.
 
“Ah, sei qui.”
 
Chrissy si volta piano, come se anche lei si stesse risvegliando da un sogno. “Perché, credevi che me ne fossi andata?”
 
“No.”
 
“Vieni, è quasi ora.”
 
Gli lascia una carezza sfuggente sul petto e rientra in casa, portandosi via la sua paura.
Lo fa semplicemente. Con la sua sola presenza, tutto quello di cui lui ha bisogno adesso.
Nelle sue mani Eddie ha consegnato la parte più vulnerabile della sua anima. Le ha dato il permesso di vederla, di custodirla, esattamente come Chrissy ha fatto con lui.
Un’altra parte molto importante di lui è in ospedale, in attesa di conoscere il proprio destino.
 
 
 
Settembre 1986
 
Quando l’aveva sentita entrare, Eddie stava friggendo le uova per la colazione con una mano sola. L’altra la stava usando per massaggiarsi il collo, indolenzito per la posizione scomoda in cui era stato costretto a dormire per la maggior parte della notte, il viso di Chrissy premuto contro il petto che gli impediva di muoversi.
Non si era spostato, e non solo per la paura di svegliarla.
 
Quando si era voltato lei lo stava osservando con le braccia incrociate e la sua maglietta addosso, quella che usava spesso per dormire.
 
“Puoi tenerla quella se vuoi.” le aveva detto, fissando la padella fino a sentire gli occhi che bruciavano.
 
E poi quelle piccole mani gli si erano aggrappate addosso, e lei aveva appoggiato la fronte tra le sue scapole. Sentiva il calore del suo respiro sulla schiena. Si erano seduti per mangiare, con Chrissy che lo osservava scettica mentre lui si versava un’oscena quantità di cereali nella tazza: un perfetto mix di Ice Cream Cones, Crunch Berries e Honey comb.
 
“Che c’è? Guarda che la colazione è il pasto più importante della giornata.”
 
Per tutta risposta, lei aveva affondato il cucchiaio nella sua tazza e si era infilata in bocca un po’ di quella poltiglia, deglutendola a fatica.
 
“Buono eh? Eh?”
 
“È orribile, Eddie. Sei proprio uno svitato.”
 
E poi aveva ripreso a rigirare la forchetta nel piatto senza concludere niente.
Ma Eddie lo sapeva, in fondo era affascinata da tutte le sue stranezze e del resto la cosa era reciproca.
A volte sperava di essere l’unico a conoscere le piccole cose che rendevano Chrissy la “sua” Chrissy, la stessa ragazza che stava per accompagnare a prendersi la vita che meritava di vivere.
Il suo modo di guardarsi allo specchio senza piacersi mai, per esempio, o il fatto che piegasse i vestiti perfettamente, disponendoli nell’esatto ordine in cui li avrebbe indossati il giorno seguente. Perfino lo strano suono che faceva quando rideva forte. Avrebbe potuto farlo per tutta la vita: sbirciare nel bizzarro mondo di Chrissy Cunningham e lasciarla pescare dalla sua tazza di cereali.
 
Sul tavolo, accanto a loro, il foglietto rosa sul quale lei aveva annotato il suo nuovo numero di telefono a New York, con quella sua grafia aggraziata.
Al contrario di lei, Eddie non aveva una meta precisa e tantomeno un numero di telefono da appuntare.
Quale sarebbe stato il suo posto da quel momento in poi?
Per tutto il tragitto verso la stazione delle corriere Eddie aveva mormorato la melodia di una canzone, tamburellando le dita sul volante. I bagagli che sbattevano nel retro del van a ogni buca dell’asfalto.
In quelli di lui c’erano tutti i suoi sogni da realizzare: l’unica cosa che lo rendeva ricco, tutto ciò che possedeva.
 
Davanti al suo autobus, con uno zaino sulle spalle e un’altra pesante borsa che pendeva dalle sue mani, Chrissy aveva lasciato andare un profondo sospiro, pieno di paura ma anche di speranza.
 
“Ci siamo.”
 
“Già. Tic tac, il tempo passa e la tua carrozza sta per partire, principessa.”  
 
Si era sforzato di sembrare allegro, nonostante la voce insistente nella sua testa continuasse a ripetergli “Non dimenticarti che a mezzanotte precisa l'incanto finirà, e tutto tornerà com’era prima”.
 
“Grazie… beh, di tutto.” aveva balbettato lei.
Se fosse stato davvero in sé le avrebbe impedito di ringraziarlo, ma era già altrove.
Non aveva più nulla da offrirle, e doveva pur difendersi dal vuoto che quell’incertezza gli lasciava dentro.
In quel momento pensava solo a come aveva potuto ridursi così.
In fondo era tutto perfetto, prima. C’era la musica, c’era D&D, c’era…
 
“Allora ci vediamo.”
 
Gli aveva sorriso debolmente. Riusciva a vederla quella nuova luce, quell’eccitazione nei suoi occhi.
 
“Certo, ci vediamo.”
 
Nemmeno lui credeva a quelle parole, ma non aveva potuto fare a meno di contraccambiarla.
Più tardi avrebbe avuto modo di occuparsi dei suoi sentimenti, a costo di strapparseli via dal cuore. Ancora una volta.
 
 
Hawkins
Ottobre 1987
 
Quando apre la porta, Eddie scopre un profumo conosciuto, che si è già insinuato nell’odore di disinfettante della stanza. Infatti la trova lì, seduta accanto a Wayne, con quei suoi grandi occhi pieni di sorpresa e un giornale stretto tra le mani.
 
“Ehilà.” li saluta, mentre appoggia sul comodino una busta con alcuni cambi puliti.
 
“Che c’è? Ho interrotto qualcosa di importante?” chiede, sentendosi improvvisamente fuori posto non appena si rende conto del silenzio in cui quei due sono piombati appena l’hanno visto apparire sulla porta.
 
Chrissy si schiarisce la voce e si allunga sulla sedia, agitando una mano davanti al suo viso con aria noncurante. “Stavo solo aggiornando Wayne sulle ultime notizie.”
 
“Una scossa di terremoto e l’ennesima studentessa scomparsa. Certo che le cose da queste parti non migliorano mai…”
 
“Sempre meglio delle cazzate che mi leggi tu di solito, ragazzo.” si intromette Wayne. “Quando pensi di mettere la testa a posto e smettere di giocare con i tuoi pupazzetti?”
 
“Ora sono ferito. Non ti ricordavo così stronzo.” ribatte Eddie, portandosi una mano al cuore con quel suo modo teatrale che non fa altro che indisporre ulteriormente suo zio.
 
“Mi hai portato le sigarette?”
 
“Che cosa? Si può sapere per chi mi hai preso?”
 
Il battibecco prosegue ancora un po’, fino a che Chrissy afferra il cappotto e si congeda, balbettando qualcosa su delle commissioni da fare prima della partenza. Eddie non può fare a meno di notare l’espressione del suo vecchio, burbero zio, che la osserva allontanarsi pieno di apprensione fino a che non la vede dileguarsi. Quando lo fa, Wayne appoggia una mano sulla sua fronte fasciata, come se all’improvviso si sentisse affaticato.
 
“E così domani se ne va.” lo sente bofonchiare.
 
“A quanto pare. Beh, lo sai no? Il college, gli esami e tutto il resto…”
 
“Che cosa hai intenzione di fare?” gli chiede, scrutando il suo viso con l’aria di chi ha tutta intenzione di attaccare una predica infinita. Ma a quella domanda, Eddie rimane in silenzio. Non farebbe mai pesare a suo zio il fatto che dovrà restare nei paraggi ancora un po’, almeno fino a quando non si sarà ripreso e per il resto… beh, non gli va di pensarci.
 
“Ti rendi conto che siamo nella stessa situazione di un anno fa?” si limita a osservare.
 
“Allora fai in modo che le cose vadano diversamente.” E poi aggiunge, come se gli avesse letto nel pensiero “Perché io non ho intenzione di starti a guardare mentre ti deprimi.”
 
“Non mi deprimo, io.”
 
“Certo che no, e non ti arrabbi mai, giusto? Riporterai il tuo culo dove deve stare.”
 
“E cioè?”
 
“Lo sai.”
 
“Andiamo Wayne, guardaci. Guarda lei. E guarda me.”
 
“Di’ un po’, cosa ne hai fatto di mio nipote? Quello che sapeva quello che voleva e soprattutto, sapeva chi era e voleva essere. Perché a me pare che qualcuno abbia già scelto e che tu stia soltanto…”
 
“Ok, ok, basta così.” lo interrompe.
 
Suo zio alza gli occhi al soffitto e scuote la testa, così lui può approfittarne per scostare la tenda polverosa che copre la finestra. Si affaccia, lasciando correre lo sguardo tra i passanti e le auto della città che piano piano si sta risvegliando sotto di loro.
 
“Ci rinuncio. Ho già dato fin troppo con i discorsi da padre con voi bambini.” sente brontolare in sottofondo.
Eddie non sa più se Wayne stia parlando con lui o con sé stesso.
Per tutta risposta, si accende la prima sigaretta della giornata, beccandosi un ulteriore brontolio di disapprovazione.
 
“Ok, hai vinto tu. Se fai il bravo ti faccio fare due tiri.”
 
 
 
Eddie non ripenserà a quel discorso fino a sera, quando si ritroverà nel caravan con Chrissy e quella scena fin troppo familiare tornerà a tormentarlo. Entrambi stanno fingendo che domani non esista, impegnati nella seconda partita di Clue della serata. Non che sia il suo passatempo preferito, ma Eddie sa bene quanto lei sia competitiva e questo è abbastanza per fargli venire voglia di giocare. Dev’essere un retaggio del suo passato da sportiva o qualcosa del genere. Un’altra delle piccole cose che terrà a mente senza farsi notare, come se stessero condividendo un segreto.
 
“È stato il colonnello Mustard, con la pistola, nella sala da biliardo.” le dice con aria indifferente, sfilando le tre carte dalla busta gialla e sventolandogliele sotto il naso.
 
“Hai vinto di nuovo. Non ci posso credere.”
 
Chrissy spalanca la bocca e mette su un’aria scioccata.
Sembra prendere davvero sul serio quella sconfitta, il che è semplicemente esilarante, specie per uno come lui.
 
“Sei proprio una perdente, Cunningham.” la provoca.
 
“Mh.”
 
“Dai, ti sei offesa? Lo sai che in queste cose sono più bravo di te.”
 
La sua mano raggiunge quella di lei, ancora appoggiata sul tabellone che sta scannerizzando, e lui lo sa che si sta scervellando per capire dove ha sbagliato stavolta, cosa è andato storto. Le dita di Eddie catturano le sue, poi risalgono sul suo braccio e scompaiono sotto la manica della sua maglia per conquistare qualche centimetro in più della sua pelle.
 
“Mi piaci quando ti arrabbi.”
 
“Sta’ zitto. Ti odio.”
 
“Naah. Mi ami, invece.”
 
Glielo dice senza pensare, ma poi, quando la guarda, tutto il suo divertimento sembra dissolversi.
Il silenzio si addensa attorno a loro come una nebbia fitta e pesante quando lei incontra i suoi occhi.
È come se, con quel silenzio, Chrissy volesse svelargli un altro segreto e chiedergli una promessa.
Gli entra dentro come una scheggia che per quanto si sforzi, non riuscirà più a mandare via.
Nemmeno quando sentono bussare alla porta e lei abbassa lo sguardo sulla sua mano, facendosi indietro imbarazzata.
 
Quando Eddie apre sbuffando dall’altra parte c’è Max, la sua vicina, che a quanto pare è passata per chiedere notizie di suo zio.
 
“Tutto bene, tornerà tra pochi giorni.”
 
“Ho portato una torta. L’ha fatta mia madre. Ogni tanto sa essere ancora gentile.” gli dice, allungandogli un piatto coperto di stagnola.
 
“Che pensiero dolce, rossa, non dovevi disturbarti.
 
La ragazzina sembra cogliere il sottotesto di quell’affermazione perché si stringe nella giacca di velluto scura prima di sollevare una mano incerta verso Chrissy, rimasta qualche passo indietro, in segno di saluto.
 
“Beh, ci vediamo.” taglia corto, prima di voltarsi e scomparire nell’oscurità, accompagnata dall’abbaiare insistente di un cane che cerca di liberarsi dalla catena.
 
La torta finisce sul bancone della cucina e, quando Eddie si volta verso Chrissy, quell’intensità non è scomparsa.
Non se ne va nemmeno quando si avvicina e, per farla ridere, le fa il solletico sui fianchi costringendola a divincolarsi per poi scontrarsi contro il suo petto. È ancora lì anche quando percorre la curva del suo collo, prima con il pollice, poi con le labbra.
 
“Magari facciamo un altro gioco. La prossima volta.” le dice, quando ritrova i suoi occhi.
 
“Già, la prossima volta.”
 
“E magari ti lascerò vincere…”
 
E questa volta riesce a immaginarlo veramente. In fondo è semplice. Forse bastava questo, forse è sempre bastato.
Anche se sono confusi e spaventati, proprio come un anno fa. Anche se ora hanno scoperto di potercela fare nonostante tutto a essere felici, anche da soli. Entrambi.
Forse è proprio questo a dar loro la forza di ammettere che insieme lo sono di più.
 
 
New York
Dicembre 1987
 
“Fai il bravo.” mormora Chrissy, le ginocchia strette contro il petto e una mano affondata nel pelo lungo e folto del grosso cane che le sta accanto e che non sembra badarla più di tanto, impegnato com’è a far scomparire ogni traccia di cibo dalla ciotola di avanzi che gli ha portato fuori.
 
“Sembra proprio che gli piaccia.” ridacchia Chrissy, rivolgendosi al suo padrone, che la osserva dall’alto.
Quando lei si solleva, una folata di vento gelido la costringe a stringersi un po’ più forte nel maglioncino che indossa per lavorare. Lui sembra preoccuparsi.
 
“Hai freddo?” le chiede.
 
“No, tranquillo. Sto io qui con Duggie. Tu vai pure dentro, Diana ti aspetta, non vede l’ora di darsela a gambe.”
 
Il ragazzo non si lascia pregare e un attimo dopo scompare dietro i vetri appannati del ristorante, dal quale proviene una piacevole confusione di chiacchiere, musica e stoviglie che tintinnano.
Chrissy fa un’altra carezza al cane.
È una giornata straordinariamente tranquilla, per essere un sabato poco prima di Natale.
L’aria è gelata, ma si riesce a sentire: quella calma felicità pervade ogni cosa, si riesce a cogliere anche nel cielo, nel suo inconfondibile colore grigiastro che preannuncia neve. Un rumore di passi alle sue spalle la fa voltare.
 
“Porcaputtanachefreddo.”
 
Le viene da ridere quando vede Eddie saltare da un piede all’altro, con la sua giacca troppo leggera per le temperature rigide di New York.
 
“Come fai a stare qua fuori con questo tempo?”
 
“Ti stavo aspettando. Ce ne hai messo ad arrivare.” gli sorride, cogliendo all’istante l’espressione furba che gli si dipinge in viso.
 
“Hai detto che avresti aspettato anche tutta la vita…”
 
“So cosa ho detto, Eddie.” taglia corto lei. Poi lo prende sottobraccio, allegra. “Andiamo dentro dai. Ti ho già detto che sono diventata cintura nera di pancake? E ho un sacco di novità da raccontarti.”
 
“C’è tempo Cunningham, c’è tempo. Forza, andiamo.”
 
*****
Nota autrice:
A volte ritornano… buon anno nuovo!
Vi saluto qui, grazie come sempre :*
   
 
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