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Autore: NyxTNeko    16/01/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 143 - Il piccolo caporale -

9 maggio

Il generale Bonaparte, informato dell'arrivo ormai imminente dei plenipotenziari, stava compilando, nella sua mente, una lista di ciò che avrebbe voluto ottenere dal ducato di Parma, come se li avesse battuti sul campo di battaglia; non vedeva tale incontro, quindi, come un accordo alla pari, per garantire i buoni rapporti tra le due potenze. "Anche se piuttosto piccolo quel ducato possiede tesori inestimabili, che la Francia deve possedere, per accrescere la sua grandezza ed importanza a livello mondiale, oltre al necessario per il proseguimento della Campagna". Nell'udire movimento tra le stanze, Napoleone si alzò in piedi - Sono arrivati! Non sono stati così lenti, dopotutto, considerando la distanza con la capitale - emise sarcastico.

I due marchesi Antonio Pallavicini e Filippo della Rosa erano scesi rapidamente dalla carrozza, guardandosi negli occhi, con le labbra ripetevano il discorso che avrebbero tenuto con il generale francese, e le raccomandazioni del duca Ferdinando I "Cercate in tutti i modi di non scatenare la sua ira o di non indispettirlo, assecondatelo più che potete, se vogliamo evitare di essere invasi e distrutti, meglio cedere qualcosa a livello materiale e pecuniario, ma avere il ducato in piedi che perdere tutto, venire esiliati o peggio ancora essere messi a morte, com'è accaduto con i sovrani di Francia". Essendo imparentato anch'egli con i Borboni, temeva più che mai la furia del popolo, nonostante fosse stato, assieme alla moglie, Maria Amalia, una delle sorelle di Maria Antonietta e, de facto regnante del ducato, un sovrano illuminato.

Bonaparte, intanto, li aveva bene accolti con la sua parlantina convincente e li rassicurava che non avrebbe recato alcun male al duca e a nessuno degli abitanti - A condizione che le mie richieste siano accontentate, sapete anche voi quanto sia difficile combattere su più fronti e inoltre le vostre risorse belliche non sono in grado di resistere... - poi si sedette. Il tono della voce era tranquillo e regolare.

Tuttavia i due percepirono il pericolo, sapevano di essere tra le grinfie di una belva famelica - Cercheremo di farlo, generale - rispose Pallavicini, atteggiandosi in maniera naturale, come si confaceva ad un aristocratico del suo rango.

- Diteci pure ciò che vi serve per garantire l'amicizia tra la Francia e Parma - aggiunse accondiscendente e tremante della Rosa, cercando di non farsi prendere dal panico. C'era qualcosa in quel generale che lo inquietava nel profondo, eppure apparentemente sembrava soltanto un giovanissimo ufficiale, dall'aspetto abbastanza comune.

- Vista la vostra disponibilità, sarò abbastanza franco con voi, mi sembrate ragionevoli - i gesti delle mani agguantate e sottili accompagnavano le parole del corso - Se volete la nostra benevolenza dovete pagare! - Era comunque tardi per tirarsi indietro, dovevano farlo. Napoleone era convinto di averli in pugno e senza neppure aver combattuto, ciò che aveva sperato in realtà. Quel duca era della stessa malleabile e controllabile stoffa del defunto Luigi XVI "Simile gentaglia, pur di salvare la vita, venderebbe persino la propria terra, la propria famiglia e la propria dignità, meglio approfittarne".

I due rimasero spiazzati dalla sua "franchezza", pur avendo intuito la natura delle sue richieste. Si misero all'erta, al pari dei cacciatori che cercano una soluzione per sfuggire alla belva, che lo aveva addocchiato e non li lasciava. Attendevano che parlasse, non potevano sopportare ancora quello sguardo penetrante e glaciale.

- Per prima cosa il ducato dovrà versare 2 milioni - iniziò ad elencare, riferendo ciò che aveva segnato nella sua testa, camminando su e giù per la stanza, accrescendo così la loro ansia e tensione - Poi dovrà offrirci 1200 cavalli, 2000 buoi e 10.000 quintali di grano - i plenipotenziari stavano riportando ogni cosa - E infine 20 opere d'arte, tra questi i dipinti di Michelangelo e del Correggio, in particolare La Madonna di San Girolamo...

A tale richiesta i due sobbalzarono, quasi saltarono dalla sedia. Potevano accettare tutte le richieste, ma quel dipinto non potevano cederlo - Anziché soffermarvi su quell'opera in particolare, potremmo darvi un altro milione, per le casse del ducato non è un problema una cifra del genere - proposero i due, quasi all'unisono. Sudavano freddo, consegnarlo significava perdere uno dei pezzi più importanti della collezione, oltre che fonte di orgoglio e prestigio per la loro piccola corte.

Ma era proprio per questo che Bonaparte voleva ottenerlo a tutti i costi, il suo valore non poteva essere calcolato e portarlo a Parigi, assieme agli altri, significava aumentare anche il proprio prestigio, la fama di generale conquistatore sarebbe accresciuta enormemente. Doveva averlo e non avrebbe cambiato idea, senza perdere la calma, dopo aver ascoltato la loro proposta, sorrise e replicò irremovibile - Un milione si fa presto a spenderlo, un capolavoro è eterno. Abbellirà la nostra patria

Della Rosa e Pallavicini, ricordando le parole del duca, non poterono far altro che accusare il colpo e lo aggiunsero, a malincuore, alla lista - C'è altro? - domandarono. Scorsero un lampo negli occhi del generale francese, consci di trovarsi davanti ad un uomo che sapeva perfettamente quello che voleva.

Non era un razziatore, che si appropriava indiscriminatamente di qualsiasi oggetto di valore, né i soldi destavano in lui tanto interesse quanto i tesori pregni di storia e cultura di cui era abbondante l'intera penisola. Era di certo uno scrupoloso, profondo e preciso cultore e conoscitore dell'arte e della bellezza. Ben più pericoloso di quanto potessero immaginare. Infatti pretese anche un manoscritto di Francesco Petrarca e le opere di Virgilio che erano conservate dalle loro parti.

- E infine - aggiunse, sempre più scosso dall'emozione di possedere quei capolavori e di poterli donare ai francesi, cosicché potessero ammirarli, apprezzarli e amarli, senza doversi spostarsi dalla loro patria - Vorrei che anche alcuni esemplari di flora e fauna vengano portarti in Francia, dagli studiosi Monge e Thouin, per essere analizzati dal vivo, così come del mercurio che potrebbe essere utile per gli esperimenti dello scienziato Berthollet - quest'ultimo, inoltre era incaricato di trasportare le opere d'arte nella capitale francese - E questo è quanto avevo da chiedere, cittadini - i due marchesi poterono tirare un sospiro rassegnato.

Quel Bonaparte ci era andato decisamente pesante, nonostante non fossero in ostilità; non osavano immaginare cosa avrebbe chiesto agli austriaci una volta sconfitti, ma sicuramente sarebbe stato ancora più duro, spolpandoli: era una seria minaccia, che dovevano continuare ad evitare. La prudenza del duca Ferdinando era più che comprensibile.

Lodi, 10 maggio

Sistemata la faccenda diplomatica, Napoleone si era messo immediatamente in cammino verso la cittadina di Lodi, poco distante dalla capitale Milano, intenzionato a scontrarsi con le truppe austriache di Sebottendorf, che aveva schierati tre battaglioni e quattordici cannoni per proteggere il ponte, e otto battaglioni e quattordici squadroni di cavalleria di riserva, circa 9500 uomini in tutto. Ed era solamente la retroguardia dell'esercito asburgico, ma lo scontro non poteva più essere rimandato, per sua fortuna, almeno le spalle era al sicuro e che nessun altro potesse interferire con i suoi piani di conquista.

Doveva sopperire alle mancanze con la velocità e l'astuzia, oltre che adoperando la persuasione, il carisma, la capacità innata di farsi obbedire da ufficiali e soldati. Sistematosi il cappello in orizzontale, affinché potessero riconoscerlo, sollevò lo sguardo - Ecco il ponte - pensò ad alta voce. Quel dannato ponte che era stato provvidenziale per gli austriaci e soprattutto per Beaulieu, sfuggiti al suo accerchiamento, rifugiandosi sul fiume Adda. Era davvero lungo e stretto, non sarebbe stata un'impresa facile attraversarlo.

Tale situazione lo aveva fatto innervosire e rovinare la splendida giornata appena trascorsa. Era durato poco, non poteva perdere le staffe o avrebbe fatto il gioco del nemico "Beaulieu non è di certo un idiota, è soltanto anziano, e ha comunque dei generali ben preparati al suo seguito, non li ho di certo sottovalutati" sorrise un po' tirato "Ma per nostra fortuna non hanno più un'imperatrice come Maria Teresa, che aveva dato del filo da torcere persino al grande Federico di Prussia, ah queste donne!" Si divertiva ogni volta nell'immaginare i due sovrani farsi la guerra per ogni capriccio di lei e ogni pretesa di lui, da bravi vicini di regno.

Un vero peccato che quell'epoca di splendore illuminista, di fiorente cultura fosse definitivamente tramontata e che l'avesse conosciuta soltanto in modo marginale. Pur conoscendo i semi di ciò che avrebbe portato alla rivoluzione, a differenza di altri, che tendevano ad allontanare il passato e a rinnegarlo, Bonaparte non dimenticava anche gli aspetti positivi di quel periodo. E in qualche modo voleva essere l'erede di quegli eroi del passato, era il suo sogno da sempre, adesso aveva l'opportunità per diventarlo.

Muiron, accanto a lui, nell'avvicinarsi al ponte guardò il comandante e disse - Sono stanziati circa 10.000 uomini contro di noi, sarà dura! - nonostante si fosse calmato da quell'incubo, il terrore di poter perdere uno dei suoi compagni di battaglia, se non Bonaparte stesso, era ancora ben presente.

- Dimenticate che sono pur sempre un ufficiale d'artiglieria - emise Napoleone, controllando con il cannocchiale le bocche di fuoco che gli austriaci avevano messo a difesa delle truppe e del ponte, le contò rapidamente, erano dunque quattordici, come gli era stato riferito - E noi oggi attraverseremo quel ponte, che piaccia o no! - lo mise in tasca e avanzò determinato verso le truppe francesi che sostavano poco lontano. La mente era lucida e calma, ma il suo animo, al contrario, bruciava dalla bramosia di ottenere quella vittoria e di dimostrare ai suoi uomini le sue capacità - È giunto il momento di scendere sul campo in prima persona, un buon comandante deve saper condurre i propri uomini alla vittoria!

Marmont e Lannes, che guidavano rispettivamente uno dei reggimenti degli ussari e un battaglione di granatieri, dopo un lungo inseguimento del nemico, si erano dovuti fermare lì per via della mitraglia austriaca - Finalmente è arrivato - disse il colonnello Lannes entusiasta, non era il tipo a cui piaceva starsene buono in battaglia, voleva combattere, anche a costo della vita  - Gli austriaci hanno le ore contate!

- Probabilmente farà un altro miracolo come a Tolone - emise Marmont accanto a lui, sempre più divertito dal colorito linguaggio del suo collega - Dovevate vedere come ha fatto saltare in aria le navi inglesi, uno spettacolo incredibile, i cannoni sono il suo cavallo di battaglia, non esistono segreti per lui nel suo campo di provenienza! - pensò momentaneamente a Junot, che se la stava spassando a Parigi.

Ma il guascone non ebbe tempo di rispondere, perché il comandante, al pari di un fulmine, era piombato da loro con due cannoni che era riuscito a recuperare, prima che gli altri si ricongiungessero. Li fece piazzare davanti dall'altra sponda del ponte e ordinò, dopo aver fatto occupare la cittadina di Lodi, era fondamentale averla in pugno, di fare immediatamente fuoco. Controllò subito che fossero funzionanti: era come un ritorno al passato e non poteva che sentirsi quasi emozionato.

Il generale austriaco Sebottendorf non mostrava nessuna intenzione di arretrare, né si sentiva particolarmente minacciato dai movimenti delle truppe rivoluzionarie, anzi, quasi le trovava folli "Il francese Dallemagne è riuscito a respingere i miei battaglioni per pura coincidenza" si voltò in direzione della ritirata di Beaulieu "Ma almeno il comandante è al sicuro, per il momento, dobbiamo resistere, quel Bonaparte è davvero tenace, non ha alcuna intenzione di cedere, potrebbe diventare un serio problema se non lo fermiamo".

Nel frattempo, Berthier era stato richiamato da un Napoleone decisamente affaticato - Generale... vi affido il comando come... capitano d'artiglieria... e... come comandante di colonna... cercate quanti più cannoni possibili e radunateli...dobbiamo evitare....che il ponte venga distrutto... e dobbiamo rispondere... al fuoco... - Quel ponte era l'ultima speranza per i francesi di poter raggiungere Milano e gli austriaci senza dover trovare altre vie e, quindi, permettere al nemico di recuperare energie e tempo. Gli austriaci lo stavano momentaneamente preservando col solo scopo di tenere lontani i francesi, era più che sicuro che in caso di una loro vittoria lo avrebbe fatto saltare in aria.

Berthier si mise in posizione e obbedì, la stanchezza del comandante non gli era sfuggita, era fin troppo palese: era praticamente senza fiato, non aveva combattuto come gli altri, però non si era concesso neanche un momento di riposo. Si era occupato anche delle questioni diplomatiche e per di più aveva trascinato quei bestioni, anche se solo in parte. Era sbalordito da una simile forza d'animo, che gli dava la spinta necessaria per continuare a dirigere l'esercito, senza perdere il controllo e la calma.

Dopodiché, Napoleone decise di ricorrere ai franchi tiratori, ovvero delle piccole milizie volontarie, separate dall'esercito regolare, che erano stati creati proprio durante il periodo rivoluzionario e che potevano essere davvero preziosi in una battaglia. Li fece appostare sulle rive del fiume e tra le abitazioni della cittadina. Era deciso ad andare fino in fondo, come al suo solito. Non aveva dimenticato le parole che aveva pronunciato a Barras, quando gli aveva affidato il compito di sedare la rivolta del 13 vendemmiaio "Neppure in questa occasione riporrò la spada sino a quando non avrò ottenuto la vittoria! Piuttosto la morte che il disonore!".

Nel mentre il corso teneva concentrati Sebottendorf e le truppe, facendoli sparare ogniqualvolta questi avvistavano dei movimenti sospetti dalla parte francese, aveva mandato il generale Beaumont verso nord, a guadare il fiume e fiancheggiare il nemico. Marc-Antoine Beaumont era subentrato al povero Steingel nel guidare la cavalleria francese; Bonaparte si aspettava che fosse all'altezza del suo predecessore, per questo gli aveva affidato un compito del genere. Aveva studiato a fondo quei luoghi ed era al corrente del fatto che il guado si trovasse parecchio lontano e che non permettesse il passaggio di tutta la cavalleria, a causa del groviglio di alberi sulle sponde.

Alle cinque del pomeriggio, Napoleone era riuscito a fare schierare ben 30 cannoni, praticamente il doppio di quelli austriaci - Tuttavia i numeri non sono nulla in battaglia, se non per calcolare, detto questo, nessuno ci impedisce di combattere con tutte le nostre forze! Soldati! Generali e ufficiali di ogni grado, la battaglia di Lodi può definitivamente cominciare! - sgolò a gran voce, celando abilmente lo sfinimento. Gli uomini, urlando, rispondevano al nemico con l'artiglieria; Napoleone non restava di certo a guardare, e dopo aver formato una colonna di uomini per Dallemagne, ritornò da Berthier, gridandogli risoluto - Fate raddoppiare il fuoco!

I soldati francesi rimasero sconvolti nel vedere il loro comandante caricare di persona qualche cannone, esponendosi al pericolo più di tutti loro, le pallottole delle baionette austriache lo sfioravano, senza toccarlo minimamente, come se avesse una barriera attorno a sé. Medesima reazione ebbero gli austriaci: non avevano mai visto una cosa del genere, certo non era raro che accadesse, in passato vi erano stati esempi simili, però non poterono non provare stupore. In cuore loro si chiedevano se fosse un uomo fuori dal comune o semplicemente un folle.

Napoleone controllò l'ora: erano le sei del pomeriggio, non si poteva più attendere, era giunto il momento di lanciare la carica. "So che è rischioso, però è l'unico modo che abbiamo per vincere, inoltre i soldati non vedono l'ora di battersi". Tuttavia, pensò intelligentemente di schernire i due battaglioni di carabinieri che si sarebbero lanciati per primi, e spronarli a dare il massimo. Ora più che mai aveva bisogno di quella forza degli uomini, capace di far compiere miracoli e imprese impossibili, una forza chiamata "Furia francese".

- Non c'è bisogno di ricordarci del nostro dovere, comandante - fu la pronta risposta del baffuto colonnello Pierre-Louis Dupas, a capo dei carabinieri, il quale aveva chiesto lui stesso di condurre l'attacco. Praticamente un suicidio volontario - Vive la République! - urlò, stringendo la carabina tra le mani, correndo sul ponte, seguito dai soldati, infervorati, impavidi, sprezzanti del pericolo, ripetendo a loro volta - Vive la République!

I primi uomini caddero sotto la mitraglia nemica, sperando che arretrassero. Invece gli austriaci ottennero esattamente l'effetto opposto, anziché diminuire, quei dannati francesi si moltiplicavano, sbucavano dappertutto, perfino dall'acqua. Non c'era nulla che potesse fermare quell'avanzata, ne cadevano a decine, eppure continuavano a gridare, correre e sparare, quando potevano. Non c'era angolo che non fosse stato occupato dalle armate repubblicane. Il ponte era solamente, l'ultimo ostacolo. Come se non bastasse, ai soldati si erano aggiunti persino degli ufficiali, contagiati dalla stessa follia del loro comandante.

Il corso, pur essendo fiero del loro coraggio, mandando sempre più uomini alla carica, temeva che alcuni dei suoi uomini migliori potessero soccombere "Ma no, cosa vado a pensare" si incoraggiava, travolto da un'euforia incontenibile, poco distanti da suoi sottoposti, che facevano di tutto per proteggerlo "Il colonnello Lannes, i generali Masséna, Augereau, per non parlare di Berthier, così come gli altri, sono baciati dalla fortuna, la vittoria è nostra ormai, Sebottendorf e i suoi non hanno scampo, possono solo arrendersi".

Come previsto da Bonaparte, Beaumont era riuscito a piombare anche alle spalle di Sebottendorf, al quale non resta che ordinare la ritirata, prima che calasse la notte, anche se erano in piena primavera, il buio giungeva comunque presto. Il ponte di Lodi era stato conquistato, dopo un'ora di furiosa carica repubblicana; gli austriaci lasciarono sulla scia 153 cadaveri e 1700 prigionieri, oltre all'intera batteria di cannoni.

I francesi potevano finalmente festeggiare, dopo una simile scarica di adrenalina fu permesso, come lauto premio, di rifocillarsi, bivaccare e accendere qualche fuoco per scaldarsi e mettere qualcosa sotto i denti. Nonostante la stanchezza, c'era una strana eccitazione nell'aria e il nome Bonaparte, sussurrato, finiva di bocca in bocca. Tutti lo pronunciavano con ammirazione, quasi tremando - Ritiro ciò che dissi tempo fa su di lui - emise quasi commosso un soldato ferito al braccio - Non è affatto un ragazzino che gioca a fare la guerra e nemmeno un uomo comune, è un eroe, sono orgoglioso di avere un comandante come lui

- Hai perfettamente ragione, è un onore per noi, a differenza del cane austriaco, quasi pietrificato dalla paura e se l'è data a gambe, stupido codardo! - afferrò la boccetta e bevve del buon rum - Il nostro ha rischiato la vita, senza pensarci due volte!

- Mai vista una cosa del genere! Come siamo fortunati! - fece eco un altro alzando il braccio dolorante - Io propongo inoltre di attribuirgli un soprannome, se lo merita - battè la grossa mano sul petto.

- Giusto! Hai ragione! - gridarono gli altri che avevano sentito e si erano precipitati dal collega più grande d'età - Avanti su parla! O te la dobbiamo cavare dalla bocca eh?

- Forse meglio strappargli i baffi! Così parla immediatamente! - propose un altro impaziente e palesemente brillo - Non abbiamo tutta la serata Jacques!

- Va bene, va bene... - emise il baffuto ridacchiando - Dato che ha combattuto come gran parte di noi e soprattutto considerano la sua giovanissima età, io propongo di conferirgli il soprannome e titolo di piccolo caporale! - fischi di approvazione e applausi si propagarono per tutto l'accampamento. L'approvazione fu unanime, cantando a squarciagola, stonatissimi, ma colmi di sincera stima - Evviva Bonaparte, evviva il nostro piccolo caporale!

 

   
 
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