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Autore: Nao Yoshikawa    17/01/2023    1 recensioni
Questa non è una storia felice o strappalacrime. Mi piacerebbe dire che non si tratta nemmeno di una storia sentimentale, ma sarebbe una bugia. Non so cosa mi stia passando per la testa, non so perché avverto l’impellente bisogno di mettere per iscritto quello che mi passa per la testa. Dopotutto è inutile e una perdita di tempo, ma so che il pensiero mi tormenterà finché non lo farò. Ma ho anche promesso a me stesso che brucerò tutto. Nel raccontare la storia che lega me e Kisuke Urahara – mio rivale e nulla più per il resto del mondo, ma molto altro per me, non userò stupide metafore e giri di parole. Solo la verità oggettiva. Per quanto la mia memoria sia ottima, mi tocca andare indietro di centinaia di anni e cominciare dalla mia infanzia. Anzi, dalla nostra infanzia, sicché è da allora che io e Kisuke Urahara siamo, mio malgrado, legati.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mayuri Kurotsuchi, Urahara Kisuke, Yoruichi Shihoin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giovinezza
 
Quando pensavo che la vita non potesse riservarmi più alcuna sorpresa, ecco che le cose cambiarono di nuovo. Avevo trascorso molti anni in isolamento in una cella della Maggot’s nest. Ero considerato pericoloso perfino per avere a che fare con gli altri detenuti. Mi tenevano in trappola perché sapevano che una mente e una personalità come la mia, se usati nel modo sbagliato (sbagliato secondo il loro punto di vista), potevano essere pericolosi. A me andava bene così, non sentivo la mancanza del mondo esterno. Soprattutto non sentivo la sua di mancanza. Kisuke Urahara doveva avermi dimenticato. O almeno, se fosse stato intelligente, lo avrebbe fatto, ma ciò non avvenne. E forse avevo immaginato che un giorno sarebbe tornato a cercarmi. Una parte di me, quella irrazionale a cui cercavo di non dare retta, lo aveva sempre sperato. Così lui un giorno arrivò, con addosso un haori da capitano del Gotei 13, accompagnato dalla sua luogotenente, una ragazzina fastidiosa.
Quando lo vidi, ebbi come primo istinto quello di dargli un pugno, ma non potei farlo e non solo per le sbarre che ci dividevano. La sua presenza lì mi bloccò. Non pensai nemmeno per un istante che fosse venuto per salvarmi, era passato troppo tempo e non era da lui. Piuttosto pensai che fosse venuto perché gli servivo e in effetti non ebbi torto.
«Vorrei offrirti un posto nel Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, come mio secondo» mi disse. Kisuke era gentile, ma freddo. Mi guardava, ma era distante. Doveva aver preso molto sul serio le mie parole di molti anni prima. Meglio così, la distanza migliorava le cose. Tuttavia mi sentii infastidito. Dunque era davvero un opportunista. Quindi in fondo, non mi aveva mai considerato un amico.
«No grazie, rifiuto. Sono piuttosto soddisfatto della vita che conduco qui» fu la mia risposta. Perché avrei dovuto dargli la soddisfazione di vedermi lavorare per lui, di essere suo secondo? Mi ero sentito il secondo per troppo tempo. Il mondo, la Soul Society, aveva deciso di riporre in lui tutta la fiducia. Perché mai lui adesso si rivolgeva a me? Era sincero o voleva solo mettermi a disagio? Kisuke era un uomo oramai come lo ero io, ma in lui una cosa non era mai cambiata: non si capiva cosa avesse in testa. Oh, era un uomo così fastidioso.
Allora aveva sorriso.
«Oh, non riesco a credere che questo tipo di vista ti basti. Sarai immediatamente dopo di me, avrai il comando su quasi tutto. E poi, in caso io dovessi morire, subentreresti tu come capo. Allora?» mi domandò. Il suo sguardo cambiò e anche quella frase mi sembrò volesse nascondere molto altro.
So che vuoi di più. Prova a sfidarmi, se ci riesci. Prova a farmi fuori, per essere il primo, se ci riesci. Cammina ancora una volta sulla mia stessa strada e poi prova a superarmi.
Forse era tutto frutto della mia immaginazione. Lo odiai terribilmente, Kisuke era sempre stato bravo a mettermi in un angolo. Allo stesso tempo fui divertito e ammaliato all’idea di lavorare a fianco a lui. Divertito all’idea che lui mi considerasse suo secondo, ma allo stesso tempo capace di superarlo. E provai sollievo, sensazione che ricacciai. Sorrisi anche io.
«Sì, sei sempre un uomo sgradevole» commentai.
E accettai. Forse avrei dovuto pensarci un po’ di più, ma l’idea di essere il vicecapo del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, poter fare quasi tutto quello che volevo senza limiti, questo mi eccitava. Non la presenza di Kisuke, ovviamente. I vari turbamenti che avevo provato durante l’adolescenza erano spariti, senza contare che tra me e lui c’era un normale rapporto di capo a vice. Lui era il mio capitano adesso, che onta terribile pensai in un primo momento. Ma poi pensai che aveva poca importanza, che non sarebbe stato un titolo a definire chi era più capace di chi e che glielo avrei dimostrato.
Dimostrato, a lui. Era la prima volta che ammettevo quella mia debolezza, il mio desiderio di dimostrare più a lui che a me stesso che anche io ero geniale, capace, abile. Alla sua altezza. Entrambi volevamo far finta di non aver condiviso una vita insieme, ma io non avevo dubbi che lui per primo avrebbe ceduto, venendomi a parlare pochi giorni dopo il mio arrivo alla dodicesima compagnia. Mi ero ambientato subito, in effetti fu più facile del previsto, fintanto che Kisuke mi lasciava in pace. Quella sera ero in laboratorio, il mio luogo sicuro e felice e lui arrivò per turbarmi. Era sempre lui, però era diverso. Ero diverso anche io.
«Sono molto contento di vedere che ti sei ambientato, Kurotsuchi.»
Da quando c’eravamo ritrovati, mi chiamava per cognome. Era quello che facevano tutti, ma da parte sua mi risultava strano, quasi innaturale. Per lui era sempre stato Yuri. Soprannome che odiavo, in comune con un giglio non avevo mai avuto niente, in fondo.
«Già, beh, non ti aspettare ringraziamenti da parte mia, perché non ci saranno.»
Ci hai impiegato troppo tempo per venire da me. Ti sei ricordato di me solo quando ti servivo.
Lui mi si avvicinò. Aveva la faccia di uno che cercava di essere professionale e distaccato, ma che veniva tradito dal suo stesso sguardo. Mi aveva sempre guardato in quel modo per me impossibile da decifrare.
«Non mi aspetto un ringraziamento. È passato tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. Sei cambiato.»
«Certo che sono cambiato. Sono cresciuto. E sono più sveglio.»
Mi venne da domandargli perché, quella sera in cui mi avevano portato via, non mi avesse detto niente.. Forse se lo aspettava, forse era deluso? No, non sarebbe stato da lui. Mi chiedo se una sua parola avrebbe cambiato l’odio che provavo nei suoi confronti. Sì, perché di me non aveva avuto bisogno. Il suo migliore amico, così mi chiamava. Non riuscivo a credere di essere arrabbiato con lui per un motivo così sentimentale. Mi voltai e gli diedi le spalle per non guardarlo. Sperai che se ne andasse.
«Mi dispiace» disse all’improvviso, portandomi a spalancare gli occhi. Adesso perché gli era venuto in mente di scusarsi? Era passato tanto di quel tempo. E poi di cosa si stava scusando esattamente?
Continuai a non guardarlo e a non parlare e prese ciò come un invito a continuare.
«Se non ti ho cercato per tutto questo tempo. In effetti è vero, tu mi servi. Ma non è questo l’unico motivo per cui ti ho voluto qui. Attendevo il momento giusto. So che probabilmente sei arrabbiato con me, Yuri. Ma non c’è stato un attimo in cui non ti abbia pensato in questi anni.»
Quelle parole mi fecero ribollire di rabbia. Non avrebbe dovuto importamene niente, eppure perché stavo avendo quella reazione così forte? Era patetico.
«Non chiamarmi in quel modo, per te sono Kurotsuchi e basta oramai. E poi è inutile stare qui a parlare del passato, eravamo piccoli e ingenui.»
Poi, chissà perché, avevo spostato l’argomento su un’altra parte.
«Ho saputo che in questi anni hai servito Yoruichi nella sua compagnia, e che lei ti ha raccomandato come nuovo capitano della dodicesima divisione. Davvero tipico.»
Io stesso percepii il disprezzo e l’amarezza nel mio tono di voce. E capii presto perché: perché lei aveva potuto godere della sua compagnia in quegli anni, perché erano potuti crescere insieme. Io invece no. Ma era meglio così, era quello a cui avevo sempre mirato.
«Già! Fare il capitano non è per niente facile. Io non sono risoluto e non mi faccio rispettare come fai tu. Per te è sempre stato tutto più facile.»
Con quella frase attirò il mio sguardo su di te. In un secondo gli fui quasi addosso, furioso. Non doveva osare dire che tutto per me era sempre stato più facile, era una bugia. Ma lui e parlava, senza sapere.
«Non avere la presunzione di sapere cosa vuol dire essere me. Tutto più facile, dici? Voglio ricordarti da dove vengo e com’è andata la mia vita. E bada bene, Urahara, non intendo giustificarmi. Ma non puoi dire così quando…»
Quando tutta la mia vita era stata un cercare di superarlo, di cercare di camminare parallelamente sulla sua stessa strada. Cercare di togliermi di dosso quel debito perché era lui che mi aveva risparmiato una vita miserabile. E io non gli avevo mai detto grazie. Perché in fondo non glielo avevo chiesto.
«Finalmente mi guardi» aveva sorriso lui. «Scusa, non intendevo offenderti. Intendevo solo dire che tu sei deciso, sei professionale. Non lasci che le emozioni ti influenzino. Io invece sono un po’ troppo debole in questo, anche se sono bravo a nasconderlo. Ma tu lo sai, mi conosci. E io conosco te.»
Ebbi l’impressione che volesse toccarmi. Per abbracciarmi, accarezzarmi, non lo sapevo. La sua mano si mosse, ma rimase sospesa a mezz’aria, come se ci avesse ripensato.
«Io sono diverso dalla persona con cui sei cresciuto. Non ho deciso di lavorare con te per ricostruire quella che tu chiami amicizia. Questo pensavo fosse evidente, no?»
Lui allora mi sorrise, con la malinconia nello sguardo.
«Ovviamente.»
 
Da quel giorno mi misi in testa una cosa. Avevo accettato di essere ancora una volta suo secondo solo per potermi dare una possibilità. Kisuke non sarebbe stato capitano per sempre, non poteva durare. A me non era mai interessato diventare capitano del Gotei 13, ma se si parlava della dodicesima compagnia e del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, allora, le cose cambiavano. Kisuke era… era rimasto tale e quale a come lo ricordavo. Indolente, rumoroso, disordinato e non si faceva nemmeno rispettare da quella piccoletta noiosa della sua luogotenente. Almeno mi divertivo a farla impazzire, non di certo per vendicare Kisuke. Io e lui nello stesso laboratorio lavoravamo bene insieme perché lui mi parlava solo lo stretto indispensabile e io facevo lo stesso. In realtà lo vedevo meno di quanto avessi immaginato e di solito relegava a me le faccende più importanti. Ciò mi faceva piacere, tuttavia non mi lasciava del tutto soddisfatto. Kisuke Urahara stava lavorando a qualcosa di cui ancora non potevo capire tutto. Questo perché lui come al solito era ambiguo, fastidioso e vago. Kisuke aveva una fama importante alla Soul Society, non c’era niente che non sapesse costruire. Ciò mi infastidiva, ma mi provocava anche qualcosa. Ammirazione? Orgoglio Non avrei saputo come spiegarlo. Ma non ero un idiota, dovevo riconoscere quando qualcuno era capace. E lui lo era. Da sempre avevo desiderato superarlo. E adesso lui stava cercando di superare sé stesso, dando vita a qualcosa che in futuro ci avrebbe creato non pochi problemi, ma nemmeno io potevo saperlo ed ero piuttosto preso da altro. Non mi lasciavo influenzare dai sentimenti? Idiozie. Ancora una volta aveva avuto la presunzione di pensare di sapere ciò che stava accadendo nella mia testa.
Diverso tempo dopo – mi ero ambientato molto bene nel mio ruolo di terzo seggio della compagnia – io e Kisuke ci ritrovammo a lavorare da soli in laboratorio, lui in silenzio. Aveva un aspetto orribile, perché quando lavorava a qualcosa, sacrificava innanzitutto il sonno. Io non facevo domande, cercavo di osservare, captare e capire. Poi, all’improvviso, mentre mi facevo i fatti miei o quanto meno fingevo, sentii un rumore basso e sordo: quell’imbecille si era addormentato sul tavolo. Alza gli occhi al cielo e mi avvicinai. Aveva un’espressione rilassata mentre dormiva, quasi come quella di un bambino. Ma non potevo stare lì a guardarlo, guardare una persona dormire portava ad un grado di intimità importante.
«Ehi. Urahara, sveglia. Mi stai infastidendo.»
Gli diedi un colpetto sulla schiena e lui si lamentò, per poi tirarsi su.
«Eh? Oh, che figura. Mi sono proprio addormentato.»
«Sei un cretino. Ho creato un preparato che può tenerti sveglio quanto vuoi aumentando la tua concentrazione, ma fossi in te non ne userei troppo» gli dissi, ma il mio non voleva essere un consiglio, né volevo dimostrargli che volevo aiutarlo.
«Oh, grazie. Mi farebbe comodo.»
Allora cercai di sbirciare i suoi appunti.
«Che cos’è?»
«E-eh? Niente. Cioè, ancora non è niente. È una cosa un po’ difficile, non so nemmeno se riuscirò a portarla a termine.»
Mi guardò come se desiderasse dire altro, ma si stesse trattenendo.
«Ehi, a te viene mai voglia di superare i limiti?» mi domandò ad un tratto, sorprendendomi.
«Mi sembra evidente. Supero sempre i miei limiti. Ma se lo faccio io, risulta solo strano. Se lo fai tu, invece, è puro genio. Ingiusto, non è vero?»
Non mi accorsi che Kisuke si era fatto vicino a me. Era una vita che non ci ritrovavamo così vicini e la cosa mi mise in difficoltà. Certe cose andavano represse e basta.
«Scusa se ci ho messo tanto» mi sussurrò. Mi fece arrossire e fu forte la voglia di colpirlo per farlo smettere. Non doveva guardarmi così, non ne aveva il diritto.
«Onestamente non mi importa. Lo sai che non ti ho mai considerato un amico. Per me sei sempre stato un rivale. Un valido rivale, devo ammetterlo, ma niente di più.»
Mi sorrise. Perché si ostinava a mettermi in difficoltà? Perché mi sentivo preso in giro?
«Io invece ti ho sempre considerato più di questo e non sai quanto sono pentito di non aver agito prima. Penso che forse avessi solo paura. Dopotutto, quelli come noi vivono i sentimenti in modo diverso dagli altri.»
Avrei voluto chiedergli cosa intendesse con quelli come noi e sentimenti. Invece mi ero bloccato con lo sguardo incatenato al suo.
«Tu non mi piaci, non mi piace come parli e…quello che mi fai sentire. Non sono mai riuscito a sopportarti. Accanto a te mi sono sempre sentito messo in ombra, la tua luce oscurava me. Maledizione» avevo poggiato una mano sul suo petto. «Non me n’è mai importato niente di essere riconosciuto dagli altri. Ora che ci penso, non mi importava nemmeno di essere riconosciuto migliore di te dagli altri. Importava a me. Io volevo… essere alla tua altezza. Merda. Questo è sentimentale e stupido, assolutamente non da me. Capisci quanto mi influenzi? È tutta colpa tua, Kisuke Urahara. Sento un peso dentro e lo odio. È così da quando eravamo bambini.»
Avevo detto tutto quello che pensavo, ma me ne pentii subito dopo. Perché mi ero esposto, perché esporsi rendeva fragili e io non volevo essere fragile davanti a lui. Kisuke mi osservò, era sparito il sorriso e adesso era serio.
«Sai, Yuri. Yoruichi me l’ha detto.»
«Di che parli, adesso?»
«Che io ti sono sempre piaciuto. Che, anche se non l’hai mai detto ad alta voce, è così, e lo è sempre stato sin da quando eravamo bambini.»
Rimasi impietrito. Yoruichi aveva capito qualcosa che io stesso mi rifiutavo di accettare e aveva avuto anche la faccia tosta di dirglielo.
«Mi hai stancato. Non so cosa si sia inventata quella lì, ma tu sei stato tanto stupido da crederci. Che tu mi piaccia… sciocchezze!»
Ma non ero più sicuro di me mentre parlavo, né riuscivo a guardarlo negli occhi. Avevo solo l’istinto di scappare. Ma io non sono mai stato codardo. Timoroso dei sentimenti, quello sì. Kisuke mi si avvicinò di nuovo.
«Quando mi ha detto questa cosa, mi sono sentito sollevato. Perché sai, io facevo parte di quelli che pensava che tu fossi innamorato di lei.»
Se non fossi stato così teso, avrei riso. Come aveva potuto pensare una cosa così assurda? La conversazione era diventata surreale.
«Sei impazzito? Io davo per scontato che tu amassi lei. Che vi amaste a vicenda.»
Lui scosse la testa. E mi sentii strano. Sollevato, ma comunque nervoso, perché la maschera che mi ero costruito per una vita intera, ora stava crollando.
«Avrei voluto dirtelo prima.»
«Che cosa?» domandai.
«Che ti amo, che ti ho sempre amato anche quando ancora non me ne rendevo conto. Che non avrei dovuto avere paura del tuo giudizio, perché uno come te – che è tanto simile a me – non mi avrebbe giudicato. Ti ho sempre considerato sulla mia stessa lunghezza d’onda.»
Avevo smesso di respirare. Kisuke era impazzito. E per la prima volta mi lasciò senza parole. Questo non lo avevo previsto, non rientrata nelle possibilità. Che lui potesse amare me, no. E invece era lì, la sua mano si avvicinava per sfiorare la mia e stringerla.
«Kisuke» lo chiamai. «Questo è… ridicolo! Non ha senso. Tu. Io…noi due? Sei il mio rivale.»
«Uno non esclude l’altro, Yuri. Adesso io non resisterò alla voglia di baciarti e, se vorrai rifiutarmi, fai pure. Se non lo farai, capirò che mi ami anche tu.»
Prese il mio viso tra le mani. Quello stesso viso che bruciava di vergogna. Era crollato tutto, il mio muro, le mie difese. Davanti a lui, di difese non ne avevo più e poco contava che fossi geniale, capace, abile o creativo. Non riuscii a reagire mentre mi stringeva con passione e posava le labbra sulle mie. Il mio primo bacio se lo prese lui, come tutto il resto. Fu un bacio profondo, intimo, lungo. Una sensazione strana. Prima che me rendessi conto, eccomi a ricambiare il bacio, eccomi stretto a lui, eccomi a riscoprirmi passionale anche da quel punto di vista. Ci staccammo dopo interi minuti.
«Bastardo, era la prima volta che qualcuno mi baciava.»
«Oh, Yuri. Non sai quanto sono felice. Allora mi ami anche tu!» esclamò.
«Non me lo sentirai dire. Questo non sta accadendo a me… Alla pazzia mi ci porterai tu» dissi, in un tono fin troppo dolce per i miei standard. Oramai era chiaro anche a me stesso: mi ero innamorato di lui senza rendermene conto. Forse quando mi aveva portato un libro per insegnarmi a leggere, forse durante la nostra prima convivenza da bambini, forse durante gli anni dell’Accademia. Non lo sapevo, ma capii che non aveva importanza. Kisuke mi abbracciò di nuovo e mi baciò. Lasciai da parte tutto, il finto disprezzo, il senso di rivalità, ogni cosa. Non lottai, ero debole e ben felice di esserlo. Era come se fossi nel posto giusto, al momento giusto, con la persona giusta.
 
Quella sera, io e Kisuke avemmo la nostra prima volta. La prima di diverse volte, in realtà. Per la prima volta decisi volutamente di mettere da parte la razionalità e le mie fissazioni, perché non ne avevo bisogno. Io e Kisuke ci prendevamo senza riuscire a darci un contegno, come a voler recuperare tutto il tempo perso. Una cosa per me non era cambiata: desideravo sempre superarlo, lo vedevo sempre come un rivale. Ma come lui stesso aveva detto, questo non escludeva altro, non per me. Quella era la nostra relazione vissuta in segreto, dove iniziammo a prestare attenzione davanti agli altri, perché uno sguardo di troppo avrebbe fatto capire tutto. Ero consapevole di essermi esposto e la sensazione che sarebbe finita male non mi abbandonava. Scelsi di ignorarla, feci un sacco di scelte sbagliate, solo che ancora non lo sapevo. Mi ero innamorato. Come un perfetto idiota, come una persona comune, io che mi vantavo di non aver bisogno di questo, mi resi conto di averne bisogno più di tutti. Io amavo lui, lui amava me, e non aveva alcun pudore quando eravamo da soli. Sempre a ripetermi che mi amava, che mi ammirava e desiderava. E io, che facevo finta di disprezzare quei suoi sentimentalismi, in realtà li amavo. Ma io, a esprimere i miei sentimenti, non sono mai stato bravo. Kisuke lo sapeva e mi accettava così com’ero. Anche se non avrei dovuto, iniziai a pensare al futuro, a quello che saremmo potuti diventare. Perché di certo, ora che ci eravamo ritrovati, non avevamo motivo di lasciarci. Mi rassicuravo così e fu un errore. Il più grande errore della mia vita.
«Dove stai andando, Kisuke?»
Lo trovai una sera, dopo essermi svegliato all’improvviso, che si rivestiva di fretta. Sembrava avere qualcosa di importante da fare.
«Oh, niente di che, stai tranquillo. Scusa, non volevo svegliarti» mi disse con un sorriso. Io lo fissai, serio, quasi scontroso. C’era una cosa che continuava a infastidirmi, il suo essere vago. Mi dava l’impressione di non essere mai del tutto sincero. Nonostante io fossi il suo terzo seggio, stava lavorando a qualcosa che gli occupava molto tempo e di cui non voleva parlarmi. Non ancora, mi diceva. Non voglio mostrarti qualcosa di incompleto. Io tuttavia non riuscivo a fidarmi del tutto, ero diffidente.
«Come vuoi. Ma se ti caccerai nei guai, tienimi fuori.»
Lui sorrise e si avvicinò per abbracciarmi. Ancora mi sorprendevano questi suoi gesti, ma mi stavo abituando. Ricambiai l’abbraccio.
«Certo, Yuri. È una fortuna che ci sia tu a tenermi con i piedi per terra. Lo sai che ci tengo a te?»
Lo guardavo negli occhi. Sapevo che non stava mentendo. Ma sapevo anche che c’era qualcosa di non detto.
«Lo so. E tu lo sai che se dovessi prendermi in giro, non ti perdonerei mai, vero? Non farmi pentire di essermi esposto.»
Portai la mano sulla sua testa. Gli avevo dato fiducia, andando contro i miei stessi principi. Adesso toccava a lui non rovinare tutto. Kisuke poggiò la fronte sulla mia.
«Lo so. Torno presto. Torna pure a dormire.»
Lasciai andare le sue mani. Se ora potessi tornare indietro, avrei scelto di non dargli tutta quella fiducia. Avrei scelto di non credere al fatto che ci sarebbe stato futuro. Avrei evitato di essere così sentimentale, cosa di cui mi sarei pentito per molti anni a venire. Ma indietro non si può tornare, questo supera anche le mie abilità. Tornai a letto, ma non mi addormentai subito. Mi misi a pensare cosa ne sarebbe stato di noi. Non ci eravamo mai definiti una coppia. Di sicuro, non saremmo stati una coppia normale a priori. A me non era mai importato di quello che pensavano gli altri, la stessa cosa valeva per lui. Forse attendevamo solo di capire se quel fuoco si sarebbe estinto in fretta, oppure no. Pensando a ciò mi addormentai. Potevo anche non farmi paranoie, potevo anche non pensare al peggio. Che stupido che fui.
 
Fui svegliato diverse ore dopo, avevo dormito profondamente. Ma nel momento in cui aprii gli occhi, avvertii una sensazione di disagio e panico. Come se fossimo in pericolo. Mi ricomposi, mi passai una mano sul viso pulito (quando ero con Kisuke, non mettevo trucco, era come se non ne sentissi la necessità). Mi affacciai alla finestra. Cosa stava accadendo lì fuori? Poi vidi qualcosa muoversi e Kisuke comparve all’improvviso, facendomi sussultare.
«Sei forse idiota?»
Lui mi portò un dito sulle labbra. Se ne stava tutto coperto e incappucciato, quasi dovesse nascondersi. Sorrideva, ma il suo sguardo era triste.
«Parla a bassa voce, Yuri. Non ho molto tempo. Devo andare.»
Battei le palpebre, confuso.
«Andare dove?»
Prese il mio viso tra le mani.
«Ascoltami, bene. Non ho tempo di spiegarti. Ma vogliono imprigionarmi. È successo un disastro. Ciò che ho tentato di creare… sono stato uno stupido, nemmeno io riesco a controllarlo. L’Hogyoku. Non posso più stare qui.»
Non capii molto di ciò che mi stava dicendo, intuii però che c’entrava la sua invenzione, quella di cui mi aveva tenuto all’oscuro.
«Kisuke, non capisco niente. Cos’hai fatto?»
Lui scosse la testa. Sembrava sul punto di dirmi qualcosa, ma poi cambiò idea.
«Li ho trasformati. Hirako e gli altri capitani… in hollow. È troppo complicato da spiegare, ma sono ancora in tempo a fuggire.»
«Bene, allora avrai tempo di spiegarmi dopo, io vengo con te.»
Lui però mi tenne stretto il polso e mi guardò negli anni. Solo molti anni dopo avrei scoperto che mi aveva mentito, che in realtà la sua unica colpa era quella di essere stato un po’ troppo avventato, che ciò che era successo ai nostri simili non era colpa sua, ma che anzi aveva fatto il possibile per evitarlo. Ma questo ai tempi non me lo disse. Kisuke aveva sempre avuto l’abitudine di pensare al posto mio, lo avevo sempre odiato. E aveva sempre avuto l’abitudine di volermi proteggere in tutti i modi, anche facendosi del male. Questo l’amavo.
«Ascolta, Yuri. La Soul Society oramai mi considera un nemico. Me ne andrò nel mondo degli umani. Ma tu non puoi venire con me, non puoi farti questo. Non meriti di fare la vita da esiliato.»
Scossi la testa. Aveva ragione, fare l’esiliato nel mondo degli umani non era quello a cui miravo, non ora che avevo trovato la mia dimensione. Ma se l’avevo trovata, era stata anche grazie a lui.
«Quindi cosa dovrei fare? Dirti addio per la seconda volta?»
Non avrei mai e poi mai pianto davanti a lui, non mi sarei esposto fino a questo punto. Lui prese il mio viso tra le mani e poggiò la fronte sulla mia.
«Yuri, tu devi rimanere qui. Vivere la vita che hai sempre voluto. Ricordi cosa ti avevo detto? Che se mi fosse accaduto qualcosa, allora tu saresti stato il mio successore. Tu sei sempre stato il mio migliore amico geniale, e devi diventarlo ancora di più. Il più brillante e abile di tutta la Soul Society, anche più di me. Tornerò da te, prima o poi. E un giorno capirai il perché di tante cose.»
Avrei voluto staccarmi dalla sua presa, sfogare la mia rabbia e la mia disperazione in qualche modo. Avrei potuto seguirlo, trovarlo. Ma lui non mi voleva fino a quel punto. Da quel punto di vista eravamo uguali, c’era sempre qualcosa di più importante. La volta prima lo avevo abbandonato io, adesso lui abbandonava me. E capii quanto facesse male. Perché questa volta era per volontà sua e della sua stupidaggine.
«Kisuke, maledetto. Ti odio» sibilai. Lui mi baciò con gli occhi chiusi.
«Io invece ti amo troppo per condannarti. Io tornerò.»
Mi lasciò andare, quasi mi spinse via. Vidi un luccichio nei suoi occhi, ma non me ne importò, in quel momento mi sentii solo un perfetto idiota. Avrei dovuto sapere che l’amore portava solo guai, come mi era saltato in mente di innamorarmi? Odiai Kisuke per essersene andato così, dandomi vaghe informazioni, senza dirmi se e quando sarebbe tornato. Aveva preferito quella strada a me. A me, che mi ero lasciato andare, dandogli quello che non avrei dato mai a nessuno. Sentii la bile risalirmi lungo l’esofago e fui acciecato dalla rabbia più nera e dal dolore più straziante che avessi mai provato.  Ma questo non mi avrebbe certo fermato. Io ero Mayuri Kurotsuchi, non avevo dimenticato le mie ambizioni e i miei interessi. L’odio sicuramente sarebbe mutato in indifferenza, prima o poi. Anche perché fui certo che non l’avrei più rivisto. E forse era meglio così. La speranza è per gli sciocchi.

Nota dell'autrice
Come avevo accennato, queso è il mio capitolo preferito, nonché quello più struggente. Dubito che Kisuke avrebbe persmesso a Mayuri di fare la vita dell'esiliato, ha sempre saputo che era destinato a diventare qualcosa di più grande. Come al solito, anche se in modo indiretto, la colpa è tutta di Aizen (ma visto che è lui, lo si perdona. Ci vediamo la prossima settimana con l'ultimo capitolo.
Nao
   
 
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