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Autore: Orso Scrive    18/01/2023    1 recensioni
Quando due anime vibrano di un amore vero e intenso, che arde nel profondo, è destino che si ritrovino sempre, oltre la vita, oltre la morte...
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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24.

 

 

«Per sempre…» sussurrò Marta.

E quella promessa rimase ad aleggiare sopra di loro, mentre le labbra della giovane, dopo aver vagato su ogni centimetro di carne, si avvicinavano al bocciolo più delicato di Edith e la sua lingua cominciava a muovervisi sopra, attorno, dentro, infondendole piacere. Un piacere fondo e avvolgente, che crebbe con l’intensità della luce calda e dorata di un pomeriggio di primavera.

Il corpo di Edith ebbe un palpito. Il suo ventre si alzò e si abbassò rapido, mentre la pelle bianchissima cominciava a tingersi di rosso. Rizzò tutti i muscoli, poi li rilassò. I nervi tesi vibrarono. Il calore – un calore differente da quello del giorno d’estate – l’avvinghiò completamente. Il suo respiro si fece più veloce, lievi gemiti le sfuggirono dalla bocca socchiusa.

Serrò gli occhi. La sua mano protesa accarezzò i capelli di Marta. L’altra si immerse nell’erba e nei fiori, li strinse fino alle radici, affondando nella terra.

Il profumo della sua amante si mischiò a quello delle essenze arboree e del terriccio. L’aria tiepida della bella stagione si sommò ai delicati effluvi di sudore del suo corpo affannato dall’amore. Il ronzare degli insetti divenne un tutt’uno con i suoi respiri profondi e con il liquido suono che produceva la morbida lingua di Marta muovendosi dentro di lei.

Edith sentì le mani della sua amata accarezzarle le cosce, stringerle, palparle. Brividi si aggiunsero ai brividi, il piacere esplose a ondate dentro di lei, scuotendola tutta. Non riuscì a trattenere un breve ma acuto gridolino. Marta non si fermò, continuando a regalarle quelle sensazioni impagabili e irripetibili.

Ora Edith ne fu certa. Non si trovavano più in un luogo del mondo, da qualche parte sul pianeta fisico. Avevano varcato le dimensioni del tempo e dello spazio ed erano scivolate in Paradiso.

Forse era quello il mondo iperuranico tanto cantato dai poeti e celebrato dai filosofi, a cui anelavano i fedeli di mille religioni e a cui tendeva la maggioranza degli esseri umani. Non un mondo fatto di nuvole, non un luogo dove si innalzassero lodi eterne a un’entità astratta e maledetta, un essere malvagio e capriccioso, né un posto di santi, di angeli e di gente noiosa e priva della più minuta capacità di concepire il divertimento, l’amore e la dolcezza.

Il vero Paradiso – perduto e ritrovato – era questo, dove in eterno si sarebbe stati insieme alla persona che si amava, facendo insieme e liberamente ciò che gente maligna avrebbe voluto impedire, dove non ci sarebbero più state persone incapaci di provare quel profondo, inesplicabile e indistruttibile sentimento che va sotto il nome di amore…

Il piacere più intimo esplose ancora una volta dentro Edith. Si propagò nel suo insieme, e lei fu certa che venisse da Marta: emanava da lei e vibrava dentro ogni suo nervo, fin nel più inaccessibile dei suoi muscoli… di nuovo, gemette.

Gemette, godendo ogni stilla di quella sensazione piacevole, avvolgente, appagante.

Ma insieme al piacere venne il pensiero ripugnante di chi a quelle sensazioni e a quell’amore si era opposto, venne il ricordo maligno di colui che lo aveva contrastato e distrutto, l’immagine dell’abominevole essere – il mostro – che aveva spento la vita delle due amanti…

Caina attende chi a vita ci spense…

E la brezza tiepida scomparve, sostituita da un odore umido, freddo. L’erba sotto il corpo di Edith fu sostituita da un pavimento gelido e polveroso, che ferì la sua pelle nuda, facendola accapponare. La calda luce del sole, che aveva acceso di rosso le sue palpebre abbassate, divenne un nero impenetrabile, ghiacciato. Quando le sollevò, non vide più nulla.

Nuda e inerme, Edith si scoprì sola, rannicchiata su se stessa.

Il pianto le sgorgò dagli occhi, inondandole il viso. Rabbrividì e tremò. Si strinse le braccia al petto, cercando un poco di calore. Del tutto inutilmente. Così come era svanita Marta, era svanito anche il caldo. Ora c’era freddo.

Tanto freddo.

«Marta…» chiamò, tra le lacrime.

Un’ombra venne avanti. Un’ombra incombente, minacciosa.

L’ombra maligna.

Il Male nella sua forma più assoluta e raccapricciante.

«Sono molto deluso, Edith…» disse il mostro. «Ora che cosa dirà la gente?! Sei la mia vergogna! Ma io porrò rimedio a tutto questo!»

 

* * *

 

Alberto seguì Sophia all’esterno dell’abitazione. Ancora una volta, la sferzata di gelida umidità gli penetrò nelle ossa, facendolo rabbrividire.

Figa, che razza di freddo. Le prossime vacanze andiamo a farle per davvero in un posto caldo. Tipo in Egitto.

Oltretutto, in un luogo del genere, non ci sarebbero stati fantasmi e altri simili orrori. Ne era più che certo.

Si guardò attorno. Nella nebbia, riconobbe la sagoma della donna. Si stava dando da fare con la serratura di un ampio portone a doppio battente, a volta curva. La raggiunse. Il legno del portale, bagnato di bruma, era nero come un abisso. Doveva essere parecchio antico, come tutto in quel borghetto.

«Che stiamo facendo?» domandò, guardingo.

Sophia spinse i due battenti, rivelando una rimessa. L’odore dell’umidità venne smorzato da quello ferroso degli attrezzi, dell’olio, della benzina. Nel centro del garage, era parcheggiato uno degli ultimi modelli di Fiat 500, color topo. Lungo le pareti, erano allineati scaffali ingombri di robaccia. Una porticina socchiusa immetteva in quella che sembrava essere una legnaia.

«Prendiamo la macchina», rispose la donna. «Alla mia età, tenente, non si ha tanta voglia di andarsene in giro di notte per le montagne a piedi, con questo freddo… e poi questa auto, anche se a vederla non sembrerebbe, è piuttosto veloce: arriveremo a Villa Mayer in un battibaleno.»

Alberto fissò la donna, di cui era praticamente impossibile stabilire un’età. A giudicare dall’aspetto esteriore, non poteva certo dimostrare più di trenta o trentacinque anni. Ma nei suoi occhi c’era qualcosa che andava ben oltre una possibilità di comprensione. Decise di non fare commenti.

Lei gli indicò la portiera dalla parte del passeggero. Manfredi salì e si strinse le mani gelide tra le gambe. Un leggero campanellino elettronico cessò di suonare quando entrambe le portiere furono chiuse.

«Bella macchinina», commentò il tenente, guardandosi attorno. Fissò il cruscotto, pieno di tasti e con un piccolo schermo digitale sopra la radio. Era molto diverso da come si presentava quello della sua Punto che pure, a suo tempo, doveva essere sembrato rivoluzionario e all’avanguardia, se paragonato a quelli spartani delle macchine degli anni ‘90. «Piccolina ma funzionale. Magari ci farò un pensierino pure io, quando mi deciderò a cambiare la mia.»

«L’abbiamo presa usata», rivelò la donna, posando una mano sul volante e girando il motorino d’avviamento. «Nuove, ormai, le fanno solo elettriche o ibride. Ma Joseph ha sempre avuto auto a benzina e voleva che anche l’ultima fosse a benzina.» Fece un sorrisetto. «E ha sempre avuto Fiat 500, pensi. La prima volta che sono salita in macchina con lui, poco dopo la fine dell’ultima guerra, aveva una Topolino grigio topo. È sempre riuscito anche ad avere lo stesso colore. La sua è una specie di fissazione.»

Nella sua voce, adesso, c’era una punta di rimpianto, forse di nostalgia. Venne soffocata dal motore che tossì e cominciò a fare le bizze, rifiutandosi di mettersi in moto. Sophia girò di nuovo la chiave e, questa volta, il motore si accese. Dalle bocchette del radiatore cominciò a uscire aria freddissima. I loro fiati si condensarono in nuvolette vaporose.

«Ci vorrà qualche minuto, prima che si scaldi…» sussurrò lei.

«Non possiamo andare lo stesso?» domandò Manfredi. Cominciava a essere preoccupato per Aurora. Non voleva che, rincorrendo Daniele, tornasse di nuovo a Villa Mayer, senza di loro. Era talmente preoccupato, anzi, da non badare nemmeno al fatto che la donna che gli sedeva a fianco avesse appena asserito di essere andata in macchina con il dottor Bernasconi qualcosa come settanta o più anni prima.

«Non c’è fretta, tenente Manfredi», replicò la donna, imperturbabile. «Edith Mayer ha atteso finora, può concederci ancora qualche minuto.»

Un ghigno amaro deformò le labbra di Alberto.

«Non è tanto di Edith, che mi preoccupo, signora, quanto dell’altra ragazza…»

E di Aurora. Questo però non lo disse.

«Probabilmente lei ha ragione e io ho torto», rispose Sophia.

Schiacciò la frizione, inserì la marcia e uscirono in retro dal garage. Inserita la prima, la donna fece una rapida manovra nella stretta stradina e si avviò a passo d’uomo. Era del tutto impossibile vedere al di là di un metro, oltre il parabrezza. Sembrava di stare immersi in un bicchiere di latte. Il motore, umido e freddo, tossì, mandò dei colpi a vuoto e sobbalzò.

«La macchina che avevamo prima – la vecchia Cinquecento che Joseph chiamava “Topo” – non faceva mai nessuna storia, quando c’era da andare. Quella sì, che era più veloce dei sogni. Questa invece è una signorina di città a cui piace fare la preziosa», commentò Sophia, infilandosi in un vicoletto. Accese i fendinebbia, senza ottenere grandi risultati apprezzabili. Lo spesso e impenetrabile muro di nebbia continuò a mantenersi tale.

Alberto non le badò. Non era granché interessato alla dinastia automobilistica di quella strana coppia. Tenne gli occhi fissi a quel poco che si riusciva a scorgere della strada. Cominciava a essere davvero preoccupato.

Molto preoccupato.

Dove saranno?

Calcolò da quanto tempo Aurora e Daniele avessero lasciato la casa del dottor Bernasconi. Non potevano essere trascorsi più di cinque o dieci minuti. Anche se il ragazzo era partito di corsa, era impossibile che fossero già arrivati alla villa. Nondimeno, non poté impedirsi di scoprirsi a sudare freddo.

«Stia calmo, tenente», sussurrò Sophia, posandogli la mano sul ginocchio sinistro e stringendoglielo adagio. Alberto si sentì attraversare da un leggero brivido. Qualcosa di tutto sommato piacevole. «Andrà tutto bene.»

«Una delle frasi più abusate della storia», replicò lui, secco.

«Non in questo caso», lo rassicurò la donna. «Nessuno ha da temere nulla, da Edith… nessuno tranne suo padre. Colui che la uccise.»

«Quel tizio sarà sceso a tenere compagnia a quel vecchio caprone di Satana da un bel pezzo», mugugnò Alberto.

«Non ne sia tanto sicuro, tenente.»

Manfredi non aggiunse niente. Aveva imparato da un bel pezzo a non essere più sicuro di nulla. Ora gli premeva soltanto trovare la sua amica. Al resto avrebbero pensato dopo.

La strada si srotolava davanti a loro, in un susseguirsi di curve e di strettoie in pendenza che apparivano dal nulla della bruma. Dove non c’erano vecchie case, erano grandi pietroni coperti di muschio a fare da contorno alla via. Poi, quasi per incanto, mentre affrontavano la salita, i macigni cedettero il posto agli alberi oscuri e alle erbe selvatiche, appena intuibili in quella vaporosa sospensione della realtà.

Finalmente, dalla nebbia uscì un guizzo rosso. I capelli di Aurora fiammeggiarono quando i fanali della macchina li illuminarono.

Non sono mai stato contento di rivedere quel culo, pensò Alberto, fissando il punto in questione.

Aurora, che stava camminando in fretta a lato della strada, si voltò e gli gettò un’occhiata al vetriolo attraverso il vetro appannato.

Cazzo. Anche a distanza, adesso!

Manfredi si affrettò a distogliere lo sguardo. Sophia frenò.

«Forza, sali», disse Alberto, aprendo la portiera. Nebbia e gas di scarico gli infastidirono le narici. «Dov’è Daniele?»

Aurora aveva uno sguardo imbronciato.

«Mi è sfuggito. C’era del ghiaccio sul selciato e sono scivolata di nuovo. Ora che mi sono rialzata, era già sparito. E questa è la terza volta in un’ora, che picchio il culo.»

Alberto riuscì a sogghignare.

«Di questo passo, invece che piedipiatti, ti chiamerò culopiatto.»

Il sogghigno gli morì sulle labbra quando incontrò gli occhi di Aurora. Vi lesse un presagio di morte. Meglio cambiare argomento.

«Diamoci una mossa», borbottò.

Scese e ribaltò il sedile per sedersi su quello posteriore. Aurora occupò il suo posto su quello del passeggero. Prima ancora che avesse richiuso la portiera, Sophia pigiò di nuovo l’acceleratore e ripartirono.

«Non preoccupatevi», disse, con la sua voce calda, in netto contrasto con il gelo di quella notte misteriosa. «Non può essere lontano. Lo troveremo prima di arrivare a Villa Mayer.»

Aurora afferrò una ciocca di capelli, che l’umidità della nebbia aveva increspato, e la lisciò muovendo le dita in modo nervoso.

«Di preciso, una volta laggiù, che cosa faremo?»

Alberto si sporse in avanti. Anche lui era curioso di scoprirlo.

Sophia fece un profondo sospiro. Tenne lo sguardo dritto davanti a sé e lasciò trascorrere una manciata di secondi, prima di dare una risposta.

«Sono una medium, lo sono stata da sempre, anche se mi ci sono voluti anni per scoprire di possedere questo dono…» rivelò, «…e il modo di padroneggiarlo al meglio. All’inizio ne avevo paura, poi ho scoperto che le anime non potevano farmi del male. Quasi mai, almeno. Qualcuna di queste si manifesta in modo molto più potente e invadente, e avere a che fare con loro diventa difficile e doloroso. Ma sì, avete capito bene. Posso mettermi in comunicazione con le anime sospese tra questa realtà e l’altra, e qualche volta posso interagire debolmente con loro. Ma più di così non ho mai fatto.»

Un altro sospiro le sollevò e abbassò in fretta il petto florido.

«Edith è uno degli spiriti più forti che mi sia mai capitato di incontrare», disse, sottovoce. «Quando mi sono messa in comunicazione con lei, tanti anni fa, mi ha fatto male. Si è impadronita del mio corpo, e non è stata una bella esperienza. Quella volta ho davvero sofferto.»

Alberto sollevò un sopracciglio. Fu Aurora a parlare a nome di tutti e due.

«Ma pure sapendo questo, lei e il dottore avete fatto in modo di…»

«Sì», la interruppe Sophia. Affrontò uno stretto tornante e proseguì lungo la salita successiva. «Sì, lo sapevamo. Sapevamo che avere a che fare con Edith sarebbe stata un’esperienza terribile. Lo era stata per me, che ero pronta… figurarsi cosa sarebbe potuta essere, per chi non aveva alcuna dimestichezza con il mondo al di là.» Le sue labbra si schiusero in un sorrisetto amaro. «E però, non ci siamo lasciati fermare.»

Alberto si sfregò il mento.

«Lasciando perdere quello che è stato, adesso crede che basterà potersi mettere in contatto con lei?» domandò.

La donna fece un cenno di diniego.

«No», ammise. «Edith non si limiterà a darmi retta, non adesso che ha ritrovato il suo amore. Dovrò escogitare qualcosa.»

Aurora la fissò attraverso l’abitacolo scuro, a malapena rischiarato dalle spie colorate accese sul cruscotto.

«Per esempio cosa?» chiese.

Stavolta, il sorriso di Sophia fu quasi divertito.

«Non ne ho la più pallida idea. Io e Joseph abbiamo aspettato tanto a lungo che arrivasse questo momento, ma non ci siamo mai preparati per davvero ad affrontarlo. Forse, dentro di noi, speravamo che non sarebbe mai arrivato. Ho avuto settantacinque anni a mia disposizione per escogitare un piano, e ora mi tocca improvvisare tutto in pochi minuti. Ma qualcosa riuscirò a fare, vedrete. Conosco formule, segreti, ho avuto accesso a conoscenze che potrebbero permettermi di… be’, vedremo lì. Qualcosa combinerò. Quel tanto che sarà sufficiente a distrarre Edith, per permettervi di prendere la ragazza e portarla via di lì. Sperando che basti.»

Manfredi non disse nulla. Non osava farlo. Di nuovo, fu Aurora a prendere l’iniziativa a nome di tutti e due.

«Funzionerà?» chiese, in un sussurro appena percettibile.

Sophia parlò con un soffio ancora più arduo da intendere.

«Non lo so. Ma lo scopriremo tra pochissimo.»

Frenò. Davanti a loro, sempre avvolta nella nebbia, apparve la Ford KA. La stradina che conduceva a Villa Mayer era appena oltre.

Erano di nuovo lì.

 
   
 
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