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Autore: Puffardella    20/01/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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CHRIGEL
Chrigel osservava annoiato gli uomini tirare con l’arco seduto all’ombra di un albero di tiglio, un po’ in disparte. Lui e alcuni dei giovani della sua gente, tra cui anche suo cugino Willigis, erano arrivati al villaggio dei Caledoni da poco e già ne aveva abbastanza.
Era arrabbiato con suo padre che lo aveva costretto a presentarsi al cospetto di Alasdair per onorare la promessa che quei due si erano scambiati senza nemmeno chiedere il suo parere.
Chrigel non aveva nessun desiderio di sposarsi. Non ancora, per lo meno. Il matrimonio indeboliva il cuore e la mente, rendeva vulnerabili. Le mogli degli uomini del suo villaggio le conosceva tutte, così come i loro mormorii e le continue lamentele con cui sfiancavano i propri mariti.
Chrigel era un uomo troppo esuberante per giacere con una sola femmina, troppo indipendente per dividere la sua vita con una donna. Non era fatto per il matrimonio, ma per la caccia e per la guerra. Quelle erano le sue uniche aspirazioni.
Invece suo padre lo aveva infilato in quella situazione per una questione, di questo era sicuro, personale, per umiliarlo, per fargli capire una volta per tutte che possedeva un assoluto potere decisionale in quanto non solo suo padre ma signore di tutto.
E con quale beneficio per la sua gente, poi? Non riusciva proprio a capacitarsene. Insomma, conosceva il valore di Alasdair e lo rispettava. Era un guerriero forte e coraggioso, avevano combattuto insieme contro i Romani e prima ancora come avversari, sebbene a quei tempi lui fosse poco più di un ragazzino.
Conservava ancora il ricordo del terrore che si dipingeva sul volto degli uomini del suo popolo quando egli appariva fra le file nemiche, massiccio e imponente sopra la sua cavalcatura tozza ma robusta, con quello strano elmo cornuto che lo faceva apparire più alto di quanto non fosse in realtà.
Ma, a parte Alasdair, in quel villaggio di agricoltori, quanti uomini valorosi erano rimasti? I migliori erano morti durante l’ultima guerra contro i Romani e gli altri si erano rammolliti a forza di seminare piantine, mungere vacche e tosare pecore.
Di che utilità era per lui quella gente? Il vantaggio a unire le due tribù era unilaterale, e di certo non era il suo.
Sperava almeno che la ragazza fosse davvero bella come gli era stato detto. Tuttavia, il fatto che si tenesse ancora nascosta non faceva ben sperare. O era terribilmente brutta e aveva paura di mostrarsi, o terribilmente piena di sé, tanto da costringerlo a quella inutile attesa. In entrambi i casi, non era adatta a lui. Se c’era una cosa che Chrigel detestava più di qualunque altra, era aspettare.
Soprattutto in quel momento.
Il resto degli uomini robusti si era diretto nelle foreste che circondavano la sua terra, a nord della regione del Bràigh Mharr, sulla cresta della catena montuosa di Virghe, per andare a caccia. Quella, per lui, era solo una seccante perdita di tempo. Non vedeva l’ora di mettere la parola fine a quella farsa architettata dal padre, con il quale era perennemente in contrasto, e di raggiungere gli altri.
Le risate sguaiate lo distrassero dal suo rimuginare. Erano tutti già piuttosto brilli. Facevano fatica a reggersi in piedi, figuriamoci a centrare il bersaglio. Anche Chrigel avrebbe bevuto volentieri fino a cadere a terra stordito e a russare per giorni, se non fosse stato che voleva evitare di perdere il controllo col rischio di offendere seriamente il suo ospite e di dare inizio ad una faida. A dire il vero era così contrariato da tutta quella faccenda che il rischio di diventare offensivo era comunque piuttosto alto, anche se si manteneva lucido.
Guardando gli uomini rendersi ridicoli mentre discutevano su sciocche questioni biascicando parole perlopiù incomprensibili, pensò che quello era davvero uno spettacolo penoso a cui assistere da sobri e maledisse la sua scelta di astenersi dalla birra. Certo, se avesse bevuto, avrebbe fatto lui stesso parte dello spettacolo penoso ma, per lo meno, non se ne sarebbe reso conto.
“La birra rende tutti fratelli e appiana le differenze” pensò con sarcasmo, notando come i giovani della sua gente fossero sostanzialmente diversi dai Caledoni.
I Caledoni erano alti, ma non come i Germani. Avevano un fisico massiccio, dove muscoli e grasso non erano distinguibili, cosicché gli uomini grassi sembravano solo muscolosi e i muscolosi solo grassi. I Germani, invece, erano per lo più asciutti, con le spalle e il torace ampi, i fianchi stretti e le gambe muscolose. I Caledoni erano di carnagione chiara, la maggioranza di loro aveva gli occhi verdi o marroni e il biondo dei loro capelli aveva riflessi ramati. Alcuni di loro, poi, erano decisamente rossi. Anche la pelle dei Germani era chiara ma, in genere, avevano gli occhi azzurri, e il biondo dei loro capelli era simile a quello dei campi di grano appena mietuti. C’erano, in mezzo a loro, anche uomini dai capelli castani, ma mai rossi.
I Caledoni non usavano tatuarsi la pelle e combattevano corazzati. Anche i loro cavalli, tozzi e nerboruti, spesso venivano bardati. Inoltre facevano largo uso degli archi in battaglia.
Per i Germani, invece, tatuarsi la pelle col blu del guado era segno di valore e coraggio: tatuarsi era infatti pratica piuttosto dolorosa. Ecco perché più tatuaggi aveva un uomo più veniva ritenuto valoroso. Per lo stesso motivo scendevano in guerra senza corazze e i più impavidi lo facevano totalmente nudi, con il solo scudo e la lunga spada a doppia lama. Gli archi, poi, li usavano soprattutto per la caccia, quasi mai in guerra. L’unica forma di combattimento virile, infatti, era per loro quella del corpo a corpo.
Eppure, la smodatezza nel bere e l’amore per la birra e per il vino li accumunava almeno in una cosa: ubriachi erano tutti egualmente, pateticamente idioti.
Le urla si fecero più aspre. La lite stava velocemente degenerando quando intervenne Willigis. Strappò dalle mani di un Caledone l’enorme arco, che gli apparteneva da generazioni, e lo spinse lontano. Dopodiché prese una freccia dalla custodia di cuoio appesa al ramo di un albero e caricò l’arma.
In quel momento, l’ombra di una figura passò di fianco a Chrigel e si fermò appena un passo più avanti. Chrigel si voltò a guardare il nuovo arrivato. Era un ragazzino dall’ossatura esile, piccolo di statura, con una massa informe di capelli rossicci separati in trecce ingarbugliate simili a piccoli serpenti arruffati.
Sulla schiena portava una bisaccia consunta e su una spalla un piccolo arco, adatto alla sua fragile corporatura ma di certo poco utile per la caccia, se non forse per catturare piccoli animali.
Il giovane non si era accorto della sua presenza. Continuava a fissare concentrato Willigis, che intanto aveva teso la corda e si preparava a scoccare la freccia.
Chrigel ne studiò il profilo. Il naso era dritto e un po’ pronunciato. Aveva le guance arrossate, sembrava affaticato, come se fosse appena tornato da una lunga corsa. Ma fu l’intensità del suo sguardo accigliato ad attirare il suo interesse.
Willigis, ondeggiando vistosamente, imprecò nella lingua germanica contro il terreno caledone che non voleva saperne di starsene fermo, e scoccò la freccia, che andò a conficcarsi nel bersaglio - il disco di un tronco di quercia - distante venti piedi, a metà fra il centro e il cerchio più esterno.
Il ragazzino, dinanzi a quel patetico tentativo, sputò per terra.
«Idiota!» esclamò sprezzante.
«Ah…» si lasciò sfuggire Chrigel, sorpreso e divertito da tanta sfrontatezza.
Il ragazzino sobbalzò alla sua voce.
«Beh, non posso darti torto. Non era un granché come tiro. Immagino che tu sapresti fare di meglio» lo sfidò quindi.
Il ragazzo alzò il muso sporco con fare dignitoso e serrò le labbra. Dopo un attimo di esitazione, dichiarò: «Perfino Morhag saprebbe fare meglio.»
«E chi è Morhag?»
«La nostra sacerdotessa. Vive nei boschi in cima all’altopiano ed è completamente cieca.»
Chrigel socchiuse gli occhi in due strette fessure mentre scavava nella memoria.
«Ah, sì, me la ricordo. La conobbi diversi anni fa, quando accompagnò il vostro druido nel nostro villaggio, per parlare con mio padre.»
Il ragazzino si irrigidì a quelle parole.
«Tu sei Chrigel?» chiese sorpreso.
Chrigel sogghignò. Si alzò in piedi e gli si avvicinò, per sovrastarlo con tutta la sua imponente mole e spaventarlo.
«In carne ed ossa» confermò con fierezza.
Il ragazzino continuò a fissarlo a lungo e intensamente, in silenzio.
«E comunque» riprese a parlare «non ti ho chiesto se Morhag saprebbe fare di meglio, ma se tu sapresti fare di meglio.»
«Ci puoi scommettere!»
Chrigel, dinanzi a tanta sbruffoneria, proruppe in una fragorosa risata.
«Ehi, Willigis!» chiamò a gran voce il cugino, che si voltò insieme a tutti gli altri.
«Questo ragazzino ritiene di saper fare meglio di te» disse, e tornò a ridere. Alla sua risata si unirono presto quelle degli altri astanti, dopo che ebbero dato un’occhiata al ragazzo mingherlino dai capelli rossi che non arrivava alle spalle di Chrigel. Tuttavia, tutti tacquero quando Alasdair gridò, furibondo: «Eilish! Che accidenti pensi di fare?»
Chrigel corrugò la fonte e si voltò a guardare il ragazzino, improvvisamente impallidito.
«Padre, è che loro…» iniziò a farfugliare quello, mentre il re procedeva a grandi passi verso di loro. Ma Chrigel la interruppe. «Padre? Credevo tu avessi due figlie femmine, Alasdair...»
«Infatti è così. Solo che una delle due non ha ancora capito di esserlo» disse il re accigliato, mentre con gli occhi lanciava dardi infuocati nella direzione della figlia.
Quella rivelazione suonò terribile agli orecchi di Chrigel.
«Di preciso, quale delle due femmine è questa?» indagò allarmato. Se quella ragazza senza forme era la sua promessa sposa, poteva dire addio alle buone maniere.
Subito il re si affrettò a rispondere, per dissipare i suoi dubbi: «La più piccola. Non è la primogenita. Insomma, lei non è la tua promessa sposa…» lo rassicurò, senza mai staccare gli occhi dal ragazzo femmina, alla quale intimò subito dopo: «Eilish, va’ a raggiungere tua sorella e resta lì finché non arrivo. Noi due dobbiamo parlare, e seriamente.»
Alasdair era un omone largo di spalle e di pancia, con cespugliose sopracciglia rosse che gli davano un aspetto severo. Braccia e gambe erano eccezionalmente muscolose. Trasudava determinazione e autorità, e non sembrava possibile che qualcuno osasse contraddirlo.
Evidentemente, sua figlia, oltre alla lezione circa la differenza sui sessi, doveva ancora imparare anche quella sulla sottomissione.
«Se devi dirmi qualcosa, dimmela qui» osò infatti sfidarlo.
La cosa si stava facendo sempre più interessante per Chrigel, che non intendeva rinunciare al suo divertimento proprio ora.
«Perdonami, Alasdair, ma non puoi congedare così il “ragazzo”» intervenne quindi, enfatizzando particolarmente il termine ragazzo. «Dalle mie parti prendiamo seriamente le sfide, e se chi le lancia poi si ritira, viene considerato un uomo poco affidabile e, peggio, un codardo.»
Alasdair si voltò lentamente verso di lui e lo penetrò con gli occhi, chiaramente infastidito dal suo intervento.
«Chrigel, voglio sperare che tu non abbia preso sul serio le parole di mia figlia. Come ti ho detto non è un ragazzo, solo un’insolente, sciocca, testarda ragazzina…»
Alasdair stava ancora terminando la frase quando la ragazza di nome Eilish prese una freccia, la mise nell’arco, si voltò verso l’obiettivo tendendo la corda e, senza perdere tempo, scoccò il dardo, che andò a conficcarsi nel centro preciso del bersaglio. Perfino Alasdair smise di brontolare per emettere un’esclamazione di stupore dinanzi a quella prodezza.
Eilish sfidò con gli occhi Chrigel, rimasto a bocca aperta.
«Per il Valhalla, ragazzo, devo proprio dirtelo: mi hai stupito» ammise con sincerità. E non avrebbe aggiunto altro se lei non avesse esultato trionfante: «Faresti meglio a dire ai tuoi di bere di meno e di impegnarsi in altro. L’arco non fa per loro» disse, voltandosi per incamminarsi.
Chrigel divenne rosso di rabbia. Quello che solo un attimo prima era stato uno sciocco passatempo, ora era diventata una questione di orgoglio. La ragazza poteva permettersi di essere sfrontata col padre, non con lui.
«Fermo, ragazzo, dove pensi di andare?» disse perentorio.
«Ho vinto, mi sembra. O no?»
«Oh, certo, ma permettimi di farti una contestazione usando le tue stesse parole: perfino Morhag ci sarebbe riuscita usando il tuo arco» e così dicendo glielo strappò dalle mani. Lo esaminò, dapprima con finto interesse, poi con ammirata attenzione.
L’arco era semplice, in legno di nocciolo, costituito da un solo pezzo perfettamente bilanciato.
«Lo hai fatto tu?» le chiese.
La giovane non rispose e Chrigel dedusse dal suo silenzio che la risposta fosse affermativa. Questo lo irritò ulteriormente. La ragazza era davvero in gamba e la cosa gli dava sui nervi.
«Ben fatto, complimenti. Certo, se dovessi usarlo io, un fuscello come questo, mi si sbriciolerebbe fra le mani. Del resto io sono un uomo. Un uomo vero, intendo, non uno che spera di passare per tale indossando abiti maschili. Per questo dubito che sapresti maneggiare il mio arco, l’arco di un uomo vero» la istigò.
Tutti si voltarono a guardare la ragazza in un religioso silenzio. Perfino quelli che un attimo prima schiamazzavano in preda all’euforia indotta dall’ubriachezza ora tacevano, in attesa dello sviluppo di quella bizzarra quanto imprevista vicenda.
«So usarlo l’arco di un uomo!» asserì infine la giovane.
Chrigel le rivolse un sorriso storto.
«Bene, allora. Vediamo quanto sei uomo» la sfidò di nuovo con un tono odiosamente sarcastico, provocando l’ilarità generale. Urlò al cugino di lanciargli il suo arco e si compiacque dell’espressione esterrefatta che comparve sul viso della ragazza non appena ebbe visto le sue dimensioni.
Nessuno possedeva un arco simile a quello, in tutto il Grande Nord. Era lungo quasi cinque piedi. L’osso con il quale era stato costruito era finemente istoriato con simboli runici simili a quelli che Chrigel si era fatto tatuare sulle gambe, sulle braccia, sul petto, sul dorso e ai lati del collo. L’impugnatura era rivestita di cuoio rosso, che spiccava sul bianco dell’osso come lo squarcio di una ferita sanguinante su un corpo diafano. Chrigel afferrò l’arco al volo senza alcuna difficoltà e lo porse sorridendo perfidamente alla ragazza.
«Sicura di voler provare?»
La ragazza afferrò l’arco, lo soppesò per valutarne peso e calibratura e tentò di alzarlo all’altezza del viso. Lo riabbassò immediatamente, in difficoltà a causa del notevole peso, e puntò gli occhi verdi dentro ai suoi.
Chrigel era sicuro che si sarebbe arresa, invece gli fece cenno di passarle la freccia. Lui gliela consegnò, inclinando un po’ la testa e corrugando la fronte, sorpreso, come se si trovasse all’improvviso di fronte ad un animale curioso. Quella ragazza dimostrava di avere più determinazione di molti dei suoi uomini. O il suo era solo sciocco orgoglio. In ogni caso, era affascinato da tanta caparbietà.
Eilish incoccò la freccia tenendo l’arco verso il basso, poi lo sollevò con malcelata fatica. Quando tentò di tirare la corda, perse la presa e la freccia partì. Lo slancio, tuttavia, risultò essere debole e la freccia andò a conficcarsi nel terreno diversi piedi prima del bersaglio. Tutti risero rumorosamente, tranne Alasdair, sempre più cupo. Eppure la ragazza non si arrese. Andò a raccogliere la freccia ignorando i versi di scherno, e tornò sui suoi passi a testa alta. Sollevò di nuovo l’arco ma fu costretta a riabbassarlo subito emettendo un gemito di dolore, suscitando una nuova ondata di risate e di insulti, che si fecero gradualmente più coloriti.
Chrigel cominciò a dispiacersi di averla fatta oggetto di tante sconvenienti attenzioni. Così, quando la ragazza tentò di sollevare di nuovo l’arco, con le guance colorate dalla frustrazione e gli occhi lucidi, si mise alle sue spalle, piegò le ginocchia e afferrò l’arco, chiudendo la sua mano sopra quella piccola di lei. La sentì irrigidirsi e capì che non era abituata ad essere toccata da un uomo. Probabilmente era ancora vergine. Non c’era da stupirsene: dal modo in cui si conciava lo sarebbe rimasta a lungo. Sogghignò con perfidia a quella idea e le afferrò anche l’altra mano.
In quel modo, i loro corpi aderirono perfettamente. Chrigel, spingendole con le proprie, cercò di metterle le gambe nella giusta posizione.
«È una questione di postura, oltre che di forza» le spiegò bisbigliandole all’orecchio.
«Di postura e di respirazione. Mentre tendi la corda riempi i polmoni d’aria. Così…» disse, e fece quanto le aveva consigliato. Nello sforzo di tendere la corda, i muscoli delle sue braccia si gonfiarono e si indurirono. Aderivano perfettamente alle braccia della ragazza, che aveva smesso di essere rigida e, anzi, si lasciava ora guidare con docilità. Fu in quell’istante che avvertì l’energia fluire dalle sue braccia a quelle di lei, come se i due corpi fossero miracolosamente entrati in comunione diventando uno solo. La sentì fremere eccitata e capì che anche lei stava vivendo la sua stessa singolare sensazione.
«Mentre prendi la mira, trattieni il respiro. Lascialo andare in seguito, insieme alla freccia. Capito?»
Eilish annuì, completamente soggiogata. Chrigel guidò le braccia della ragazza e aggiustò la mira.
«Tu che ne pensi, va bene così?» le chiese per metterla alla prova.
«No, è troppo basso. Solleva l’arco» propose lei. Chrigel però scosse il capo.
«Non è il tuo giocattolo, ragazzino. La tensione della corda è maggiore, la freccia andrà più veloce.»
Eilish non protestò e insieme, perfettamente sincronizzati, allargarono le dita e la freccia schizzò via, accompagnata da entrambi i respiri. Seguì una precisa traiettoria e andò a conficcarsi dentro quella di Eilish, che si aprì in due con una facilità impressionante fra le urla animalesche degli astanti.
Eilish emise un debole sospiro e Chrigel non ebbe dubbi che stesse sorridendo soddisfatta.
C’era qualcosa di tremendamente erotico in quella situazione e lui non resistette all’impulso di farglielo notare. Continuava a cingerla con le braccia, anche se non ce ne era più bisogno. Poggiò il mento sull’esile spalla della giovane la quale, presa com’era dallo straordinario risultato conseguito, non sembrò nemmeno accorgersi di quel gesto così intimo.
«Come ti dicevo, solo un uomo può destreggiarsi con armi vere. Guarda la mia freccia. Ha messo a gambe all’aria la tua e l’ha penetrata fino in fondo… Dici che è un segno degli dei? Magari ci stanno suggerendo qualcosa...»
Non ebbe il tempo di finire la frase. La ragazza si liberò dalla sua stretta, si voltò di scatto e lo colpì sulla guancia con quanta forza aveva, che era decisamente più di quanta lui avrebbe ritenuto possibile. Sentì Alasdair gridare indignato il nome della figlia e gli uomini scoppiare in nuove, rumorose risate di scherno, questa volta indirizzate a lui. Ma non ci fece caso. Invece fece caso, per la prima volta, agli occhi della ragazza, che ora lo fissavano pieni di rancore. Erano verdi, grandi, espressivi. Davvero belli. Sprecati in una femmina poco attraente come quella.
«Eilish, come ti permetti? Chrigel è nostro ospite!» la biasimò duramente il padre.
«Non rimproverare il ragazzo, Alasdair. È audace, e a me piacciono gli uomini con le palle» disse lui, sghignazzando.
Eilish gli batté l’arco sul petto, raccolse le sue cose e corse via furiosa, facendolo ridere ancora più forte.
Finalmente aveva ritrovato il buon umore. Ora sì che si sentiva in grado di affrontare quella giornata fino in fondo, ora sì che poteva concedersi il lusso di bere. Quella ragazza era riuscita a distendergli i nervi.
«Ehi, ragazzo, non te ne andare. Vieni a farti una bevuta insieme a noi, insieme a uomini veri» la derise ancora a gran voce, fra i singhiozzi.
Ma la ragazza lo ignorò e continuò decisa la sua corsa verso il centro del villaggio. Chrigel raggiunse gli altri e strappò dalle mani di un Caledone rubicondo vistosamente brillo la caraffa di birra, che ingurgitò avidamente.
E bevve a lungo, per tutto il pomeriggio.
   
 
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