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Autore: IroccoPerSempre    24/01/2023    2 recensioni
L'evoluzione di Rocco (e Irene) prima della nascita di Diego
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Allora... che fa? Hai messo in valigia una camicia da notte decente o mi devo preoccupare?” la punzecchiò Rocco, cercando di nascondere quanto fosse in realtà preoccupato che le scelte di vestiario della fidanzata potessero essere fattivamente incompatibili con il luogo che stavano per visitare. 

Irene aggrottò le sopracciglia a quella domanda e riemerse lentamente dalla spalla di lui, dove si era rannicchiata per farsi cullare meglio dagli scossoni cadenzati del treno che li portava in Sicilia. 

Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui mi avresti chiesto una cosa del genere” rispose Irene strofinandosi stancamente la guancia con una mano “Sei prevedibile”. 

“Ah vabbè, io lo dicevo pettedisse dopo averla studiata un attimo ed aver automaticamente interpretato quella risposta vaga come un no “con mia nonna ci devi dormire tu, mica io” e si girò verso il finestrino premendosi le labbra tra loro per evitare di ridere.  

Stai scherzando vero?” le chiese Irene dopo un attimo di esitazione con la voce tentennante di paura. 

Rocco si girò di nuovo verso di lei “No, guarda... ti fanno dormire con me, Ire’” gesticolò con ironia. 

Irene picchiò fermamente la testa contro lo schienale e sbuffò. Effettivamente cosa si era aspettata da un luogo in cui i valori della tradizione contavano molto di più che altrove, non si era ben capito. E forse non sapeva rispondersi nemmeno lei. 

No, con te no, certo, ma magari... da sola?” suggerì.  

Rocco sghignazzò immediatamente. Altra supposizione, evidentemente, più che erronea. 

Seh, l’albergo in città!” continuò Rocco con aria divertita “ma lo sai come dormivamo da piccoli noi, io, i miei fratelli, i miei cugini, ecc.? Uno a capo e uno a piedi!” le illustrò muovendo le mani in maniera esplicativa. “Non c’è proprio spazio... Anzi, devi ringraziare se dormi SOLO con mia nonna” bisbigliò Rocco per non svegliare alcuni passeggeri che si erano appisolati nel loro scompartimento. 

Irene chiuse gli occhi maledicendosi per essersi prestata a quell’‘esperimento’. Non poteva conoscere semplicemente la famiglia di Rocco come facevano certi futuri coniugi costretti a un matrimonio combinato, ossia per corrispondenza?   

Intrattenne puerilmente quel pensiero solo per temporeggiare e ritardare lo scontro con la dura realtà; che, cioè, quella era una soluzione a dir poco impraticabile, oltre che ridicola. 

Ma lasciatemi perdere; questi sono semplicemente gli ultimi vaneggiamenti prima di una morte certa nella fossa dei leoni, da un po’ di giorni a quella parte definiva così la prospettiva di visitare la Sicilia.  

Le uscì solo un sospiro profondo in risposta a quella spiegazione.  

Lo sguardo di Rocco insistette su di lei e si increspò in un mezzo sorriso, poi scosse la testa e sospirò anche lui “Che c’è? 

Eh, che c’è...” mentre nella sua testa urlava a squarciagola ‘a te non sembra una tragedia far dormire Irene Cipriani con tua nonna?!’ “penso che dobbiamo fare un ripasso di siciliano” rispose invece. 

Rocco aggrottò le sopracciglia, poi commentò “Mmh” con un segno di assenso del capo. Quello era poco ma sicuro; sua nonna non spiccicava una parola in italiano. Come molte donne nate e cresciute in una realtà rurale, infatti, non aveva potuto studiare. 

Ma stavolta ci esercitiamo con frasi del tipo ‘Sei una svergognata, una poco di buono’, cose così insomma...” commentò Irene in preda allo sconforto. 

Rocco chinò il capo e scoppiò a ridere mettendosi una mano davanti alla bocca. 

... e non è per le camicie da notte” si affrettò a puntualizzare Irene con un dito, scoppiando malvolentieri a ridere anche lei, “tranquillo che per quelle ho risolto facendomene prestare un paio di noiosissime e tristissime” e rimarcò il sibilo che producevano quei superlativi. 

A quelle parole la prese in contropiede: “E che sarà mai, tanto sei bella pure senza pizzo nero...” commentò di getto, mentre le guance gli si velavano di un colore rosaceo, non si capiva se per lo sforzo di farsi intendere nonostante il basso tono di voce o più per aver virato la conversazione su immagini poco innocenti.  

Irene non rispose, ma il suo sguardo si distese in un’espressione carica di quella sua innata e sobria malizia. Quella che la coglieva a ogni piacevole riconferma che Rocco, anche se sul momento sembrava non accorgersene o non necessariamente commentava, notava eccome certi particolari che condividevano nell’intimità.  

Una brusca strattonata li riscosse... Entrambi si voltarono di scatto verso l’omone che aprì la porta scorrevole del loro scompartimento.  

Buongiorno”, borbottò il nuovo passeggero dopo aver preso posto. Tutti risposero all’unisono con cortesia. 

Irene e Rocco si schiarirono la gola nemmeno se qualcuno li avesse colti in flagrante nel mezzo di un’effusione. Se finora avevano bisbigliato, adesso, con lo scompartimento al completo, probabilmente avrebbero dovuto esprimersi a gesti.  

Intimità, per l’appunto. Una parola che avevano fatto completamente propria da alcuni mesi a quella parte. Mesi che non avevano visto solo quello come unico cambiamento, ma anche una decisione potenzialmente ancor più determinante per le loro vite. 

Rocco aveva finalmente preso il coraggio di fare quel passo sofferto fortemente suggeritogli da Irene appena prima di Natale. Di lì a pochi giorni si sarebbe trasferito a Roma per tentare la carriera agonistica nel ciclismo e, anche se Irene cercava di farsi forza per lui e continuava a ripetere (anche a sé stessa) quanto quella scelta fosse la ricetta perfetta per evitare rimpianti futuri, Rocco nutriva ancora numerosi dubbi al riguardo.  

Guardò brevemente all’orizzonte fuori dal finestrino e contrasse i muscoli della schiena e del collo come se si sentisse a disagio nei suoi stessi vestiti. Irene se ne accorse e in maniera adorabilmente premurosa gli toccò la nuca: “Togliti la giacca”, gli sussurrò, attribuendo quel gesto inconsulto alla probabilità che stesse iniziando a sentire caldo man mano che si allontanavano dal freddo mordente della loro Milano. 

Assentì distrattamente con il capo mentre si toglieva la giacca, per evitare di specificarle il motivo di quel sussulto. Da un po’ di giorni a quella parte aveva lo strano sentore che durante il suo imminente allontanamento dalla città sarebbe successo qualcosa. Non sapeva dire se una cosa bella o brutta, semplicemente... fuori dall’ordinario. 

Ma non voleva dirlo a Irene; era stupido dirglielo quando un’irrazionale paura dell’ignoto sarebbe servita soltanto a preoccuparla senza metterle in mano alcuna soluzione. 

Irene si raggomitolò stringendosi nelle spalle, intirizzita nonostante le temperature via via più clementi, “Solo a vederti così, che ti spogli, sento ancora più freddo”.  

Rocco alzò il mento e allargò le braccia: “Piccio’, me l’hai detto tu di spogliarmi, deciditi” e, con complicità, si guardarono per poi sorridere silenziosamente, mentre Irene gli appoggiava nuovamente il capo sulla spalla come a volergli dire: Lasciami perdere, in questo momento non so neanche io quello che dico. 

La tensione crescente di conoscere la famiglia di Rocco se la stava letteralmente mangiando - per la precisione da quando si erano risolti a partire e subito dopo che avevano comprato i biglietti - e quando era troppo contratta per vocalizzare la propria ansia con lui, la manifestava sfregandosi le mani tra loro, camminando nervosamente per una stanza e, con buona pace per le orecchie del suo fidanzato, rispettando un innaturale silenzio.  

Ecco, quello era uno di quei momenti. Momenti in cui, Rocco ne era sicuro, Irene partoriva i pensieri più catastrofici. 

Dio solo sapeva quante cattiverie firmate Agnese Amato precedevano il suo arrivo in Sicilia, pensò Irene. Di certo bastavano per sette vite, visto che già il polverone alzatosi a Partanna quando fu ufficializzata l’‘uscita dai giochi’ di Maria dalla vita di Rocco si era sentito chiaro e forte anche a Milano.  

Le passò una mano sul viso intuendo con facilità i suoi pensieri, lei alzò di sbieco gli occhi verso di lui senza però muovere la testa.  

Dopo uno mi chiede perché rimarremo in Sicilia solo pochi giorni...” strinse le labbra mentre escogitava un piano per risollevarle l’umore. 

Irene gli ripeté a campanella quello di cui avevano parlato mentre organizzavano il viaggio “Perché tra poco ti devi trasferire a Roma, sai com’è...” con la bocca amara ogni volta che era costretta a menzionare quel ‘piccolo’ particolare, “C’erano comunque pochi giorni a disposizione... 

Rocco alzò la mano in un gesto di esagerazione cercando di sembrare convincente “Eh... quella è la scusa ufficiale...”. 

Irene aggrottò le sopracciglia e alzò subito la testa, sospettosa, “ma di che parli, scusa? 

Ma come di che parlo, Ire’” temporeggiò lui, con un’espressione in volto da uomo navigato dall’alto della sua incommensurabile sapienza, “tu mi muori co’ tutta sta ansia”. 

Irene serrò istintivamente la mascella e si raddrizzò pian piano sul suo posto a sedere, come a volersi inconsciamente dare un contegno, ma rimase ancora in silenzio per un attimo a raccogliere i pensieri. 

Ve’? Funziona..., pensò Rocco inorgoglito. Era sicuro che, se fosse riuscito nell’intento di farle vedere la cosa come una sfida da superare, quel soggiorno le sarebbe sembrato un gioco da ragazzi. E stava funzionando, perché sul suo viso stava riaffiorando la sua caratteristica reattività. 

Guarda che io sono perfettamente in grado di reggere tutta l’ansia del mondo; anzi, non capisco perché mi vedi ansiosa se a malapena ho aperto bocca!” e pronunciò quelle ultime parole in un climax tra il risentito e l’offeso, tanto da destare l’attenzione degli altri passeggeri, tra cui uno che, scocciato, abbassò il giornale. 

A volte la straordinaria capacità di Rocco di capirla anche se taceva, paradossalmente, la esasperava; invalidava, cioè, tutta la fatica che faceva lei per celare la propria anima capricciosa. 

Rocco le prese delicatamente la mano per distoglierla da quegli sguardi inquisitori, mentre nel frattempo cercava in tutti i modi di restare nella parte.  

Se si fosse tradito, tutti i suoi sforzi si sarebbero rivelati vani e Irene si sarebbe sentita seriamente presa in giro. 

Ire’, ma guarda che mica è una colpa, è solo che non ci sei abituata...” minimizzò lui. 

A che cosa?” incalzò Irene “alle malelingue della gente? Direi anche un po’ troppo... 

Macchééé... alla campagna...” spiegò Rocco. 

Alla campagna?” chiese Irene colta di sorpresa. 

Rocco roteò gli occhi “Ire’, ma che è oggi? Sembra che caschi dalle nuvole! Hai capito bene sì, la campagna...” insistette annuendo energicamente. “Non sei mai vissuta in campagna, mica è semplice se uno non ci è abituato...” 

Effettivamente aveva concentrato le sue energie sull’odio che era sicura avrebbe ricevuto da tutto il cocuzzaro di Partanna, al punto tale da sottovalutare ingenuamente la parte forse più complicata da superare in termini logistici.  

Aveva solo una vaga idea di cosa aspettarsi e aveva anche paura di chiedere delucidazioni, anche se sospettava che le illustrazioni verbali di Rocco non si sarebbero fatte attendere. 

Tanto per cominciare non c’è l’acqua in casa...” disse Rocco alzando il pollice per elencare. 

Ecco. Appunto. 

E dove la vai a prendere, al ruscello?” fece lei con un risolino nervoso, facendo una domanda che lei pensava fosse pura esagerazione. 

No, dai, un pozzo davanti casa ce l’abbiamo, al ruscello ci si va per lavare i panni...” rispose Rocco impassibile.  

Ecco, pensava male. Il ruscello non era comunque un’esagerazione. 

Anzi, doveva pure ringraziare che ‘almeno-c’era-il-pozzo-davanti-casa'.  

Il suo spirito iperbolico già immaginava sé stessa in una situazione tragicomica in cui non si sarebbe potuta rifiutare di andare a prendere l’acqua su richiesta di qualcuno.  

Si sarebbe sicuramente messa in ridicolo facendo rovesciare… come si chiamava l’aggeggio che si usava in questi casi? 

E dal pozzo si prende con la conca...” continuò lui. 

Giusto, la conca. E ora che aveva (ri)scoperto quel termine, tutt’a un tratto la sua vita aveva acquistato un senso, pensò con amara ironia.  

Poi, sveglia presto con le famose pecore...” frase che non riuscì a terminare senza scoppiare a ridere. Pascere le pecore era un’attività tanto risaputa di lui tra quelle del suo passato da essere diventata una propaggine di sé: Tanto piacere, mi chiamo RRocco Amato, pascevo le pecore. 

Irene scoppiò a ridere anche lei perché era impossibile non farlo su quel punto, ma poi si affrettò a chiedere: “Ma scusa perché, per tre giorni che rimaniamo, le pecore le fanno pascere a me, non ho capito!”  

Ma no, ci mancherebbe...” disse lui, e le tornò la speranza che forse non le avrebbero messo tanta pressione addosso, “solo per tre giorni no... 

Ma guarda un po’. Che. Misericordia. - pensò Irene sarcastica. 

Allora lo vedi che torna il discorso mio?” concluse lui con le sue arie di saggezza, toccandosi il petto con entrambe le mani, “meglio che rimaniamo solo tre giorni”. 

Irene alzò lievemente il mento e si incrociò le braccia al seno, con un carico di orgoglio nettamente visibile dal suo sopracciglio lievemente alzato: “Tu davvero non mi credi capace di ambientarmi, dì la verità”. 

Rocco ci rifletté un po’ strofinandosi il mento come uno scienziato che analizza una teoria dell’astrofisica e poi decretò “Capace sì, disposta un po’ meno... solo ddu schifiu che lasciavi in magazzino ogni mattina...” 

Irene si premette le labbra tra loro, ma già i suoi occhi tradivano una risata dinanzi a quella distinzione argutamente selezionata al momento giusto (e ignorò volutamente il colorito appunto finale, che sottolineava la sua proverbiale tendenza all’entropia). 

Che spirito stamattina…” cantilenò strascicando lievemente le parole “ti vorrei ricordare che quando ti insegnavo a fare i pacchetti regalo in galleria non eri né capace né disposto, eppure hai imparato ugualmente (dopo cent’anni, ma hai imparato)” disse tagliente. 

Come vedi, invece, io sono già a metà dell’opera…” poi concluse con una smorfia di presunzione. 

Se lo dici tu” rispose lui con un mezzo sorriso sfrontato, cui non poté non cedere sebbene la sua missione di farle tornare la combattività potesse dichiararsi già conclusa. A onor del vero, infatti, neanche a lui dispiaceva avere l’ultima parola in una conversazione. 

Poi finalmente le sue membra si decontrassero e tornò a lasciarsi distrarre dalle spennellate di colore fuori dal finestrino.  

Lo riscosse il calore del fiato di Irene addosso. Una confidenza piacevolmente inaspettata. 

Però mi mancherà dormire con te di notte” gli sussurrò nel tono più flebile che potesse emettere, con la stessa aria sognante con cui parecchi mesi prima gli confessò timidamente che le sarebbe mancato alloggiare, niente di meno che, in un luogo scomodo come il magazzino. E anche allora entrambi sapevano il perché. 

Dopo aver processato quelle paroline si girò di nuovo verso di lei, avvicinando così il viso al suo, mentre le guance gli bruciavano più del dovuto e i suoi occhi ispezionavano rapidamente gli sguardi falsamente disinteressati dei presenti. I gesti che si scambiavano due giovani innamorati in pubblico erano sempre e comunque oggetto di scrutinio, che solo nel migliore dei casi era silenzioso e non accompagnato da additamenti e rimproveri per asseriti danni al buon costume. 

Eh, perché a Milano proprio... tutte le sere” le rispose lui con la sua tenera ironia ruotando la mano a mezz’aria. Una frase a cui mancavano volutamente dei pezzi perché la capisse solo Irene. 

No, lo so" sorrise lei con lo stesso sguardo di prima, “ma almeno lì sappiamo che il magazzino è sempre a disposizione e, se non ci andiamo più spesso, è solo per non ‘farla troppo sporca’” e si scambiarono uno sguardo di intesa.  

Erano entrambi volutamente dimentichi di quanto sfidassero la sorte ogni volta che decidevano di rimanere in magazzino. Forti anche del fatto che, per il momento, nessuno li aveva ancora scoperti. 

Per il momento.  

Certo, sempre che Armando, una mattina prestissimo di qualche giorno prima, avesse preso davvero per buona la scusa ridicola rifilatagli da una Irene (apparentemente) sola al risveglio in quello stanzone, con tanto di coperta per terra al seguito. Se per pura misericordia si sceglieva di non contare quell’occasione, allora non erano mai stati colti in flagrante, no.* 

Senza dubbio la voglia era tanta - nonché la droga che erano diventati l’una per l’altro - se soprattutto Rocco riusciva a superare la fifa innata che la suddetta eventualità potesse materializzarsi solo per sfruttare l’unico modo possibile per passare la notte assieme (dato che era fatto divieto a coppie non sposate prendere una stanza d’albergo).  

E se ora finalmente il loro approccio teorico e pratico al sesso era più rilassato e sciolto, delle loro prime volte non si poteva dire certamente lo stesso.  

Per usare un’espressione più calzante, il quadro iniziale era stato assimilabile a quello di una tragicomedia, per come l’avevano presa a parti alterne.  

Un susseguirsi di emozioni, su un continuum che aveva spaziato dalla timidezza, alla titubanza, alla tristezza, per poi arrivare all’accettazione, all’autoironia e infine alla complicità.  

Non che ciò stonasse con la singolarità bizzarra della loro relazione... 

---- 

Noooo’ impennando la voce, ‘a me stu cuttigghiu (N.d.A.: Pettegolezzo) non mi piace’ fu il commento di Rocco alla brillante idea che aveva avuto Irene di chiedere a Roberta delucidazioni sul da farsi.  

Non solo.  

La scostumata aveva pure l’ardire di voler condividere con lui quanto aveva appreso! (‘Ovvio, i particolari di questa conversazione servono anche a te, o preferisci che ne parli col figlio del lattaio?!’ era la sua risposta che lo lasciava incapace di controbattere) 

Irene lo guardò di traverso sdegnata, ‘adesso mi offendo: innanzitutto lo sto dicendo a te e non lo sto affiggendo in pubblica piazza, seconda cosa mi sono rivolta a lei per un motivo preciso’. 

E quale sarebbe?’ chiese Rocco impassibile. 

Per una questione di vita o di morte’ esagerò. 

Ire’, ma che mo veramente incapaci siamo?’ protestò Rocco in uno stato di insofferenza. 

Irene inclinò la testa come a volergli suggerire che, sì, su quel fronte era abbastanza ovvio quanto fossero incapaci. 

Che poi eri tu quella che voleva che la nostra relazione fosse nostra, e nostra soltanto’ tergiversò lui col suo tipico faccino da cagnolino bastonato, così instillando in lei il senso di colpa. 

Se la metteva così però, era un colpo basso.... ‘Ma no, dai, non vederla così’ concesse lei non prima di aver roteato gli occhi dinanzi alla melodrammaticità del fidanzato, ‘vedila semplicemente come un… manuale di istruzioni, giusto per non farci assalire dalle paure all’inizio 

Rocco sospirò ‘E va bbbene, sentiamo…’. 

Quando Irene cominciò la sua narrazione, pian piano Rocco passò dalla tipica espressione di diffidenza iniziale, a quella dell’ascoltatore partecipe, per poi finire per lasciarsi seriamente intrattenere dal racconto.  

Effettivamente, il modo in cui si erano confrontate le due amiche sull’argomento aveva del comico. Anche se invece di ‘confronto’ era più corretto usare la parola ‘affronto’, dato che Roberta era stata vittima dell’assalto di Irene nel momento più impensabile della giornata.  

Chi, infatti, non avrebbe voluto parlare di sesso appena prima di partire alla volta della guida di un cantiere? 

Alle prime ore di un mattino qualunque, il quasi ingegnere Pellegrino, dopo una delle sue frequenti notti passate a casa del fidanzato, era passata in galleria a salutare prima dell’orario di apertura. Irene la scorse mentre lei e Marcello, legati unicamente da due mignolini adorabilmente intrecciati, stavano conversando del più e del meno con il dottor Conti. 

Oh, eccola lì, distratta da una conversazione assolutamente priva di significato che non mi farò problemi ad interrompere’ pensò Irene avviandosi verso di lei. 

Prima di attirare la sua attenzione, si soffermò brevemente a fare nota mentale di quel meraviglioso ‘non-detto’ che aleggiava in maniera potente e palpabile tra i due sposi promessi, anche se si scambiavano uno sguardo o erano semplicemente l’uno al fianco dell’altra. Irene non poté fare a meno di sorridere. 

Ve la rubo un attimo’ la strattonò poi in modo gentile ma fermo, con il migliore tra i suoi sorrisi artificiali, mentre per poco Roberta non rovesciava il suo caffè dalla tazzina e scambiava un’occhiata di tacita complicità con fidanzato ed ex capo per via dei ‘soliti modi della Signorina Cipriani’. 

Delicatissima come sempre’ commentò Roberta con gli occhi piccoli. ‘Cos’è tutta questa fretta? 

Niente, volevo chiederti alcune cose su come si fa l’amore’ replicò Irene con lo stesso tono che avrebbe usato se le avesse proposto di andare al cinema. 

Roberta, in sequenza, sgranò gli occhi, per poco non sputò il caffè mentre lo sorseggiava dalla tazza e si guardò rapidamente attorno, terrorizzata che qualcuno potesse aver captato quelle paroline magiche. 

‘Ireneeeeee’ fu la sua redarguizione gridata a bassa voce. 

Pure! Solo il passante oltre la vetrina del Paradiso non ha ancora guardato verso di noi, dai Roberta, dai più nell’occhio, pensò Irene. 

Poi si mise a braccia conserte ‘Come si vede che sei sempre stata una studentessa modello; non ti hanno mai detto che se vuoi nascondere qualcosa devi agire con naturalezza e non starnazzare come stai facendo ora?’ 

‘Ma come ti viene in mente di parlare di una cosa del genere a quest’ora? In questo posto? Con me?’ bisbigliò Roberta imperterrita. 

Figurarsi se per Irene i primi due punti avevano un’importanza di qualche tipo.  

Per l’appunto, nessuna.  

Quindi, si concentrò sul terzo: ‘Senti, l’alternativa era rivolgermi a Paola Cecchi; volevi davvero lasciarmi in balia di Paola Cecchi per consigli sull’argomento?’ 

Non si capiva se per una punta di orgoglio o se per.... una punta di orgoglio, ma Roberta sospirò e la sua espressione dapprima intollerante fece spazio a un sorriso birichino. 

E va bene, che vuoi sapere?’ cedette finalmente. 

La dovizia di particolari cui si abbandonò Roberta nella lezioncina che seguì era, di sicuro, perfettamente in linea con la sua deformazione professionale di plasmatrice di giovani menti all’università. La cosa a dir poco strampalata era però la giustapposizione tra la sua serietà e l’argomento di cui stava parlando.  

Una cosa era certa, dopo quella conversazione Irene poté concludere di sé stessa che solo all’apparenza era una persona più disinibita delle altre, ma il suo livello di stupore su alcuni dettagli condivisi da Roberta le dava conferma che, fino ad allora, anzi, aveva condotto una vita più illibata di molte altre ragazze (‘... perché poi ci si tocca, capito...’ suggerì Roberta incidentalmente, come dando ormai per scontato che tutti avessero il suo stesso livello di esperienza in materia. Irene replicò con sufficienza: ‘Ma va... come si farebbe senza toccarsi sennò?’. Roberta sorrise per il candore: ‘No, Irene, non parlavo in generale...’ e, con un piccolo guizzo del capo, indicò verso il basso. Irene arricciò il naso, segno che non aveva capito, poi, come dopo un’illuminazione, spalancò gli occhi. ‘AH...’ le venne solo da dire, e abbassò subito la testa come se avesse rubato un cioccolatino all’alimentari). 

Marcello, che le aveva viste conversare animatamente e arrossire in volto in un crescendo di colori variopinti, si avvicinò con passo ovattato e chiese tentativamente ‘Tuttoooo bene?... Non per rompere il vostro idillio...’ disse lui con il suo tipico faccino ironico ‘ma così fai tardi al lavoro, amore” e si guardò l’orologio al polso. La risposta/richiesta a bruciapelo della fidanzata non si fece attendere: ‘Sì amore ora vado, ma prima... ci porteresti due spremute fredde? 

GELATE, con ghiaccio, grazie Marcello’ aggiunse Irene.  

Marcello le guardò incredulo, quindi gettò un occhio fuori dalla vetrina del Paradiso – in strada fioccava a cielo aperto – e non capì se fosse segno che le due si erano prese una bella influenza. 

Chi rischiò di essere polverizzato a vista furono le amiche colleghe che passarono di lì proprio quando si nominarono parole innocentissime come ‘orgasmo’... 

Di che parlate, ragazze?’ chiese Dora appoggiando stancamente il mento sulla spalla di Irene mentre passava di lì. 

Dell’organza!’ improvvisò Roberta balbettando.  

Dio mio, non sa proprio mentire, pessima, sospirò Irene fra sé con sgomento. 

In cantiere avevi nostalgia dei tessuti di lusso per caso?’ chiese Dora sospettosa. 

E tu hai nostalgia di una manata sul viso?’ intervenne Irene mostrandole un sorriso plastico. Dora capì l’antifona. Se Irene ringhiava, era solo perché in quel momento era un cagnolino cui erano andati a smuovere la scodella del cibo. Niente di personale. 

Stefania, invece, fu liquidata con la solita vecchia scusa noiosa: ‘Sei piccola, questa conversazione non è per te’, subito seguita da un ‘Daiiii, non mettere quel broncio, ti racconto a casa’ per correre ai ripari. 

Rocco, dal canto suo, ascoltando interessato il resoconto, interrompeva persino Irene di tanto in tanto, facendo domande specifiche e lanciandosi in esclamazioni quali ‘Appidaveru?’, ‘Come, come, come? Aspe’, ripeti, non ho capito’, ‘Però! Hai-capito-Robbbertina’, quest’ultima volutamente proferita per far alterare Irene, che infatti gli sferrò un pugno sul braccio per intimargli di astenersi da commenti sottilmente denigranti sulla sua amica. 

Ecco, adesso chi era il cuttigghiaro (N.d.A.: Pettegolo) tra i due? 

Col senno del poi, Irene ringraziò la propria prudenza di aver chiesto a Roberta; le prime volte con Rocco le fece male per davvero e, se l’amica non l’avesse preventivamente rassicurata sul fatto che fosse una cosa abbastanza comune, sarebbe stata in passione per giorni interi. 

Certo, con l’ansia di fabbrica di cui era chimicamente composta Irene, la situazione non era stata poi tanto più tranquilla… se ne stava spesso con lo sguardo perso nel vuoto, a volte incapace di guardare Rocco negli occhi, come se fosse timorosa di aver fatto qualcosa di sbagliato.  

Rocco, quando la vedeva così, le tirava delicatamente la mano per attirarla a sé e abbracciarla - e allora, sì, che Irene si abbandonava a un pianto sommesso - e le ripeteva teneramente: ‘e meno male che non dovevamo farci assalire dalla paura’. 

E se ci fosse davvero qualcosa di sbagliato in me?’ insisteva lei guardandolo con quei suoi occhioni grandi e limpidi. 

Ma che ‘qualcosa di sbagliato’! Te l’ha detto pure il manuale di istruzioni che è tutto normale, no?’ minimizzava Rocco. 

Cioè, intendi Roberta?’ chiedeva lei, confusa. 

Eh. 

Irene finiva sempre per ridere stancamente: ‘Non ce la faccio a rimanere triste con te, con le stupidaggini che dici 

E infatti era quello l’obiettivo’ faceva Rocco tutto orgoglioso. 

Superate poi le barriere, per così dire, fisiche di Irene, nonché più di una dose massiccia di ripensamenti da parte di Rocco sul piano religioso (cosa abbondantemente preventivata da entrambi), le cose iniziarono finalmente ad appianarsi e si ristabilirono gli equilibri. 

Così, la prima volta che filò tutto liscio, scoppiarono a ridere come due cretini, pazzi di una gioia incredula, e con addosso il rimpianto di chi ha perso troppo tempo a privarsi di una cosa così bella. 

---- 

Guarda che, se è per quello, non c’è un posto migliore della campagna, te lo dico io.” fece Rocco un gesto categorico, in un attacco improvviso di campanilismo. Continuava a parlare in codice solo per lei, ma in quel frangente nemmeno Irene era sicura di aver ben capito a cosa si riferisse. 

Dopo essersi concessa un attimo per decodificare...  

Ah, in mezzo alle sterpaglie...? Ma neanche morta...” lo derise, oltremodo scettica. 

Ma non hai detto che ti volevi ambientare tu?” controbatté lui all’istante per provocarla. 

Sì...?” balbettando, cosciente di essersi fatta autorete, “Ma non vedo dove...”   

E allora fidati...” la interruppe lui, ora quasi ridendo, “ricordati che i pregiudizi so ‘na cosa brutta, piccio’” facendole volutamente il verso per tutte le volte che lei aveva giustamente puntualizzato i suoi preconcetti.  

Irene, di fronte a quello sguardo malandrino, che con il tempo Rocco faceva sempre più proprio, rimase piacevolmente senza parole. E sospettava che non sarebbe stata l’ultima volta, visto che si apprestava a vederlo finalmente muoversi in luoghi a lui conosciuti da sempre. 

Comunque, anche se cerchi in tutti i modi di tirarmi su il morale, lo vedo che anche tu sei teso...” osservò lei dopo un po’, passandogli una mano tra i capelli. 

Il viso di Rocco si increspò in un’espressione indefinita; proprio come Irene poco prima, era conscio di essere stato messo a nudo e neanche lui sapeva se la cosa facesse sentirlo propriamente a suo agio.  

Da cosa?” chiese lui scuotendo la testa. 

Ogni tanto ti perdi a guardare fuori dal finestrino...” specificò lei facendo spallucce. 

Chiatti’, stiamo sul treno, non è che c’è molto da fare...” replicò lui quasi stizzito. 

Irene, senza lasciarsi turbare, cercò piuttosto uno sguardo complice nei suoi occhi: “Pensi davvero che non riesca a decifrare se sei pensieroso o stai semplicemente ammirando il paesaggio?” 

Interdetto, Rocco tentò di dare una risposta: “Ma no, che c’entra... è solo che è tanto tempo che non torno giù... adesso tornare con te, poco prima di partire per Roma... tante cose tutte assieme” 

Irene si sforzò di non cedere al proprio pessimismo e di non mostrarsi irritata dall’eventualità che quel ‘tornare con te’ potesse avere accezioni negative. Dopo tutto, era stato lui a insistere perché lei conoscesse la sua famiglia e perché visitassero Partanna in un momento chiave come quello, ovvero prima del suo trasferimento.  

Come se fosse una promessa. E per lui lo era. 

Abbassò lo sguardo, in cerca delle parole giuste: “Prometto di non ‘fare sempre la solita’” e alzò gli occhi al cielo “e di non farti fare brutta figura davanti a nessuno della tua lunga schiera di parenti”. Poi, prima che lui potesse controbattere, aggiunse: “neanche davanti a tuo padre...”.  

Lo disse per farlo sorridere nonché come accortezza nei suoi confronti, e Rocco ne era consapevole, ma entrambi sapevano anche che Irene avrebbe piuttosto preferito far pentire quell’uomo di essere nato. Quella però era un’altra storia.  

Rocco sorrise con una smorfia di malinconia “Ire’, ma che dici... semmai è tutto il contrario... ho paura che LUI faccia fare una brutta figura a me... 

Ma io non credo sia possibile, sai...?” valutò Irene dopo un attimo di pausa “Si può parlare di brutta figura se qualcuno delude le nostre aspettative, ma né io né te ci aspettiamo niente da lui, anzi semmai ci aspettiamo il peggio, quindi... se succederà qualcosa di spiacevole, forse non ci toccherà più di tanto... non pensi? 

Rocco ci rifletté un po’ e sorrise. Tutti i torti forse Irene non li aveva. “Speriamo che almeno non mi fa pentire di essere partiti...” aggiunse allora lui scrollando le spalle. 

Senti, lui non è certo il motivo per cui scendiamo in Sicilia; quindi, dubito che possiamo arrivare a pentirci di essere andati... ci sarà un motivo se siamo saliti su questo treno o no?” chiese retoricamente Irene, invitandolo a ragionare. 

Rocco assentì, con lo sguardo fisso in un punto, all’ascolto, “Mia madre...” poi aggiunse, in uno slancio di positività, “e qualcun altro che forse si salva pure, dai”. 

“Ecco... allora già da adesso siamo sicuri di aver fatto la scelta giusta” disse Irene con naturalezza. 

Poi, per prevenire una certa frasetta che Rocco amava ripetere come pane quotidiano, Irene preferì stroncare l’impulso sul nascere: “E se mi rispondi ‘sicura è solo la morte’, stavolta ti arriva uno schiaffo” lo minacciò lei ridendo, e si portò dietro anche lui. 

Inutile dire che, ancora una volta, disturbarono i presenti. Era un miracolo che non fossero stati ancora redarguiti a dovere, con tutto il trambusto che avevano fatto da quando erano saliti. 

“Fai fai, dopo vai a finire sul corridoio” scherzò lui e stirò lentamente la propria figura slanciata nella misura in cui glielo permetteva lo spazio esiguo a disposizione. 

Poi, esausto, lasciò andare il capo sulla spalla di Irene e, rasserenatosi un poco, si appisolò. 

Irene gli passò le labbra sulla fronte, momentaneamente in pace anche lei.  

In qualsiasi posto stessero andando, sapevano di essere comunque a casa finché avevano l’un l’altra.  

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Se penso che, non solo dopo il traghetto mancano altri tre treni, ma che tra pochi giorni dobbiamo fare tutto il viaggio al contrario, mi viene voglia di buttarmi in mare” sospirò una Irene lamentosa perché esausta, non appena salpati da Villa San Giovanni.  

Ehhhh?” urlò Rocco, incapace di sentirla per il forte vento man mano che si avvicinavano al parapetto della nave traghetto. 

Niente” Irene scosse la testa, troppo a pezzi anche per ripetere tutto, “sono stanca e il viaggio è ancora lunghissimo” urlò in risposta. 

Iiiih, sempre che ti lamenti.... guarda...” e allungò un braccio invitandola ad ammirare il punto in cui i due lembi di terra, il calabro e il siculo, tendevano l’uno verso l’altro senza riuscire a toccarsi.  

Irene si voltò verso l’orizzonte e lentamente il suo viso si distese in un’espressione di velato sbalordimento. Non riusciva a commentare, ma stavolta non per la forza del vento.  

Non aveva viaggiato molto nella sua vita da quando la madre era deceduta, ma fino a quel momento poteva seriamente affermare di non aver mai visto nulla di così maestoso in natura.  

Schiuse la bocca e si girò di nuovo verso di lui senza proferire parola, con gli occhi spalancati di chi intende dire: ‘Anche tu lo vedi bello come lo vedo io’? 

Rocco assentì sorridendole: “Visto? Ti piace, Chiatti’? 

Davvero tanto” ammise Irene ancora in contemplazione, provocando un sorriso compiaciuto in Rocco. Era comprensibile che fosse così inorgoglito dallo stupore che leggeva negli occhi di Irene; non poteva fare a meno di fare la comune associazione mentale tra sé stesso e quel paesaggio mozzafiato. ‘Adesso anche tu puoi vedere le cose belle del posto da cui vengo’ era l’idea che persisteva in lui. 

Però non mi dire che questo ‘viaggio della speranza’ non sta stancando anche te solo per fare la parte dell’eroe masculo, perché non sei credibile... guarda che occhiaie, guarda...” e rideva mentre gli tormentava impietosamente il mento perché le mostrasse il suo viso. 

Avaaaa, ma guardati le occhiaie tue” si scansò, divertito. 

Ecco, non voglio neanche sapere che faccia ho adesso”, si compianse adagiandosi una mano sulla guancia, con una smorfia di insofferenza, “penso che farò a meno di truccarmi e guardarmi allo specchio per tutto il tempo che staremo”. 

“Eh, ma infatti lascia proprio perdere, in campagna mica ci si trucca” approvò Rocco. 

Si rabbuiò lei facendo l’offesa “Uffa, tu ti vergogni di come sono... lo sapevo”. 

“Macchéééééé, Chiatti’ cantilenò Rocco “ti voglio solo semplificare la vita, vedi se ti guardano come na picciotta che sta sulle sue, che si dà le arie...” gesticolò in maniera effeminata suscitando una risata nella fidanzata. “Invece così ti memi... mmmmh...“ serrò le labbra, mentre rifletteva e scrocchiava le dita. 

Irene aggrottò le sopracciglia: “Mi mimetizzo?” tirò a indovinare. 

Eh, brava, ‘ti mimetizzi’” confermò lui illuminandosi in volto. 

Irene scoppiò a ridere e scosse la testa dinanzi a quell’immagine di sé stessa paragonata a un animaletto della giungla: “Certo, con questa chioma biondissima in mezzo alle siciliane, ne dubito...”. 

Seh...” reagì Rocco all’istante, colto dall’orticaria che gli provocava quello stereotipo anche troppo diffuso al nord, “mia cugina è pure più bionda di te!”  

Ah” inarcò le labbra Irene, sorpresa, “E io che pensavo di essere una mosca bianca nella tua vita...” suggerì lei poi per testare la sua reazione. 

E invece no Chiatti’...rispose Rocco con fermezza, e lasciò volutamente la frase in sospeso per instillare in lei il dubbio se ricordasse o meno quel modo di dire “sei solo una mosca bionda” poi concluse con un sorriso furbo, provocando in lei una risata di pancia che si perse nel fragore dei flutti. 

Poi Irene avvertì la piacevole ruvidezza del viso di Rocco sulla propria tempia e le sue braccia che da dietro le stringevano sempre più la vita quanto più forte soffiava il vento. Sembrava quasi che volesse impedirle di volare via. 

Il ponte su cui si trovavano era pieno come un uovo, non poterono quindi trovare un posto a sedere per tutta la traversata. Ma a loro non dispiacque affatto; le loro gambe intorpidite dalla prima lunghissima tratta in treno ne trassero giovamento e la bellezza che i loro occhi potevano respirare contribuiva allo scorrere veloce del tempo.  

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Messina-Palermo, Palermo-Castelvetrano, Castelvetrano-Partanna.  

Irene non peccava di esagerazione quando menzionava ‘altri tre treni’. 

I miei complimenti per esserti sbagliato SOLO a Torino senza sapere né leggere né scrivere” sussurrò Irene con uno sguardo non esattamente vigile, mentre soffocava uno sbadiglio, “penso sia meno complicato raggiungere l’Australia”. 

Rocco fece un inequivocabile segno di assenso con le sopracciglia mentre si strofinava una mano sugli occhi. 

Entrambi erano seriamente arrivati al limite della resistenza psicofisica e avevano esaurito già da tempo le energie per prendersi vicendevolmente in giro su chi dei due fosse più stanco. Una reazione più che umana se si considerava che, anche grazie alle svariate pause intermedie tra una tappa e l’altra, avevano abbondantemente scavallato il secondo giorno di viaggio. 

Si aggrapparono fermamente ai braccioli vicino alla porta d’uscita per evitare che il brusco scossone finale li ribaltasse. Ironico come, dalla loro angolazione, la prima cosa che si stagliò loro davanti fu proprio il cartello con su scritto ‘Partanna’ sull’edificio della stazione.  

Anche se non c’era nulla di più comune al mondo che il nome di un paesello associato al relativo casello ferroviario, trovarsi quella scritta lì in bella mostra, per di più in concomitanza col fischio del treno, sembrava senza esagerazioni un chiaro segnale divino.  

Anzi no, uno sberleffo. E non per questo un segnale meno divino. 

Pareva quasi che volesse dire con tono di sfida: ‘Ora sta a voi’. 

Rocco deglutì, Irene alzò il mento in maniera all’apparenza impudente – che poi era solo un modo per farsi forza...  

Dall’espressione di condannati al patibolo che indossavano, tutte le belle parole di cui si erano riempiti la bocca durante il tragitto apparivano ora svuotate di ogni significato e i due continuavano a serbare un testardo timore verso l’incognito. 

Non si dissero niente, in realtà non ebbero nemmeno il tempo di farlo, visto che si trovarono subito sospinti in avanti da una fiumana di persone che pressava per scendere, neanche se fuori da quel treno ci fosse la risposta ai problemi del mondo. 

Misero piede a terra alle luci del tramonto, un tramonto sicuramente più limpido del grigiore di Milano, ma non accompagnato dalle temperature miti che si sarebbe aspettata Irene. Be’, è pur sempre ancora febbraio e sono pur sempre più di 400 metri di altitudine, fece un rapido calcolo Irene mentre inconsciamente imitava la gestualità di Rocco.  

Girando in tondo con la sua parte di valigie, si era messo in punta di piedi con la speranza di scorgere un viso familiare tra quella folla di sorrisi bramosi di riabbracciarsi e ritrovarsi. 

Non sapeva neanche lei perché gli andava dietro, dato che a malapena sarebbe stata in grado di riconoscere la madre da quella foto sbiadita che Rocco custodiva nel suo portafogli. 

La folla cominciò a diradarsi e, con il passare dei minuti, il volto di Rocco assumeva le tinte via via più caratteristiche della delusione. 

In quel preciso istante, Irene poté rivivere sulla propria pelle quella massima di vita che solo con la madre aveva già sperimentato: ‘Se vedi soffrire chi ami, soffri anche tu’; essere testimone di quell’avvilimento nel suo fidanzato era quanto di più affine al male fisico. 

Data l’inutilità dell’attesa, iniziarono a incamminarsi e Irene gli sfiorò silenziosamente la manica del giaccone con il dorso della mano, in segno di vicinanza. 

Intanto, Rocco camminava a testa bassa e schioccava la lingua in una litania cadenzata: 

Tuttu ‘stu viaggio, tutti ‘sti chilometri e nessuno capace manco di affacciarsi...  pure per vedere se serviva una mano con le valigie” scosse la testa per poi abbassarla di nuovo, mentre tra i denti masticava una rabbia crescente.  

All’udire quelle parole, a Irene venne un tale magone che quasi la fece piangere, ma si sforzò con tutta sé stessa di minimizzare: “Ma dai... magari tua madre è rimasta a casa a cucinare proprio in vista del tuo arrivo...”  

Rocco continuava a scuotere la testa senza ascoltare. E le venne in mente che, al vedere la cosa dal di fuori, era triste già solo pensare che il primo istinto di Rocco non fu trovare una spiegazione, una giustificazione plausibile all’assenza di qualunque membro della sua famiglia nei locali di quella stazione, bensì pensare subito il peggio.  

Era ovvio dedurre da ciò che fosse abituato a ricevere più male che bene da quel posto. 

Irene alzò la testa verso di sé, mentre anche lei arrancava con due valigie, una per ogni parte. 

Solo una era piena zeppa di regalini che avevano comprato in particolar modo per il lungo stuolo di bambini, compresi i nipotini di Rocco: scatolette e bustine contenenti leccornie e prodotti tipici di Milano. E ora proprio quella valigia le pesava più che mai. Tanto sforzo e neanche un po’ di riconoscenza, si ripeteva in testa. 

Deve esserci per forza una spiegazione, Rocco dai...” si sforzava di abbozzare un sorriso, cercando i suoi occhi. 

Ecco, ora stava rivolgendo quell’esortazione anche a sé stessa, in un istinto di autopreservazione. Perché si conosceva: se il soggiorno fosse partito nel modo sbagliato in cui si stava prospettando, avrebbe tirato fuori il lato peggiore di sé. Quello antipatico e scontroso che tutti temevano e allontanavano.  

Svoltarono un angolo per poi avviarsi verso la parte in cui si sfoltiva il caseggiato della piccola cittadina e iniziava la zona rurale che conduceva a casa di Rocco.  

I loro occhi si persero verso l’orizzonte ormai spoglio di case e fu in quell’istante che scorsero un gruppetto bello nutrito che incedeva a passo svelto nella loro direzione.  

Per Irene avrebbe potuto trattarsi di chiunque e di certo non voleva fare commenti al fidanzato per alimentare false speranze, ma lei si voltò comunque a esaminare il viso di Rocco per capire se avessero attirato anche la sua, di attenzione.  

Lo vide strizzare gli occhi per cercare di identificarli e …. 

RRRRRRRROCCO” gridò tutt’a un tratto una signora di media statura sventolando felice la mano in aria, visibilmente in punta di piedi.  

Aveva un nonsoché di simbolico, pensò Irene; la donna capeggiava inconsapevolmente quella piccola compagine di persone e, così facendo, sembrava ritrarre lo spirito e i colori de ‘Il quarto stato’. 

Irene sorrise a Rocco, che ricambiò, e prima che potesse commentargli in qualsiasi modo quanto fosse sollevata per lui, questi rispose al grido di sua madre con la stessa euforia, alzando goffamente il braccio che teneva la valigia. 

Mentre si avvicinavano a loro, Irene non poté fare a meno di sussurrargli “Hai visto che ti sei preoccupato per niente?” ma glielo disse con una contentezza sincera, non con la gratuità di un ‘Te l’avevo detto’.  

Rocco arrossì e annuì, in un principio di commozione, e non si capiva se quegli occhi umidi fossero dovuti all’imbarazzo di aver emesso un giudizio troppo affrettato e temerario o alla felicità di essersi sbagliato. Ma che importava... a Irene si strinse il cuore comunque. 

E fu solo l’inizio. 

Erano finalmente davanti a lei: Bice Amato.  

Crocchia bassa, che raccoglieva capelli folti, lucenti e ondulati, di un nero intenso, corvino, e tratti del viso molto marcati, che, messi nel giusto risalto, sarebbero stati sicuramente la parte più interessante di lei.  

Irene non ravvedeva una grandissima somiglianza tra i due se non, forse, nel bellissimo sorriso del suo fidanzato. 

E Bice lo mostrò eccome, quel sorriso, nella maniera più diretta e sincera possibile, mentre allargava le braccia in attesa che Rocco si chinasse su di lei e le porgesse il suo viso. 

Figghiu miu, gioia mia” sussurrò lei in un fil di voce che si perdeva tra le proprie mani, le quali aveva adagiato sulle guance del figlio. Pareva quasi che, invece di salutarlo, si stesse già congedando da lui, tanto fedelmente ricordava il dolore l’intenerimento che rigava il volto della donna. 

In uno slancio dei suoi, Rocco le circondò inaspettatamente la vita per sollevarla da terra: “Mammuzza mia” poi le sussurrò, tra un sorriso e una lacrima, provocando un gridolino di giubilo in lei. 

Sarebbe sicuramente arrivato un momento della loro vita di coppia, pensò Irene, in cui avrebbe iniziato a nutrire la tipica gelosia di fidanzata/moglie per il rapporto tra il proprio uomo e sua madre.  

Ma non era quello il giorno... 

In quel momento, dinanzi a quell’immagine inedita, Irene riuscì a sentire solo ed esclusivamente una profonda compartecipazione. E le venne subito in mente una parola: Appartenenza. Per la prima volta da quando lo conosceva, vedeva un Rocco non più orfano. 

Tutti questi pensieri attraversarono la mente di Irene in un lampo, prima che anche lei venisse sommersa dai baci e gli abbracci dei presenti...  

Sospettava che a quella piccola ‘spedizione’ avessero partecipato anche molti curiosi, e non solo coloro che erano sinceramente interessati a rivedere il giovane compaesano. Si sapeva: ‘la visita di quelli che vivono al nord’ era un vero e proprio evento per la vita tranquilla di un piccolo paesino. Erano visite per forza di cose accompagnate da racconti e storie che, alle loro orecchie, suonavano come favole incredibili di un mondo irraggiungibile. Se era pura curiosità, ipocrisia, cortesia o affetto autentico, Irene non sapeva dirlo, per il momento vedeva solo tanto calore, un calore a cui non era abituata e che non si sarebbe mai aspettata di ricevere. 

Quantu ti si fattu beddu, vita mia” disse poi Bice rimirandosi il figlio dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, e poi ancora daccapo. 

Quindi Bice sobbalzò, e si voltò subito, mortificata, verso Irene “M’a scusari... Mi devi scusare...” si corresse subito, rivolgendo un ultimo sguardo fugace al figlio, “Rocco...” e avvampò, “stiamo parlando in siciliano...”, così suggerendo che l’uso del dialetto fosse una mancanza di rispetto verso la ragazza. 

Irene inspirò per risponderle di non preoccuparsi, ma prima che potesse parlare, Rocco intervenne: “Ma vedi che lei capisce tutto, mamma” e le cinse un fianco con un braccio mentre le depositava un bacio sulla tempia, pieno d’orgoglio.  

Irene arrossì, contenta, mentre sentiva addosso gli occhi di tutti gli astanti: “Non esageriamo... tutto tutto, proprio no”. 

Poi la suocera si avvicinò a lei e le prese entrambe le mani, cogliendo Irene in contropiede; la guardava intensamente e con un affetto inatteso, intriso di una sana curiosità e di una buona dose di intuito: “Tanto piacere, Irene”. 

Rocco non interruppe quel contatto significativo con il fianco della fidanzata neanche mentre le due si avvicinavano. Irene alzò allora la vista verso di lui, che, mordendosi il labbro, emozionato, le annuì in segno di incoraggiamento. 

Irene prese quindi coraggio e, ricambiando gli stessi sentimenti, le rispose: “Molto piacere, Donna Bice”. 

 

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*L’episodio in cui Armando scopre Irene in magazzino è oggetto della mia minific “Qualcosa da raccontare ai nostri nipoti”. 

*Fun fact: Castelvetrano, la cittadina di cui nel capitolo viene menzionata la seconda stazione del percorso #Irocco verso la Sicilia, è anche il paese natale di Giancarlo Commare nonché uno dei comuni confinanti con Partanna. 

*Ho visto la miniserie Netflix “From scratch” e le fattezze che attribuisco a Bice Amato sono quelle di Lucia Sardo, l’interprete della mamma di Lino, il protagonista maschile. Ha i lineamenti ‘giusti’ e anche quella tenerezza malinconica nel volto che mi immagino per la mamma di Rocco. 

 

Ringrazio le mie amiche: in particolar modo Ele (chicca) per il suo supporto/amore/sopporto incondizionato e il suo beta reading, Ver (sistah) per le sue lezioncine sbavose di siciliano e il suo stimolo (a calci) a farmi scrivere e Paola (Lale) per suo immenso amore e supporto 

 

 

 

 

 

 

   
 
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