Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Puffardella    27/01/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
TERZO CAPITOLO

LUCIO
Tutto era successo con una rapidità impressionante.
Da quando Roma aveva fatto volare i falchi imperiali nelle colonie sparse in tutto il mondo per diffondere la notizia della morte dell’imperatore a quando Vespasiano era stato insediato imperatore e aveva inviato in Britannia tre nuove legioni per attaccare il Grande Nord, il passo era stato davvero breve.
Domiziano era morto in gennaio, nel mese in cui si onorava Giano, il dio degli ingressi e degli inizi, e Lucio lo aveva trovato di buon auspicio.
Il generale Tito Lavinio, conosciuto per essere un generale dal polso duro, era arrivato a Vindolanda su ordine diretto dell’imperatore e aveva preso in mano il comando di tutte e quattro le legioni, quella che era già presente sul territorio britannico e quelle che erano state inviate a supportare la prima. A ciascuna legione fu assegnato un legato e Rufus fu nominato Primus Pilus, con sommo piacere di Lucio.
I dissapori fra di loro erano stati messi da parte, ma Rufus, quasi per vendicarsi dell’atteggiamento arrogante che Lucio aveva manifestato nei suoi confronti, era diventato più insolente che mai e si divertiva a istigarlo in ogni modo. Lucio, tuttavia, aveva imparato la lezione e, dal momento che teneva a quella vecchia canaglia, lasciava correre.
Era aprile, la neve si era sciolta da un pezzo e il freddo si era finalmente arreso all’avanzamento della primavera. Perfino la nebbia si era ritirata, rasserenando gli animi.
Il cielo era terso, di un blu cobalto intenso e luminoso. Metteva buon umore.
O forse, a mettere di buon umore Lucio, era il fatto di essere stato chiamato a rapporto dal generale in persona. Un altro tribuno, al posto suo, si sarebbe fatto prendere dal panico. Avrebbe iniziato a rimuginare sul proprio operato, col terrore di aver combinato qualcosa per cui essere rimproverato o, peggio, accusato.
Ma non Lucio.
Il suo ottimismo era andato crescendo di giorno in giorno dopo la vittoria riportata sui barbari-contadini. Si sentiva amato dagli dei, da loro addirittura guidato, e non temeva una sorte avversa.
L’entrata della tenda, all’interno del campo allestito sulla sponda meridionale del fiume Tay, era presidiata da due guardie che, riconosciutolo, lo lasciarono passare. Lucio indugiò un istante prima di decidersi a entrare. All’interno stava avendo luogo una conversazione dai toni rilassati, a giudicare dalle risate. Sorrise tronfio, ancora più convinto di essere stato chiamato per qualcosa di positivo, ed entrò con una certa spavalderia.
Il fatto che Flavio Costantini, che era stato assegnato alla Ventesima in qualità di legato, fosse presente, rinsaldò la sua fiducia.
Entrambi gli uomini erano seduti su seggiole in legno di quercia con le gambe sagomate a zampa di leone e sorseggiavano del vino caldo in coppe d’argento. Al suo arrivo smisero di parlare e si voltarono a guardarlo.
Lucio fece il saluto e rimase immobile dinanzi a loro, in attesa di essere ragguagliato. Il generale lo studiò a lungo e Lucio, che ci era abituato, lo lasciò fare senza ombra di disagio.
Il suo aspetto, grazie agli dei, lo aveva sempre favorito, sia con le donne, che ne apprezzavano le fattezze piacevoli, sia con gli uomini, che ne invidiavano la statura alta e il fisico vigoroso.
«Eccolo qui, l’eroe di Vindolanda» disse il generale alzandosi in piedi e mettendogli le mani su entrambe le spalle. Indossava una tunica bianca bordata d’oro, così come la toga, e alle dita portava numerosi anelli. Aveva i corti capelli pettinati in avanti sulla fronte, come imponeva l’ultima moda lanciata dal nuovo imperatore.
«Ho sentito parlare molto bene di te, giovane Lucio. Se non fosse stato per la tua argutezza e il tuo coraggio, l’assalto di cui mi hanno riferito avrebbe avuto un altro esito. E anche se potrebbe sembrare poca cosa perdere una centuria non è affatto così, soprattutto in periodo di pace. Se quei barbari vi avessero sopraffatti la loro vittoria avrebbe inevitabilmente sollevato molti più animi di un pugno di contadini, chissà con quali seccanti conseguenze» proseguì.
«Sì, generale» approvò Lucio.
«Siediti, tribuno» e gli indicò una terza sedia, proprio al fianco della sua.
Lucio sedette senza indugio e il generale rise di gusto. Si voltò verso il legato e, mentre tornava a prendere posto sulla sua seggiola, gli disse: «Avevi ragione: il giovane è determinato e ambizioso. Al posto suo, un altro tribuno avrebbe preferito stare in piedi piuttosto che sedersi accanto a un generale, col timore di sembrare tracotante.»
Lucio si chiese in quel momento se non avrebbe fatto meglio a rimanere in piedi, ma poi si disse che, se lo avesse fatto, sarebbe andato contro la sua natura e non sarebbe sceso a simili compromessi per nulla al mondo.
«Sono un uomo diretto, generale, che non si complica la vita con inutili giochini o giri di parole. Quando voglio una cosa chiedo quella cosa, non ci giro intorno. Né mi piace mettere alla prova le persone quando non ce n’è bisogno. La trovo anzi un’inutile perdita di tempo. Mi accusano di essere arrogante, io preferisco definirmi pratico e ho sempre pensato che le persone di rilievo, quelle abituate al comando, la pensino esattamente come me. Perciò, se una persona di una certa levatura mi dice di sedermi, io non mi pongo nessuna questione: lo faccio.»
Il generale inarcò un sopracciglio e lo fissò a lungo. L’angolo della bocca si sollevò in un sorrisetto compiaciuto.
«Ben detto, giovane Lucio. Oltre ad essere arguto sei schietto e a me piacciono le persone schiette. Sono quelle su cui so di poter fare affidamento in ogni circostanza. Per questo, e anche perché mi fido del giudizio che il legato Flavio ha espresso su di te, ho da proporti una missione…»
«Propormi, comandante?» chiese sorpreso, riflettendo sul fatto che i generali, in genere, non proponevano: ordinavano.
Tito sospirò a fondo. «Mettiamola così, avrei piacere che tu mi dessi la tua opinione in merito.»
«In merito a cosa, di preciso?»
Il generale lanciò un’occhiata di intesa al legato, che prese la parola.
«Come saprai, otto anni fa tentammo un negoziato con il re dei Germani, Akon. Gli proponemmo di stringere con Roma un rapporto di clientela, con la speranza di evitare una guerra sanguinosa. La risposta che ci diede è ben nota, e sono certo che la conosci anche tu.»
Lucio annuì. «Sì signore» confermò, avendo bene in mente l’episodio in questione. Il re barbaro aveva mozzato la testa al povero messaggero e l’aveva personalmente recapitata ai Romani, gettandola ai piedi del terrapieno che circondava il forte e urlando con ferocia che tutti loro avrebbero subito la stessa sorte, se avessero minacciato di nuovo le tribù del nord. E, a onore del vero, ci era andato molto vicino.
«Vorremmo tentare un nuovo negoziato. Ma non con i Germani, con i quali è impossibile anche solo tentare un approccio diplomatico. No, questa volta vorremmo fare un tentativo con il re dei Caledoni, Alasdair, che è decisamente meno selvaggio e più cauto del re Germano.»
Lucio cominciava a capire la natura della loro richiesta. Valutò velocemente i pro e i contro di una simile tattica diplomatica, nonché i rischi per chi avrebbe dovuto attuarla.
«I Caledoni si trovano a nord del fiume Tay, fra noi e i Germani. Se acconsentissero a lasciarci passare nel loro territorio, avremmo un vantaggio sui Germani» considerò.
«Esatto. Per di più, pare che le due tribù abbiano stretto un patto di alleanza, siglato da un matrimonio fra i giovani delle rispettive nobiltà. Perciò le nostre speranze vanno ben oltre alle eventuali agevolazioni di manovre strategiche sul campo. Se Alasdair dovesse acconsentire non è da escludere che riesca a intercedere per noi con il re Akon, con cui è ormai legato da vincoli di sangue.»
Lucio, però, scosse la testa contrariato. «Se devo essere onesto non ci vedo niente di positivo in questo, comandante. Alasdair potrebbe preferire non accettare le richieste di Roma proprio in virtù del patto di alleanza stretto con Akon» obiettò.
«Vero, ma un re deve mostrarsi leale prima di tutto al proprio popolo. E Alasdair non è uno sciocco, sa bene che la sua gente non ha alcuna probabilità di vincere, stavolta.»
Lucio tacque a lungo, pensieroso. «Cosa vi fa pensare che si possa tentare un incontro pacifico con i Caledoni?»
«I mercanti» intervenne nuovamente il generale.
«I mercanti?» ripeté Lucio perplesso.
Il comandante si alzò di nuovo. «È risaputo che i Germani vietino ai mercanti l’accesso ai loro villaggi. La loro è una tribù selvaggia, che vive esclusivamente di pesca e di caccia. Inoltre diffidano dei mercanti, ritenendoli spie. Il che non è poi così lontano dall’essere vero» ammise con una ghignata, versandosi dell’altro vino da un pentolino che si trovava sopra un piccolo braciere. Ne bevve un sorso e continuò: «Tuttavia, Alasdair è un uomo decisamente più sensato del re dei Germani. I Caledoni vivono di pastorizia e di agricoltura, ragion per cui è nel loro interesse mantenere con i mercanti rapporti amichevoli, proficui a entrambi. E questo ci porta a una logica considerazione: i Caledoni sono un popolo tutto sommato civile e non è da escludere che possano trovare allettante l’idea di stringere un’amicizia con Roma. Significherebbe allargare i confini del loro commercio» concluse, tracannando l’ultimo sorso di vino.
«Quindi, volete che vada a proporre l’accordo di clientela con questo re» tagliò corto Lucio.   
«Sì. Sei un giovane scaltro, intelligente, e sai parlare con diplomazia. Ritengo che tu sia l’uomo più adatto» lo adulò il generale.
“Il più ambizioso, semmai. L’unico disposto ad accettare senza farsela addosso davanti ai barbari, col rischio di apparire un codardo e di gettare biasimo su Roma in caso di un rifiuto”, pensò amaramente Lucio. Perché, in fondo, l’eventualità che facesse ritorno al fortino senza testa, o viceversa, che la sua testa arrivasse al fortino senza tutto il resto, era piuttosto concreta.
Ma, del resto, che scelta aveva? Poteva rifiutarsi? Certo, non gli era stato dato un ordine diretto, ma la linea di demarcazione fra un ordine e una richiesta di un generale era davvero sottile.
E poi, se anche avesse potuto, tirarsi indietro era ciò che voleva?
Si lasciò uscire una risata sarcastica. “No, per tutti gli dei. No che non mi tiro indietro. Gli dei mi favoriscono ancora dandomi una nuova opportunità. E la coglierò al volo, anche stavolta.”
Si tirò in piedi con decisione e puntò gli occhi del colore del ferro dentro quelli castani del generale.
«È così, generale» ne convenne. «Sono l’uomo più adatto.»

«Spiegami per bene un’altra volta, Lucio. Se, come ritieni, gli dei hanno favorito te dandoti l’incarico di questa nobile missione, come mai non sei l’unico ad andare incontro al tuo glorioso destino?» si lamentò per l’ennesima volta Rufus, mentre procedevano senza fretta sulla strada che portava alla piana del kent.
Nell’affidargli quel compito, il generale aveva pensato di affiancarlo ad un mercante che gli facesse da guida, ma Lucio aveva sollevato la sua prima ed ultima obiezione e aveva proposto Rufus al posto del mercante.
Il centurione aveva già combattuto in terra caledone, per tanto conosceva bene la zona. Inoltre aveva competenze più specifiche nel caso in cui si fosse resa necessaria una fuga. E Rufus, appena nominato Primus Pilus, era stato nuovamente deglassato ed era stato spedito a fare da bersaglio mobile a un gruppo di barbari.
Questa, almeno, era la sua personalissima opinione sulla missione.
Era così contrariato dalla fiducia non richiesta accordatagli che dal giorno in cui avevano attraversato il confine poneva a Lucio la stessa domanda, con ostinata regolarità.
«Dovresti ringraziarmi, piuttosto. Avresti dovuto sentire con quanto zelo ho descritto le tue innumerevoli qualità.»
«Aahh, dannato te, ragazzo, dacci un taglio! Certe ruffianerie potranno servire a quelli come te, sempre a caccia di opportunità in cui distinguersi per fare carriera. Ma uno come me, un legionario, non ha simili ambizioni. L’unica cosa a cui aspiro è tornare a casa alla fine del mandato con la pellaccia intatta, soprattutto la testa, e godermi un po’ di sano pensionamento prima di raggiungere i Campi Elisi. Quello che mi chiedo è perché tu ti ostini a intralciare i miei piani.»
Lucio proruppe in una sonora risata. «Piuttosto, te la faccio io una domanda sensata. Si può sapere quanto dista ancora questo villaggio? Siamo in viaggio da quattro giorni e non ne posso più di dune e boschi. In questa terra ci sono solo sassi e alberi.»
«Te lo dirò, ma prima rispondi a questo: perché siamo solo in due?»
«Ne abbiamo già parlato.»
«Sono un po’ duro d’orecchi, dovresti saperlo ormai.»
Lucio scosse la testa rassegnato. Conosceva abbastanza il centurione da sapere che, se non si fosse sottomesso al suo stupido gioco, non gli avrebbe mai risposto.
«Attraversare il fiume Tay con troppi uomini al seguito poteva apparire una minaccia e noi non vogliamo dare l’impressione di essere una minaccia. Inoltre, l’idea era di non dare troppo nell’occhio.»
«Arguto, davvero arguto. Questa pensata geniale l’hai avuta tu? Va bene, va bene, la risposta la so già. Quindi, ricapitoliamo: siamo solo in due per non allarmare i barbari e non dare nell’occhio, ma vestiti da quello che siamo davvero, cioè soldati romani, per far vedere loro come siamo coraggiosi. Giusto?»
«Non avrebbe avuto senso vestirci da mercanti, come avevi suggerito tu. Siamo venuti qui per proporre loro un rapporto di clientela, non per vendere qualcosa, e mi rifiuto di parlare nel nome di Roma vestito da mercante!»
«Se posso dirtelo senza offendere troppo il tuo nobile orgoglio di tribuno col rischio che mi costringi nuovamente a darti del signore, ragazzino, quello che in questa faccenda non ha senso è che i miei superiori, fra i quali anche tu, abbiano avuto la brillante idea di servire il pasto ai leoni direttamente nella loro tana. Perché, con tutta la buona volontà e il desiderio di trovare qualcosa di nobile e di sensato in questa missione, non riesco a considerarmi che in un modo in questo momento: il loro pranzo» concluse Rufus, indicando gli uomini a cavallo che si dirigevano verso di loro.

La prima cosa che Lucio notò dei Caledoni fu la loro stazza. I piccoli cavalli sui quali galoppavano sembravano sul punto di cedere da un momento all’altro sotto il loro peso.
In realtà, Lucio aveva avuto modo di constatare che tutti i britanni erano incredibilmente alti e muscolosi, perfino più di lui, che non era certo di statura bassa.
Alla guida dei Caledoni, una decina in tutto, c’era un uomo dall’aspetto singolare. Aveva lunghe trecce bianche e folte sopracciglia a coprire due occhi vivaci, ma non particolarmente minacciosi. Anche la barba, come i capelli, era legata in trecce. Indossava una lunga tunica bianca senza cinture e aveva l’aria di essere un druido, senza tuttavia possederne davvero l’aspetto.
Al suo fianco c’era un uomo massiccio, rosso di capelli, con una pancia prominente, spalle larghe e due braccia così possenti che Lucio si chiese se il barbaro riuscisse a sollevarle in aria. A differenza del druido, lui incuteva un certo timore.
«Quello è Alasdair» lo informò Rufus prima di essere raggiunti, indicando l’omone dai capelli rossi. Lucio si impettì, nel tentativo di darsi un contegno e di apparire ai loro occhi altrettanto vigoroso.
Quando li raggiunse, il re girò loro intorno e li esaminò a fondo. Poi disse qualcosa al sacerdote, il quale gli rispose facendo dei cenni, come a incoraggiarlo a osservarli meglio. E infatti il re tornò a studiarli più da vicino.
«Ma che accidenti stanno facendo?» chiese Lucio.
Rufus si strinse nelle spalle. «Parlano di un’aquila… E stanno controllando se siamo feriti… Mi sembra…»
«Ti sembra? Credevo tu parlassi la loro lingua!» esclamò sgomento Lucio sgranando gli occhi.
«Parlare la loro lingua? Stai scherzando, spero. Ogni tribù di questa dannata isola ha il suo dialetto. Già è tanto se riesco a capire il senso di qualche parola.»
«Ma sei stato in Caledonia altre volte, no?»
Rufus si agitò sopra il cavallo, sul quale, per altro, non si sentiva a suo agio, e guardò furioso Lucio. Inspirò molta aria dalle narici, che si allargarono vistosamente, e sibilò a bassa voce: «Le rare volte che mi sono imbattuto in questa gente, gli unici versi che mi è capitato di udire erano grida e minacce, mentre ci squartavamo a vicenda. E scusami tanto se mentre li uccidevo e tentavo di non farmi uccidere non mi sono intrattenuto a scambiare due chiacchiere amichevoli!»
Lucio raccolse tutte le forze per non inveire contro il centurione. Proprio mentre stava per essere sconfitto dall’irrefrenabile impulso di farlo, il re lo precedette.
«Perché siete qui, Romani?» esordì con voce bassa e possente.
E, incredibilmente, in latino.
Lucio lanciò uno sguardo di biasimo al compagno. A quanto sembrava, i barbari, oltre ad ammassare cadaveri romani, il tempo di imparare la loro lingua lo avevano trovato.
«Siamo venuti per parlare con te, Alasdair. Roma ci manda a proporti un accordo» rispose.
Il re puntò gli occhi verdi dentro quelli grigi di Lucio e lo fissò a lungo, intensamente. «Siete solo in due?»
«Sì. Come ti ho detto, siamo venuti solo a portare un messaggio. Le nostre intenzioni sono del tutto pacifiche.»
Il druido provò a dire qualcosa, ma il re lo zittì con un gesto brusco. Rufus sogghignò.
«Il vecchio è fissato con le aquile. Credo sia un po’ fuori di testa» gli bisbigliò all’orecchio.
«Se le vostre intenzioni sono pacifiche siete i benvenuti nella mia terra. Venite, parleremo quando saremo arrivati al villaggio» dichiarò e, senza attendere risposta, fece girare il cavallo e lo spronò al galoppo.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Puffardella