Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    29/01/2023    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Dal momento stesso in cui Bianca aveva raggiunto i suoi alloggi, sia lei sia Creobola erano rimaste in allerta. Baccino, pur non promettendo nulla per certo, aveva dato notevoli speranze alla Riario, che ormai era sicura di poter stringere di nuovo a sé l'uomo che amava già quella notte.

Forse era sciocco, quasi puerile, da parte sua, avere tutta quella fretta. Capiva benissimo che non avrebbe fatto grande differenza, riaverlo per sé subito o nell'arco di un paio di settimane, eppure non riusciva a mettere a tacere i propri desideri. Si trattava di un bisogno così urgente e indifferibile da far passare tutto il resto in secondo piano. Sarebbe stata addirittura disposta a far saltare tutte le recite che avevano faticosamente portato avanti nel corso dei mesi, pur di poter toccare subito il petto ampio e solido del suo Troilo, pur di poter sfiorargli le labbra con le proprie...

Quando meno se l'aspettava, del tutto immersa nelle proprie fantasie, la Riario sentì un lieve bussare alla porta.

Avvicinatasi subito, con passo furtivo, l'aprì appena, quasi sperando di veder profilarsi il De Rossi.

Era invece Creobola ad aspettarla, ma l'espressione che campeggiava sul suo volto da volpe ebbe comunque il potere di accendere le speranze della giovane.

“Quel Baccino amico di vostra madre conosce un servo di questa casa.” rivelò, una volta che Bianca la fece entrare in camera: “Dice che nel giro di un'ora possono far entrare vostro marito qui, di nascosto...”

“Nessuno lo cercherà?” chiese la ragazza, benché in realtà non le importasse molto, tanto era ottenebrata all'idea di incontrare l'emiliano: “Nessuno noterà la sua assenza..?”

“No, no...” scosse subito il capo la serva: “Vostro marito – disse, utilizzando di nuovo quel termine, benché fosse momentaneamente ancora improprio – lascerà detto di volersi concedere una notte di libertà, nei bassifondi di Roma...”

La Riario, che pur non si era mai chiesta molto che tipo di uomo fosse stato davvero il suo amato, prima di conoscerla, aveva comunque sentito ammettere da lui stesso, in un paio di occasioni, quanto poco fosse dedito alle donne di malaffare e ai bagordi che, invece, occupavano larga parte delle notti dei soldati di tutta Italia. A quel punto il dilemma mentale che si trovava davanti era profondo e inquietante: Troilo le aveva semplicemente mentito, per farla stare più tranquilla riguardo la propria futura fedeltà, oppure era stato sincero e quindi quella scusa sarebbe suonata stonata a chi, a Roma, lo conosceva?

A Bianca, comunque, non sembrava il frangente migliore per farsi venire dubbi sulla sincerità del suo futuro sposo. Tutto quello che le importava era raggiungere il suo obiettivo, e le stava bene tutto, pur di riuscirci.

Passò circa un'ora, scandita dall'ansia, dalla sensazione di star commettendo un errore enorme e, di contro, di star seguendo l'unica via percorribile per essere felice. Creobola era stata incaricata di occuparsi di tutto quanto, mentre la Riario attendeva in stanza, in piedi, immobile come una statua, ma con il cuore tanto in subbuglio da farle temere che il suo tambureggiare potesse essere udito da chiunque, fin nel centro più profondo del Vaticano.

Certo, Bianca non poteva far a meno di pensare che, se fosse stata ospite a palazzo Riario – che era in uso a suo cugino, il Cardinale Sansoni Riario – sarebbe stato tutto un pochino più semplice, ma Raffaele non era a Roma e, finché non ci fosse stato modo di far avere ai custodi del palazzo un suo permesso formale per entrare nella casa che tecnicamente sarebbe appartenuta a Ottaviano, non c'era modo di trasferirsi.

Quando sentì qualcuno toccare la porta, strappata ai suoi pensieri, la Riario vi si fiondò subito, sicura che aprendola si sarebbe trovata dinnanzi il De Rossi e così fu.

L'uomo venne quasi spinto di peso nella stanza da Creobola che, alle sue spalle, fece segno tanto a lui quanto alla Riario di non far troppo rumore e, riserrando dubito dopo l'uscio, sussurrò: “Io sto qui a far la guardia. Se me lo chiedono dirò che sono stata pagata per salvaguardare la virtù dell'innocente e ingenua figlia di Madonna Sforza, e che non mi fidavo, a lasciarla qui incustodita, in una casa abitata da uomini, per quanto prelati... Ma se insisteranno per entrare, io busserò, e se sentite che busso, trovate il modo di non farvi trovare a letto insieme.”

La totale mancanza di pudicizia delle parole della serva fece sorridere sia Bianca sia Troilo e, dopo quel primissimo e strano istante di imbarazzo, entrambi si sentirono attratti l'uno dall'altra da una forza invisibile e prepotente.

La giovane saltò al collo dell'uomo e, mentre lui la sorreggeva abbastanza da tenerla sollevata da terra, ne cercò le labbra e lo baciò. Per qualche infinito minuto, entrambi parvero riappropriarsi del calore dell'altro, riprendere confidenza con le sue forme e con la sua pelle. Poi, quando il primo impatto lasciò spazio a una nuova calma – sempre, comunque, infuocata di desiderio – i due promessi sposi si scostarono appena l'uno dall'altra, tenendosi per le mani, e guardandosi come se si vedessero per la prima volta.

La Riario si era interrogata mille volte se fosse il caso o meno di parlare subito con il De Rossi della sua presunta gravidanza. Lei per prima non ne era sicura, anche se la riteneva possibile, visti i sintomi sempre più simili a quelli che avevano accompagnato i primi mesi in cui aspettava Pier Maria. Nei giorni precedenti si era detta a più riprese che fosse giusto attendere di esserne sicura senza ombra di dubbio, sentendo il parare di una levatrice, poi si era detta, invece, che fosse meglio iniziare a mettere il suo futuro marito nell'ordine di idee, altre volte ancora era stata tentata, addirittura, di farglielo sapere prima ancora di arrivare a Roma.

Stringendo con un po' più forza le mani dell'uomo, la giovane fece un lungo sospiro e poi, senza più riuscire a trattenersi, disse, con un tono indecifrabile: “Credo di essere di nuovo incinta.”

Il De Rossi, istintivamente, sorrise, ma poi, scorgendo nel volto della sua amata un'ombra che lo inquietava, spostò il peso da una delle sue lunghe gambe all'altra e deglutì: “Ne sei felice?”

“Se sarà un maschio, sarà tutto complicato...” rispose lei, accigliandosi, sentendosi quasi sul punto di piangere, travolta da un nugolo di emozioni che fino a quel momento aveva cercato di ignorare del tutto: “E anche se fosse una femmina... Si complicherà tutto...”

L'emiliano, che pure non poteva non sentirsi entusiasta nel sapere Bianca di nuovo incinta – questa volta avrebbe visto il suo ventre crescere di mese in mese, avrebbe visto il bambino nascere e avrebbe vissuto i suoi primi giorni di vita come un padre presente e amorevole – avvertì una vertigine spaventosa, nel trovare nella giovane tutta quell'incertezza.

In quel momento la Riario, che aveva poco più di ventun anni, sembrava una ragazzina spaventata e basta. Chinandosi appena su di lei, Troilo le accarezzò il viso e le diede un bacio in fronte.

“Qualsiasi cosa capiterà, l'affronteremo insieme e andrà bene.” disse, con sicurezza.

Fu proprio quell'atteggiamento solido, quell'apparenza compatta e tetragona, a rassicurare Bianca.

Il De Rossi, con i suoi quarant'anni compiuti, era un uomo fatto e finito, maturo e stabile, era insieme, per lei, una figura da amare con passione e con dolcezza, sia un compagno di vita, sia un amante, sia una figura quasi paterna. E l'abbraccio che le diede in quel momento fu la pietra d'angolo di quel palazzo dalle fondamenta stabili e dalle pareti incrollabili che lei aveva cercato fin da quando aveva memoria.

Quando entrambi si furono tranquillizzati e rinfrancati, traendo vicendevolmente la forza necessaria nei gesti dell'altro, Bianca guardò di sottecchi l'emiliano e chiese: “Allora sei felice che io sia di nuovo incinta?”

“Sì.” ammise lui, senza più trattenersi e, posandole una mano sul ventre, sottolineò, riportando alla mente come anche alla prima gravidanza la Riario gli avesse posto una domanda simile: “Saperti in attesa di un figlio nostro, anche stavolta, fa sì che io ti desideri ancora di più...”

La Riario ricordava bene quanto, in effetti, Troilo le avesse dimostrato che quella consapevolezza l'accendesse. Quando aveva scoperto, arrivato a Castello per passare qualche giorno con lei, che Bianca aspettava Pier Maria, si era fatto ancor più solerte con lei, e sembrava che il suo amore si fosse centuplicato, e così la passione.

Così, senza che ci fosse bisogno di dire altro, già dimentichi perfino delle raccomandazioni di Creobola, che era lì, oltre la porta, a fare il cane da guardia, i due innamorati si lasciano catturare dal quel bisogno prepotente e troppo a lungo frustrato dalla lontananza e, prima che potessero anche solo interrogarsi su quale concreto rischio stessero correndo a incontrarsi a quel modo, quella notte, in quel palazzo, si trovarono stretti l'uno all'altra, tra le lenzuola candide e morbide del letto che era stato messo a disposizione della Riario da un religioso che aveva creduto di dare ricetto a una spaventatissima vittima sacrificale e non a una donna che, finalmente, andava a coronare le sue aspirazioni.

Finalmente tranquilla e sicura di sé, appagata per la conferma che aveva ricevuto una volta di più dal suo prossimo sposo, Bianca si sentì anche in vena di scherzare.

Mentre si stringeva ancora a lui, sfiorandogli il collo con le labbra, ancora stordita dalla piacevole invadenza della sua presenza, gli sussurrò, un po' roca: “Quindi hai lasciato detto che stanotte saresti stato in un bordello... Hai detto anche in quale? Perché qualcuno potrebbe anche andare a cercarti...”

Troilo rise, scostando una ciocca di capelli biondi dalla fronte della sua amata e rispose: “No, non ho detto quale, perché non conosco i bordelli di Roma... Mi è capitato di cercare una donna, ogni tanto, mentre ero in guerra, al campo... Ma per il resto, non è cosa per me, lo sai.”

In parte rasserenata da quella riconferma, la Riario insistette: “E come fai a pensare, allora, che ti credano?”

“Proprio perché non è cosa per me, sono certo che mi abbiano creduto.” spiegò lui, con decisione, sistemandosi un po' il cuscino dietro la nuca, per poterla guardare negli occhi: “Ho detto che, siccome sto per sposarmi, è tempo anche per me di godere un po' delle gioie della città... Una specie di ultimo desiderio... Spero solo di risultare credibile, quando qualcuno dovesse chiedermi cosa ho fatto stanotte...”

Fu il turno di Bianca di ridere, e, dopo uno sbadiglio, si sistemò meglio addosso a lui, scorrendo con una mano sul suo petto, fin quasi ad arrivare al fianco: “Be', quando racconterai di aver passato questa notte tra le cosce di una donna, in fondo starai solo dicendo la verità, no?”

L'emiliano si immobilizzò un solo istante, tornando subito a rilassarsi e a sorridere. Come sempre era stupito, quasi sconcertato, ma allo stesso tempo stregato dalla schiettezza con cui la Riario sapeva dire, senza alcun apparente imbarazzo, certe cose. Quella era una nota che la rendeva ai suoi occhi molto più donna di quanto non lasciassero intendere i suoi serafici occhi blu o i suoi eterei capelli dorati. Assieme al suo corpo pieno e voluttuoso, quella sua capacità di accantonare ogni timidezza e di affrontare quel genere di argomenti con una scioltezza che allo stesso Troilo mancava da sempre la rendeva terrena e viva, carnale e reale, la rendeva potente e inebriante come un vino forte e scuro, capace di intorpidire e accendere i sensi nello stesso momento.

“Non posso più fare a meno di te...” sussurrò l'uomo, come se stesse confessando a se stesso una verità ormai innegabile.

In quel momento, le tante campane di Roma fecero capire ai due amanti che il tempo era passato più in fretta di quanto fosse parso loro. Era pericoloso restare insieme troppo a lungo. Con l'alba sarebbero arrivati anche i problemi, se il De Rossi non fosse ritornato al palazzo che l'ospitava...

Bianca, che pur sentì il cuore farsi pietra nel mostrarsi così risoluta e concreta, sospirò e disse: “Io credo che tu debba andare, adesso...”

L'uomo non si perse in disperate recriminazioni, non tentò di prolungare quella parentesi di pace e beatitudine. Sapeva che la sua donna aveva ragione e voleva ascoltarla e ubbidirle fin da subito.

Scostò con un gesto imperioso le coperte. L'abbracciò ancora un lungo attimo, aggrappandosi a lei con furia, poi le diede un lungo bacio, sforzandosi di interromperlo, prima che portasse ad altro e lo costringesse a restare più tempo di quanto fosse lecito. Poi le baciò il collo e il seno e infine le baciò il ventre, ricordando a entrambi la piccola vita che cresceva tra loro.

Le chiese come stesse Pier Maria – vergognandosi appena, con sé stesso, per non aver pensato di nominarlo prima – e lei gli rispose che stava bene, quando era partita e pure lei un po' si vergognò per non aver pensato di parlare già prima di quel loro figlio che, con ogni probabilità, non avrebbero rivisto per molto tempo.

Chiuso l'argomento dopo poche frasi appena, con grande difficoltà, Troilo lasciò il letto e iniziò a rivestirsi. Bianca restò scoperta, malgrado il freddo, al solo fine di lasciare che lui la guardasse per tutto il tempo. Era lusingata dal suo sguardo e le piaceva oltremodo vederlo combattuto tra il continuare a fissarla e il controllare se si stesse infilando correttamente le brache.

Alla fine, quando lui fu del tutto vestito, la Riario si alzò a sua volta e gli diede un bacio ancora, sussurrandogli, appena prima di lasciarlo andare: “Stai attento. Ti amo.”

“Ti amo.” rispose lui, senza trovare la voce per aggiungere: 'non vedo l'ora di essere tuo marito e passare il resto della mia vita con te'.

Rimasta sola, Bianca fece un paio di respiri molto profondi e poi, provando freddo per la prima volta in tutta la notte, cercò la veste da camera e se la infilò. Sapeva che non sarebbe riuscita a prendere sonno, perciò si mise seduta alla scrivania, a pensare, e solo allora si rese conto di non aver ancora scritto a sua madre, né ai suoi fratelli.

Dapprima vergò un messaggio destinato a Galeazzo, Sforzino e Bernardino, e sul finale citò anche frate Lauro, Fortunati e Giovannino, sperando, scrisse, che qualcuno potesse presto portargli un suo bacio. E poi si dedicò a un breve messaggio confidenziale per sua madre.

Con allusioni e frasi che sperava la Sforza avrebbe capito, le lasciò intendere che Baccino si era fin da subito prodigato per aiutarla e le fece anche capire che lei e Troilo erano già riusciti a incontrarsi da soli, parlando anche della sua possibile gravidanza. Lesse e rilesse quelle poche righe, fino a essere certa che una donna sveglia come la Tigre di Forlì avrebbe colto ogni minima sfumatura e poi concluse con un molto prosaico 'sono felice, felice e felice d'esser in Roma'.

Pregò che nessuno intercettasse quella lettera in particolare, perché, paradossalmente, per la sua situazione era molto più pericolosa un'ammissione di felicità che qualsiasi altra cosa, e poi firmò e sigillò.

Non aspettò molto, convinta che Creobola, pur avendo visto andar via il De Rossi, fosse ancora fuori dalla porta. Infatti, appena schiuse l'uscio, la serva si profilò, cercando, senza troppa discrezione, di occhieggiare l'interno della stanza, forse per poter figurarsi meglio quanto fosse accaduto nelle ore precedenti, mentre lei vegliava paziente lì fuori.

“Queste devono arrivare a mia madre, a Castello.” ordinò Bianca, porgendole le missive: “Voi sapete che farne.”

“Potete fidarvi, ne avete la prova.” convenne la serva e, con un abbozzo di inchino, prese i messaggi e lasciò la sua postazione di vedetta.

 

Fortunati era stato un paio di giorni a Firenze, sia per curare alcuni suoi affari, sia per informarsi sulle ultime novità. Quando era tornato, però, Caterina non era rimasta molto impressionata da quello che aveva da dire: sembrava che l'unica cosa che interessasse ai fiorentini fosse una decisione ritenuta molto 'audace' presa dal Gonfaloniere o, meglio, da sua moglie.

“Non capisco cosa ci sia di così strano...” borbottò la Tigre, quando, quella sera, Francesco sollevò la questione una volta di più, mentre erano nella sala delle letture, ad aspettare che fosse pronta la cena.

“C'è di strano che non era mai successo e dico mai che la moglie di un Gonfaloniere andasse a vivere al palazzo dei Signori...” spiegò lui, come se gli sembrasse impossibile che lei non capisse la portata della notizia: “Argentina Malaspina ha fatto una cosa che non si poteva nemmeno immaginare di fare...”

Caterina strinse le labbra, nel sentire il nome 'Argentina', che le ricordava troppo quello della sua ultima serva personale, di cui aveva perso le tracce durante la prigionia a Roma.

“Il Gonfaloniere lo sarà a vita, l'ha deciso Firenze – tagliò corto lei, suonando più infastidita del dovuto – e dunque cosa pretendeva Firenze da lui? Che vivesse lì da solo e lasciasse sua moglie nella vecchia casa a ricamare?”

“Io dico solo che, specie in questo momento, prendere una decisione del genere potrebbe scatenare molti malcontenti.” concluse il piovano, capendo che non sarebbe mai riuscito a convincere la Sforza della bontà delle sue argomentazioni.

Galeazzo, che aveva ascoltato tutto, pur fingendosi molto interessato alla partita ai dadi che stava facendo con Bernardino, sollevò un momento lo sguardo verso Francesco e disse: “Però è anche vero che se Soderini comanda, è giusto che sua moglie viva in un palazzo del potere.”

Il fiorentino sollevò le sopracciglia e poi, scorgendo un mezzo sorriso soddisfatto di Caterina, si sentì messo in minoranza e sbottò: “Voi tutti non capite, perché voi non siete nati in una Repubblica, non sapete... Non... Qui non ci sono Conti o Marchesi, ma solo cittadini...”

“Vallo a dire a quelli che per vivere spennano polli vendendoli al mercato... Diglielo, che sono cittadini tanto quanto mio cognato Lorenzo, che vive in un palazzo grosso quanto un castello...” fu il commento lapidario della Leonessa.

L'uomo aprì la bocca per ribattere, reso cocciuto, soprattutto, dall'improvvisa attenzione che stava catalizzando su di sé. Perfino Sforzino aveva sollevato lo sguardo dall'agiografia che stava leggendo e aspettava di sentire la sua replica.

Non appena prese fiato, però, frate Lauro si palesò nella saletta, portando con sé due lettere: “Una per Madonna Sforza – disse, porgendola a Caterina – e una per i fratelli di Madonna Bianca...”

Galeazzo, Bernardino e Sforzino si strinsero subito l'uno attorno all'altro, aprendo il messaggio e mettendosi a leggerlo, in religioso silenzio.

Allo stesso modo, anche Fortunati provò a sporgersi, per leggere da sopra la spalla della milanese, che, accortasi di quella libertà che il piovano s'era preso, si alzò di scatto e andò a mettersi contro al muro, in modo da non dover condividere con nessuno quel momento.

Provava una strana ansia nel vedere la grafia di sua figlia. Ogni parola le sembrava arrivare da lontano, da un mondo brulicante e caotico, da Roma, da qualcosa che era il più distante che potesse dalla quiete forzosa della villa di Castello.

Le ci vollero tre riletture per rendersi conto che quelle della Riario non erano solo vuote parole piene di convenevoli, ma messaggi molto precisi. Capì che Baccino si era subito fatto riconoscere e che si era messo a sua disposizione. E capì – dubitava di sbagliare – che Bianca e Troilo avessero trovato il modo di trascorrere insieme una notte, apparentemente senza essere scoperti da nessuno.

Inoltre capì, con lo stomaco che un po' si chiudeva, che la gravidanza della figlia ormai era una certezza quasi appurata e non più solo una remota possibilità.

Dopo aver quasi imparato a memoria ogni sillaba della missiva, Caterina la ripiegò, se la sistemò con cura nella piega dell'abito e poi si rimise a sedere.

“Posso almeno sapere se si tratta di notizie belle o brutte?” chiese Fortunati, mentre guardava i due giovani Riario e il Feo commentare allegramente la lettera che Bianca aveva mandato loro.

“Bianca sta bene ed è felice.” riassunse la donna, avvertendo subito dopo uno strano vuoto, una sensazione di irrisolto e di irrisolvibile che la portò a dire, di slancio: “Voglio andare da Giovannino.”

“Organizzeremo e...” iniziò a prendere tempo il piovano.

“Voglio andarci subito. Al più tardi domani.” si impuntò Caterina, mentre anche i suoi figli tacevano, riconoscendo nel suo tono quello della Contessa, quello che aveva tenuto in riga centinaia di rozzi soldati romagnoli per anni.

“Adesso non si può, lo sai, non è prudente... Poi domani c'è un'altra udienza e...” provò a dire Francesco, ma la Tigre, ormai, sentiva ribollire dentro di sé quel vecchio magma che a intervalli regolari tornava a eruttare con violenza.

“Non me ne importa nulla delle udienze in tribunale!” esclamò lei, con un gesto secco, come a scacciare una mosca fastidiosa: “L'udienza di mercoledì a cosa è servita?! Cos'ha risolto? Nulla! Ha solo fatto incattivire ancora di più Lorenzo! Non mi sembra un grande risultato!”

“Caterina...” provò a calmarla allora Fortunati, spaventato come sempre da quel genere di irruenza da parte della donna, che preludeva spesso, ormai, a un crollo fisico e mentale che la mostrava debole e indifesa, due caratteristiche che andavano a demolire in buona parte l'immagine che la Leonessa aveva sempre voluto dare di sé al mondo.

“E questo continuare a insistere sui libri contabili del Novantotto, non mi piace!” continuò lei, imperterrita: “Lui non li avrà prodotti, ma è l'anno in cui è nato Giovannino ed è l'anno in cui è morto Giovanni! Più se ne parla, peggio è, perché Lorenzo proverà ancora a dire che io ho circuito suo fratello, che non l'ho davvero sposato, che il figlio non era suo e che...”

“Proprio per tutti questi motivi, quell'anno è fondamentale e va indagato...” si azzardò a dire l'uomo.

“Quello che è successo quell'anno è solo affar mio! Giovanni era mio marito, era il padre di nostro figlio e la sua eredità spetta al suo erede legittimo, che è Giovannino e non Lorenzo! E la custodia di Giovannino spetta a me, che sono sua madre e non a Lorenzo, che non pensa nemmeno di essere suo zio!” l'invettiva della Sforza aveva perso un po' del tono squillante iniziale, per farsi dolente, quasi disperato: “Lui vuole averlo per le mani solo per farlo sparire... Vuole le ville e i soldi e basta... Lo ucciderà e riuscirà perfino a far credere che sia morto per colpa mia!”

“Non dire assurdità... Non lo farebbe davvero...” fece il fiorentino, anche se con scarsa convinzione.

“E perché, per riprendersi ciò che crede sia suo di diritto, non dovrebbe uccidere un bambino che pensa non abbia nemmeno una goccia di sangue mediceo?” lo incalzò la Leonessa: “Giovanni amava suo fratello, ma Lorenzo non amava Giovanni, se lo credeva tanto stupido da farsi gabbare da una donna di facili costumi come mi descrive a tutti... Lui è convinto che stessi con suo fratello e che nel frattempo sollevassi le sottane per tutti gli uomini di Forlì come nulla fosse...”

Il silenzio che seguì a quelle parole fu così assordante che la Tigre sentì il bisogno di riempirlo con un paio di epiteti volgari rivolti al Medici. Nessuno la guardava: tutti tenevano gli occhi bassi, in attesa che si calmasse.

Alla fine, come se tutto quello che aveva detto fino a quel momento non fosse mai uscito dalle sue labbra, Caterina ribadì, con fermezza, ma con gli occhi che si velavano di lacrime: “Voglio andare da Giovannino.” poi puntò il dito verso Fortunati e precisò: “E tu non me lo impedirai, anzi, mi aiuterai ad andarci il prima possibile.”

Aggiunse che avrebbe cenato in camera e che poi, per quella sera, desiderava non essere più disturbata.

Francesco, che aveva colto molto più degli altri il vero senso di quell'ultima postilla, restò accigliato per tutta la cena e per il resto della serata, spiccicando solo di rado qualche parola con Sforzino, che, tra tutti, sembrava il meno coinvolto dalla recente sfuriata materna.

Solo Galeazzo trovò il coraggio, appena prima di ritirarsi per dormire, di avvicinare Fortunati e parlargli con franchezza, lasciandogli intendere quanto avesse capito del tipo di relazione che correva tra lui e la Tigre: “Mia madre non è una donna facile, ma per lei siete importante. Se farete il primo passo, non vi scaccerà. S'è lasciata prendere dalla furia, ma non è davvero arrabbiata con voi.”

Il fiorentino lo guardò per un lungo istante, domandandosi angosciosamente quanto in concreto il Riario sapesse dell'amore che lo legava alla Leonessa, e poi sussurrò: “Non credo che farei bene...”

“Io credo di sì.” insistette invece lui: “Se stanotte andrete da lei, non credo che vi scaccerà.”

Sorpreso sia dalla saggezza del Riario, sia dalla placidezza con cui sembrava aver accettato che sua madre fosse l'amante di un piovano che tutti davano come santo, l'uomo deglutì e annuì, senza più dire nulla.

Dopo un paio d'ore di incertezza, alla fine seguì il consiglio del giovane. Andò alla camera della Sforza, bussò e non ottenne risposta. Non si lasciò intimidire ed entrò lo stesso. La trovò a letto, con un libro in grembo, ancora sveglia.

“Speravo che arrivassi.” soffiò lei, mettendo il tomo da parte e allungando una mano verso di lui.

Francesco evitò di spiegarle come si dovesse ringraziare Galeazzo, per quella decisione, e andò subito a mettersi vicino a lei. Anche se si rendeva conto di servire solo per riempire dei vuoti che la Leonessa, altrimenti, avrebbe probabilmente colmato in altri modi e con altri uomini, quella notte il piovano si sentì importante e, anche se in un modo un po' ruvido, amato.

“Ti prego, non lasciarmi mai, anche quando divento impossibile da gestire.” lo pregò lei, poco prima di addormentarsi.

Lui fece un respiro profondo e poi, vedendo quel voto come un sostitutivo a quello di castità, che aveva infranto solo per amore di Caterina, rispose: “Lo prometto.”

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas