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Autore: Fragolina84    30/01/2023    0 recensioni
Delusa da Matrix Resurrections, già mentre ero al cinema mi è nata l'idea di un finale diverso per una Trilogia che ho amato in ogni suo aspetto. Quindi, preso spunto dall'idea alla base del film, ho creato questa storia che parla della Resistenza sorta dopo il sacrificio di Neo e Trinity e la ripresa delle ostilità da parte delle macchine. Due nuovi personaggi, Raelynn e Calbet, saranno i protagonisti di questa storia che li vedrà lottare contro il sistema per l'agognata libertà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neo, Nuovo Personaggio, Trinity
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un incontro con l'Oracolo è sempre un'esperienza
in grado di sconvolgere la vita.
Sarà così anche stavolta?
Cos'avrà di tanto importante da dire a Raelynn e Calbet?
Buona lettura!


Rientrare in Matrix era sempre un’esperienza. Raelynn poi, considerato il fermo per riparazioni della nave e i successivi giri di pattuglia a cui Velius l’aveva relegata, mancava da un po’.
La realtà virtuale che l’Architetto di Matrix aveva creato era pressoché perfetta. Raelynn fremeva di rabbia al pensiero che, centinaia di anni prima, il mondo reale fosse uguale a quello che Matrix replicava con tanta attenzione e che poi le macchine avevano distrutto.
Lei e Cal erano a bordo di una berlina nera e il giovane guidava piano lungo le strade congestionate di New York. Erano entrati loro soltanto, come da richiesta dell’Oracolo. Raggiunsero una delle zone meno nobili della città, fermando l’auto davanti ad un palazzo molto male in arnese. C’era spazzatura accumulata lungo i marciapiedi e una generale aria di degrado. Due o tre ragazzini cenciosi stazionavano davanti ai palazzi fatiscenti e lanciarono un’occhiata svogliata alla loro auto.
«Ok il basso profilo, ma qui è decisamente troppo basso» borbottò Cal.
Raelynn scese dall’auto ridacchiando. Quando la videro, i ragazzini si rianimarono e uno di loro fischiò al suo indirizzo. La ragazza li ignorò e precedette Cal nell’androne.
Un cartello sbilenco annunciava di non utilizzare l’ascensore, perciò salirono velocemente le scale, fermandosi davanti ad una delle tante porte dell’ennesimo corridoio perfettamente uguale agli altri.
Cal sollevò la mano per bussare ma, come sempre, la porta si aprì prima che le sue nocche la colpissero: una donna dalla pelle del colore del cioccolato al latte e i capelli acconciati in una miriade di treccine li accolse con un sorriso.
«Benvenuti» disse con voce dolce. «L’Oracolo vi sta aspettando.»
La donna si scostò e li fece entrare. L’appartamento odorava di dolci, di cannella e cacao, ed entrambi sapevano dalle loro precedenti visite che l’Oracolo era un’ottima cuoca e un’inguaribile golosa.
Una donna di colore dall’età indefinibile era intenta a ricamare alla luce che proveniva dalla finestra presso cui era sistemata la poltrona. Girò la testa non appena varcarono la soglia e sorrise come una nonna farebbe con i nipoti preferiti.
«Bentrovati, ragazzi» esclamò con voce resa roca dalle sigarette, facendo un cenno a Raelynn perché si abbassasse. Le prese il viso fra le mani rese ruvide dall’età e le baciò entrambe le guance. Poi tese la mano e strinse quella di Cal.
Fece cenno di accomodarsi sul divano liso e scambiò con loro cordiali convenevoli. Alla fine, vedendo che Raelynn sedeva sul bordo del cuscino ed era talmente impaziente da non riuscire a stare ferma, mise da parte le formalità.
«Non serve essere una veggente per capire che vi state chiedendo perché vi ho convocati qui» mormorò con un sorriso. «E so che quanto vi dirò vi sembrerà del tutto assurdo.»
«Abbiamo smesso da tempo di mettere in dubbio le tue parole, Madre» replicò Calbet con sicurezza. L’Oracolo non reagì all’appellativo che lui aveva usato, ma Raelynn vide i suoi occhi brillare di emozione.
«Ebbene, miei cari, temo che l’affermazione di Calbet sarà presto messa a dura prova». La donna mise da parte il ricamo che aveva posato sulle gambe e li scrutò a lungo con i suoi occhi neri, occhi che scavavano dentro l’anima, occhi che sembravano senza età.
«Neo e Trinity sono ancora vivi.»
Se l’Oracolo avesse sparato un colpo in pieno petto ad entrambi avrebbe ottenuto una reazione meno sorpresa. A Calbet cascò letteralmente la mascella, lo sguardo perso nel vuoto come a voler trovare un senso a quella dichiarazione. Raelynn, dopo un istante di smarrimento, balzò in piedi come se le parole dell’Oracolo avessero reso il divano incandescente.
«Non può essere» sbottò e l’Oracolo sorrise, constatando che quanto aveva ribadito Calbet solo pochi secondi prima era già decaduto.
«Siediti, bambina. E ascolta le mie parole.»
Raelynn scambiò un’occhiata con Cal e tornò a sedersi.
«So che tutti conoscete la storia così come vi è stata raccontata» iniziò la donna.
La storia diceva che, dopo aver raggiunto la Città delle Macchine, Neo e Trinity erano morti entrambi per salvare Zion. Nessuno sapeva i dettagli di quella storia perché i due erano partiti da soli a bordo di un hovercraft. Ma, quando la battaglia si era conclusa e l’Architetto aveva visitato l’Oracolo, gli aveva confermato il sacrificio di entrambi.
«Quando l’Architetto mi comunicò la loro morte, e l’accordo che Neo aveva fatto con le macchine prima di liberare Matrix dall’anomalia, ebbi una visione.»
In quella visione, l’Oracolo aveva visto anni di pace tra gli umani e le macchine, ma aveva visto il potere delle macchine infiltrarsi fra le maglie di Zion in maniera subdola e infida. Gli umani, desiderosi di tornare a fidarsi, avevano aperto le porte della loro capitale sepolta.
Con gli occhi della mente, l’Oracolo aveva visto i fumi della guerra oscurare tutto ancora una volta e la potenza del braccio armato delle macchine arrivare al cuore di Zion e sterminare gli umani. I pochi che erano riusciti a fuggire si erano rintanati ancora più in basso, dove le macchine faticavano ad arrivare, quasi rassegnandosi ad un’esistenza buia e ad una lenta estinzione.
Sapeva che quelle cose sarebbero successe, ma non poteva intervenire: c’erano un tempo e un luogo per tutto e ciò che le veniva mostrato doveva essere custodito finché non sentiva dentro di sé che era giunto il momento per divulgare le informazioni e influenzare così il corso degli eventi.
Aveva visto gli anni passare e la proverbiale forza di volontà degli umani tornare prepotente alla ribalta. Avevano ricostruito le città, ripristinato la flotta e, a dispetto degli agenti sempre più presenti e potenziati, avevano ricominciato a fare sortite in Matrix.
Tra i liberati erano sorti due ragazzi. Una ragazzina orfana di entrambi i genitori e un giovane in cerca del significato profondo di una vita piena di difficoltà. Quei due le avevano immediatamente ricordato altri due giovani che aveva conosciuto oltre tre secoli prima, due ragazzi di grande forza d’animo che non avevano esitato a sacrificare se stessi per un bene superiore.
Li aveva visti crescere e diventare forti e poi, quasi stordita dalle nebbie della sua visione, era stata trasportata nella Città delle Macchine, aveva volato sopra i campi dove gli umani venivano coltivati per dare energia alle macchine, fino ad un luogo diverso, molto all’interno del centro di comando.
Lì aveva visto due corpi nudi contenuti in due capsule gemelle, l’una speculare dell’altra. Non le era stato permesso di vedere chi era prigioniero nelle capsule, ma non ne aveva avuto bisogno: lo sapeva nel cuore. Sapeva che quei due erano Neo e Trinity, che in qualche modo l’Architetto aveva tenuto in vita, chissà a quale prezzo. E sapeva con altrettanta certezza che quei due non avevano esaurito il loro compito: erano ancora fondamentali per il perpetuarsi della vita umana sul pianeta, assieme ai due ragazzi, nel frattempo diventati adulti, ora seduti sul suo divano.
«Questo è ciò che ho visto» concluse la donna. Poi rimase in silenzio, attendendo che i due assimilassero le sue parole.
«Se sapevi che sarebbero arrivati a Zion...» iniziò Calbet in tono titubante.
«Non mi era permesso intervenire» spiegò, bloccando il resto della sua considerazione. «Ciò che è accaduto doveva accadere nel modo in cui è accaduto. Se Zion non fosse caduta, voi due non sareste stati liberati. Ed entrambi, figlioli, siete indispensabili alla causa.»
Lynn taceva, riflettendo su ciò che aveva sentito. Sapeva che l’oracolo non poteva rivelare alcunché fino al momento stabilito, ma si sentiva come tradita. Tutto il dolore che gli umani avevano patito avrebbe potuto essere evitato?
Doveva però considerare che aveva sempre avuto piena fiducia nell’Oracolo. Era dalla loro parte fin dall’inizio e aveva fatto di tutto per proteggere e assistere gli umani, senza minimamente tener conto della propria sicurezza.La lealtà dell’Oracolo non era e non era mai stata oggetto di discussione.
«Che significa che siamo indispensabili?» domandò Cal, interrompendo i pensieri della compagna.
L’Oracolo rimase in silenzio a lungo. Lynn immaginò che, qualsiasi cosa avesse da dire, avrebbe cambiato profondamente le loro esistenze.
«A voi spetta il compito di recuperare Neo e Trinity. Loro due sono gli unici in grado di porre fine, stavolta in maniera definitiva, a Matrix.»
Quelle parole rimasero ad aleggiare nella stanza. La fine definitiva di Matrix, l’interruzione del secolare dominio delle macchine sugli umani. Era davvero possibile?
«Lottiamo con le macchine da troppi anni per immaginare la fine della nostra schiavitù» disse Lynn. L’Oracolo si tese in avanti e le posò la mano sul ginocchio.
«L’ho visto, bambina. Credimi: è possibile.»
«Anche se fosse» intervenne Calbet, «non sappiamo come arrivare alla Città delle Macchine. Solo l’Eletto c’è riuscito.»
L’Oracolo infilò una mano nella tasca del grembiule e ne estrasse una chiavetta.
«Tutte le informazioni che vi servono sono contenute in questa chiavetta» spiegò, mentre la posava sul palmo della mano di Lynn. «Qui dentro ci sono la rotta che dovete seguire, elenchi di materiale che vi servirà, nomi di persone che sono dedite alla causa e le coordinate presso cui vi incontrerete con la nave diZyron che si unirà a voi.»
Zyron era un’altra colonia di umani. Per ragioni di sicurezza, gli umani di Zion si erano divisi in piccole colonie che intrattenevano pochissimi rapporti l’una con l’altra.
«Anche Zyron si unirà a noi?» chiese Lynn e l’Oracolo annuì.
«È importante che non parliate con nessuno di questa missione» proseguì. «Tanto a Zhakaquanto a Zyron ci sono persone che non vogliono questa rivoluzione, persone che si sono ricavate il loro bozzolo nelle colonie e che non sono interessate a rovesciare le macchine.»
I due giovani si scambiarono un’occhiata. Chi mai poteva preferire quella vita alla libertà? Chi mai poteva pensare che la schiavitù di Matrix fosse un’alternativa?
«Come pensi che possiamo prendere una nave e partire senza che nessuno si accorga dei nostri piani?» domandò Calbet.
«So che ce la farete. Le mie visioni non mentono. E io ho fede in voi». Poi, l’Oracolo si rivolse a Calbet: «Ti prego, lasciami un istante sola con Raelynn.»
Il ragazzo si alzò e uscì.
«Morpheus credeva che Neo fosse l’Eletto»disse quando furono sole. «Aveva ragione, ovviamente. Ma Neo trae la sua forza da Trinityed è l’Eletto solo insieme a lei. Dovrete liberarli entrambi, o quanto speriamo non potrà avere successo.»
Lynn tacque, assimilando quanto la donna le stava dicendo.
«Questa è la tua missione, Lynn» proseguì. «È per questo che sei stata liberata, è a questo che ti prepari da tutta la vita. Liberare Zhaka e le altre colonie è il tuo destino. E al destino, come sai, non ci si ribella.»
Raelynn percepì una nota stonata in quelle parole e assottigliò lo sguardo.
«Che cosa cerchi di dirmi, Madre?»
Non le era permesso rivelare troppo del futuro, ma quelle parole avevano attivato un campanello che ora trillava fastidioso nella mente della ragazza.
«Il destino del genere umano è nelle tue mani e dipenderà dalle decisioni che prenderai sin da quando uscirai da questa stanza. Decisioni terribili, che tu stessa non comprenderai.»
Insistere per avere altre informazioni non sarebbe servito, Lynn lo sapeva per esperienza. Ma tentò comunque.
«Devi dirmi di più. Questa battaglia è troppo importante» provò, ma già l’Oracolo scuoteva la testa.
«Come sai, non possiamo vedere oltre le scelte che non ci sono chiare. Ma io non ho mai visto il futuro limpido come ora. Farai la scelta giusta, Lynn. Ora va’.»
L’Oracolo si appoggiò allo schienale e riprese il ricamo: non avrebbe detto altro.
«Ti ringrazio, Madre» mormorò Lynn prima di uscire e raggiungere Calbet.
Quando sentì la porta richiudersi, l’Oracolo si lasciò andare ad un sospiro.
«Non vacillare quando sarà il momento, bambina»mormorò, non sapeva bene a chi.
 
***
 
Calbet era un po’ preoccupato. Da quando erano usciti dall’appartamento dell’Oracolo, Lynn non aveva fatto che poche parole, limitandosi a rispondergli a monosillabi. Anche una volta tornati sullaMayrein le cose non erano cambiate: Lynn si era seduta su uno dei seggiolini imbullonati alla paratia, fissando stolidamente davanti a sé.
Raggiunsero il rendez-vous con la Livelyan ed entrambi ringraziarono Tost per l’aiuto.
«Non so cosa ti abbia detto l’Oracolo» disse Tost, che aveva notato il suo turbamento, quando Calbet fu sceso, «ma, per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi.»
Lynn annuì e gli strinse il braccio muscoloso prima di seguire il compagno sulla propria nave. In loro assenza, non c’erano stati problemi: il Controllo ormai li ignorava quasi completamente, tanto che non avevano avuto necessità di mentire sulla loro assenza.
I membri dell’equipaggio osservarono Lynn in attesa di spiegazioni, ma la donna non se ne accorse nemmeno e si diresse alla propria cabina. Calbet scosse la testa all’indirizzo dei compagni e la raggiunse, bussando con delicatezza prima di entrare, anche se quella cabina era anche sua. Lynn mormorò qualcosa che non capì ma che sperò essere un “avanti”, sicché entrò.
Lei era seduta sulla cuccetta e si era tolta gli stivali e il maglione, restando in canottiera. Cal sedette sul materassino, vicino ma senza toccarla. Era distante da lui quanto il sole che avevano oscurato era lontano dalla Terra.
«Ti va di dirmi cosa ti turba?» chiese con dolcezza.
Anche Calbet aveva avuto incontri strani con l’Oracolo. A volte era destabilizzante, ma gli era sembrato che in quest’occasione fosse tutto normale, almeno finché lui era uscito e Lynn era rimasta sola con la veggente. Sì, senz’altro le aveva detto qualcosa di molto importante e Lynn, come faceva di solito, ci stava rimuginando sopra. Non appena avesse messo tutto in ordine, sarebbe tornata da lui.
«Sai bene anche tu che le parole dell’Oracolo spesso sono pesanti da digerire» confermò.
Lui sorrise di rimando e le cinse le spalle con il braccio, attirandola contro di sé: «Sì, lo so. Quando potrai o vorrai dirmi di più, io sarò qui» mormorò, posandole un bacio delicato sulla tempia. Poi si alzò e uscì, tornando ai suoi doveri.
La Livelyan terminò il suo giro di pattuglia e rientrò. Con la chiavetta, pesante come un macigno, nascosta nella tasca dei pantaloni, Lynn lasciò che fosse il suo equipaggio a sbrigare le formalità e a predisporre la nave per il giorno successivo e, in compagnia di Calbet, raggiunse il proprio alloggio.
Calbet si aspettava che la donna avrebbe subito sbirciato il contenuto della chiavetta (non l’avevano fatto a bordo per non lasciare tracce), invece Lynn si girò verso di lui e lo baciò, cogliendolo di sorpresa. Sorpresa che durò un istante, il tempo necessario a rendersi conto che Lynn gli stava sfilando la cintura dai passanti. Al che, Cal lasciò cadere la borsa e le infilò le mani sotto il maglione, spingendola verso la camera da letto.
Più tardi, mentre se ne stavano nudi nella semioscurità, Cal le chiese il motivo di quell’impeto di passione.
«Non che mi lamenti, sia chiaro» mormorò, mentre faceva scorrere la mano lungo la schiena liscia della compagna.
«Perché non stiamo abbastanza insieme» mormorò lei, schiacciando ancor di più il corpo contro il fianco di lui.
«Ma se praticamente non vediamo altre persone!» scherzò lui, ma sapeva ancor prima della risposta di Lynn che non era quello che lei intendeva. E la convinzione che l’Oracolo le avesse detto qualcosa di terribile prese consistenza.
«Ciò che dovremo fare per liberare Neo e Trinity sarà qualcosa di estremamente pericoloso» affermò la donna, in tono pacato. Non aggiunse che sarebbero potuti morire nel tentativo: non era necessario, entrambi ne erano ben consapevoli.
«Beh, non credo che questi basti a farti desistere» replicò lui.
Raelynn non rispose, limitandosi a guardarlo negli occhi. La forza e la determinazione di quello sguardo non avevano bisogno di parole.
«Appunto» fece lui. Le prese delicatamente il viso fra le palme e la baciò: «Ora, vogliamo toglierci il pensiero?»
Senza una parola, Lynn si alzò e raccolse i pantaloni che aveva lasciato cadere sul pavimento quando si erano spogliati, prendendo la chiavetta dalla tasca. Poi, nuda, recuperò il computer portatile e lo avviò, sedendosi poi sul letto accanto a Calbet che a sua volta si raddrizzò e si appoggiò ai cuscini.
Quando inserì la chiavetta nello slot, il computer ne mostrò automaticamente il contenuto. Come aveva promesso l’Oracolo, c’era di tutto, suddiviso per cartelle. Raelynn puntò subito quella denominata “Mappe” ed entrambi rimasero ad osservare mentre il computer decrittava il messaggio. L’immagine si compose lentamente, mostrando una dettagliata rotta per raggiungere il luogo in cui Neo e Trinity erano tenuti prigionieri.
Senza parole, Raelynn indossò un maglione senza smettere di leggere e si dedicò ad esplorare il resto del contenuto. C’erano i progetti delle capsule che contenevano l’Eletto e la sua compagna, le coordinate di Matrix presso cui avrebbero trovato i loro avatar, elenchi di persone di cui potevano fidarsi (poche) e di cui dovevano diffidare (molte di più).Calbet indicò un nome che spiccava tra gli altri: Velius.
«Ci avrei scommesso che lui era uno di quelli da cui avremmo dovuto guardarci» sbottò Lynn.
Discussero di tutto e un piano iniziò a delinearsi. Si sarebbe reso necessario parlarne al resto dell’equipaggio e Lynn sapeva di doverli coinvolgere sin da subito. L’avrebbe volentieri evitato ma senza di loro non c’era possibilità di riuscire.
Così, il mattino seguente, con la notte passata in bianco, si presentarono all’attracco delle Livelyan e si imbarcarono. Rosius portò fuori la nave e iniziarono il monotono lavoro di pattuglia. Tutti i membri dell’equipaggio avevano capito che qualcosa bolliva in pentola, ma nessuno di loro sfiorò il discorso.
A metà del giro, nel punto più lontano da Zhaka, Raelynn ordinò a Thorner di segnalare al Controllo una inesistente avaria. Fu lei stessa ad avvisare che si sarebbero fermati per una piccola riparazione che però non poteva attendere il rientro al porto: il Controllo accusò ricevuta, raccomandando la massima attenzione.
Quando i motori furono spenti, Raelynn radunò l’equipaggio in plancia e raccontò loro dell’incontro con l’Oracolo, mostrando il contenuto della chiavetta.Poi espose il piano che lei e Calbet avevano ideato. La fiducia verso di loro non era, né era mai stata, in discussione. Alla fine, tutti rimasero in silenzio a lungo.
«So che dovete essere sconvolti, lo capisco. Ma questa cosa la dobbiamo fare al più presto, quindi ho bisogno di sapere se siete con me.»
Girò lo sguardo su tutti loro e poi riprese: «So che vi sto chiedendo molto, non è una missione come le altre. Non ci sono garanzie. E, semmai riusciremo a tornare, è sicuro che finiremo di fronte alla corte marziale, sempre che ci vada bene.»
Nessuno parlava, tutti tenevano lo sguardo fisso a terra, sicuramente considerando tutto quello che lei gli aveva detto.
«Credetemi, se potessi farlo da sola, senza coinvolgervi, lo farei. Il fatto è che non posso sperare di arrivare laggiù senza aiuto. Non obbligherò nessuno a questa missione, è ovvio;ma ho bisogno di sapere chi di voi è con me.»
Calbet fu il primo a prendere la parola: «Per quanto la mia risposta sia abbastanza scontata, io ci sto.»
Uno alla volta, senza alcuna esitazione, tutti i membri dell’equipaggio manifestarono la loro adesione. Aveva sperato in quell’esito, ma rimase comunque sorpresa: era un attestato di fiducia nei suoi confronti, fiducia che non sapeva se sarebbe stata in grado di ripagare. Giurò a se stessa che li avrebbe riportati tutti indietro sani e salvi, ma già mentre formulava quel pensiero sapeva che le cose potevano andare in maniera molto diversa.
Avevano dieci giorni di tempo prima dell’appuntamento con la Nidàs, la nave della colonia di Zyron che li avrebbe aiutati. Fino a quel giorno era fondamentale non attirare sospetti su di loro; perciò comunicarono al Controllo che la riparazione era stata effettuata e ripresero a pattugliare i condotti deserti.
Quella sera, quando tornarono a Zhaka e rientrarono nel loro alloggio, Lynn attese che Calbet facesse la doccia seduta sul loro letto. Quando uscì, frizionandosi i capelli con un telo, Cal socchiuse gli occhi.
«Che c’è?» chiese.
«Devo chiederti una cosa» fece lei.
Cal sbuffò e sedette accanto alla compagna: «E non dev’essere una gran bella cosa, se hai su quella faccia» borbottò.
«Ci sono due momenti fondamentali in questa missione, due momenti che devono essere coordinati alla perfezione. Per questo, non posso affidarli a nessun altro.»
Calbet sapeva bene a cosa si riferiva e annuì: «Lo so. L’idea di separarci non mi piace, ma porterò la Liv alla Città delle Macchine.»
Ma già Raelynn stava scuotendo la testa: «Io andrò laggiù. Ho bisogno che tu e Vereena andiate sulla Nidàs, vi colleghiate a Matrix e liberiate Neo e Trinity.»
«Avrei scommesso che avresti tenuto per te la parte più difficile» sbottò Calbet, balzando in piedi. «Non ti lascerò andare laggiù da sola, dobbiamo pensare a qualcos’altro. Io verrò con te e manderemo qualcun altro in Matrix.»
Tra i files contenuti nella chiavetta c’era una panoramica completa sui sistemi di difesa della Città delle Macchine. Certo, l’Oracolo aveva fornito loro i codici per mascherare la loro presenza, inducendo le macchine a pensare che la loro nave non fosse pilotata da umani. Ma non c’era garanzia che quei codici avrebbero funzionato: un milione di cose potevano andare storte e, se le macchine si fossero accorte che un hovercraft di Zhaka aveva oltrepassato i confini, la Liv non avrebbe avuto alcuna possibilità di sostenere un combattimento contro quello schieramento di forze.
«Non c’è altro modo, Cal. Lo sai.»
«Lascia andare me, Lynn.»
«Ti prego, siediti» disse la ragazza, battendo con la mano sul materasso. Controvoglia, Calbet cedette e tornò ad accomodarsi al suo fianco.
«Non appena Neo e Trinity saranno scollegati è probabile che le macchine capiscano che qualcosa non va. Potremmo essere costretti a fuggire in fretta. E sai che non c’è pilota bravo quanto me in tutta Zhaka.»
Sì, Calbet lo sapeva. Non era presunzione, era la pura e semplice verità: la vedeva pilotare ogni giorno, sapeva che era l’unica a poter far uscire la Livelyan dalle file nemiche, se le cose fossero virate al peggio. Ma non gli piaceva, non gli piaceva essere separati, non gli piaceva nulla di quella storia.
Rimase in silenzio a lungo, rimuginando, tentando di farsi venire un’idea per evitare quello che Lynn gli aveva prospettato. Ma su quel piano ci avevano ragionato per ore intere e non c’era altra possibilità: due navi, una a quota trasmissione per localizzare e liberare Neo e Trinity, l’altra nel luogo che più temevano a recuperare i soli che, a detta dell’Oracolo, potevano salvare il genere umano.
Raelynn gli prese la mano fra le sue: «Ho bisogno che tu faccia la tua parte in questa cosa, Cal. Potrei darti un ordine ufficiale quale comandante della Livelyan, ma non vorrei doverlo fare.»
Per tutta risposta, Calbet si girò di scatto verso di lei e la baciò. Poi appoggiò la fronte sulla sua, restando ad occhi chiusi.
«Farò quello che devo fare, Lynn. O meglio, farò quello che mi chiedi di fare. Ma promettimi che starai attenta laggiù. La tua vita è troppo importante per me, non voglio perderti. Giurami che tornerai da me, anche se questo volesse dire continuare a vivere in questa schiavitù.»
«Farò attenzione, te lo giuro».
Non gli sfuggì che aveva giurato di fare attenzione, non di tornare da lui.Lei era troppo dedita alla causa e troppo altruista per mettere se stessa davanti agli altri: si sarebbe sacrificata, se l’occasione l’avesse richiesto. E sapere che non sarebbe stato con lei per impedirglielo lo metteva in agitazione.
  
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