Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    01/02/2023    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 31 – Atto primo: veleno

 
- … E questo infine è il nostro reparto per i reduci di guerra Eldiani.
Una sfilata di uomini e donne facoltosi passò davanti a lui, tutti guardavano con aria scioccata e incuriosita la fila di letti ricolma di soldati resi invalidi o ancora in fase di guarigione da brutte ferite ed ustioni.
- Se avete altre domande, potete rivolgerle direttamente ai medici e gli infermieri, saranno felici di rispondervi. Vi lascio liberi di perlustrare l’ospedale, per uscire da questo reparto basta seguire la via a ritroso, non sarà difficile, ma state comunque attenti, qui sono ricoverati anche pazienti che hanno perso parte della loro integrità psicologica.
La guida non si era certo sprecata in ulteriori parole per illustrare le condizioni dei soldati nel reparto eldiano, come invece aveva fatto con tutti gli altri reparti “normali”, la propaganda pagava bene perché non venissero diffuse troppe informazioni sulle guerre intraprese da Marley. Tutti, ad eccezione di una donna dai capelli castani e un uomo basso e tarchiato, si volatilizzarono non appena fu dato il permesso di disperdersi.
- Signora, è sicura di voler rimanere qui? – si avvicinò all’orecchio per sussurrarle compito – Non è propriamente un posto che le si addice…
- Oh, non si preoccupi! Sono stata un’infermiera volontaria di primo soccorso durante la grande guerra a nord, terzo reggimento, mi piacerebbe capire se i fondi di mio marito possano servire più qui o altrove.
- Ah, capisco… In tal caso, sono sicuro si saprà orientare benissimo.
Eren alzò piano la testa e guardò la giovane donna annuire e spostarsi aggraziata tra i letti, facendo finta di essere interessata anche ad altro che non fosse proprio lui. Abbassò di nuovo lo sguardo sulle lenzuola all’altezza delle cosce: sarebbe stato davvero ingenuo da parte sua pensare che non l’avrebbero mandata a cercarlo, ancor più che lei non sarebbe riuscita a trovarlo.
- Eren… Krugher? Ho detto bene? Non si capisce bene dalla cartella… – la sentì avvicinarsi di lato al letto su cui si trovava – Come si sente oggi?
Lui rimase in silenzio, alche lei ripose la cartella clinica ai piedi del letto e gli si avvicinò di nuovo con un’espressione impensierita.
- Permette? Sono un’infermiera, anche se dal mio abbigliamento più elegante non si direbbe. – disse, indicando la gamba mozzata di Eren sotto le coperte, lui fece un piccolo cenno d’assenso con la testa. La donna scoprì con gesti armoniosi le gambe e aprì le fasce per osservare i punti di sutura.
- Non è sicuramente il lavoro migliore che abbia mai visto, ma perlomeno il taglio sembra netto, guarirà perfettamente. – detto ciò, prese un carrello di primo soccorso nelle vicinanze e si accinse a disinfettare la ferita per poi avvolgerla in garze pulite.
- Una signora così elegante come lei non dovrebbe disturbarsi per un eldiano come me, la prego, non voglio rovini i suoi guanti. Il pizzo sembra molto pregiato, non si disturbi per me. – il tono di Eren era basso e monocorde, Siri non riuscì a trattenere la sorpresa sentendo la sua voce così diversa da come la ricordava, ma rientrò subito nella parte, sorridendogli.
- Si figuri! Sono solo guanti, per me non è alcun disturbo, mi fa piacere tornare a maneggiare gli strumenti chirurgici di tanto in tanto.
Eren sospirò ma aspettò paziente che finisse di avvolgere veloce e precisa il moncone. Lei quindi si voltò a guardarlo con i suoi grossi occhi nocciola e gli rivolse un largo sorriso, che ai più sarebbe sembrato uno lieto, ma lui riusciva ad intravedere il risentimento che si celava dietro quell’espressione apparentemente così serena. Si sporse verso il comodino e afferrò un libro. Non ha senso rimandare l’inevitabile, si disse, avrebbe trovato un altro modo per raggiungerlo e sarebbe stata infallibile. Meglio non far rischiare lei, Jean, o chiunque a cui tenesse che si trovava in territorio nemico.
- Se la mette in questi termini, posso permettermi di approfittare ancora della sua gentilezza? – lui le porse il libro – Sa, l’avevo iniziato al fronte, ma ora con un occhio solo non mi riesce leggere bene come prima.
Siri afferrò il piccolo romanzo e piegò la testa, le labbra distese, soddisfatta per l’espediente che lui le aveva offerto, oltre che per la collaborazione per cui non avrebbe dovuto insistere: - Nessun problema, leggerò per lei con piacere.
Afferrò una sedia in metallo dallo scompartimento affianco e la posizionò accanto al letto di Eren, si sedette accavallando una gamba sull’altra e aprì il libro al segnalibro.
La mia scorta di farmaco “pro-trasformazione” è sparita, ne sai nulla?
È al sicuro.
Siri espirò forte dal naso in segno di disapprovazione.
Mi congratulo con te per l’ottima copertura. È stato difficile persino per me trovarti.
Spero la vostra lo sia altrettanto. Non è sicuro per voi stare qui.
Siri si sforzò di tenere gli occhi puntati sui muri di parole stampate, ma la sua voce bassissima tradiva il risentimento che il ragazzo accanto a lei aveva già percepito. In realtà era stato abbastanza facile per lei trovarlo, non semplicissimo, ma non appena ci era riuscita, lo aveva tenuto costantemente d’occhio, oltre che agevolarlo nella sua copertura: portarlo via dall’ospedale avrebbe destato troppi sospetti.
Non mi sembra sia stata la tua prima preoccupazione quando ci hai inoltrato quella lettera.
Eren guardò altrove: - Rimaniamo comunque dei soldati. Da quanto tempo siete qui?
Abbastanza da non aver bisogno del tuo ridicolo piano suicida. – disse Siri, voltando una pagina mentre si fingeva assorta nella lettura.
Sai cosa lui ha intenzione di fare e tutti lo seguiranno, non ho bisogno che te lo illustri. È un’operazione necessaria la nostra.
Questo lo credi tu. – Siri alzò la testa dal libro e diede due pacche alla coscia di Eren con un sorriso condiscendente, per poi tornare a guardare il libro tra le sue mani – Lui non lo farà.
La sicurezza nella voce della spia non ammetteva repliche, ma ciò che Eren aveva visto lo convinceva del contrario. Stava per aprire di nuovo bocca, quando un medico seguito da due infermieri percorsero il corridoio davanti a loro, non degnandoli di uno sguardo: fu allora che fece caso all’abbigliamento di Siri, candido e ben stirato, facilmente confondibile da una visione periferica con una delle divise delle infermiere.
Eren aspettò che si spegnessero in lontananza le voci dei dipendenti sanitari per riprendere il discorso, quando Siri lo precedette: - Eren, per favore, abbandona il tuo piano. Ti porterà soltanto alla morte.
Il ragazzo rimase in silenzio a fissare il telo in cotone che gli copriva parte del corridoio davanti a lui, non poteva spiegarle perché lui dovesse farlo, non avrebbe mai potuto capire, nonostante Siri, come Hange, fosse di larghe vedute. Anche vedere solo lei gli faceva stringere il petto in una morsa, provava una tale nostalgia, eppure non lasciò che le sue emozioni lo facessero cedere, neanche per un millesimo di secondo
Non posso fare ciò che mi chiedi Siri. – si voltò verso di lei – Arrivati a questo punto, non posso fare altro che avanzare.
Siri abbassò il libro e, tenendolo aperto, poggiò il dorso delle mani sul bordo del letto: - Non è più il tempo di agire di testa tua. I tuoi atteggiamenti criptici potranno fare presa con gli altri, ma non con me. Non lascerò che tu e quel maledetto stronzo di Zeke sacrifichiate i nostri uomini per un qualche piano assurdo, che, tra l’altro, sembrate non voler condividere con noi. – lo fissò in attesa di risposta che, dopo che ebbe aspettato qualche minuto, capì non sarebbe mai arrivata: ciò non fece altro che confermare quanto aveva appena detto.
Mentre diceva quelle parole, Eren riuscì a notarlo, Siri sembrava fin troppo calma. L’aveva vista più di una volta crollare sotto il peso delle avversità a cui lei non poteva porre rimedio, perché non anche quella volta allora, si chiedeva: venne quindi colto da un’illuminazione, lei e Hange avevano un piano e, dato che per ragioni che non poteva rivelare sapeva non avrebbe funzionato, voleva assolutamente impedirle di portarlo a termine.
Siri. – la donna strabuzzò gli occhi, quasi speranzosa – Se avete in mente qualcosa, dovrei essere informato, non potete agire senza che io sappia che cosa avete tra le mani.
Siri perse la speranza nei suoi occhi, capì che lui non avrebbe condiviso i suoi piani, per lasciarli, così, senza opzioni, se non quella di aiutarlo nel raid a Liberio che lui stesso aveva “proposto” (o meglio, imposto) quasi un mese addietro. Si alzò e allontanò all’indietro la sedia con garbo, quindi, sporgendosi verso il comodino su cui posò il libro, gli bisbigliò nell’orecchio con voce bassa e calmissima: - Scopri le tue carte e io scoprirò le mie. – si raddrizzò e gli sorrise gentile – È stato un piacere! Farò in modo che la donazione di mio marito aiuti lei e i suoi compagni.
La vide uscire dal suo capezzale senza quasi fare alcun rumore e per ore quella conversazione lo lasciò assorto nei suoi pensieri. Se grazie ai ricordi del futuro sapeva già come sarebbero andate le cose, allo stesso tempo non poteva nascondere la vaga sensazione di speranza che quell’accenno ad un corso degli eventi differente gli aveva dato, le cose che aveva visto, tutto quel sangue e quel dolore, li aveva dati come inevitabili.
Abbassò sconsolato la testa stringendo nei pugni le coperte: era comunque inutile farsi troppe illusioni, per ora aveva proceduto tutto esattamente come si aspettava e, molto probabilmente, non aveva visto nei ricordi del futuro il piano di Siri e Hange in azione perché la prima sarebbe morta.
Si stese nel letto e voltò la testa per guardare l’ora: presto si sarebbe dovuto alzare, Falco quel giorno sarebbe andato a trovarlo ancora.
***
 
Levi si fermò davanti all’edificio e, dopo aver dato un’occhiata dal basso in su, si guardò attorno, sperando che qualcuno, anche un estraneo, lo riconoscesse, gli desse qualche pacca sulla spalla per poi dirgli grattandosi la nuca sconsolato: «Oh amico, hai sbagliato: l’indirizzo dice “numero 21” non “11”!».
Frugò nella tasca dei pantaloni gessati e tirò fuori di nuovo il bigliettino con l’indirizzo: aveva visto benissimo invece. La scrittura di Siri poteva anche essere un obbrobrio, ma quella di Jean, oltre ad essere più elegante, non lasciava spazi a dubbi di sorta. Accartocciò il foglietto e lo lanciò per terra con rabbia, per poi sospirare contrariato, quella spazzatura per terra si sarebbe ben intonata all’ambiente che più lurido non poteva essere, pensò.
In realtà la strada dove si trovava il bordello in cui Siri e Yvonne avevano una delle loro coperture non era neanche così lercio come appariva agli occhi del capitano: la strada piastrellata era sì molto trafficata e l’entrata attorniata da una serie di clienti che fumavano, ma erano soltanto le pozzanghere, scurite dal buio del cielo annuvolato, che davano un’aria appiccicosa ai palazzi dai mattoni rossi, ingrigiti dallo smog delle auto. I marciapiedi erano puliti e i cestini, seppur non ci fossero davanti alla struttura, si trovavano solo a qualche centinaio di metri, per cui, il gesto di Levi era una questione personale.
Prese un respiro profondo abbassandosi il cappello sulla fronte, affondò le mani nelle tasche del cappotto nero ed entrò dentro il posto in cui non si sarebbe mai sognato di entrare. Non appena ebbe messo piede all’interno, fu accolto da un’ondata di piacevole aria calda e musica accattivante provenire oltre le spesse tende in velluto leggermente scostate che dividevano l’ingresso dal salone principale. Si avvicinò ad uno spiraglio per intravedere all’interno quando un uomo ben vestito che si trovava oltre un piccolo altarino tossì per richiamare la sua attenzione: - Mi scusi, buongiorno.
- Buongiorno. – Levi si avvicinò a lui rivolgendogli un’occhiata torva.
- Benvenuto a Le Bon Bon, vuole lasciarmi il cappotto?
Cazzo che schifo…
- Come scusi?
- Sì, ho capito. – disse togliendosi il cappotto infastidito per poi porgerlo all’uomo che lo guardava perplesso.
- Bene, ehm… La consumazione è obbligatoria, può scegliere una delle nostre ragazze che girano nel salone perché significa che sono libere, se preferisce può anche solo restare al tavolo e godersi uno dei nostri spettacoli.
- Vai avanti ancora per molto o posso entrare senza sorbirmi tutte queste stronzate?
L’uomo tirò indietro il capo risentito, ma mantenne il contegno, si trattava di un cliente dopotutto: - Mi dispiace, ma conosciamo i nostri clienti abituali e ci teniamo che quelli nuovi si sappiano ben orientare e non disturbino le…
- Sì, grazie tante. Posso andare adesso?
Levi si era già avviato e aveva scostato la pesante tenda in velluto quando l’uomo lo richiamò, evidentemente a disagio: - Aspetti! Mi serve sapere il suo nome!
L’altro ci pensò su un secondo per poi dire laconico: - Kenny.
- Kenny come?
- Kenny e basta. – disse, spostandosi oltre la tenda a chiudere definitivamente la conversazione, nonostante l’uomo cercasse di chiamarlo indietro ancora.
Non appena entrò nel grande salone, il calore dell’ingresso si fece molto più ardente, avvolgendolo completamente: le luci dorante illuminavano il luogo come se brillasse d’oro, i muri ricoperti di legno scuro assorbivano parecchia di quella luce, ma non abbastanza da far sembrare il posto squallido, anzi, l’idea che davano quei tavoli in ciliegio, sormontati da vasi in vetro con una singola rosa rossa, era piuttosto allegra e accogliente. Lui aveva un’immagine chiara di quello che avrebbe trovato, mura sporche e ammuffite, l’umidità opprimente da farti battere i denti e i dipendenti sporchi e rozzi, ma, guardandosi attorno quasi interessato, realizzò che forse il posto dove era cresciuto era un’eccezione e non la regola.
Nonostante si stesse ricredendo, si ricordò la definizione di “bordello” e ogni traccia di relax dal suo viso scomparve, per tornare alla sua solita espressione accigliata. Non appena trovò un tavolino libero si sedette e ordinò da bere da un cameriere mentre con gli occhi scandagliava il salone per trovarla: aveva i capelli di colore diverso? Aveva anche un nome diverso?
Non aveva avuto alcuna informazione del genere da Jean, che doveva trovarsi anche lui lì da qualche parte, eppure una cosa era certa: Siri non l’avrebbe passata liscia questa volta. Parlando del diavolo. Spuntò dalla scaletta che conduceva al palco dove una cantante si stava esibendo, volteggiava tra i tavoli salutando ammiccante i clienti abituali, la cicatrice sulla guancia ancora una volta ben coperta col trucco. Arrivò il cameriere che posò la sua bevanda sul tavolo e gli porse un biglietto con cui avrebbe dovuto recuperare il cappotto uscendo.
- Scusa… giovane. – Levi alzò gli occhi al cielo, se solo Siri l’avesse sentito avrebbe scatenato una crisi isterica di risate – Come faccio a… richiamarne una.
Si sarebbe volentieri dato un pugno in faccia per come volgarmente si era espresso, ma se da una parte non sapeva come esprimersi diversamente, dall’altra, nonostante l’ambiente accogliente, era estremamente a disagio in quel luogo.
Il cameriere rimase serio, probabilmente colpito, in negativo, da quel modo di esprimersi: - Può chiamare una delle nostre ragazze tramite noi signore. Evidentemente lei è nuovo qui e non sa i loro nomi, basta che me ne indichi una e la porterò da lei… se non è già occupata con un altro dei nostri clienti.
Levi sospirò scocciato: - Che organizzazione. Quella lì. – concluse indicando Siri con due dita.
Il cameriere si voltò per mezzo secondo, ma aveva evidentemente capito subito a chi si riferisse perché gli rispose immediato: - Mi dispiace, ma la signorina Pauline è sempre molto richiesta, dubito non sia già occupata con uno dei nostri clienti abituali.
Molto richiesta”, Levi fremette, chiuse strettamente il pugno per cercare di controllarsi, quindi prese un sacchetto di denaro dalla tasca interna della sua giacca: - Allora forse non sono stato chiaro. – afferrò il polso del cameriere che sobbalzò sul posto mentre Levi lo tirava in avanti aprendogli il palmo – Io voglio quella. Non me ne frega un cazzo di quello che i tuoi pomposi stronzi vogliosi richiedono, i clienti qui dentro sono tutti uguali, giusto? Io chiedo di essere soddisfatto. Sono stato chiaro adesso?
Il cameriere chiuse nel pugno il sacchetto di denaro e si raddrizzò risentito: - Va bene signore. Cercherò di accontentarla. Ma se trovassimo sulla signorina Pauline anche un singolo livido, stia tranquillo che…
Levi lo fulminò con lo sguardo, interrompendolo: - Per chi cazzo mi hai preso? 
Per un gangster, brutto stronzo. Ma questo pensiero il cameriere lo tenne per sé.
- Adesso vai prima che qualcun altro “la richieda”. – concluse, mentre l’altro si allontanava per raggiungere Siri. Lo vide abbassarsi su di lei che era seduta sul grembo di un uomo, le bisbigliò qualcosa nell’orecchio e finalmente la donna incrociò lo sguardo di Levi sogghignando. La vide alzarsi dalle gambe dell’uomo non appena il cameriere si fu ricomposto aspettando una sua risposta: Siri accarezzò il volto del cliente rimasto seduto e si mosse tra i tavoli, seguita dal cameriere, diretta verso Levi, a cui il cuore iniziò a battere più forte, felice di rincontrarla dopo tanto.
- Benvenuto da Le Bon Bon! La ringrazio per la mancia signor…
- Kenny.
Siri sorrise nervosamente prendendosi un secondo per rispondere: - Nome interessante. Perché non mi segue signor Kenny?
Fece un breve gesto con la mano al cameriere che si allontanò, quindi, quando Levi si alzò, lo prese per mano e lo guidò verso un lungo corridoio buio antistante, lo percorsero fino a quando non arrivarono ad una porta col suo nome. Non appena Levi chiuse la porta alle loro spalle, Siri si sedette alla toeletta dal largo specchio incorniciato da piccole lampadine con un sospiro.
Levi rimase sulla porta con le mani infondo alle tasche dei pantaloni e ispezionò brevemente la camera lussuosa in cui si trovavano, ancora carico di nervosismo misto a felicità per essere finalmente con Siri dopo mesi di lontananza forzata. Drappeggi coprivano i pannelli scuri delle pareti e l’atmosfera era anche lì calda e accogliente, grazie dalle lampade e le numerose candele al profumo di rose.
- Mi hai tolto parecchi clienti, dovranno ripiegare su Sylvia adesso.
Levi incrociò il suo sguardo nello specchio, quindi Siri scosse la testa mentre si scioglieva i capelli dalla matassa creata dalle pinzette: - Yvonne. È qui anche lei, siamo tutti qui a dire la verità.
Lui fece qualche passo dietro di lei, ancora molto a disagio quando pensava a dove si trovava: - Sai che non sono un tipo geloso.
Un paio di ciocche mosse ricaddero ai lati del viso di Siri: - Mh-mh…
- Non ti dirò mai cosa fare, non ti vieterei di fare mai nulla né tantomeno ti darei degli ordini, se non nell’ambito militare. – si fermò e si voltò di nuovo verso lo specchio – Ma mi girano davvero le palle al solo pensiero che passi le tue giornate qua dentro.
Siri sospirò questa volta più sonoramente, con un velo d’irritazione: - Devo ricordarti che so badare a me stessa?
Levi camminò verso un largo divano in pelle bordeaux e si fermò davanti ad un basso tavolino da tè: - No. Lo so benissimo. Ma questo tipo di posti non li posso sopportare. – si piegò quindi sulla teiera fumante e si versò il contenuto in una tazza lì accanto.
- Ci sono tante cose che non sopporti, boss…
- Il saperti qui più di ogni altra cosa. – prese la tazza e si voltò a guardare Siri che, ancora seduta alla toeletta, armeggiava con una salvietta per togliersi il rossetto dalle labbra – Adesso scommetto che mi rifilerai la solfa che questo è il tuo lavoro e che devi stare qui per soddisfare Hange e cazzate simili.
Siri sorrise condiscendente e si voltò: non appena incrociò il suo sguardo sbiancò per poi alzarsi di scatto e lanciarsi verso di lui.
- FERMO! – mise una mano tra la bocca di lui e il tè, spaventatissima.
- Ma che cazzo…
- L’hai bevuto?! – mentre gli strappava di mano la tazza per posarla di nuovo sul tavolo, rivolgeva occhiate nervose nella sua direzione.
- Non me ne hai dato il tempo.
Siri lo afferrò per le spalle: - Sei sicuro? Non hai posato nemmeno le labbra, vero?
Levi aggrottò le sopracciglia confuso: - Sì, sono sicuro… – abbassò lo sguardo al tavolino mentre lei rilassava le spalle con sollievo – Non voglio nemmeno chiederti che ci fosse lì dentro, ma forse avrei preferito ritrovarmi con la bava alla bocca e ricoperto di vomito velenoso che vederti dentro questo posto di merda.
Siri fece un largo sorriso e gli infilò le mani sotto le spalline della giacca, sfilandogliela: - Devi rilassarti. Qui ci sono tanti miei obiettivi, vorrei tanto poter accontentare il mio fidanzato geloso ma…
- Piantala.
- … Ma è il mio lavoro. – spinse leggermente Levi indietro per farlo sedere sul divano, ma lui s’irrigidì sul posto. Lei quindi lo guardò indignata: - Ma cosa pensi che faccia qui dentro?!
Levi le rivolse un’occhiata gelida, quanto più per rimproverarle il fatto che lui non avrebbe mai pensato qualcosa del genere: - Non è per quello, saltimbanco. Non sai chi ci è stato prima di te.
- Invece lo so benissimo, questa stanza è solo mia. Non ci è stata anima viva. – si allontanò per appendere la giacca all’appendiabiti, ma Levi non accennò a sedersi. 
- Mamma mia, deve darti davvero fastidio, non ti ho mai visto così nervoso… – Siri si avvicinò di nuovo alla toeletta e prese un rossetto dal mucchio, poi tornò da Levi e gli afferrò una spalla i cui muscoli si distesero sotto le sue dita – … Ed è tutto dire.
Lui voltò la testa annoiato: - Tch. – lei quindi gli si avvicinò di più e spostò la mano sulla sua guancia, accogliendola nel palmo col guanto in seta.
- Per me non ti siederesti lo stesso? – sibilò seducente. Un brivido percorse Levi che deglutì e si sedette pesantemente sul divano, lasciando che l’altra mano di Siri lo spingesse verso il basso. Sorrise soddisfatta e gli si sedette accanto.
- Quindi… Cosa fai coi soldati che porti qui dentro?
Siri sogghignò, consapevole di beccarsi uno scappellotto: - Gli faccio vedere le stelle.
Levi allungò la mano per colpire la nuca di Siri, quando sentì alle sue spalle, oltre il muro di legno, qualcuno scoppiare a ridere. Raggelò e si voltò all’indietro mentre Siri sospirò scocciata: - Va a farti un giro Bernard.
- Era qui tutto il tempo?! – il suo tono era risentito, ma non poteva negare di sentirsi sollevato dal fatto che Bernard era sempre pronto ad aiutarla se ne avesse avuto bisogno.
- Con piacere lucertolina, – dei rumori ovattati si spandevano dall’altra parte dei pannelli allontanandosi sempre di più da loro – non ne posso più di stare a sentire i vostri bisticci.
Non appena i rumori si fecero sempre più lontani fino a scomparire del tutto, Siri si schiarì la voce e aprì il rossetto che aveva tra le mani, lo ruotò, facendo uscire lo stick marrone.
- Guarda. È fatto di cioccolata.
Levi, ancora confuso, si voltò di nuovo verso di lei e disse sarcastico: - Certo, la famosa cioccolata che a Paradise abbonda.
- È un dolce, i semi si raccolgono da una terra molto lontana da qui. Vuoi assaggiare?
Lui alzò le spalle e fece per prendere l’oggetto per dargli un morso, quando Siri glielo allontanò dalle mani: si guardarono e lei assunse un’espressione così seria che Levi si sorprese. Siri portò il rossetto alla bocca e lo stese sulle labbra fino a quando non assunsero un colore marrone scuro; quindi, chiuse il rossetto e piegò la testa di lato, avvicinandosi al viso di Levi tanto da poter sentire il respiro l’uno dell’altra sulla pelle.
Vuoi assaggiare? – lui sgranò gli occhi a quella richiesta e non credette possibile il fatto che, nonostante si conoscessero ormai da anni, il cuore potesse battergli così forte nel petto al suo tono ammiccante. Si sentì improvvisamente compresso dal calore come se cercasse di sfondare la cute ed esplodere, dall’impulso di gettarsi tra le sue braccia e non lasciarla andare per un tempo proporzionale a quello che avevano passato separati. Ma prese un profondo respiro e fece scendere gli occhi lungo il suo viso, fino alle labbra socchiuse di Siri. Nonostante la proposta invitante, preferiva di certo far durare quel momento il più a lungo possibile: si abbassò cautamente sul labbro inferiore di lei e lo leccò con la punta della lingua, lentamente, da un angolo all’altro della bocca. Il sapore dolce e vanigliato del cioccolato gli fece sentire un immediato “crepitio” dietro alla bocca, scatenando dentro di sé una forte sensazione di… fame. Le prese delicatamente il mento fra le dita e col pollice le abbassò il mento, rispose immediatamente a quella richiesta del suo corpo e le leccò di nuovo il labbro, questa volta con più impeto, per essere certo di consumare tutti gli strati di rossetto.
Affondò una mano tra i capelli sulla nuca di Siri, tirandola a sé per assaporare il gusto della cioccolata più intensamente: quando Levi le risucchiò il labbro, poté sentire Siri rabbrividire tra le sue mani per poi cercare di allontanarsi spingendolo via delicatamente. La lasciò andare controvoglia, lei si era discostata tanto da permettere loro di guardarsi di nuovo negli occhi. Il petto di Siri si alzava e abbassava per i profondi respiri, senza distogliere lo sguardo da Levi, gli porse il piccolo cilindro metallico: - Vuoi mettermelo tu adesso?
Lui non se lo lasciò ripetere due volte, prese il rossetto e lo stese con precisione sulle labbra mentre con l’altra mano le teneva una guancia, al tatto calda e liscia. Quando ebbe finito, fece scivolare lo stick “per sbaglio” sulla sua mandibola, lasciandole una lunga linea scura e appiccicosa che si spinse poco sotto il mento.
- Non sono molto bravo.
Siri rispose allo sguardo fisso e penetrante di Levi distendendo le labbra con intesa, quindi si avvicinò di nuovo a Levi, impaziente. Piano piano le linee di rossetto raggiunsero tutti gli angoli del viso della donna e si spinsero sempre più in basso lungo il collo, lasciando macchie marroni scolorite dal passaggio di Levi.
Siri, pensò il corvino, l’aveva passata liscia anche quella volta.
 
Jean dietro il bancone del piano bar iniziò a passare lo straccio sul ripiano, avrebbe aspettato Yvonne e poi sarebbero tornati a casa, per quel giorno avevano raggiunto tutti i soldati che potevano, Siri e Bernard avrebbero continuato col resto di loro come da accordo.
- Ehi Jean, eccomi. – Yvonne arrivò al bancone con la sua solita aria stanca, non le piaceva questa nuova copertura e il fatto che Siri fosse sul filo del rasoio non la faceva vivere tranquilla. Non vedeva l’ora di tornare sull’isola e mettere fine, per il momento, alla missione.
- Oh, Sylvia. Tutto bene oggi? – Jean si guardò attorno per cercare con lo sguardo Siri, era da un po’ che non la vedeva in sala. Voleva semplicemente scambiare un’occhiata con lei per dirsi “Va tutto bene, torno a casa con Yvonne”.
- Sì. Tu ti sei già cambiato?
- No, lo vado a fare appena finisco di pulire… Hai visto Pauline per caso? Non la vedo da un po’.
Yvonne si sedette su uno sgabello e iniziò ad arrotolarsi i capelli sull’indice, quindi guardò Jean assente e alzò le spalle nell’esatto momento in cui un cameriere nelle vicinanze, interessato dalla conversazione, si voltò verso di loro.
- Pauline è con un cliente.
Jean, abbassò di nuovo lo sguardo sullo straccio e riprese a pulire: - Oh, capisco…
Il cameriere batté sonoramente la lingua sul palato contrariato: - Spero stia bene, era una specie di gangster il tipo, un vero maleducato. Mi chiedo perché Philip faccia entrare certa gente, certo, sono un sacco di soldi, però… – Jean alzò la testa con uno scatto e, mentre si concentrava sul cameriere, oltre la sua spalla vide Bernard che chiacchierava carismatico con una prostituta, in teoria avrebbe dovuto essere con Siri, ad aiutarla se ne avesse avuto bisogno – Dovevi vederlo, ha richiesto specificatamente di lei, io gli ho detto “se Pauline dovesse avere un singolo livido sul corpo io ti”… Ehi, dove vai?!
Ma il ragazzo aveva già oltrepassato il bancone in un lampo e si stava dirigendo verso il corridoio con le stanze private. Una spia di Tybur, l’hanno scoperta, o magari è un fannullone che le sta facendo del male… Siri non accettava mai richieste specifiche, a meno che non fossero di soldati, il loro obiettivo principale, e Bernard non doveva essere con lei perché era un “fuori programma”. Raggiunse ad ampie falcate la sua stanza e prese saldamente il pomello, lo girò ed era chiuso a chiave: iniziò a sudare freddo, lei non chiudeva mai a chiave, non ce n’era bisogno.
Si allontanò dalla porta per caricare il colpo: aveva il cuore in gola, sperava di non trovarla in un bagno di sangue sul pavimento.
Levi mi ammazzerà. Hange mi licenzierà. Non potrò mai perdonarmelo.
Con una spallata, sfondò la porta e con suo grande sollievo, ma per sua grande sfortuna, Siri era viva e vegeta, ma non esattamente in un bagno di sangue.
La sua maestra, a cavalcioni sul fantomatico uomo, si era voltata col busto verso la porta con una mano sul pugnale che teneva sotto la gonna alzata fino al sedere, il corpetto slacciato aveva le stringhe ancora tra le dita dell’uomo che stava cercando di toglierglielo e il seno, come anche la sua faccia, erano macchiati di marrone. L’uomo, lo comprese all’istante, non era chiaramente un uomo qualsiasi: si sporse oltre Siri e rivelò essere Levi, che appena vide Jean nel bel mezzo della stanza lo incenerì con gli occhi.
- Ce la stai mettendo tutta per farti ammazzare, moccioso.
Jean diventò tutto rosso e si coprì gli occhi con entrambe le mani: - S-sc-… scusate, non volevo.
Siri sospirò e si voltò verso Levi per coprirsi alla vista del suo allievo a dir poco imbarazzato. Il ragazzo indietreggiò verso la porta e la chiuse alla bell’e meglio, quando all’ingresso del corridoio sentì qualcuno sghignazzare: Bernard si stava sbellicando dalle risate col proprietario del bordello, mentre Yvonne e il cameriere lo guardavano una divertita e l’altro carico di disapprovazione.
 
Passò un mese da quando gli altri erano arrivati in territorio nemico e si erano sistemati nei loro alloggi con le loro relative coperture, il giorno del raid a Liberio era finalmente arrivato, non c’era stato modo di far desistere Eren che sembrava deciso a compiere il suo piano, seppure Tybur non avrebbe dichiarato guerra a Paradise.
Nonostante questa sicurezza, il capo di stato di Marley sembrava volesse fare delle dichiarazioni nel quartiere Eldiano e Siri e Hange alla notizia, aggiunta alla comunicazione di Eren che avrebbe attuato il suo attacco, accettarono il tutto senza battere ciglio. Levi aveva smesso di sentirsi confuso e aveva ormai compreso che faceva tutto parte del loro piano, come quando Erwin era a comando, avrebbe scoperto i dettagli a opera conclusa. Non era altrettanto contento però di dover includere dei civili in questo progetto: alla fine erano sempre loro a rimetterci, anche con le migliori intenzioni.
Siri iniziò a sbottonarsi il vestito mentre Bernard, seguito da Yvonne e Jean, tutti che già indossavano la tuta nera da combattimento, apriva la finestra che affacciava sul vicolo ceco al lato del loro palazzo.
- Sei sicura di voler uscire da sola dopo di noi? – la spia si massaggiò il pizzetto, insicuro su cosa fare. Ripensava a Siri che aveva trovato qualche mattina prima, chiusa nel bagno a piangere seduta sulle piastrelle fredde, le ginocchia al petto mentre si torturava le tempie. Quello che lei gli aveva rivelato non metteva in buona luce la riuscita del piano di quella sera, ma, come ben sapeva, nessuno di loro poteva sottrarsi.
- Sì. Levi agirà dopo tutti voi, quindi posso prendermela comoda. – Siri lanciò via le scarpe in un angolo della stanza, a differenza di Jean, non poteva indossare la tuta sotto i vestiti per essere subito pronta – E poi mettere quella stupida tuta ignifuga mi fa perdere un sacco di tempo.
- Ma…
- Andate. – concluse quindi perentoria Siri. Jean non se lo fece ripetere due volte e, quatto, si buttò dalla finestra seguito a ruota da Yvonne. Bernard temporeggiò ancora davanti alla finestra.
- Neanche questa volta il piano mi piace. – Siri lo fulminò con lo sguardo – Ma, questa volta, potrei aiutarti.
Siri rimase in silenzio a guardarlo truce, quindi Bernard ghignò, scosse la testa e non disse altro. Si sporse oltre la finestra e raggiunse i suoi colleghi. La spia, rimasta sola, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, circondata dal silenzio e dal buio, era finalmente sola.
Dopo una decina di minuti, era finalmente riuscita a mettersi la tuta da combattimento adeguatamente e a sistemare le giunture in modo tale che il tessuto non le desse troppo fastidio con lo sfregamento. Si portò alla finestra sull’altro lato del palazzo che dava su una strada trafficata, e rimase a contemplare le luci della città.
- Levi! Quando torniamo a Paradise dovrò chiederti qualcosa!, era come l’aveva salutato ore prima, adesso non riusciva a pensare ad altro che al momento in cui, finalmente, sarebbe tornata a casa.
Sentì un’esplosione verso nord e portò lo sguardo verso dove si trovava il ghetto eldiano: il raid era quindi iniziato, ma ancora non riusciva a muoversi. Voleva godersi, ancora per quel poco, la sensazione accogliente che il buio le dava.
Se solo Eren si fosse trasformato un po’ più tardi, se solo entrambe le sue orecchie avessero potuto sentire ancora entrambe, sarebbe sicuramente riuscita a sentire gli uomini marleyani armati che entravano dalla porta d’ingresso, per ucciderla.
Quando li sentì fu troppo tardi: uno dei tre uomini, a pochi metri dalle sue spalle, tolse la sicura alla pistola e fu solo il suo click che fece girare di scatto Siri. Si gettò indietro, verso il basso per uscire dalla traiettoria di tiro dei tre uomini che iniziarono a spararle addosso. La spia rotolò dietro una scrivania, prese la sedia e la scaraventò addossò a quello più vicino che capitolò sul pavimento con un grugnito, l’altro assalitore dietro di lui caricò il fucile e sparò nella direzione di Siri che per un pelo riuscì a schivare il colpo che esplose nella libreria alle sue spalle, facendo volare pezzi di pagine e copertine di cartone ovunque come schegge. 
Contemporaneamente, Siri estrasse la pistola sul suo fianco, ma nel momento in cui stava premendo il grilletto per colpire il terzo uomo più lontano che la stava raggiungendo, una scheggia vagante la colpì nell’occhio, facendole mancare il bersaglio: il proiettile colpì di striscio la spalla dell’uomo, a cui volò via la pistola dalle mani, con un secondo colpo alla cieca la spia riuscì a colpirgli la gamba, mandandolo definitivamente a terra. L’uomo col fucile schivò il terzo sparo che esplose dalla pistola di Siri e mirò di nuovo verso di lei, avvicinandosi a lei: la spia si voltò e corse verso la finestra, una scia di proiettili del fucile la inseguiva mentre si lasciava dietro di sé poltiglie di pagine stampate e schegge di legno.
Si bloccò sul posto quando improvvisamente l’uomo che aveva colpito con la sedia emerse dal basso, proprio davanti alla finestra e alzò la pistola, Siri lo prese dal polso e lo tirò a sé girandosi verso l’altro col fucile che sparando ancora un altro proiettile colpì il suo stesso compagno dietro la schiena, uccidendolo.
Il peso morto dell’uomo su di lei la fece malauguratamente barcollare all’indietro su sé stessa, perdendo anche la presa sulla pistola che cadde lontano da lei, l’uomo col fucile aveva finito i colpi ma approfittò del momento buono per scavalcare la scrivania che li divideva e lanciarsi su di lei: Siri afferrò con entrambe le mani il fucile che l’uomo cercò di abbassare con tutte le sue forze sul suo collo. La spia si voltò un istante a guardare il terzo uomo, evidentemente sotto shock, che, a gattoni, mentre lasciava una scia di sangue dietro di sé, ancora cercava la pistola che gli era caduta.
Forse, pensò Siri, se non fosse riuscito a trovarla poteva sperare di salvarsi. Se l’avesse trovata e lei non fosse riuscita a liberarsi prima, sarebbe morta senza neanche l’opportunità di lottare, con un colpo in mezzo alla fronte.
Dimenò le gambe per cercare di approfittare della loro spinta, ma erano bloccate: l’uomo morto era ancora sopra di lei per metà e quello che stava cercando di soffocarla con la canna del fucile faceva peso per non farla muovere.
Ansimò, rivoli di sudore le scendevano ai lati della faccia mentre si sforzata di spingere con le braccia la canna lontano dal suo collo: ma era una prova di forza tra lei e lui, e sapeva già come sarebbe andata a finire.
Sei debole.
Nonostante avesse praticamente raddoppiato la sua massa da quando era nel corpo di ricerca, non sarebbe comunque bastato. Lei era debole, questa consapevolezza la colpì forte come un pugno nel petto.
Con un altro sforzo, spinse ancora, ma servì solo ad alzare il fucile di qualche millimetro. L’uomo grugnì, Siri non era certo l’unica capace di uno sforzo fisico: gli avambracci della donna cedettero, e la canna del fucile si posò con inesorabile potenza sul suo collo, facendola tossire roca.
Non è giusto… - disse con l’ultimo filo di voce che le era rimasto, mentre soffocava.
Il buio cominciò ad avanzare coprendole la vista.
Non aveva mai avuto la pretesa di vivere fino alla vecchiaia, per un momento però aveva sognato qualcosa di simile, aveva avuto la presunzione di poter avere un momento di pace, lontana dal sangue e dalla guerra. Un futuro che sarebbe potuto arrivare molto presto, dopo aver rimandato ripetutamente le sue dimissioni al giorno in cui non ci sarebbe più stato bisogno di lei.
Che stupida ingenua.
  
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