Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: AlexSupertramp    11/02/2023    4 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 15 - Il fondo di caffé del passato

La sensazione che Sana stava provando in quel momento si avvicinava molto all’imbarazzo e al disagio, perché si era sentita subito fuori contesto quando Akito li aveva raggiunti. Si era domandata il motivo per cui lui fosse lì, e l’identità di quel tizio sconosciuto aveva soddisfatto la sua curiosità dopo pochissimi istanti.
Akito si era appoggiato al bancone del bar e aveva domandato una birra alla spina, l’altro invece continuava a tenere tra le dita il suo bicchiere di birra ormai quasi vuoto, rivolgendo a Sana di tanto in tanto un’occhiata sorridente.
«Assurdo che vi conosciate.» disse Jun sorridendo in modo del tutto naturale, quasi per inerzia, ma a quel sorriso non ricevette alcuna risposta. 
«Già. Voi invece… voi siete amici?» domandò Sana, con un velo di titubanza. Non ebbe il coraggio di rivolgere ad Akito nemmeno il minimo sguardo, perché non aveva nessuna intenzione di scoprire quale sarebbe stata la sua reazione, nonostante la curiosità, figuriamoci se gli avesse fatto una domanda come quella. Ormai aveva capito bene che Akito non aveva alcuna voglia, o interesse, ad interagire con lei perché da quando li aveva raggiunti a quel bancone non l’aveva nemmeno guardata in faccia. In verità non l’aveva fatto per niente durante tutta la serata, fin da quando era arrivato in compagnia di Hisae qualche ora prima.
«Sì, e anche colleghi. Lavoriamo per la stessa azienda di servizi di informatica.» disse lui senza troppa esitazione né enfasi. Mentre Jun parlava, Hayama era concentrato a leggere qualcosa sul suo cellulare, ma Sana non riuscì a tenere il suo sguardo su di lui a lungo, perché Jun continuava a parlare, senza smettere mai.
«Credo di averti vista in tv proprio recentemente. Per questo ero convintissimo che ci conoscessimo…» continuò lui, parlando all’altra in un tono decisamente confidenziale. Sana, per qualche strana ragione, si sentì ancora più a disagio. Spostò lo sguardo nuovamente verso Hayama, ma lui aveva gli occhi fissi sul suo cellulare.
«Sì, è una cosa che mi capita spesso.» mentì lei, una volta tornata con lo sguardo a Jun. In realtà frequentava quasi esclusivamente le serate organizzate dalla sua agenzia a Seul e non le capitava praticamente mai di trovarsi in una situazione simile, in un bar qualunque insieme a persone lontane dal suo mondo.
«Certo, immagino. Quindi non abiti qui… e dove vivi?» le domandò, mandando giù l’ultimo sorso di birra. Sana corrugò la fronte.
«Prima hai detto che non abiti da queste parti. Quindi mi chiedevo: dov’è che abiti?» precisò Jun.
«Oh, sì… in verità ora lavoro a Seul, quindi abito lì. Sai, non potrei vivere a Tokyo e lavorare da un’altra parte.»
«Be’ no di certo.» commentò Jun con una leggera risata. A quel punto Akito rivolse lo sguardo ad entrambi e si mise il cellulare in tasca. Sana notò subito i suoi movimenti mentre dava le spalle al bancone per avvicinarsi a loro due. Pensò che avesse deciso di partecipare a quella conversazione, e si chiese stupidamente cosa avrebbe potuto dirgli. Lui però si rivolse solo all’amico.
«Ho letto solo ora il messaggio. Comunque ne possiamo parlare domani direttamente in ufficio.» gli disse. A quel punto l’altro gli rivolse un semplice sorriso, alzando poi il suo bicchiere di birra quasi vuoto.
«E comunque, non avevi detto di essere in ritardo per qualcosa, Watanabe?» domandò poi in tono tranquillo al suo collega.
«Già, che peccato però. Mi sarebbe piaciuto restare ancora un po’.» terminò, rivolgendosi a Sana. In pochi secondi si staccò dal bancone del bar e si infilò una mano in tasca. Rapidamente ne estrasse un cartoncino porgendolo poi alla ragazza.
«Non mi sono nemmeno presentato: mi chiamo Jun Watanabe e questo è il mio biglietto da visita. In caso ti andasse di fare una passeggiata qui a Tokyo.» aggiunse con lo stesso sorriso che aveva mostrato a Sana per tutta la sera. Lei guardò quel cartoncino per un istante, il tempo di capire cosa fare, e poi rivolse lo sguardo al ragazzo. Aveva i capelli scuri, folti e leggermente mossi, con qualche ciuffo che gli ricadeva sulla fronte, ma in modo diverso da quelli di Akito.
«Certo… grazie.» rispose Sana, stringendo quel cartoncino bianco tra le dita. A quel punto Jun la salutò con un semplice gesto della mano, poi si congedò da Akito con una pacca sulla spalla, prima di avviarsi verso l’uscita del locale.
Sana rimase immobile per qualche istante, rigirandosi tra le mani un paio di volte il biglietto da visita di Jun Watanabe - tecnico informatico, poi alzò lo sguardo verso Akito quando si rese conto che lui le aveva appena dato le spalle per allontanarsi dal bancone.
«Hayama!»
Quando pronunciò quel nome la sua voce sembrò diversa persino a se stessa, e Sana si stupì di aver detto il nome di Akito a voce alta. Una voce per giunta non sua. 
Quel richiamo però fu sufficiente a fermare l’altro, che voltò appena il capo verso di lei, rivolgendole un’occhiata interrogativa.
«Io… be’ io volevo sapere…» disse flebilmente, domandando poi a se stessa per quale motivo lo avesse fermato in quel modo. Insomma, se avesse avuto il tempo e la voglia di scavare oltre lo strato di frottole che si era raccontata per anni, probabilmente qualche domanda da fargli l’avrebbe perfino trovata. Tuttavia, non era certo quello il momento di arrivare a sbrogliare certe consapevolezze non ancora raggiunte.
«… quindi lavori in un’azienda informatica?» concluse, senza mettere troppa enfasi in quella domanda.
«Già.» 
Lui invece le rispose senza esitare, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Sana però notò che in quel momento Akito si era voltato completamente verso di lei.
«Oh, bene. E… ti piace?» continuò con gli interrogativi di circostanza, e senza accorgersene incrociò entrambe le braccia sul petto.
Akito a quella domanda scrollò le spalle.
«Non è male.»
«Mi fa piacere. E il karate?» azzardò lei, in un impeto di coraggio.
«Il karate?» domandò lui a sua volta, come se quella domanda lo avesse catapultato improvvisamente in un mondo parallelo. 
«Be’ sì, il karate. Ti alleni ancora?» domandò lei con ovvietà.
«Ho smesso da una vita, Kurata.» rispose lui, sollevando le sopracciglia. 
«Oh… mi dispiace.»
«Non è mica una cosa grave.» disse accompagnando quella frase con un’alzata di spalle. A quel punto però la sua attenzione fu catturata da altro, un punto indistinto verso cui si mossero le pupille dei suoi occhi, e in pochi istanti estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Sana cercò di decifrare il suo viso mentre osservava lo schermo dello smartphone, ma si sentì come se fosse davanti ad un muro di cinta impenetrabile. Poi lui le rivolse nuovamente lo sguardo.
«Scusa, ma a questa devo rispondere.» disse, poi si voltò e tappandosi un orecchio, appiccicò il cellulare all’altro e rispose a quella telefonata, allontanandosi dalla folla accumulatasi al bancone.
Sana non seppe che espressione fare, e decise di rimanere immobile per qualche istante, finché non si ricordò del bicchiere di tequila praticamente mai bevuto, e lo mandò giù in meno di un istante.
Guardò poi quel bicchiere vuoto come si osserva il fondo di una tazza di caffè, solo che ciò che lei avrebbe voluto sapere in quel momento non era affatto il suo futuro, bensì il suo passato e ciò che era successo nel corso di quei lunghi anni, responsabili di aver creato l’enorme distanza tra lei e tutto ciò che c’era prima e che aveva iniziato a divorarla appena aveva messo piede a Tokyo. Senza che nemmeno se ne accorgesse.
D’altronde, pensò, era più che normale che lei non sapesse nulla di nessuno dei suoi vecchi amici, per non parlare del fatto che lei e Akito si erano lasciati in un modo a dir poco brusco. Anzi, non si erano lasciati affatto, perché lei aveva semplicemente levato le tende, come aveva già fatto tante altre volte nella sua vita. E si sentì improvvisamente una sciocca, perché si rese conto di essere l’unica al mondo a dare ancora importanza ad un evento che, molto probabilmente, avevano ormai dimenticato tutti.
Tutti, tranne Tsuyoshi. Lui sembrava essere l’unico a trattarla ancora come se fossero gli amici di una volta.
A Sana sembrò assurdo il fatto che in quel momento riusciva addirittura a sentirne la voce, del suo amico, nella sua testa confusa.
Poi, qualcosa la scosse sul serio.
«Ehi Sana, stai bene?»
«Tsuyoshi?» domandò lei incredula, quando il viso del suo amico si materializzò a pochi centimetri dal suo. Si rese conto troppo tardi di essere stata appena inghiottita dai suoi stessi pensieri.
«Sembravi in trance.» fece lui, staccandole le mani dalle spalle.
«Oh, scusa Tsu, ero solo sovrappensiero. Che succede?»
«Niente, ma Shin ha appena ricevuto una chiamata urgente ed è dovuto tornare in ospedale.»
«Oh sul serio?» disse lei afferrando la stampella che aveva appoggiato al bancone.
«Già. Però ho chiesto un passaggio ad Akito… così non tornerai tardi a casa.» disse Tsuyoshi, cercando di interpretare l’espressione sul viso dell’amica. Tuttavia, malgrado i suoi sforzi, non rilevò nulla di troppo evidente e pensò quindi che per lei non ci fosse alcun problema.
«Va bene, d’accordo.» rispose lei, facendo qualche passo appoggiata alla stampella. In realtà pensò che avrebbe preferito rincasare direttamente all’alba se questo l’avesse aiutata ad evitare un tragitto in macchina accompagnato da silenzi imbarazzanti o frasi di circostanza. Ma, come aveva detto Tsuyoshi, quando entrambi tornarono al loro tavolo, sia Akito che Hisae erano già pronti ad andare via.
Sana fece un sospiro profondo, che si bloccò da qualche parte al centro del suo petto.
«Siete pronti?» domandò Hisae a entrambi, stringendosi nell’enorme sciarpa che le avvolgeva il collo. Sana si domandò dove l’avesse presa, perché prima non gliel’aveva vista. O almeno così credeva.
Akito invece bevve velocemente l’ultimo sorso di birra poi estrasse le chiavi della sua auto e fece segno agli altri di seguirlo all’esterno. 
«Aspettate qui.» disse indicando poi il punto in cui aveva parcheggiato. Tsuyoshi però accelerò il passo e lo seguì, lasciando Sana da sola con Hisae.
Quest’ultima continuava ad aggiustarsi la sciarpa intorno al collo e a guardare nella direzione in cui erano spariti Tsuyoshi ed Akito. Sana invece strinse le dita intorno alla stampella, rivolgendo lo sguardo a Hisae che, proprio in quel momento, si voltò a guardarla.
«Mi dispiace che Gomi sia dovuto andare via.» disse ad Hisae, con una leggera punta di imbarazzo. 
«Già. Ma con lui è sempre così…»
«Sì, immagino. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe diventato un dottore…» commentò Sana, cercando di sorridere. 
«E invece… Tranquilla però, perché continua ad essere la solita testa vuota di un tempo.» rispose Hisae, con un leggero sorriso. Allora Sana non riuscì a capire se lei stesse sorridendo per condividere qualcosa con lei, oppure perché pensare a Gomi in quel modo, insieme a tutti gli altri suoi amici, la facesse stare così bene al punto da sorridere anche quando parlava di loro. D’altronde le erano sembrati così affiatati nel ricordare la loro estate insieme, che quella teoria poteva essere più che fondata. Tuttavia, Sana sperò che la prima opzione fosse quella giusta, e non riuscì nemmeno a spiegarsi il perché di quella speranza lontana. In fondo, non sarebbe rimasta a lungo in Giappone e sperare che i suoi vecchi amici provassero ancora un minimo di affetto per lei non avrebbe comunque avuto alcun seguito.
Sarebbe andata via in ogni caso.
«Già, è stato lui il primo ad insistere perché uscissi stasera, nonostante l’incidente. Invece di dirmi di stare al riposo eccetera.»
«Ma figurati. Per lui bere e fare baldoria sono al primo posto nella lista dei pilastri portanti della vita.»
Sana guardò Hisae che invece continuava a tenere lo sguardo fisso verso il punto in cui erano spariti Akito e Tsuyoshi. Avrebbe voluto chiederle come se la passava e cosa faceva ora per vivere, ma qualcosa le stava dicendo che lei non aveva in realtà molta voglia di fare conversazione, perché quelle frasi buttate lì avevano lo stesso sapore di quelle scambiate con Akito poco prima. 
Poi quell’idea si concretizzò, quando Hisae scattò in avanti appena l’auto di Akito fece la sua comparsa.
«Siete lenti come lumache, mi sono congelata qui fuori.» disse lei, infilandosi in macchina, sedendosi esattamente dietro Akito. Sana la seguì, ma più lentamente cercando di non fare qualche danno alla macchina di Hayama con la sua stampella.
D’istinto, guardò in avanti in corrispondenza dello specchietto retrovisore, e sussultò quando incrociò lo sguardo di Akito fisso su di lei.
«Andiamo, ci abbiamo messo un secondo.» disse Tsuyoshi, rivolto ad Hisae. Quest’ultima corrugò la fronte, mentre accanto a lei, a pochi centimetri, Sana abbassò lo sguardo seguendo nuovamente un istinto che non riusciva più a comprendere. Chiuse rapidamente la porta, e solo in quel momento il suo sguardo si levò nuovamente verso Akito, per scoprire che proprio in quell’istante lui aveva distolto il suo, partendo con l’auto.
Sana a quel punto si voltò verso Hisae, ma lei aveva lo sguardo fisso in avanti.
«Hayama portami subito a casa, ho freddo e domani mattina lavoro presto.»
«Desidera altro, Kumagai?» le rispose lui ironico.
«Desidero tante cose. Cose che tu non puoi darmi però.»
«Oh, che peccato.»
«Vorresti, ma non puoi.»
«Potrei, ma non voglio.» disse lui, continuando a mantenere un’espressione priva di lettura.
«Sì, certo Hayama. Su, muoviti.» concluse lei, facendo trasparire un sorriso leggere. Sana, che aveva seguito i loro movimenti in un religioso silenzio, non si rese conto di aver corrugato la fronte perché probabilmente alla base di quell’espressione si faceva largo la curiosità di conoscere la natura di quel rapporto.
Eppure, le era sembrato abbastanza chiaro nel corso della serata. Hisae, Akito, Tsuyoshi e Gomi erano amici da anni e, a differenza sua, erano sempre rimasti a Tokyo senza mai perdersi di vista. Questo, naturalmente, aveva generato un rapporto molto profondo tra loro, fatto di ricordi e momenti passati insieme, così come battute ironiche e confidenza che Sana riusciva a percepire anni luce lontana da lei.
Nonostante questo, però, c’erano numerosi tasselli che non le tornavano. Poi si domandò se davvero volesse che quel puzzle si completasse, finché il suo corpo non sussultò. Istintivamente appoggiò il palmo di una mano contro il sedile di Tsuyoshi e guardò verso Akito che, nuovamente, aveva gli occhi su di lei. Solo in quel momento allora si rese conto che erano fermi, e che Hisae stava raccogliendo le sue cose per poi uscire dall’auto.
Sana guardò fuori dal finestrino, assottigliando lo sguardo. Si domandò dove fossero, perché la sua memoria non riusciva a cogliere nessun oggetto o edificio a lei familiare. Poi, ad un tratto, notò un cancello di ferro che dava su un parco poco illuminato. Riconobbe il parco di Ikebukuro all’istante, collegando il fatto che Hisae ora viveva in quel quartiere.
Non disse nulla, ma si limitò ad osservare la ragazza di spalle raggiungere un alto edificio di fronte il parco di Ikebukuro per poi appoggiare la fronte al finestrino della macchina, mentre Akito ripartiva lentamente.
Tsuyoshi invece abitava ancora nello stesso quartiere di quando erano ragazzini. Nonostante il tempo, Sana ricordava ancora abbastanza bene il giorno in cui lei e Akito erano andata a casa del loro comune amico ad aiutarlo con il trasloco, subito dopo il divorzio dei suoi genitori.
Ripensò per un istante a quel ricordo lontano, quasi appartenente alla vita di qualcun altro, e per l’ennesima volta si domandò quanto del vecchio Akito Hayama che conosceva ci fosse in quella macchina. Di se stessa, della Sana Kurata che aveva trascinato a forza tutta la sua classe molti anni prima, non c’era rimasto davvero più nulla, pensò. Forse l’apparenza, quella continuava a restare immutata. Ma la forza che un tempo sentiva di avere, l’ardore che la muoveva in ogni cosa che faceva, aveva lasciato il posto a ben altre sensazioni.
«Ehi, Sana… ci sei?» le domandò all’improvviso Tsuyoshi, agitando una mano davanti al suo viso. Sana fu colta alla sprovvista, perché all’improvviso aveva completamente dimenticato dove si trovasse. 
«S-sì… sì, dimmi.»
«Dicevo, allora io vado.» disse lui.
Sana si domandò dove stesse andando, ma lui non le diede il tempo di trasformare quel pensiero in una frase concreta.
«Spero proprio di riuscire a rivederti prima che tu parta. Possiamo organizzare ancora una serata insieme, se ti va.» aggiunse, uscendo dall’auto di Akito. Si diresse poi verso la sua porta, e la aprì.
Sana lo guardò come se fosse approdato da un altro pianeta, ma Tsuyoshi le rispose con un sorriso divertito. 
«Non vorrai mica fargli fare da taxi?» le domandò, indicando Akito con un cenno del capo. A quel punto lei guardò in direzione dell’altro, e lo trovò impegnato a trafficare con qualcosa che custodiva all’interno del cruscotto. Rivolse poi un debole sorriso a Tsuyoshi.
«No, certo che no.»
Tsuyoshi poi ne approfittò per salutare la sua vecchia amica con un abbraccio, ma per qualche strana ragione Sana non lo trovò così assurdo. Anzi, ricambiò il gesto volentieri, per poi prendere il suo posto accanto ad Akito.
Quando Tsuyoshi scomparve dalla loro vista, Sana rivolse lo sguardo verso Hayama e scoprì che ciò che stava cercando nel cruscotto della sua auto non era altro che il caricabatterie del cellulare. Rimase qualche istante a fissare lo schermo scuro del cellulare, finché la voce dll’altro non la riportò alla realtà.
«Abiti sempre lì?» le domandò, guardandola senza alcuna espressione specifica.
Sana annuì con il viso, finché poi Akito non partì lasciandosi alle spalle l’edificio in cui abitava Tsuyoshi. Tutt’ad un tratto le sembrò così normale che lui sapesse perfettamente dove abitasse.
La macchina di Akito era una comunissima utilitaria di colore scuro, con gli interni in tela grigia. Non aveva chissà quale tecnologia avanzata o luce strana che si accendeva con il semplice tocco delle dita. L’unica cosa lontanamente tecnologica che aveva era il caricabatterie del cellulare collegato al foro in cui, di norma, ci si accendeva le sigarette. Ma quello, pensò Sana, ce lo avevano tutte le auto.
Avvicinò poi l’indice verso il cruscotto, e solo allora lesse la scritta “Toyota”, proprio mentre cercava il pulsante che le avrebbe permesso di aprire il finestrino del suo lato.
Accarezzò le lettere in rilievo di quella marca disposta al centro del cruscotto come se stesse esplorando le pareti di una grotta mai penetrata, una ad una, poi spostò le dita di qualche centimetro più in là e poi, nuovamente verso di lei, finché altre dita la raggiunsero.
Sana alzò lo sguardo verso Akito che invece continuava ad essere concentrato sulla strada davanti a sé, ma in quel momento sentì l’aria fredda che le solleticava il viso. Si voltò verso il suo finestrino aperto di appena un quarto.
Poi l’auto si fermò ad un semaforo rosso.
«Grazie, non riuscivo a capire come si aprisse.» disse lei, abbozzando un sorriso. Hayama però non distolse mai lo sguardo dalla strada, se non per un istante quando controllò il suo cellulare ancora in carica.
«Me ne ero accorto.» rispose poi lui, senza troppa enfasi.
In poco tempo, l’auto di Akito si riempì dell’aria gelida proveniente dall’esterno, quindi lui guardò Sana poco prima che il semaforo tornasse ad essere verde.
«Hai davvero così caldo?» le domandò lui ad un tratto, sorprendendola.
«Chi? Io?» domandò lei a sua volta.
«Sei tu quella che ha aperto il finestrino, o no?»
«Ah… be’, non è che avessi proprio caldo. È che volevo prendere una boccata d’aria.» si affrettò a spiegare, per poi iniziare a chiudere nuovamente il finestrino.
«Non mi dà fastidio, comunque.» le disse Akito.
«Oh no, non vorrei che ti ammalassi per colpa mia. L’aria in effetti è davvero fredda.»
«Non sarà certo un po’ di aria fresca a farmi ammalare, Kurata.»
E nel sentirgli pronunciare il suo nome, per la seconda volta quella sera, si domandò fugacemente se per quella conversazione potesse esserci un briciolo di speranza.
«E invece potrebbe eccome. Qui fa molto più freddo di Seul, l’avevo quasi dimenticato questo gelo.» disse lei senza nemmeno pensare alle sue stesse parole e al fatto di aver appena ricordato ad alta voce tutti quegli anni lontani dalla sua casa, dai suoi vecchi amici e dalla vita che conduceva molto prima che tra lei e Akito ci fossero quelle frasi di circostanza. Eppure, pensò brevemente, se ci pensava attentamente i momenti di imbarazzo tra lei e l’altro non erano stati rari nemmeno poco prima della sua sparizione. Sempre che quello che stava vivendo in quell’auto fosse un momento di imbarazzo per entrambi. 
Poi lui si voltò appena verso di lei.
«Sei proprio sicura che a Seul non faccia così freddo?»
«Certo che lo sono. Ci vivo da un sacco di tempo ormai, cosa credi?» rispose lei, accigliata.
«D’accordo, non è mica così importante.» 
A quella risposta secca Sana non rispose subito, perché si rese conto di essere stata troppo brusca nella sua risposta. In realtà, pensava semplicemente di aver dimenticato com’era quando erano due ragazzini e come erano le loro conversazioni.
Si guardò le mani, le dita intrecciate senza averlo fatto con una vera consapevolezza o volontà, poi si voltò verso Akito, che continuava ad avere lo sguardo inchiodato sulla strada.
«Tu invece… abiti ancora lì?» sottintendendo la casa che condivideva con suo padre e sua sorella Natsumi. 
«Sono andato via da parecchio.»
«Oh, be’, certo. Che domande…»
Quell’osservazione da parte di lei però non ebbe nessun seguito, perché la risposta di Akito le sembrò secca, priva di qualsiasi volontà di approfondire l’informazione. Eppure, Sana si sentì così curiosa di sapere dove vivesse in quel momento, e con chi. 
Poi decise di smettere di pensarci perché, in fondo, non erano affari suoi con chi il suo antico primo amore divideva la vita e un’ipotetica casa.
«Scusa, ti dispiace se mi fermo un attimo?» disse poi lui all’improvviso. Lei lo guardò e quasi le sembrò che quella voce arrivasse da un interfono, e si domandò quale fosse il motivo di quella richiesta. Però Akito in realtà aveva già voltato l’auto verso un konbini poco distante, senza dare il tempo a lei di chiedergli il motivo di quella pausa.
«No, tranquillo. Fa’ pure.» gli rispose soltanto, quando l’auto era ormai già ferma davanti all’ingresso del konbini. Hayama, senza fiatare, spense l’auto, staccò il cellulare dalla carica e si precipitò verso l’ingresso dello store. Sana osservò la scena impasse, guardando l’altro mentre chiedeva qualcosa al commesso che in pochi istanti gli aveva indicato un punto in fondo al negozio, dietro gli scaffali.
«Ma certo… il bagno.» disse a se stessa, sentendosi fiera di quella scoperta. In pochi minuti poi, afferrò la stampella e uscì anche lei, avviandosi verso il negozio. 
Quando raggiunse il konbini sentì subito il tepore del calore del negozio, rendendosi conto di quanto effettivamente fuori facesse freddo. Poi notò molte cose disposte sugli scaffali del konbini che non vedeva da tanto tempo, da quando aveva lasciato il Giappone. Quel tipo di negozi, nello specifico un Seven Eleven, esisteva anche a Seul, ma alcuni prodotti non li aveva mai più visti. Uno tra i tanti la zuppa soba con i noodles istantanei*.
A quel punto Sana si avvicinò proprio alle confezioni di soba, di svariati gusti, e ne prese subito una tra le mani.
«Che buona che sei…» disse alla confezione, rigirandosela tra le mani. E in quel momento, probabilmente ispirato dall’oggetto che Sana teneva tra le mani, il suo stomaco brontolò rumorosamente.
«Cosa darei per mangiarti qui, ora e subito.» mormorò, con un tono della voce decisamente sconfitto. Insomma, era assolutamente consapevole che quello non era il momento per sedersi in un Convenience Store e mangiare una zuppa di noodles, mentre il suo accompagnatore – che probabilmente non aveva tutta quella voglia di passare chissà quanto tempo in sua compagnia - era in bagno.
«Però mi manchi così tanto, ed ho così fame…» quasi rispose al suo stesso pensiero.
Poi ad un tratto si sentì osservata.
«Da quand’è che non mangi, Kurata?» le domandò Akito, materializzatosi all’improvviso accanto a lei.
«Da molte ore, direi.» rispose lei, continuando a mantenere il tono della voce di poco prima.
Prese quindi la difficile decisione di riporre la confezione di soba sullo scaffale, accanto alle altre confezioni identiche, pensando che avrebbe mangiato a casa sua. Non la soba, certo… ma qualcosa l’avrebbe pur trovata. Poi si sistemò la stampella e si voltò verso l’uscita del konbini, ma in quel momento Hayama mosse solo un braccio, proprio in direzione della confezione di soba abbandonata sullo scaffale. 
Sana lo guardò stranita, mentre lui si rigirava la confezione di noodle istantanei tra le mani. Le sembrò che stesse leggendo il contenuto di quella zuppa sul retro della confezione, ma poi si disse che nessuno al mondo si sarebbe messo a leggere cosa ci fosse in quella roba invece di mangiarsela. 
In realtà, Hayama stava facendo altro.
Afferrò un’altra confezione di noodle al brodo di pollo e le mostrò entrambe a Sana.
«In effetti… anche io non mangio da parecchio.» le disse, avviandosi verso il microonde disponibile a tutti i clienti del negozio. Sana lo osservò senza fiatare, perché quella sua azione le sembrò così assurda. Probabilmente perché non se lo sarebbe mai aspettato, nonostante non riuscì a darsi una spiegazione per quel pensiero. In fondo, non stava facendo nulla di così assurdo.
Al di là di tutto, Sana si sentì sollevata e anche contenta in quel momento, e non certo per la zuppa che avrebbe mangiato di lì a poco.
Almeno, non solo per quello.
Si sedettero entrambi al tavolo disposto proprio davanti al vetro del negozio e Sana, incurante della temperatura dei noodle, aprì la sua confezione in fretta e furia, bruciandosi le mani con il brodo bollente.
«Ahi, che male.» esclamò subito. Akito la guardò, puntandole poi le bacchette in faccia.
«Ma che fai?» le domandò retorico.
«Cerco di mangiare.»
«Be’, dovresti sapere che se metti qualcosa in un microonde poi diventa bollente.»
«Certo che lo so.» disse accigliata. Poi aggiunse «E tu dovresti sapere che non si puntano le bacchette sul viso di qualcuno. È da maleducati.»
«Ah sì?»
«Guarda che frequento un sacco di posti di lusso… so bene come ci si comporta a tavola.» disse lei, avvolgendo una grossa manciata di noodle con la punta delle sue bacchette. Lui però non rispose, limitandosi a rivolgerle una specie di ghigno che lei, sulla base dei suoi ricordi, interpretò come una smorfia positiva.
In quel momento, mentre mangiava i suoi noodle accanto ad Akito, che faceva lo stesso, le venne in mente un pensiero improvviso e del tutto spontaneo. Pensò che in fondo aveva fatto bene ad accettare l’invito di Tsuyoshi e che, magari, con il tempo i suoi vecchi amici avrebbero anche potuto riaccettarla di nuovo. Quel momento passato insieme ad Hayama, seppur in silenzio, le sembrò così intimo e naturale che sperò di non terminare mai la sua zuppa.
Tuttavia, quel momento arrivò e Akito accartocciò la sua confezione di zuppa ormai vuota e la gettò via.
«Ci sei?» le domandò, afferrando le chiavi della sua auto dalla tasca dei suoi pantaloni.
«Sì, certo. Ho finito.» rispose lei, afferrando la stampella e avviandosi verso l’uscita del negozio, seguendo Hayama che si avviava verso la sua auto.
Sana entrò velocemente, tornando al suo posto e sfregandosi le mani con l’intento di riscaldarsi. Si strinse nelle spalle, finché Akito non le rivolse un’occhiata sollevando un sopracciglio. Non disse nulla, limitandosi a chiudere il finestrino del lato di Sana che lei aveva inavvertitamente lasciato aperto.
«Ci voleva proprio quella zuppa. Ora posso tornare a casa e infilarmi dritta nel letto.» disse lei, senza nemmeno accorgersi del gesto di Akito. Quest’ultimo invece aveva infilato la chiave nella toppa, ma quando provò ad accendere l’auto l’unica cosa che sentì fu il rumore del motore che cercava di collaborare per poi cedere.
Sana allora si voltò verso di lui, con uno sguardo interrogativo.
«Che succede?» domandò, senza però ricevere risposta.
Akito rilassò le spalle e, pensando che quel tentativo di accendere la sua auto non fosse andato a buon fine a causa del freddo, decise di aspettare qualche secondo. Si diede un’occhiata in giro, per passare il tempo, poi impaziente ci riprovò.
Di nuovo sentì il rumore della fatica del motore che, lentamente, si affievoliva fino a scomparire.
«Dannata auto.» imprecò, riprovando più e più volte ad accendere la macchina, senza però riuscirci mai.
Sana era ormai quasi sparita nel suo cappotto e quando Akito se ne accorse, accese subito l’aria calda. Tuttavia, l’auto continuava a non volerne sapere di partire.
«Ti è mai successo prima?» domandò lei.
«Qualche volta.» 
«Come qualche volta? E tu continui ad andare in giro con un’auto rotta?»
«Calmati Kurata. Di solito dopo un po’ parte…» disse in tono deciso, appoggiando entrambe le mani sul volante dell’auto. Sana non disse nulla, finché non si udì nuovamente il gracchiare del motore che cercava di sollevarsi sotto l’ennesimo tentativo da parte di Akito di accendere l’auto.
A quel punto il ragazzo fece un profondo sospiro finché non batté violentemente la mano stretta a pugno sul volante. E lo fece talmente forte che all’improvviso suonò l’antifurto della sua stessa auto.
«Chi è che deve calmarsi…» sussurrò Sana, facendogli quasi il verso, ma stando ben attenta a non farsi sentire. 
Akito non emise alcun suono, limitandosi a restare immobile con le mani fisse sul volante. Sana, dal canto suo, aspettava trepidante una qualsiasi soluzione da parte del ragazzo, rendendosi conto solo in quel momento che il suo corpo stava tremando vigorosamente.
«D’accordo, faremo così.» disse lui all’improvviso, senza dare a Sana alcun margine di comprensione. Estrasse poi dalla tasca dei pantaloni il suo cellulare e la ragazza immaginò che stesse per chiamare aiuto, ringraziando mentalmente il fatto che lui lo aveva caricato poco prima di fermarsi a quel konbini.
Entrambi attesero gli squilli dall’altra parte, finché le labbra di Akito non si mossero.
«Sono io. L’auto si è fermata di nuovo… sì.»
A quel punto Sana capì che aveva chiamato qualcuno che conosceva già il problema della sua macchina.
«Sì, scusami. Sono fermo al parcheggio di un konbini non lontano da casa di Tsu. Ti mando la posizione.» disse, per poi riagganciare subito dopo. Si rimise il cellulare in tasca rivolgendo un’occhiata a Sana.
«Hai ancora freddo?» le domandò stupito.
«Be’, siamo in inverno. Credo sia normale.» 
«Comunque ci metterà poco ad arrivare.» disse soltanto, senza specificare di chi stesse parlando. Allora Sana pensò che si trattasse sicuramente di qualcuno che lo conosceva bene, perché Hayama aveva menzionato non solo Tsuyoshi, ma addirittura casa sua. E in quel momento si scoprì stranamente curiosa di scoprire chi sarebbe giunto a salvarli, di lì a breve a quanto pareva.
«Speriamo.» disse lei, infine, stringendosi ancora di più nella giacca.
Akito non replicò in alcun modo, limitandosi a guardare fuori dal finestrino in attesa di fari familiari. Appoggiò la fronte contro la mano chiusa a pugno, il gomito sul davanzale del finestrino serrato dell’auto. E in quel momento, mentre la sua attenzione e i suoi pensieri erano immersi in un mare completamente diverso, lo sguardo di Sana si posò proprio su di lui. Pensò che quello fosse il primo momento della serata in cui aveva davvero la possibilità di osservare il suo viso senza avere la preoccupazione di occhi inquisitori addosso. E pensò anche che sì, in effetti era cresciuto, il suo viso da bambino aveva lasciato il posto a lineamenti più duri e marcati, ma i capelli erano rimasti gli stessi. Il colore era lo stesso, così come la lunghezza e il modo di portarli spettinati davanti al viso, e in quella posa concentrata, sembravano ancora più disordinati. 
Poi lui si voltò di scatto e lei si sorprese di quanto lo spazio in quella macchina fosse ridicolo.
«Stai bene Kurata?» le domandò in un tono stranito.
«Sì… sì, certo. Piuttosto, pensi che dovremo aspettare ancora molto?»
Lui si guardò nuovamente intorno, finché entrambi non furono abbagliati da due fari che lampeggiavano proprio davanti a loro.
«Non penso.» disse lui, infilandosi le chiavi della sua auto in tasca. Fece poi segno a Sana di seguirlo ed entrambi scesero dall’auto.
Sana si rese conto di quanto freddo faceva fuori solo quando quell’aria gelida le tagliò letteralmente il viso. Poi vide finalmente qualcuno uscire dall’auto appena giunta, e corrugò la fronte quando capì chi aveva davanti.
«Akito!» disse la ragazza. Sì, perché da quell’auto uscì fuori una ragazza con un lungo e pesante cappotto che le arrivava fino alle caviglie. Nonostante il pesante indumento e una grossa sciarpa avvolta al collo, Sana riconobbe subito l’infermiera che le aveva fatto visita durante il suo ricovero all’ospedale di Gomi.
E si domandò cosa ci facesse lì.
Poi il modo in cui lei abbracciò Akito, nonostante l’ingombrante indumento, non lasciarono dubbi all’interpretazione. Perfino ad una come Sana Kurata.
«Sarete morti di freddo. Come stai Sana?» le domandò, una volta che il suo sguardo si era posato proprio su di lei. Sana in quel momento si voltò verso la sua spalla e si accorse che la mano di quella ragazza proprio in quel punto. 
«Bene…»
«Eppure ti avevo detto di usare la mia auto stasera.»  si rivolse poi ad Akito, appoggiandogli una mano sul braccio, «Comunque andiamo, altrimenti vi congelerete sul serio.» concluse, avviandosi verso la sua auto, affiancata da Akito.
Sana ci mise qualche secondo prima di muoversi, poi appoggiandosi alla stampella si avviò verso l’auto della ragazza parcheggiata a pochi passi da loro.
«Mi sa che non ci siamo mai presentate. Io sono Fumiko Haruki.» disse mentre infilava le chiavi nell’auto. 
«Piacere, Sana Kurata.» disse, senza riflettere sul fatto che l’altra sapesse perfettamente il suo nome.
«Oh, lo so, lo so. Non ti ricordi, ci siamo viste in ospedale. Vedo che stai meglio.»
«Sì, sono quasi guarita ormai.» 
Fumiko era ormai partita e mentre chiacchierava con Sana, Akito si era infilato in un religioso silenzio.
«Avrei voluto essere dei vostri stasera, ma sai com’è… il lavoro.»
«Sì immagino.»
«Magari sarà per un’altra volta.» aggiunse con un sorriso.
Sana rispose allo stesso modo, senza però proferire parola. Si domandò quanto tempo ci volesse ancora per arrivare a casa sua perché per qualche motivo che non riusciva a capire, si sentiva completamente fuori luogo in quel posto.
Poi, finalmente, notò il vialetto di casa sua e si domandò come facesse quella ragazza a sapere dove abitava.
«Ora gira a destra.» disse poi Akito all’improvviso, finché l’auto non si fermò.
«Eccoci. Spero non sia troppo tardi per te. Akito, perché non l’accompagni?» disse Fumiko.
«Oh no, no. Non ce n’è bisogno. Sono praticamente arrivata.» si affrettò a dire lei, fiondandosi fuori dall’auto in pochissimi istanti.
Solo quando era ormai fuori, si voltò verso i due all’interno dell’auto.
«Grazie per il passaggio. Io vado.» disse in fretta, e stringendosi nel cappotto si avviò verso il cancello di casa sua. 
Era successo tutto così in fretta che non riusciva ancora a capire cosa stesse provando. C’era però una cosa che non riusciva a togliersi dalla testa, e quella cosa era proprio il nome di quella ragazza, Fumiko.
Si avviò lentamente verso la porta di ingresso di casa sua, e man mano che si allontanava dall’auto ormai già andata, si sentiva sempre più strana. Se ne avesse capito il motivo, avrebbe definito quella sensazione sotto il nome di delusione, ma proprio non riusciva a decifrare il suo stato d’animo.
Si infilò la mano libera in tasca, per proteggersi dal freddo, e sotto le dita sentì subito qualcosa. 
Dalla tasca del cappotto estrasse un cartoncino ruvido, che le era stato dato solo qualche ora prima. Con la punta dell’indice sfiorò le lettere in rilievo che formavano il nome di Jun Watanabe e immediatamente accanto il suo numero di cellulare.
 
 
 
 
 ** Immagino che in Corea si trovi di tutto, quindi questa è una mera licenza poetica.

*Note d'autrice*
Dopo anni, secoli e millenni sono di nuovo qui. Ci ho messo una vita a scrivere questo capitolo è vero, ma a mia discolpa posso dire che sono in Africa da due mesi e non ho avuto praticamente tempo di fare nient'altro. Approfitto del coprifuoco e alla clausura dovuto a manifestazioni per pubblicare.
Avrei voluto mettere una canzone come sempre, ma qui sta succedendo un po' un casino e il Governo ha tagliato l'accesso ad alcuni social. Spero che per il prossimo capitolo sarà tutto risolto.
Ma ciancio alle bande... che ve ne pare? Spero che questa sfilza di pippe mentali vi piaccia e che mi facciate sapere la vostra opinione.
Grazie a tutti quelli che ancora mi seguono, siete preziosi.
Tanti baci
Alex
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: AlexSupertramp