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Autore: Mercurionos    15/02/2023    1 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Capitolo 31 – Alba e Cenere, Parte 4 – Anno 2, 1/3 Frimaio
 
Qualche decina di minuti più tardi, il gruppo di studenti era in volo sopra le pianure di Carioph. Ogni tanto Vegeta si passava le dita tra i capelli, in cerca di qualche granello di polvere o di cenere ancora impigliato nella sua chioma.
“Allora, ci vuoi dire cosa è successo?” chiese a un tratto Pump.
Vegeta le rispose con secco “Tsè.”
“Eddai, Vegeta! Facevi morire dal ridere, ti stavano ancora andando a fuoco ciocche di capelli!”
“E smettila di…! Come vuoi, ve lo dico. Tanto non ha senso non parlarne.”
Sentendo queste parole, gli altri cinque si avvicinarono al principe dei saiyan.
 
“La capitale è su una penisola, è facile da trovare. Di soldati in giro non ne ho visti tanti, e quelli che c’erano stavano scappando come dei codardi. Non appena mi sono avvicinato, però… mi hanno bersagliato, con tutto quello che avevano, evidentemente.”
“Chi ti ha ‘bersagliato’, scusami?” chiese Patty.
“Tutti, dannazione, tutti! Ogni singolo cannone che hanno piazzato per la città, per le mura, sui palazzi, sui tombini, ovunque, diamine! Mi hanno beccato subito, come se fossi un maledettissimo bersaglio luminoso nel cielo!”
“E non sei riuscito a respingere gli attacchi?” domandò Sabrina, sinceramente stupita dalla singolare situazione.
Vegeta grugnì qualcosa, poi rispose: “…No. Sono in troppi. Anche quelli più lontani mi colpivano senza problema. Immagino che il mio immenso livello di combattimento sia facile da individuare, per i loro sensori.”
“Naturalmente.” Commentò Frida, senza farsi sfuggire alcuna nota di sarcasmo.
 
“Ho provato a sorvolare la città, ma anche a qualche chilometro di altezza facevo fatica a muovermi, in mezzo a tutte quelle esplosioni. Allora ho pensato di avvicinarmi dal mare, volando basso, però…”
“Però?” fece Radish.
“…Però sono stato anticipato. Non mi è piaciuto, hanno cominciato a bombardare il mare e la costa prima ancora che terminassi la discesa.”
“Hanno anticipato le tue mosse, in pratica.” Disse qualcuno.
“Devono avere delle componenti di mira moderne.” Ipotizzò qualcun altro.
Vegeta non rispose, invece si chiuse in sé stesso a rimuginare sui propri dubbi. Lì per lì avrebbe confermato l’ipotesi dei compagni, ma decise di non assecondare il proprio intuito. Il principe tacque un dubbio talmente lontano nella sua mente, da non riuscire lui stesso a intravederlo né a dargli forma. Si morse un labbro, e continuò in silenzio il volo.
 
Quando il gruppetto, un paio d’ore più tardi, raggiunse la regione collinare nel Nord-Ovest, si ritrovarono dinanzi ad una terra desolata e silenziosa. Le acque del lago, stretto e lungo, inciampavano senza far rumore sui ciottoli. L’erba taceva sotto l’ombra degli abeti muti e freddi, nella disperata attesa di un poco di vento, che non arrivò. Sulla cresta dei colli nulla si muoveva. L’aria era umida e stagnante, come se dovesse piovere.
 
Al centro di una zona pianeggiante di modeste dimensioni, sorgeva il famigerato centro di comando numero 2: un castello d’acciaio bianco in tutto e per tutto identico alla fortezza visitata dai cadetti il giorno precedente, se non per un particolare che incusse una certa irrequietudine nei cuori dei giovani soldati: l’odore. La terra di quel posto aveva un odore che Vegeta conosceva molto bene, un aroma putrido e acre che anche Radish ricordava.
 
Le ragazze aprirono le grosse ante del portone d’ingresso, ricoperte di bolle e bruciature. Sabrina pietrificò all’istante non appena si fu sporta oltre l’uscio.
C’erano venti, forse trenta corpi ammassati al centro del cortile interno. Tutti soldati dell’esercito, sfoggianti l’inconfondibile armatura dalle ampie spalline. Segni di ustioni sui loro volti, lacerazioni profonde e chiazze di sangue ormai freddo sui loro corpi.
 
Vegeta entrò nella struttura senza farsi troppi problemi: balzò oltre la pila di cadaveri e procedette a guardarsi intorno. Radish poco dopo lo imitò, ma non prima di esser rimasto, per qualche istante, fermo ad ammirare il cruento spettacolo.
Nessuno fiatò. Pump e Patty volarono verso il tetto ed esaminarono i segni di una battaglia non troppo lontana nel tempo: l’artiglieria della fortezza era stata eliminata con precisione, da armi abbastanza potenti da sciogliere e piegare il metallo, da sradicare i cannoni montati sulle torri della struttura. Frida resto all’ingresso ed esaminò distaccata i resti dei soldati caduti, senza lasciar trasparire alcun segno di disagio: spostò i corpi senza vita in cerca di qualcosa, come traspariva dal suo sguardo concentrato e penetrante, ma non giustificò la ricerca ai propri compagni. Sabrina restò ferma, in silenzio, a osservarla.
 
“È qui!” gridò ad un tratto Vegeta. Andarono tutti in fretta verso il secondo piano della struttura, passando dai balconi aperti sul cortile. Vegeta aveva fatto a pezzi una porta sigillata, come si poteva notare dai bordi della cornice, squagliati e saldati, e dietro vi aveva trovato quello che doveva esser stato il centro di comando. Entrarono senza proferir parola, soltanto esaminando le pareti e le innumerevoli console di controllo, piene di leve e pulsanti.
 
Radish sbuffò, e tirò un paio di volte il colletto della tuta. Nella centrale di controllo del sistema di comunicazione c’erano almeno quindici, venti gradi in più rispetto all’esterno, e non una singola finestra da spalancare. L’aria era secca e la stanza odorava di polvere e bruciato.
 
“Qui.” Disse Radish all’improvviso.
“Cos’hai trovato?” Frida gli si avvicinò subito, e presto la seguirono le altre ragazze.
Il saiyan indicò un pannello da cui sbucavano alcuni cavetti colorati e attorcigliati su loro stessi, sul telaio di un grosso apparecchio metallico piazzato al centro dello stanzone: “È stato manomesso.”
“Dici che con questo disturbano gli scouter?”
Radish scosse la testa: “Servirebbe un’antenna bella potente, e questo – indicò un cavo elettrico tranciato a metà, di colore azzurro – non è connesso.”
“E allora cosa fa?” chiese Sabrina, sinceramente incuriosita.
“Credo fosse un nodo del sistema di comunicazione. Hanno staccato quasi tutte le funzioni, ma la macchina è ancora in funzione…”
“E quindi?” fece Patty impaziente.
 
“Quindi sta comunicando qualcosa.” Vegeta si avvicinò agli altri.
“E che cosa? – chiesero – E a chi?”
Vegeta fece segno a Radish di scansarsi, poi tirò per bene i guanti sui polsi e staccò di netto il pannello pieno di cavi e tasti dalla macchina.
“Che diamine fai?” gli gridò contro Patty.
“Sta’ zitta.” Vegeta non disse altro.
Per un paio di silenziosi istanti, si sentì soltanto lo sfregare delle rapide dita di Vegeta sulla superficie dell’isolante, l’occasionale scricchiolio di una scintilla e l’incessante ronzio dei terminali.
 
Poi si udì un brusio, dall’altro lato della stanza. I ragazzi cercarono per un po’ nel buio, ma il rumore era svanito in fretta.
“Vegeta, prova a rifarlo.” Disse Frida.
Quello non rispose, ma mise mano al groviglio di fili elettrici e, come aveva appena fatto, fece combaciare le estremità di due cavetti.
 
Scrsc.
Di nuovo, lo stesso rumore.
Come per istinto, Radish si voltò a destra, verso una parete vicina. “Che strano.” Disse.
“Hai trovato qualcosa?” chiese Frida.
“Il rumore veniva dal teleschermo. Vegeta, puoi…”
Vegeta connesse di nuovo i due cavi e, ancora una volta, si sentì quel brusio.
“Sì, viene dal teleschermo.” Confermò Radish indicando la lastra di metallo lucente incastonata nella parete.
 
Restarono in silenzio per qualche istante, tutti a meditare sullo stesso pensiero. Fu Vegeta, che con un singolo pugno fece a pezzi il teleschermo, a confermare il dubbio: “I dannati ci stanno ascoltando.”
Uscirono a passi rapidi dalla struttura, e solo una volta raggiunta la prateria ripresero parola.
 
“Hanno sabotato il circuito dei teleschermi?”
“È così che hanno messo in ginocchio tutte le caserme?”
“Può darsi. Se potevano sentire e parlare senza farsi notare…”
“…hanno detto a tutto il pianeta di ribellarsi, nello stesso momento.”
“È per questo che non va il sistema di comunicazione?”
“No, non c’entra. I teleschermi funzionano su una rete diversa.”
“Gli altri computer erano manomessi. Senza quei nodi l’esercito non può comunicare con nessuno.”
“E gli scouter? Fanno interferenza in qualche modo?”
“Devono avere qualche aggeggio apposta, ma non qui.”
 
“Va bene. – disse Frida, ponendo fine a quei discorsi confusi – Il sistema di comunicazione è irrecuperabile in breve tempo, e molto probabilmente i ribelli hanno accesso a tutti i teleschermi del pianeta.”
“Significa che sanno quello che succede nei centri di comando.” Disse Pump.
 “E che sanno che siamo qui.” aggiunse Radish.
Frida annuì: “Esattamente. Dobbiamo avvisare il colonnello Zola e pianificare le prossime mosse con i soldati che restano.”
Vegeta fece un passo avanti: “Cosa vuoi che ci serva? Dividiamoci nelle città controllate dai ribelli ed eliminiamoli. In due giorni al massimo avremo finito.”
A Frida la proposta non piacque affatto: “Non se ne parla. Dobbiamo eliminare dei ribelli, non riconquistare il pianeta, né sterminare la popolazione. Se attacchiamo su più fronti sarà soltanto un caos incontrollabile e il pianeta non servirà più a nessuno.”
Il principe dei saiyan alzò gli occhi al cielo, ma non ribatté. Una breve passeggiata nel silenzio dei prati fu sufficiente a farlo tornare ai propri oscuri pensieri.
 
Le due squadre ripresero il volo e, quando il sole era già basso nel cielo, raggiunsero il centro di comando del colonnello Zola. Atterrarono davanti al portone principale, ma non procedettero. L’atmosfera era schiacciata da una cappa pesante, un invisibile e opprimente nube di sconforto. Non c’erano soldati di guardia pronti ad accoglierli, non c’era più vento né rumore, e il profumo di lavanda, tanto forte quella stessa mattina, non si insinuava più nei loro polmoni ad ogni respiro. Anzi, c’era un odore lontano, debole e nauseabondo, che purtroppo avevano già percepito quello stesso giorno.
 
I sei avanzarono lenti verso le porte, attesero che Frida spalancasse i due grossi battenti, poi videro. Si fermarono sul ciglio del portale, e lì rimasero.
I soldati nella fortezza si fecero da parte senza dir nulla, lasciando ai cadetti una strada per il centro del cortile interno. Questi non avanzarono da subito, ma attesero il primo passo di uno dei loro. Il primo a entrare nella fortezza, dopo un paio di silenziose deglutizioni, fu Vegeta. Anch’egli, nonostante la sua imperturbabile indifferenza, si era contorto in una smorfia ambigua e rabbiosa.
   
 
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