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Autore: EleAB98    18/02/2023    3 recensioni
Amanda Benassi è appena diventata una scrittrice affermata.
Non è mai stata una ragazza particolarmente estroversa, tantomeno appariscente. Tutto d'un tratto, si ritroverà catapultata in una realtà completamente diversa da quella di un tempo, diventando oggetto delle più svariate attenzioni maschili.
Ma sarà un uomo in particolare a catturare tutta (o quasi) l'attenzione della giovane, stravolgendo a poco a poco la sua esistenza.
Emozioni contrastanti faranno da sfondo a quella vita che, pur avendo sempre sognato, si rivelerà più impegnativa del previsto, mentre le ombre di un passato mai dimenticato la travolgeranno a viva forza, spingendola ad affrontare una verità del tutto sconvolgente.
Amanda sceglierà, prima o poi, di cedere alla forza dei propri sentimenti? Chi farà mai breccia nel suo cuore?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO VII


 



Fu il solito, insistente brontolio del suo stomaco a ridestarla dal mondo dei sogni. E che sogni! si disse Amanda, mentre si stiracchiava infilando i piedi nelle pantofole. Federico, Alessandro, la comparsa improvvisa – e fuori luogo! – di Monica (che tra l'altro urlava come un'ossessa), un assurdo testa a testa tra i primi due uomini, che in quella strana circostanza l'avevano trattata come fosse un soprammobile, un semplice – quanto ambito – trofeo da conquistare... «Manco fossimo tornati al Medioevo!» borbottò, a mezza voce. Si sforzò di ricordare se, per puro caso, le fossero apparsi entrambi in tenuta da battaglia. Scosse la testa, ridendo al solo pensiero di vederli con indosso un'armatura pregiata e scintillante. Lancia in resta, la spada sguainata al momento giusto. Amanda sogghignò tirando, nel frattempo, una sonora imprecazione al suo povero stomaco, che continuava a implorare pietà. O meglio, cibo da mettere sotto i denti.

Non poteva farci niente: tutte le mattine, alle otto in punto, un incredibile senso di fame la faceva quasi scattare dal letto all'improvviso e, nelle vesti di un perfetto un automa, la obbligava a prepararsi immediatamente, al ritmo di una volpe lesta e non meno astuta che tenta in tutti i modi di agguantare la preda di turno.
Amanda corse in bagno e, dopo essersi sciacquata in viso e sistemata alla bell'e meglio i capelli – fortuna che li aveva lisci! pensava spesso –, applicò un filo di eyeliner intorno agli occhi. Di solito non lo metteva mai e, anzi, odiava a morte truccarsi, ma per quel giorno fece uno strappo alla regola, pur non sapendo bene il perché. Condì il tutto a un lip gloss rosa – di quello, a differenza del resto, se ne fregiava ben volentieri – e, vestitasi come al solito, uscì dalla stanza.
Un vago sentore di caffè, accompagnato all'invitante odore delle brioches appena sfornate, la spinse ad allungare il passo lungo l'ampio corridoio e a scendere di corsa le scale. Talmente di corsa, che non fece neanche in tempo a frenarsi. Dopo qualche secondo, si ritrovò tra le braccia di Alessandro.

«Wooh! Dove vai così di corsa?» le domandò, inarcando un sopracciglio.

Ritrovarsi spiaccicata sul suo petto le fece abbassare immediatamente lo sguardo. Si scostò da lui, pregando che le guance avessero mantenuto un colorito normale. «Secondo te?»

Lui fece un mezzo sorriso. «Ah, ho capito... c'è di mezzo il buonissimo cornetto all'albicocca che ho mangiato poco fa.»

«Hai già fatto colazione?!» domandò lei, incredula.

Alessandro scrollò le spalle. «Non ho dormito molto, questa notte. Perciò ho pensato di anticiparmi.»

«Come mai?»

«Pensieri», buttò lì, vago.

Amanda capì l'antifona. «D'accordo. Ma se per caso sentissi il bisogno di confidarti, sappi che ci sono.»

«Ah, non è niente di grave, te l'assicuro. Vale lo stesso per me, comunque.»

La ragazza gli sorrise con gratitudine, quindi tornò a scendere le scale a due a due, provocando l'ilarità di Alessandro. Un delizioso cornetto all'albicocca la stava aspettando a braccia aperte, e lei non voleva certo lasciarlo in mano ad altri.
 

§

 

Presentare il proprio libro per due giorni di fila in due città diverse doveva, secondo Amanda, essere dichiarato illegale.
Il treno fischiò, la partenza imminente. Prossima meta: Torino. Doveva confessarlo, aveva proprio un debole per quella città. Da piccola vi si era spesso recata insieme ai genitori, dato che suo padre era proprio di quelle parti. Sospirò, cercando di concentrarsi sulla lettura di un libro che forse non sarebbe mai riuscito a terminare – d'altra parte, erano state almeno due le volte che si era fermata a metà romanzo –: I Segreti del Professore di Cristina Rava, a dispetto del titolo intrigante, le era parso piuttosto noioso, e a nulla era valso il tentativo di farsi piacere quello stile di scrittura che, per molti versi, reputava assai particolare (complice il gergo regionale utilizzato dalla gran parte dei personaggi). Accantonò il romanzo, rassegnandosi al fatto che avrebbe trascorso l'intero viaggio a rivangare il passato. Pur essendo molto legata a quella città non poteva negare che, accanto agli innumerevoli e bellissimi ricordi infantili, l'avvenimento più sgradevole di tutti riusciva ancora a instillarle nel petto una profonda e assoluta tristezza. Non aveva mai accettato il divorzio dei suoi genitori, per quanto negli anni si fosse sforzata di guardare a quel fatto come a un qualcosa di assolutamente ordinarioper nulla originale e altrettanto prevedibile, come ormai si usava dire.

Malgrado tutto, aveva sempre creduto nell'amore. Non sapeva spiegarsi il perché, eppure non riusciva a figurarsi come un'isola, senza avere qualcuno al proprio fianco. Qualcuno che la sostenesse in ogni sua scelta, che la consolasse nei momenti di puro sconforto, che le donasse tutto se stesso senza riserve – cosa che i suoi, purtroppo, avevano fatto solo in parte.

Amanda fu colta dalla consueta, impellente nostalgia, mentre osservava i brulli scorci di paesaggio che il finestrino del treno le presentava.

Provò l'impulso irrefrenabile di chiamare il padre, ma comunque si trattenne. L'ultima volta che l'aveva sentito al telefono era stato un mesetto prima, ma ormai da anni era abituata a quello sporadico scambio. Dopo il divorzio dalla madre, si era inspiegabilmente allontanato da lei. Si erano sentiti e visti di rado, d'altra parte lui aveva cominciato ad accampare delle scuse tutt'altro che convincenti pur di non vederla. Inutile dire quanto Amanda ne avesse sofferto. Un bel giorno, prendendo coraggio, gliel'aveva anche detto. Aveva digitato di corsa il suo numero e, invitatolo a prendere un caffè al bar del centro, si erano incontrati con la scusa di chiedergli un consiglio urgente. Amanda era andata subito al dunque: «Perché sei così distaccato, papà?» gli aveva chiesto, raggiunti i sedici anni. «Non ti ricordavo così...»

Sulle prime, il genitore non aveva pronunciato una sola parola. Ad Amanda era sembrato piuttosto combattuto, come se avesse voluto dirle chissà cosa. Poi, però, le aveva risposto solo: «Io ti voglio bene, Amanda. E ti chiedo perdono se non riesco sempre a dimostrartelo. Posso... posso fare qualcosa per rimediare?»

«Mi piacerebbe vederci più spesso. Tutto qui.»

Il suo pesante sospiro riecheggiava ancora nelle sue orecchie. «Lo sai che lavoro tanto, tesoro. E adesso che—»

«C'è un'altra donna, vero?» gli aveva poi chiesto, di getto.

Lui aveva sgranato gli occhi. «Non dire sciocchezze.»

«Certo che c'è!»
Amanda aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola, tant'è che tutti gli avventori del locale si erano subito voltati verso di loro.

«Amanda, non ti permetto di—»

«Di giudicarmi? Lei è più importante di me.»

Il tono di Amanda, di nuovo sommesso, l'aveva fatto placare all'istante.

«Io non ho mai tradito tua madre, se è questo che pensi. L'amavo più della mia vita. Non l'avrei mai fatta soffrire.»

Quell'amavo era suonato, ad Amanda, come una coltellata. «E allora perché l'hai lasciata? Perché?» aveva ribattuto, incapace di comprendere cos'avesse davvero allontanato i suoi genitori.

«A volte succede di non capirsi più», aveva tagliato corto lui. «Non posso – e non voglio – dirti altro.»

Il tono risoluto del padre non le aveva dato ulteriore coraggio per insistere. «Ma adesso hai un'altra», gli disse solo, le lacrime agli occhi.

«Anche tua madre si rifarà presto una vita. Ne sono certo. Quanto a noi due... ti prometto che cercherò di essere più presente, d'accordo?»

Amanda si accorse di avere gli occhi lucidi. Ogni volta che la sua mente richiamava quel colloquio, riusciva soltanto a pensare al fatto che lui non avesse mai tenuto fede a quella promessa.

Un'improvvisa – e non meno discreta – carezza al braccio la fece voltare alla sua sinistra.

«A cosa pensi?» le chiese Alessandro, la bocca piegata all'ingiù.

Amanda poggiò la testa sul sedile. «A mio padre», sputò, senza remore. «Alcune volte mi chiedo se sia o meno fiero di me.»

«Perché non dovrebbe esserlo?»

«Lunga storia. Ma da quando ho cominciato il tour promozionale, non mi ha chiamato neppure mezza volta. Mi ha solo inviato un brevissimo messaggio con su scritto complimenti per il traguardo

«Be'... sempre meglio che niente, no?» rispose Alessandro, non troppo convinto.

«Quello che mi dico sempre anch'io», confermò lei con un sorriso amaro.

Alessandro scosse la testa, sinceramente addolorato. «Ascolta, non so cosa sia successo tra te e tuo padre, ma una cosa è certa: io di te non sono fiero, ma fierissimo.»

Quell'affermazione le strappò un largo sorriso. «Menomale che ci sei tu, Ale.»

Lui allungò timidamente il braccio verso di lei. «Posso?» le chiese, scrutandola a fondo.

«Certo», gli rispose, lasciandosi avvolgere in un tenero abbraccio. Almeno per un attimo, voleva sentirsi importante per qualcuno. Almeno per un istante, voleva pensare a tutto tranne che a quell'uomo che, per quanto amasse, non riusciva più a considerare un vero padre.

Chiuse gli occhi, la testa sulla spalla di Alessandro. Il viaggio non sarebbe stato molto lungo, ma forse una piccola siesta le avrebbe fatto bene.

 

§

 

Nel ritrovarselo davanti, a pochi metri dalla storica Libreria Interazionale Luxemburg, Amanda rimase semplicemente a bocca aperta. Federico, che non si era ancora accorto di lei, tirò un'ultima boccata di fumo e, alzatosi dal motorino, il casco nella mano sinistra, costeggiò il profilo di uno dei tanti palazzi che abbellivano la suggestiva Piazza Carignano, situata nel cuore del capoluogo piemontese. Si avvicinò a un bidone della spazzatura e vi gettò la sigaretta.

Amanda rimase ancora più sbigottita. La stragrande maggioranza dei fumatori non esitava un solo istante nel buttare le cicche a terra, incuranti di qualsivoglia problema ambientale che le stesse continuavano a provocare. Lui, invece...
Amanda non smise di osservarlo nemmeno per un secondo, concentrandosi a fondo sulla sua espressione. Anche stavolta, ebbe l'impressione che dentro quella testa – come nei suoi occhi – regnasse una caterva di pensieri che, forse, sarebbe stato del tutto incapace di esprimere a cuore aperto. Quanto avrebbe voluto essere lui almeno per un istante! Così magari quell'aura di mistero che si portava appresso sarebbe del tutto scomparsa, lasciando finalmente posto alla luce.
Tornò a fissare il motorino. Tutto si sarebbe aspettata, fuorché che un tipo così pacato e, perlomeno all'apparenza, non certo "ribelle", potesse guidare una moto. L'apparenza inganna sempre, ormai dovresti saperlo, pensò, mentre si apprestava a raggiungerlo.

Federico la notò quasi subito, un timido sorriso che lei si affrettò a ricambiare.

«È sua?» gli chiese, indicando la moto. A dire il vero, avrebbe tanto voluto chiedergli come mai si fosse rifatto vivo così presto, ma magari la sua risposta sarebbe stata più che scontata. Probabilmente aveva "solo" voglia di rivederla.

Lui scrollò le spalle. «Pare di sì.»

«Sa, credevo che non sarebbe venuto oggi. In fin dei conti, due viaggi in soli due giorni—»

«Oh, non si dia pena. Sono di qui.»

Amanda sbarrò gli occhi. «Lei è di Torino?»

«Per molti anni ho vissuto fuori, quindi ho perso un po' la parlata del posto. Però sì», rispose lui, continuando a guardarsi intorno.

«Capisco», rispose la giovane, stringendosi nel lungo cappotto di lana, lo sguardo alternato tra lui e la piazza.

«Mi è spiaciuto molto non poter venire alla presentazione. Però sa, i turni in ospedale spesso e volentieri sono massacranti, perciò...» Scrollò le spalle ancora una volta, il piede destro che tamburellava sull'asfalto.

«Lei è un medico?»

«La cosa la stupisce?» ribatté lui, sfoggiando un sorriso enigmatico.

«Ma certo che no!» esclamò lei, scuotendo sonoramente la testa.

Lui inarcò un sopracciglio.

«Be'», ritrattò, «diciamo solo che... che no, non me lo aspettavo. Pensavo, non so...»

«Continui», la esortò lui, scendendo dal motorino e incrociando le braccia, l'espressione finalmente rilassata.

«Che so, quasi mi dava l'impressione di un diligente scienziato che se ne sta rinchiuso per ore nel suo laboratorio per cercare di studiare roba che solo lui stesso può comprendere.»

«Be', la medicina è comunque una scienza. Non è una scienza esatta, siamo d'accordo. Ma i principi su cui la stessa si basa sono comunque strettamente scientifici.»

«Non posso darle torto.»

L'uomo guardò alla sua sinistra. «Che ne dice se ci sediamo un po' lì?» le propose, indicando una delle tante panchine situate nel bel mezzo della piazza. «Se poi preferisce rintanarsi in un bar, possiamo anche—»

«Per me va benissimo. Non fa poi molto freddo oggi. E poi... questa piazza è davvero magnifica.»

«È già stata qui in passato?»

«Da piccola, sì.»

Amanda decise di non aggiungere altro. Non voleva perdersi di nuovo nel pensiero del padre, e non voleva nemmeno che quello stesso pensiero le rovinasse il momento.

«Com'è andata la presentazione?» domandò Federico, cambiando discorso.

«Non male, direi. Sto cominciando a divertirmi sul serio, sa? Ho persino ricevuto un mazzo di rose bianche da uno speciale ammiratore.»

«Che nemmeno conosce, presumo.»

«Già. I soliti, insomma.»

Presero posto sulla panchina e, per qualche secondo, rimasero in religioso silenzio. Anche stavolta, Amanda lo guardò di sottecchi. Sembrava di nuovo immerso nei suoi pensieri.

«Ho ascoltato Friendliness», dichiarò dopo un po', tentando di rompere quell'assordante silenzio.

L'uomo tornò a guardarla. «E io ho ascoltato Watercolors. Non ricordavo fosse un disco così...» Esitò un attimo. «Particolare», disse poi, annuendo appena.

«E io non pensavo che questi Stackridge fossero così talentuosi. Ho adorato il disco. E poi, quei pezzi al pianoforte! Erano semplicemente stupendi.»

«Le piace il pianoforte?»

«Moltissimo! Mi è stato persino fatto come regalo di laurea. Diciamo che mi diletto a suonare qualcosa di tanto in tanto, ma non mi sono ancora azzardata a prendere lezioni.»

«E cosa aspetta a farlo?» ribatté lui, con un pizzico di genuina ironia nella voce.

Amanda scrollò le spalle. «Chissà, magari adesso posso permettermelo. Fino a qualche tempo fa sarebbe stato impossibile. Sa, troppo lavoro da sbrigare.»

Federico annuì. «Senta... tra circa una settimana, al Teatro Erba di Torino, se non erro, faranno un piccolo concerto dedicato alle composizioni di Mozart e Chopin. Le andrebbe di accompagnarmi? Il caso ha voluto che una collega mi regalasse due biglietti – doveva andarci con una sua amica ma, purtroppo, le ha dato buca – e così... sì, insomma, se le va potremmo andarci insieme. Altrimenti, posso sempre rivenderli al miglior offerente.»

Amanda sorrise alla battuta. «Dice davvero? Sa, io invece ho come l'impressione che la sua collega volesse, perlomeno indirettamente, invitare lei a questo concerto.»

Federico corrugò la fronte. «Lei crede?»

«Perché avrebbe dovuto regalarle due biglietti, altrimenti?»

«In ogni caso, preferirei comunque andarci con lei», rispose lui, la bocca piegata in una smorfia dalla quale si denotava tutto il suo disinteresse per la suddetta collega. «Allora? Che ne dice?»

Amanda non si lasciò pregare ulteriormente. «L'accompagnerò volentieri», sussurrò, regalandogli un tenue sorriso.

L'uomo trafficò nella tasca della sua giacca ed estrasse il biglietto. «In questo caso... ecco a lei.»

Non appena lo prese, se lo rigirò tra le mani e ne lesse il contenuto. Il concerto sarebbe iniziato verso le diciassette del pomeriggio e sarebbe durato un'oretta. Avrebbe avuto tutto il tempo per tornare all'ovile. O meglio, da Alessandro.

«Se le fa comodo, potremmo sempre darci appuntamento qui per le quattro e poi andarcene con calma a teatro – tempo permettendo, ovvio. Lei è amante delle lunghe passeggiate?»

Amanda ridacchiò. «Adoro questa città, e il minimo che possa fare è percorrerne un bel tratto a piedi», gli rispose, riponendo il biglietto nella borsa.

«Allora è deciso. Lunedì alle sedici. La aspetterò proprio qui, su questa panchina.»

La ragazza non riuscì a non sorridere. «Grazie ancora per l'invito.»

«Grazie a lei per aver accettato.» L'uomo tornò a guardare l'orologio. Erano appena passate le diciotto. «Adesso mi scusi, ma devo proprio andare. Il lavoro mi chiama.»

Si alzarono entrambi e Amanda non resistette all'impulso si chiederglielo. «Di cosa... di cosa si occupa, nello specifico?»

«Mi sono specializzato in malattie neurodegenerative», rispose lui dopo qualche istante, mentre si rassettava la giacca.

Amanda rimase senza fiato. «Non dev'essere facile.»

«Non lo è mai, in effetti. E mai ci si abitua, soprattutto nei casi più disperati. Ma se è per questo, credo fermamente che la neurologia sia la disciplina più stimolante e affascinante che esista.» Le porse la mano. «A presto, Amanda. È stato un piacere.»

Amanda gliela strinse, ancora stordita dalle sue ultime parole, da tutta la passione trasudata in esse. «Anche per me. A presto, Federico», farfugliò, le gambe tremanti. Quella sua rivelazione le aveva fatto venire la pelle d'oca.

Non appena lo vide saltare in sella alla sua moto, si voltò e si apprestò a raggiungere l'hotel, che fortunatamente si trovava a pochi passi dalla libreria.

Scosse la testa, quindi riestrasse il biglietto che lui le aveva donato. Lo accarezzò con il palmo della mano, la bocca piegata in un sorriso. Inutile dire che non stava più nella pelle.

   
 
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