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Autore: Sky_7    19/02/2023    0 recensioni
Perché qualcuno sceglierebbe mai di essere il cattivo di una storia? Da che esiste la divisione tra bene e male, nessuno si è mai definito cattivo, esistono solo due schieramenti dovuti a due opinioni contrastanti. è sufficiente questo a definire chi è il cattivo e chi il buono? E chi lo decide? Perché, da che mondo è mondo, sono i vincitori a scrivere la storia, che siano buoni o cattivi.
Se non fosse mai stato capitan Hook il cattivo? Se fosse solo stato una vittima delle circostanze, reso folle dai pensieri che non gli fanno trascorrere notti serene, dalla ricerca di quella vendetta contro un demone immortale che gli ha portato via non solo la mano destra ma anche la vita.
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Una storia in cui le cose sono andate diversamente rispetto a come le conosciamo.
Una storia che racconta il passato, presente e futuro del capitano James Hook, con tutti i retroscena e elementi inediti che racconteranno la sua storia e aspirano a dare un lieto fine a questo personaggio che nella sua lunga, lunghissima vita ha conosciuto solo dolore.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Wendy Darling
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17

Quando aprì gli occhi i raggi del sole filtravano dalla finestra coperta da un sottile strato d’organza, doveva essere mattina. Batté le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco l’ambiente che la circondava e riconobbe la propria cabina. Aveva addosso una coperta azzurra ricamata nonostante fino al giorno prima era certa fosse estate e scoprendosi il busto scoprì di indossare la propria camicia da notte, stranamente non ricordava di essere andata a dormire, anzi a dire il vero neanche di essere tornata sulla Jolly Roger. Scrollando le spalle decise di accantonare momentaneamente il pensiero e una volta alzatasi dal letto indossò l’abito giallo e, a piedi nudi, lasciò la propria cabina. Sul ponte c’era il solito momento, come aveva avuto modo di apprendere c’è sempre qualcosa da fare su una nave. Ciononostante arrivò al ponte senza che nessuno la fermasse e una volta giunta fuori respirò a pieni polmoni, tirava una leggera brezza che le muoveva spostava i capelli e sorridere le fu automatico. Rimase lì a perdere tempo e godersi il sole per ancora qualche minuto, invero finché il suo stomaco non cominciò a brontolare e, ridacchiando per l’imbarazzo, scese di nuovo sottocoperta diretta in cucina. Nel mese in cui James fu assente vi aveva trascorso molto tempo insieme a Cecco che le aveva insegnato a cucinare qualche piatto facile più facile, ma nell’ultimo periodo, con l’arrivo anche dell’altra nave e il suo equipaggio, questo tempo si era drasticamente ridotto. Le sembrava di non entrarci da mesi e mesi, chissà che faccia avrebbe fatto il cuoco trovandosela ora davanti.
Trovò la porta aperta come al solito, dall’interno provenivano rumori di stoviglie e borbotti e affacciandosi sull’uscio vide due marinai intenti a preparare quella che sembrava una qualche zuppa.
“È troppo sperare nella colazione a quest’ora?” alla sua domanda i due uomini sobbalzarono per la sorpresa, sopprimendo a stento urla di spavento che fecero sorridere la giovane “Qualunque ora sia, effettivamente”
“Signorina Wendy?! Si è svegliata!”
“Beh sì, è quello che fa di solito la gente di mattina... Allora, c’è qualcosa che posso spiluccare?”
“Oh sì certo, signorina Wendy. Le preparo subito del tea” esordì Cecco rivolgendo un cenno a Phineas che lo interpreto come una scusa per fuggire fuori dalla cucina come avesse il diavolo alle calcagna. Wendy lo vide di sfuggita, ma scrollò le spalle con momentaneo disinteresse, prima la colazione e poi avrebbe potuto indagare anche sulla fine del mondo.
“In realtà se hai già pronto del caffè sarebbe l’ideale” di nuovo l’uomo annuì e, dopo averla invitata a sedersi, imbandì la tavola davanti a lei con il caffè richiesto, pane, formaggio, insomma tutto ciò che di solito mette a disposizione per la colazione e anche di più. Si avventò su una fetta di pane come se non mangiasse da giorni contemporaneamente con l’altra mano si verso una tazza di caffè.
Si sentiva attraversata da una strana familiare euforia, di quella che provano i bambini la mattina di Natale quando non vedono l’ora di giovare con i nuovi giochi ricevuti. Non c’erano regali da scartare quella mattina la luce del sole che la scaldava dall’oblò aperto decisamente non era tipica di dicembre, ma andava benissimo così. Le piaceva quel calore sulla pelle, soprattutto dopo quel bagno gelido nelle acque del lago era piacevole la luce del sole.
“Wendy!” esordì la donna entrando nella piccola cucina della nave e Wendy sentì un certo sollievo scoprendo che fosse la prima persona a incontrare dal suo risveglio.
“Buongiorno Emily. Come va?” impegnata a sorseggiare il proprio caffè non fece troppo caso all’espressione e il pallore di Emily che, cogliendo l’occasione, si affrettò a ricomporsi.
“Caffè? Davvero?”
“Ho pensato di aver bisogno di qualcosa di forte per svegliarmi a dovere. Anche se in realtà, è strano, ma mi sento più riposata che mai” prese un biscotto e lo inzuppò nella tazza di caffè.
“Non riesco a ricordare come sono arrivata qui. Ricordo il lago” si scoprì il braccio per osservare la ferita che ormai era solo una vecchia cicatrice “ricordo di essermi procurata questa ferita che mi sono procurata con una lama damascata e il manico di mogano e madreperla. Ma il resto?” Emily trasse un respiro profondo per trovare le parole da usare.
“Le fate hanno parlato con tuo padre, non so cosa gli abbiano detto di preciso, ma erano molto spaventate facendo ovviamente preoccupare anche lui. L’hanno chiamato lago delle anime, ed è un luogo proibito, in realtà non si può neppure trovare se quella valle non vuole essere trovata”
“La valle è viva, come Neverland, e decide lei con chi condividere il segreto della sua esistenza, in pratica”
“Immagino di sì”
“E poi?”
“James, Charles e tutti gli altri che non erano feriti troppo gravemente ti hanno portato qui e hai dormito” Wendy sembrava stranamente tranquilla facendo colazione, solo per un piccolo dettaglio sembrava diversa dalla persona che era prima di quegli eventi che le sembravano essere accaduti un mese prima: il tormento che si leggeva nei suoi occhi era scomparso e dopo tanto tempo era di nuovo una spensierata ragazzina di sedici anni.
“Mh non è andata troppo male allora”
“Tesoro, hai rischiato di morire. Abbiamo creduto che fossi spacciata”
“Davvero?” chiese la giovane sgranando gli occhi, alcuni dei vaghi ricordi con cui si era svegliata quella mattina si stavano facendo più nitidi, tutto era ben definito nella sua testa tranne un piccolissimo e insignificante dettaglio
“Quanto ho dormito?”
“Un giorno e due notti” alle parole della donna, Wendy abbassò lo sguardo sulle proprie mani.
“Beh, non ho nulla da invidiare alla bella addormentata”
“Chi?”
“Oh nulla” replicò la minore con un gesto della mano “Una favola per bambini che ti racconterò presto” un gran trambusto proveniente dal corridoio fuori dalla porta mise fine alla loro conversazione e non ci volle molto perché James e Charles facessero irruzione tentando di scavalcarsi e sorpassarsi a vicenda senza timore di poter inciampare l’uno sull’altro. Charles fu il primo a superare la soglia per appena un secondo e ci mancò poco che non capitolasse sul pavimento quando James lo spinse da parte.
“Wendy!” esordì correndole incontro e inginocchiandosi al suo fianco per poi tastarle con la mano il viso e le spalle, gli occhi sgranati alla ricerca di ferite o qualche segnale che dimostrasse che fosse reale.
“Tutto bene ragazzina? Niente di rotto o effetti collaterali?” un’espressione confusa si fece strada sul viso della giovane che scivolò dalla sua presa.
“Sto bene, ma, chiedo scusa signore. Chi siete voi?” il calore scomparve velocemente dal viso del capitano che nel giro di un battito di ciglia divenne bianco come un lenzuolo.
“Co-come?” anche Charles alle sue spalle si irrigidì come una statua di sale e il respiro gli si mozzò in gola. Spostando lo sguardo su di lui, Wendy non riuscì più a restare seria e scoppiò in una risata argentina che mise fine alla sua sceneggiata.
“Oh mio Dio, dovreste vedere le vostre facce! Degne di un ritratto” esordì quando le risate le diedero un attimo di respiro, ma ci vollero ancora alcuni secondi prima di ricomporsi abbastanza da riuscire a parlare come si deve, seppure ancora con le gote arrossite e il sorriso ancora sulle labbra.
“Lo so, è stato uno scherzo di pessimo gusto, ma non ho proprio saputo resistere. Avevate delle facce così preoccupate che me l’avete servito su un piatto d’argento” con un broncio degno dei bambini, James si sedette accanto a lei al tavolo della cucina, Charles invece rimase in piedi con le spalle contro la parete.
“Sto bene. Un po’ confusa e indolenzita, probabilmente a causa dell’immobilità. Penso di ricordare quasi tutto ciò che è successo dal momento in cui sono entrata nella valle fino alla sconfitta di Peter. Ma non ricordo come ne sono uscita. Che cosa è successo?”
“Veramente è quello che vorremmo sapere noi” esordì Charles avvicinandosi al tavolo
“Come fai a sapere quello che è successo lì e al mostriciattolo?”
“Lo so perché ero lì” rispose con ovvietà alternando lo sguardo tra i due capitani “Ho lottato contro l’ombra e grazie al potere di Imogen sono riuscita a recidere il suo legame con il corpo di Peter Pan, mio padre altrimenti non sarebbe stato in grado di sconfiggerlo. Senza niente da togliere alla sua abilità in combattimento” 
“Aspetta un momento. Imogen?” chiese Emily, l’unica tra i presenti che non prese parte alla battaglia. Così Wendy, armata del proprio caffè, raccontò tutto ciò che le successe dal momento in cui James le vietò di combattere: del sacrificio di sangue richiesto per entrare raggiungere quel limbo, dei pianeti che aveva visto e la certezza di aver lasciato il mondo da tutti conosciuto, di Imogen e l’Ombra, infine dell’equilibrio. Al momento di aprire un ultimo argomento spinoso, Wendy sollevò una mano e agitando lentamente le dita queste furono circondate da piccole luci bianche e rosse.
“Ha detto che la magia di Nevernand mi scorre nelle vene e che sei stato tu a darmela papà, cedendomi il potere che Imogen ti aveva donato per riportare l’equilibrio. Adesso capisco perché durò così tanto la guerra tra te e Pan, lui non percepiva questo potere in te e quindi non era interessato a sopprimere la minaccia che tu costituivi” poste entrambe le mani sul proprio grembo e vi puntò lo sguardo, incapace di guardare in faccia suo padre.
“Non credo che lui sapesse già quando ero bambina di quello che mi portavo dietro, non credo altrimenti che mi avrebbe mai portato qui. Lo capì solo quando sono tornata. Sono stata io a cucirgli l’ombra addosso solo io potevo spezzare quel legame e la mia presenza qui era scomoda e rischiosa per lui”
“Che cosa succederà ora? Dovrai restituire questo potere?”  
“Bella domanda” replicò lasciandosi andare sul tavolo fino a poggiarvi la fronte, per poi alzarsi con un sorriso e spostando lo sguardo tra i tre.
“Dunque, che mi sono persa durante la mia assenza?”
 
L’aria profumava di dolce e di cannella, un odore tanto familiare quanto diverso da ciò che aveva invece sentito nelle ultime settimane. Fu proprio questo profumo a ridestarla, o meglio fu la consapevolezza di dove si trovasse poiché si trattava del posto in cui, aveva giurato, non avrebbe più rimesso piede.
Era sdraiata su quello che un tempo era stato il suo letto e che sapeva fosse stato tolto quando lasciò la stanza dei bambini, il suo corpo infatti non era più comodo su quel materasso troppo corto e le gambe sporgevano da un lato.
Si mise seduta per guardarsi attorno, la stessa stanza dei bambini non le era mai sembrava così piccola e vuota, spoglia di tutti i giochi che un tempo ospitava. Poi si alzò con passo lento e camminò verso la finestra, la stessa da cui era fuggita e poi tornava verso e dall’isola che non c’è.
“Cosa stai cercando di dirmi Imogen? Non vorrai... Significa che devo tornare?” non ottenne risposta, ma una serie di piccole lucciole blu e viola la scortarono ad uno specchio in cui poteva vedere la sua immagine per intero. Non si scompose più di tanto nel vedere la sua immagine, sebbene l’abbigliamento da pirata con cui era ritratta era ben diverso dalla semplice e leggera camicia da notte che indossava. Non riusciva a capire, non solo ciò che tutto questo potesse significare, ma anche come fosse entrata in quella dimensione, del resto un attimo prima chiacchierava abbracciata a Charles.
“In ogni essere umano, piccola Wendy, il bene e il male vivono in equilibrio” nonostante la voce avesse cominciato a parlare senza alcun preavviso la giovane non ebbe nessuna reazione di paura, se lo aspettava “In te invece albergano gli estremi che influiscono maggiormente sul tuo comportamento, sul stesso carattere, facendoti comportare come non credevi avresti mai potuto fare. Così come James e Peter... Quella di questa notte sarà la tua ultima possibilità di scelta: dovrai decidere se tornare definitivamente a Londra con la tua famiglia e dimenticare tutto ciò che è legato all’isola che non c’è, oppure restare con tuo padre, con quell’altro pirata che tanto ti piace e non rivedrai mai più Mary e George, così come John e Michael che se ti dovessero incontrare non saprebbero chi tu sia” nessuna emozione trasparì dal viso di Wendy ma, del resto, non stava provando letteralmente nulla. Sembrava come se Imogen le parlasse della vita di qualcun altro perché i suoi pensieri erano altri, come il fatto che avrebbe davvero voluto avere quella giacca e il cappello con le piume, appariscenti ma l’avrebbero distinta tra gli altri ancor più dei lunghi ricci rossi.
“Per essere un’entità superiore che non ama intromettersi nella vita degli uomini sembri essere diventata una chiacchierona” eccolo quel cambiamento di carattere di cui Imogen parlava, spesso e volentieri Wendy soprattutto nell’ultimo periodo tendeva a rilasciare risposte molto simili a quelle sprezzanti di suo padre, ma chi faceva parte di quel loro stesso ambiente non ci faceva molto caso. Scuotendo il capo, la giovane abbandonò lo specchio per guardarsi intorno nella stanza che era stata sua per tutta l’infanzia. 
“Hai detto che il mio potere appartiene solo a me. Cosa accadrebbe se tornassi a Londra?”
“Non può essere reindirizzato, ti apparterrebbe per tutta la vita e morirebbe con te, indipendentemente dalla vita che sceglierai. In una vita umana e normale, ovviamente, non potresti usufruirne e si presenterà a te sotto forma di fortunate coincidenze. A Neverland potrai invece approfondirlo e controllarlo ma vivrai sotto le regole della magia che, ricorda, ha sempre un prezzo” 
“Quindi devo rinunciare a una parte di me che non riavrò più indietro. Come ha fatto mio padre il giorno in cui si separò da quella pallida imitazione che divenne George Darling. È corretto?”
“Sei una ragazza intelligente e coraggiosa, farai la scelta giusta. Ancora più facile quando non c’è una scelta giusta” trattenne a stento uno sbuffo, ancora enigmi...

Batté semplicemente le palpebre e si trovò in un’altra stanza buia che sebbene familiare non era la propria. Era infatti la cabina del capitano sulla Ranger, dove ricordava di trovarsi quando non ricordava di essersi addormentata, insomma prima di svegliarsi nella stanza dei bambini nella casa di Londra. Aveva la guancia poggiata si qualcosa di duro coperto di stoffa, aveva l’odore del mare e quella fragranza tipica della pelle di Charles. L’uomo infatti era semi sdraiato sulla sua stessa panca, assopito, e la sua spalla le faceva da cuscino. Sull’altro lato, invece, Wendy trovò il pesante pastrano di pelle che il capitano doveva averle messo addosso per coprirla. Dopo aver tranquillizzato James, il capitano Vane l’aveva trascinata quasi di peso fin lì. Cosa volesse da lei in quel momento non lo sapeva neppure lui, forse chiarire la loro posizione dopo quel bacio che, per chissà quale ragione, non si era più tolto dalla testa, complice la paura di rischiare di perderla. Su questo aspetto James aveva gestito la cosa molto meglio del più giovane, ma Charles immaginò fosse normale quando si ha a che fare con la magia da decisamente molto più tempo. Non era successo niente di che nella cabina, nel momento in cui rimasero da soli il palpabile imbarazzo che li avvolgeva fino a poco prima scomparve istantaneamente e riuscirono a sedere vicini, parlare, progettare e, sì, anche baciarsi come due adolescenti innamorati, anche se effettivamente Wendy lo era davvero.
Si alzò lentamente dalla sua posizione, fuori era già calata la sera e si avvicinava il momento di partire. Charles non si mosse, continuando a dormire tranquillo, Wendy immaginò che dovesse esserci di mezzo la magia perché sapeva quanto il capitano avesse il sonno leggero e la sua capacità di impugnare la pistola e prendere la mira ancor prima di aprire gli occhi. Drappeggiò quindi il cappotto sul suo corpo e lasciò la cabina e poi la nave silenziosamente.
James l’aspettava sul ponte della Jolly Roger con gli occhi infuocati di rabbia e la mano che a intermittenza si stringeva intorno all’elsa della spada e poi rilassava la presa. Gli ospiti, chi a disagio e chi più sicuro di sé, se ne stavano a un lato della nave l’uno accanto all’altro.
“Spero di non essere in ritardo” esordì annunciando la propria presenza, immediatamente molte paia di occhi si posarono su di lei. Aveva abbandonato la nave passando sulla Ranger quasi nel medesimo istante in cui loro erano saliti a bordo della Jolly Roger, lasciando a James ed Emily l’ingrato compito di trattare con gli ospiti. Wendy odiava passare per codarda, ma proprio non aveva avuto la voglia e la forza per affrontarli, anche se non sarebbero stati che una nuvola di fastidiosi moscerini in confronto a quanto avevano affrontato solo due giorni prima – accidenti, era passato davvero così poco tempo?!
“No, ti stavamo aspettando” James Hook in particolare la scrutava attentamente alla ricerca del più piccolo segnale che manifestasse le sue intenzioni. Non si erano detti nulla sul da farsi prima e ora era nervoso, in verità spaventato. Se solo Wendy gli avesse concesso un minimo cenno per comunicargli le sue intenzioni... e se anche gli avesse chiesto di trucidarli tutti avrebbe eseguito l’ordine seduta stante e senza rimpianti, purché non si fosse trovato a dover di nuovo dirle addio. No, piuttosto l’avrebbe riportata di peso con sé sulla Jolly Roger, non sarebbe stato di nuovo da solo, anche senza nessuna garanzia sul non perderla ancora.
Ci volle più tempo del previsto per organizzare la partenza, la regina Mab mise a disposizione tutte le fate che servissero per far volare la nave, più che disponibile a rendersi utile.
Per quel poco che Wendy aveva potuto constatare da lontano, dal momento che da quando si era svegliata non aveva messo piede sulla terraferma, l’Isola sembrava diversa. Tanto per cominciare era estate, cosa che solitamente capitava solo quando Pan vi faceva ritorno dai suoi viaggi; uccelli di ogni colore volavano tra gli alberi emettendo i loro versi e aveva visto con il cannocchiale anche alcuni piccoli animali che si erano spinti coraggiosamente fino alla spiaggia.
Non degnò di una sola occhiata la sua famiglia, ancora non si sentiva pronta ad affrontarli, o forse voleva solo rimandare ancora un po’ l’inevitabile.
Stendendosi a peso morto sul proprio letto si sorprese di trovarlo scomodo rispetto al petto marmoreo del capitano, di cui, se chiudeva gli occhi, sentiva ancora il tipico odore di cuoio, salsedine e rum. Purtroppo non riuscì a godersi il (non tanto) meritato riposo a causa delle urla che provennero dal ponte, anche se più che urla avrebbe giurato fossero schiamazzi femminili.
“Che ho fatto di male?!” esordì esasperata, ma un attimo dopo era già in piedi e si preparò a tornare di sopra in pieno assetto da guerra perché era il caso di presentarsi preparate davanti alla famiglia e poi, diciamolo, meglio fare bella figura. Nei mesi trascorsi a Neverland aveva creato il proprio personaggio, Jeckie Redhand sembrava uscita dalla favola che lei stessa aveva creato e mise più cura del solito a prepararsi per quello che sarebbe potuto essere l’ultimo viaggio di Wendy Darling: la camicia bianca profumava di bucato appena fatto, scelse un corsetto nero di cuoio che stavano perfettamente con i pantaloni neri che culminavano negli stivali alti fin sopra il ginocchio, la giacca rossa di suo padre e ovviamente le armi che non erano mai abbastanza, giusto la spada al fianco, la pistola nella fascia sul torace e il pugnale nello stivale. Un respiro profondo ed era pronta ad affrontare l’inferno che l’attendeva sul ponte.
 
“HAI PERMESSO A MIA FIGLIA DI COMBATTERE?! SEI DEL TUTTO IMPAZZITO?!”
“Donna fatti gli affaracci tuoi. Tu non c’eri e manchi da questo posto da troppo tempo per avere voce in capitolo o nella vita di Wendy. Ha scelto da sola tutto ciò che la riguarda, magari sapresti anche qualcosa di lei se almeno una volta l’avessi ascoltata”
“Non ti permetto James! Non avrei mai volto niente del genere per mia figlia, non avrebbe mai dovuto sapere niente di questo posto e di te... Come ho potuto essere così stupida da credere di essere innamorata di te?!”
“HAI FATTO TUTTO TU MARY! Hai scelto tu di voler crescere, è stata una tua decisione quella di stare con me quel giorno, ma quello che ci ha rimesso tra di noi sono stato solo io! Non avrei mai saputo di avere una figlia se una qualche entità non avesse deciso di concedermi il privilegio di conoscerla. Ma il problema qui non è Wendy, sei tu” sbottò con gli occhi rossi di furia, probabilmente Mary non li aveva mai visti così e si trovò a indietreggiare con espressione terrorizzata.
“Ho rinunciato a una parte della mia anima, ho rinunciato alla capacità di amare per non lasciarti sola, per non abbandonarti al tuo destino. Ho scelto di dividere la mia anima per te e ti sono stato accanto. Che grave errore” lo sguardo ceruleo di Hook si pose ora su colui che era la sua esatta metà, la versione migliore di lui, la versione che aveva deciso di amare e andare avanti insieme a Mary, la versione di sé che era fatta su misura per Mary “Che grave errore” ripeté rivolto a lui “Rinunciare alla mia anima mortale per un codardo, un inetto, un incapace che non è in grado di prendere una posizione neppure contro sua moglie se non è il suo orgoglio ad essere colpito” ogni insulto era un passo intorno al gentiluomo che si sentiva come nell’occhio del ciclone “Il solo pensiero di come ti sia ridotto mi fa vomitare. Non mi sorprende che mia figlia abbia deciso di tornare qui, di venire a cercarmi”
“Basta” vedere sua figlia avvicinarsi a loro con passo marziale illuminò gli occhi di Mary, un solo momento che sfumò quando oltre a notare il suo abbigliamento la vide avvicinarsi al capitano e poggiare una mano, delicatamente, sul braccio.
“Può bastare” disse a voce bassa ma non abbastanza perché non fosse udita anche dagli altri a causa del silenzio interrotto solo dal suono delle onde “Riportiamoli a Londra e basta, abbiamo cose ben più importanti a cui pensare” 
Le piccole fate circondarono la nave in poco tempo e ben presto la chiglia si sollevò dall’acqua, sempre più in alto e sempre più velocemente. Era buffo vedere la reazione dei Darling che si tenevano con tutte le loro forze quasi avessero paura di essere spazzati via da una folata di vento, al contrario James dietro il timone non era troppo diverso da quando navigava nell’oceano. Arrampicata sulla scala di corda a metà strada tra il ponte e la coffa di vedetta, Wendy osservava il capitano e l’equipaggio eseguire le manovre di navigazione, decisamente più difficili in volo rispetto all’acqua, senza intralciarli. James, ovviamente, non la perdeva di vista, la giovane invece dalla sua posizione riusciva a vedere Emily nell’ufficio del capitano che camminava avanti e indietro davanti alla vetrata. Riusciva a vedere le sue labbra muoversi ma non poteva sentire neanche una parola del discorso che la donna stava dicendo all’altra piccola ospite della nave. Dolo la morte di Peter Pan, Trilly non era più stata la stessa. Stava bene, fisicamente, ma sembrava si stesse lasciando morire. Strane creature le fate, troppo piccole per provare più di un’emozione alla volta e più complesse di quelle basilari – gioia, tristezza e rabbia –; si dice che le fate nascano dalla prima risata di un bambino, ma non sono solite affezionarsi troppo agli altri, soprattutto i mortali. Peter e Trilli erano l’eccezione, avevano trascorso molto tempo insieme, secoli, a dire il vero, in cui erano stati solo loro due. Poi era arrivata Wendy e qualcosa si era spezzato, perché la bambina fu la prima creatura a riuscire a mettersi tra loro due. Wendy non era mai riuscita a instaurare nessun genere di legame con Trilly e si sentiva una persona orribile nel non aver provato rimorso nello scoprire che la fatina aveva bevuto il veleno che era stato destinato a Peter.
Trovarono Trilly mentre Wendy era ancora addormentata e, in seguito al rifiuto della regina Mab di riprenderla con loro, Emily decise di prendersene cura. Wendy non intervenne in nessuna maniera, anche la sua piccola nemesi aveva bisogno di una seconda possibilità.
“Uomini virate a dritta e tenetevi forte, si ballerà un po’” a quel comando Wendy scese dalle scale, ma rimase comunque lì vicino dove si legò una corda in vita per avere maggiore stabilità e si trovò a ringraziare per quell’accortezza perché sebbene fosse in totale il suo quarto viaggio – di cui il secondo il nave – vedere le stesse e i satelliti da così vicino e la velocità le fecero perdere per più di un momento la presa sulla fune. Era un peccato che Charles non fosse con lei, ma James le aveva accennato qualcosa sul vomito a fontana durante il suo primo volo, sostenendo che fosse un magico spettacolo da non rivedere mai più.
Le strilla acute della signora Darling che si reggeva con forza alle funi lasciate per la sicurezza dell’equipaggio provocarono le risa di Wendy che andarono a fondersi con esse e al vento che le sconvolgeva i lunghi capelli. Spostando lo sguardo al timone incontrò lo sguardo di suo padre, i suoi capelli erano in situazioni molto simili a quelle della giovane e, per quanto cercasse di mantenersi serio, gli sfuggì un sorriso incontrando i suoi occhi allegri.
Non appena Wendy scostò di nuovo lo sguardo il capitano si trovò a storcere la bocca mentre virava verso destra, in lontananza riusciva a vedere la torre del Big Bang. Gli uomini si muovevano operosi sul ponte della nave, gli parve di vedere Sparky e Phineas chiedere a Wendy se avesse bisogno di qualcosa.
Spugna aveva ragione! Quanto detestava ammetterlo.
“Capitano non vorrà davvero lasciarla andare via, vero?”
“Non è una mia decisione, Spugna”
“Ma capitano! Wendy è praticamente il suo vice, ha fatto le veci di capitano durante la sua assenza e vorranno avere voce in capitolo in qualsiasi decisione”
“Deve essere Wendy a scegliere, Spugna. La ciurma non dovrà per nessuna ragione forzarla”
“Tempo addietro le avete promesso che vi sareste rivisti, che gli addii non sono mai per sempre. Adesso invece siete disposto a rinunciare a lei? No, non credo capitano”
La ciurma rispettava Wendy perché si era guadagnata il loro rispetto e lei rispettava l’equipaggio a sua volta. Sarebbe mai stata capace di vivere nella monotona e noiosa Londra dopo aver combattuto contro Pan? Avrebbe sopportato gonne ampie e scarpette col tacco dopo aver provato la comodità degli stivali con la punta rinforzata? Oppure avrebbe tollerato l’idea di sposarsi ed essere una buona moglie dopo aver provato il brivido dato dal potere di comandare a bacchetta un intero equipaggio di uomini?
La giovane si sporse con slancio dal parapetto della nave quando gli edifici cominciarono ad apparire sotto le nuvole sempre presenti nel cielo di Londra, man mano che si abbassavano il paesaggio si faceva più nitido. C’era una legge implicita e non scritta a Neverland – non solo perché la maggior parte dei suoi abitanti non sapeva leggere e scrivere – che imponeva il compiere viaggi tra i mondi solo di notte, quando la gente comune non avrebbe visto il loro arrivo. Nonostante si trovassero alti quanto un palazzo di sei piani, Wendy avrebbe saputo indicare anche da lì la strada per casa Darling, sorprendendosi di non percepirla come casa.
“Ci siamo” esordì arrivando sul cassero di poppa affianco al capitano che ancora stava dietro il timone “da qui continuiamo dritti su Piccadilly e poi a sinistra. A questa velocità arriveremo a breve” il capitano si limitò ad annuire, incapace di guardarla quanto di parlarle.
“Credo che questo sia il momento in cui dovresti chiederle che cosa ha deciso”
“Charles! Ma cosa... Che ci fai qui?” Wendy non credeva ai suoi occhi e andò incontro al capitano che strinse in un forte abbraccio “Dicevi che non saresti mai più salito su una nave volante neanche se ne fosse valso della tua stessa vita”
“Mi assicuro che tu non faccia cazzate e, fidati, questa prospettiva è peggiore anche dell'idea di volare” sebbene avesse pronunciato quelle parole, per lui così difficili, con il viso sprofondato nei capelli della ragazza, Hook poco distante da loro sentì ogni parola e fu come ricevere un pugno in pieno stomaco.
“Sarei tornata, Charles, e avremmo parlato con calma”
“Non mi piace lasciare le cose a metà, Wendy Hook, non sono un tipo paziente e che io sia dannato per non averti detto prima come la penso. Non potevi davvero illuderti che ti avrei semplicemente aspettata senza la certezza che ti avrei rivista” sciolsero il loro abbraccio e Charles, con tutta la delicatezza di cui era capace, le scostò delle ciocche di capelli dal viso ravvivandoli dietro le orecchie, un mezzo sorriso a stirargli le labbra mentre osservava il bel viso della giovane.
“Hai trascorso giorni ad attendere una parola da James che ti convincesse a restare, lui ha atteso altrettanto tempo che tu gli dicessi che non saresti andata via. Beh se voi due non siate in grado di comunicare, ora parlo io. Non andare Wendy Hook, perché ci sarai anche nata ma tu non sei mai stata parte di quel mondo. Il tuo posto è con la tua famiglia, fatta di pirati, criminali e tagliagole, persone che non giudicheranno mai un tuo sbaglio e ti difenderanno a spada tratta perché ti sei già guadagnata il loro rispetto. Accanto a tuo padre, che è tornato dalla morte solo per te che sei l'unica persona per la quale darebbe la sua stessa vita” a ogni frase indicò prima l'equipaggio, chi annuiva e chi abbassava lo sguardo con rispetto erano tutti d'accordo. Poi su Hook, che non disse niente ma annuì leggermente senza staccare gli occhi da quelli di sua figlia. Poco distante i Darling erano pietrificati, ma Charles non aveva ancora finito.
“E con me” disse con tono più basso così che solo lei potesse sentirlo e nel frattempo cominciò ad accarezzarle una guancia con dolcezza.
“Perché senza di te insieme a me il mondo smette di girare... Non andare, Wendy. Non rinunciare a tutto questo”

Scesero a terra, per precisare sul tetto del palazzo in cui viveva la famiglia Darling, a bordo della Jolly Roger rimase solo l’equipaggio su preciso ordine del capitano.
Wendy si sentiva soffocare e l’aria che odorava di fumo dei caminetti le faceva girare la testa. Charles non sembrava intenzionato a lasciare la sua mano, quasi avesse paura, il ché era assurdo per lui, che Wendy potesse rimangiarsi la parola data e scegliesse si restare laggiù. Quello che il capitano Vane non sapeva era che tutte paure che tormentavano Wendy, paure che temeva si sarebbero manifestate nel momento in cui sarebbe tornata a casa, erano scemate nel preciso istante in cui i suoi piedi avevano toccato terra. Delle sensazioni che temeva di provare non v’era traccia. Non le aveva fatto nessun effetto vedere la città che le aveva dato i natali, né alla vista della casa in cui era cresciuta. Non sapeva spiegarsi il perché ma, guardandola, l’unico ricordo che si affacciava nella sua mente era di quel bacio sulla fronte da parte di suo padre e le sue parole, non ancora, quando si era definita una donna. In quel momento seppe esattamente cosa doveva fare e sapeva che per alcuni non sarebbe stato piacevole.
Sciolse la stretta con la mano di Charles e si diresse verso i suoi genitori, che le rivolsero espressioni differenti: sua madre era i ritratto della felicità, pronta ad abbracciare sua figlia e tenerla stretta; suo padre, invece appariva confuso. Una parte di lui avrebbe voluto credere, come sua moglie, che Wendy sarebbe rimasta, ma l’altra parte, quella razionale, continuò a guardarla negli occhi, nel colore simili ai suoi, forse questo era l’unico dettaglio che ancora la legava alla bambina che era stata prima di giungere  Neverland, quella stessa bambina a cui lui aveva imposto di crescere e diventare adulta. In un certo senso, Wendy aveva obbedito al suo ordine, ma questo l’aveva resa una persona diversa, una persona più pirata che bimba smarrita, ergo: una persona che sapeva quello che voleva.
“È ora che le nostre strade si dividano e credo che dopo oggi non ci rivedremo mai più” lentamente le braccia della signora Darling scesero di nuovo lungo il busto e il sorriso fu soppiantato dagli occhi lucidi già prossimi alle lacrime
“Sono orgogliosa di essere stata vostra figlia, ma mi trovo ora ad ammettere di non essere solo questo. Per tutta la vita mi sono sentita come due persone totalmente diverse costrette in un solo corpo e, temo, non sia una cosa recente. È tutto più facile quando si è bambini, crescere ha i suoi effetti collaterali”sollevò lo sguardo per osservare per l’ultima volta i suoi genitori. Com’era bella sua madre, il tempo era stato magnanimo con lei che nonostante l’età era rimasta bella e perfetta, anche se ora i suoi occhi erano arrossati e le guance rigate dalle lacrime. Poi dovette inclinare il capo per guardare suo padre. I capelli si erano ingrigiti e un po’ brizzolati ma quello sembrava l’unica cosa che manifestava su di lui lo scorrere del tempo; gli occhi erano rimasti gli stessi, imperscrutabili come sempre dietro quelle lenti da vista di cui ora non poteva più fare a meno.
“Questo non è il mio posto, se prima che partissi lo fosse non credo lo sapremo mai, ma ora...” si fermò a causa di un singhiozzo che le mozzò il fiato mentre una lacrima solitaria le solcava la guancia “Mi mancherete, mi mancherete da morire, ma io non posso restare. Voi avete l’un l’altra, ma laggiù c’è qualcuno che ha bisogno di me” non aggiunse altro e si allontanò a capo chino. Fu suo fratello a fermarla, mettendosi tra lei e i due pirati che la attendevano accanto alla fune che mirava a tenere ferma la nave. 
“Fatti da parte John, io ho già fatto la mia scelta”
“No! Wendy tu sei nostra sorella, una famiglia ce l’hai. Ripensaci” indispettita da quelle parole, Wendy estrasse la pistola dal fodero e la puntò alla fronte di suo fratello minore, proprio in mezzo agli occhi. Il ragazzo sbiancò e iniziò a tremare ma non per questo si spostò da lì, solo l’urlo strozzato di Mary ruppe il silenzio irreale che si era venuto a creare.
“Spostati John”
“Spareresti davvero a tuo fratello?”
“Sta a te scoprirlo” rimasero così per secondi interminabili, durante i quali la ragazza tolse la sicura alla sua arma, senza mai spostare gli occhi da quelli di suo fratello, non batteva le palpebre. Fu John a cedere, abbassò lo sguardo e si fece da parte di un passo quindi Wendy rivolse la canna al cielo e premette il grilletto, ma l’unico suono che scaturì fu un leggero click. Scuotendo il capo ripose la sua arma, che non era mai stata carica. Era la stessa messinscena che avevano messo su James e Charles, il capitano Vane non si era fatto abbattere dalla minaccia di un proiettile in fronte e aveva seguito suo fratello in quella missione suicida. Evidentemente lei non era così importante per John.
“No, non avrei mai sparato a mio fratello ma a questo punto non ha più importanza. La tua reazione è l’ulteriore conferma, John. Sarete sempre i miei fratelli, ma non vi fidate di me e questo non può essere ignorato” sotto lo sguardo mortificato del mezzano la ragazza si incamminò di nuovo verso il vascello.
“Wendy ti prego! Possiamo tornare quelli di prima, possiamo ricominciare tutto d’accapo!” questa volta fu Michael a richiamarla urlando a squarciagola poiché impossibilitato, dalla presa di John, a raggiungere la sorella.
“Non credo Michael, una volta assaporata la libertà non puoi tornare a vivere in una gabbia. È inumano oltre che crudele” Wendy si sentì morire a vedere gli occhi di suo fratello colmi di lacrime ma non per questo ritornò sui suoi passi. Aveva preso la sua decisione e non se ne sarebbe mai pentita. Michael in quel momento le apparve come il ragazzino che ancora era, in lacrime tra le braccia di sua madre. John cercava di mantenere un certo contegno, come suo padre gli aveva insegnato. Quest’ultimo invece era anch’egli con le lacrime agli occhi ma comunque impeccabile nella forma perfetta che la sua posizione sociale gli imponeva.
“Qualunque sia la tua scelta, sappi che avrai sempre una famiglia quaggiù e che ti aspetteremo sempre”
“Grazie, lo apprezzo molto ma ho preso la mia decisione e non ho intenzione di cambiare idea” solo in quel momento guardò in faccia quello che per tutta la sua vita era stato suo padre, il perfetto alter ego del capitano perché, in fondo, tutti gli adulti sono un po’ pirati. Fu l’uomo a spostare lo sguardo e fissarlo alle spalle della ragazza.
“Abbi cura di lei, è pur sempre anche mia figlia” capitan Hook osservò il tipo ben vestito di sfuggita.
“Non c’era bisogno di chiedere. Ma, se ti fa stare tranquillo, hai la mia parola” il signor Darling annuì, certo di potersi fidare. Del resto non esisteva nessuno al mondo di cui si fidasse più di lui, sé stesso. Perché a Neverland tutto era possibile e lo era stato anche per Hook che si era diviso in due personalità, Hook e il signor Darling, uno che avrebbe portato avanti la sua vendetta e l’altro che si sarebbe preso cura di quella ragazza che hanno tanto amato.
Fu un addio e da allora Wendy non rivide più coloro che per diciassette anni della sua vita erano stati la sua famiglia, ma George Darling rivide sua figlia. Era appena uscito dalla banca e si trovò a percorrere un’altra strada per tornare a casa, attraversando una via costellata di negozi. Da una bottega come tante che scoprì essere una libreria vide uscire una bellissima giovane donna dai lunghi capelli biondo rame acconciati in morbidi boccoli e retti da fiocchi. Aveva un sorriso incantevole a illuminarle il viso e gli occhi incantati rivolti a qualcuno che ancora non aveva attraversato la soglia del negozio. George era certo di aver avuto un’allucinazione, seppure quella giovane somigliasse tantissimo alla sua bambina. Voleva togliersi ogni dubbio e stava per raggiungerla, ma si bloccò dopo aver visto la figura fasciata in una giacca rossa che la affiancò per prima. James Hook a una prima occhiata era uguale all’ultima volta che l’aveva visto, ma ad una seconda analisi comprese quanto si fosse sbagliato. Le differenze non stavano però nell’aspetto curato, bensì nello sguardo ceruleo che rivolse a Wendy prima di avvicinarsi ad alzarle il cappuccio della mantella con entrambe le mani. Lo sguardo di un padre innamorato perso di sua figlia
“Sta per nevicare, bambina. Mi auguro che tu non voglia prendere freddo e ammalarti proprio ora che ho acconsentito a portarti con me in viaggio”
“Dopo quanto ho faticato per convincerti? Assolutamente no, non ti libererai di me tanto facilmente papà”
Una parola, quattro lettere, due sillabe uguali ripetute. Bastò questo a bloccare ogni intento del signor Darling. Rimase lì fermo, sotto un lampione, osservando i due che, ignari della sua presenza, si allontanarono a braccetto nella direzione opposta chiacchierando tra di loro.
 
FINE
 
 
“Il motivo per cui gli uccelli, a differenza degli esseri umani sono in grado di volare, risiede nella loro fede incrollabile, perché avere fede vuol dire avere le ali.”
 
 

SPAZIO AUTRICE
Ci siamo, ecco finalmente il gran finale e, credetemi, è stato un parto!!! Avrei dovuto scrivere questo capitolo moooolto tempo fa, ma ho sempre altro per la testa. Come sempre, anche in questo capitolo trovetere pezzi che si noterà essere stati scritti in momenti diversi, come molte altre scene anche il capitolo finale aveva parti pronte già da tantissimo tempo. Al contrario la locandina è nuova, tipo creata proprio ieri.
Ora sto riflettendo se vale la pena o no di lavorare a un sequel crossover con Once Unpo A Time, le idee ci sono ma credo sarà difficile creare i legami. Comunque, è solo un'idea a cui penserò con il tempo, per il momento mi auguro che questa fanfiction sia stata di vostro interesse.
Alla prossima avventura
Baci

 
   
 
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