Chapter
3: Cold in the alley
«Perché
devo sempre
andarci io?»
«Non
lamentarti!
Credi che ti lascerei maneggiare una scopa, con i clienti in
sala?»
«Ma
Rose-»
«Niente
“ma Rose”!
Fila!»
Cassandra
afferrò
il cestino e la borsa che le stava porgendo la donna, arricciando il
naso.
«Quando
avrò
oltrepassato quella porta, te ne pentirai»
borbottò scontrosa.
«L’unica
cosa di
cui mi pentirò sarà del non averti spedita via
subito!» le rispose, spingendola
verso la porta.
«Vado,
vado! Non
c’è bisogno di cacciarmi in questo modo!»
Continuando
a
lamentarsi uscì dalla locanda.
Guardò
la lista
accartocciata che aveva in mano e sospirò. Le ci sarebbe
voluta l’intera
mattinata.
«Hanno fatto un gran
trambusto, l’altra sera. Arnold non voleva ritrattare nemmeno
una virgola, ma
Joseph gli ha quasi tirato un bel destro sul naso. Era davvero uno
spettacolo,
mia cara».
«Ma non è scoppiata
nessuna rissa, vero?»
«No, certo che no!
Quei due non fanno altro che litigare dalla mattina alla sera, ma sono
completamente innocui!» gli occhi scuri del signor Vance
brillarono di
curiosità, mentre pesava un grosso mazzo di lattuga
«Ma dimmi, Cassie, ho
sentito che è accaduto qualcosa, ieri sera da
Rose».
La ragazza aggrottò
le sopracciglia fini, ancora risentita «Un uomo ha creduto di
poter trattarci
come delle stupide sguattere» sibilò, stringendo i
manici del paniere colmo «Ha
fatto quasi scoppiare a piangere Elisha!»
Il signor Vance
spalancò la bocca, indignato
«Imperdonabile!»
«Ma come ha osato!»
esclamò la moglie, appena sbucata dall’interno del
negozio con una cesta di
mele.
«Le ha dato
dell’incapace!»
«La piccola Elisha
è la ragazza più dolce e brava
dell’intera città! Quanto avrei voluto esserci
per sputarlo in faccia a quel villano!» la signora Vance era
sempre stata una
donna disinibita e schietta.
«L’avrei fatto io,
se Rose non l’avesse cacciato via!»
«Incredibile!»
«Quella donna è
capace di intervenire sempre nei momenti meno opportuni!»
soffiò esasperata Cassandra
«Stamani mi ha cacciato fuori dalla locanda, per evitare che
facessi le
pulizie» afferrò i cesti che le porgeva
l’uomo.
La signora si
lasciò andare in una risata divertita.
«Devi portare tutto
indietro da sola?» si stupì il signor Vance
«E’ molto pesante».
«Non preoccupatevi,
ce la faccio» si aprì in un sorriso gentile, per
non far preoccupare la coppia.
In fondo erano solo diversi chili di acquisti da trascinare per metri e
metri.
«Posso
aiutarvi io,
se me lo permettete».
Al suo fianco
comparve quel tale della locanda. L’uomo con i capelli biondi.
Cassandra
boccheggiò stupita per un istante «No, no! Non
voglio arrecarvi disturbo!»
«Ma figuratevi.
Devo tornare anch’io alla locanda. E i gentiluomini non
lasciano le damigelle
in pericolo» le sorrise per un istante, poi si
voltò verso i signori Vance
«Date a me gli acquisti della signorina Cassandra.
L’aiuterò io».
La signora Vance
glieli prose lieta, scoccando un’occhiata eloquente alla
ragazza «Siete molto
gentile signore. Senza il vostro aiuto sono sicura che sarebbe stata in
seria
difficoltà».
«Sono qui per
questo».
Cassandra pagò,
ricevendo in regalo dal signor Vance una mela, come sempre, e si
incamminò con
Henry verso la locanda, seguita dagli sguardi curiosi dei Vance.
«Siete stato molto
gentile» osservò imbarazzata.
Lui le scoccò uno
dei suoi soliti sorrisi incantevoli «E’ il dovere
di ogni uomo che si rispetti,
aiutare una donna».
In quel preciso
momento lo sentì.
Si
irrigidì,
rabbrividendo: era tornato.
Si guardò attorno
lentamente, senza attirare l’attenzione dell’uomo
al suo fianco.
La stava seguendo,
lo sapeva. Respirò profondamente, resistendo
all’impulso di bloccarsi, cercando
qualcosa con cui distrarsi.
E fu allora che
se
ne accorse.
La mascella di
Henry si era irrigidita. E lui proseguiva senza dire una parola.
Giunsero in
silenzio alla locanda e solo all’interno Cassandra
poté tirare un sospiro di
sollievo.
«Vi ringrazio
immensamente per avermi aiutata».
L’uomo si riscosse
e le porse le ceste cariche di frutta e verdura, forzando un sorriso
«Ogni
volta che lo desiderate. Ora devo andare, è stato un vero
piacere».
La salutò con un
elegante baciamano e si avviò al piano superiore, in
direzione della sua
camera.
Cassandra rimase lì
incantata: nessuno le aveva mai baciato la mano prima d’ora.
Era imbarazzante,
ma allo stesso tempo terribilmente ammaliante.
Persino quello
sgradevole ricordo scivolò via.
Lo sapevano tutti
che non era in grado di maneggiare un qualsiasi oggetto servisse per
pulire una
superficie. Ma non era gentile farglielo pesare. Le espressioni
divertite di
Francis erano insopportabili.
Si
scostò una
ciocca di capelli dal viso, mentre imboccava un vicolo deserto, per
arrivare
più in fretta alla locanda.
Fu una pessima
mossa. E in futuro se ne sarebbe pentita amaramente.
Il gelo la
avvolse
completamente. Il cesto del pane cadde a terra, rovesciando il
contenuto. E
Cassandra si strinse le braccia intorno al corpo, guardandosi attorno
spaventata.
L’aveva
trovata.
Dei passi
strascicati la obbligarono a voltarsi.
Era
lì.
Non
l’aveva mai
visto in volto. Aveva solamente avvertito la sua presenza.
Era alto,
vestito
di un mantello logoro e sfilacciato, il viso coperto da bende nere.
Le si avvicinò,
facendola arretrare sempre più. Fino a quando la sua schiena
non toccò il muro
freddo dietro di lei.
In trappola.
Una mano bendata
si
avvicinò al suo volto. Un brivido la scosse, non appena le
sue lunghe dita
toccarono la pelle delicata del suo collo.
Deglutì, serrando
gli occhi. La mano scese, percorrendo tutte le curve del suo corpo,
mentre
l’altra sfiorò la catenella d’argento,
seguendone la forma.
Il ciondolo era
nascosto nell’incavo dei seni, sotto la veste, come sempre.
Il suo cuore mancò
un battito, quando si accorse che era proprio quello
l’obiettivo.
Cercò di
respingerlo, con tutte le forze di cui disponeva, ma rimaneva immobile,
come se
non se ne fosse nemmeno accorto.
Lo sentì toccare il
ciondolo, studiarlo e stringerlo nel palmo, senza poter fare nulla. Era
completamente indifesa.
Fu allora che il
peso di quel corpo estraneo scomparve e poté tornare a
respirare.
Si portò d’istinto
una mano al gioiello, sospirando di sollievo nell’avvertire
il metallo duro e
freddo sotto le sue dita.
Davanti a lei
non
c’era più nessuno. Se non un ragazzo vestito di
nero.
E si sentì morire
quando alzò gli occhi blu su di lei.
Si fissarono in
silenzio, il suo sguardo scese sulle sue mani, ancora strette intorno
al
ciondolo, poi lo riportò sul suo viso spaventato.
«Lo hai visto anche
tu?»
Cassandra sbatté le
palpebre. Non era quella la domanda che si aspettava. Anzi, era
intenzionata a
porgliela lei stessa.
Lui lo capì ed
imprecò sottovoce.
«Voi lo vedete?»
chiese con un groppo in gola «Chi era?»
Lo vide fare una
smorfia, stizzito. Poi iniziò ad andarsene, mormorando
«Stai certa che non era
umano».
Cassandra si
affrettò a seguirlo, la mente piena di domande. Era
l’unico che poteva
risponderle. L’unico, oltre lei, che riusciva a vedere.
«Aspettate!» lo
chiamò, allungando il passo
«Dov’è andato?»
«E’ scomparso. Ha
preferito scappare, piuttosto che affrontarmi» il biasimo
traspariva dalle sue
parole, mentre procedeva veloce verso la locanda, che si stagliava a
pochi
metri da loro.
«Ma cos’era,
allora? Voi lo sapete, perché non volete dirmelo?»
Lui si fermò e
fissò gli occhi nei suoi.
«Non sono affari
che ti riguardano».
Diede un’ultima
occhiata al suo ciondolo, in piena vista sul suo petto, ed
entrò nel locale.
Cassandra si morse
un labbro, irritata, e lo seguì.
Ma lui era già
sparito.
«E il
pane?»
La ragazza si girò
lentamente, assumendo l’espressione più innocente
del suo repertorio, e sorrise
debolmente a Rose.
«Mi dispiace. Deve
essermi caduto».
«Cosa?!» esclamò la
donna, infuriata «Cassandra! Smettila una buona volta di
avere la testa tra le
nuvole! Come posso affidarti degli incarichi, se non riesci a portarli
a
termine? Se fossi una qualunque ti avrei già sbattuta in
strada!»
«Scusa» mormorò
contrita.
«Cos’è successo?»
«Non posso
dirtelo».
Rose strinse le
labbra, ma capì.
Cassandra le
diceva
sempre tutto, a eccezione di quello che riguardava i suoi viaggi e il
suo
passato. Non le faceva piacere essere all’oscuro di parte
della sua vita, ma le
voleva bene, come ad una figlia, e se era questo che lei voleva, allora
l’avrebbe accontentata.
Sospirò
«Cassandra,
c’è qualcosa che vuoi dirmi?»
«Sì.
Ma non
adesso».
Si
arrese «Tra un
quarto d’ora si comincia. Preparati».
Cassandra
annuì e
andò in cucina, consapevole di doverle ben presto dire addio.
Ecco il terzo capitolo. Finalmente si fanno scoperte interessanti e non proprio piacevoli per la povera Cassandra! Vi ringrazio per aver letto lo scorso capitolo.
Emily Doyle: Ecco l’aggiornamento, con un po’ di ritardo!
Ghen: Come vedi non sono sempre veloci gli aggiornamenti. Mi fa piacere ricevere consigli e, se vuoi continuare, per me non c’è alcun problema, anzi, ne sarei veramente felice! Parlando dello scorso capitolo, personalmente avrei voluto anch’io che Cassie lo schiaffeggiasse, anche perché quell’uomo era decisamente odioso ed insopportabile! In questo capitolo si scopre qualcosina in più sui problemi di Cassandra e anche sui due forestieri! Spero ti sia piaciuto! ^.^
Al prossimo aggiornamento!