Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Jeremymarsh    22/02/2023    5 recensioni
Nel peggior giorno della sua vita, Kagome ripensa alle leggende che il nonno le raccontava da piccola prima di andare a dormire e alle quali ha smesso da tempo di credere.
È convinta che sia ormai impossibile uscire dal baratro in cui è precipitata all’improvviso, ma non è detto che tutti i mali vengano per nuocere. Un unico evento – per quanto disastroso – ha provocato conseguenze impensabili e ben presto dovrà affidarsi credenze e valori finora ignorati per sopravvivere, lasciando dietro ogni cosa conosciuta.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, izayoi, Kagome, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Lemon, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XVIII: Ricatto
 

 

If the sun don't shine on me today
And if the subways flood and bridges break

Will you lay yourself down and dig your grave
Or will you rail against your dying day

Sleep on the floor, The Lumineers


 

In quei giorni durante i quali Kagome cercava il coraggio di approcciare Inuyasha, lui sfogava la rabbia e il nervosismo negli allenamenti. Si svegliava all’alba e cominciava un rituale che aveva seguito sin da piccolo, ossessivamente, aggiungendo esercizi, restando fino a tardi e non prendendosi mai un attimo per respirare. Temeva, infatti, che se lo avesse fatto le paure che covava dentro di sé avrebbero preso il sopravvento, quindi, preferiva cacciare fuori ogni sentimento rabbioso, affinare la tecnica di spada sconfiggendo quanti più demoni possibili e immaginando di avere davanti a sé colui che aveva causato tutto. In non poche occasioni gli era stata chiesto di diminuire la foga se non avesse voluto mandare in infermeria troppi soldati e lasciare l’esercito – già a corto a causa di coloro che erano ancora a Sud – con meno numeri. E così facendo non solo si distraeva, ma si allenava anche per lo scontro che ora più che mai desiderava. Tuttavia, non riusciva mai a raggiungere il suo obiettivo del tutto: in fondo alla mente rimaneva un tarlo che sembrava voler restare con lui come un compagno fedele; si chiedeva se e quando la situazione con Kagome si fosse spianata e come ne sarebbero usciti.

Fu durante uno di quegli allenamenti solitari che la sacerdotessa lo trovò quando, infine, decise di smettere di temporeggiare e raggiungerlo.

Arrivò mentre stava praticando dei kata, concentrato e metodico, e notando i muscoli che si flettevano e la sua espressione determinata fu ancora una volta sorpresa dalla sua bellezza. Si chiese come avessero fatto tutti gli altri attorno a lui a ignorarla così a lungo in favore del suo sangue misto che perdeva ogni importanza di fronte alla bontà del suo animo, che pure brillava in mezzo a un’apparenza scontrosa; si disse che probabilmente nessuno aveva mai voluto vedere veramente Inuyasha per colui che era e, di sicuro, non lo avevano mai osservato con gli stessi occhi con cui lo guardava lei ora.

Inuyasha, intanto, resosi subito conto di avere una spettatrice, sbagliò più di un kata e se un occhio più esperto lo avesse visto non avrebbe esitato a correggerlo. Ma Kagome non poteva saperlo e per lei Inuyasha stava solo continuando a eseguire un allenamento rigido e composto, troppo concentrato per accorgersi di ciò che lo circondava; un pensiero un po’ sprovveduto, senz’altro, visto che i demoni esercitavano sempre ogni senso, non dimenticandone mai uno in favore di un altro. Eppure, lui continuò e non si fermò, aspettando che fosse lei ad avvicinarsi.

Era sorpreso, certo, del suo arrivo – ed era, appunto, la sorpresa a fargli compiere il primo passo sbagliato –, ma non di meno contento. Rimaneva l’apprensione data dalle incognite e sperava che Kagome non restasse troppo tempo ad osservarlo per paura che i suoi nervi si logorassero ancora di più nell’attesa.

Infine, quel silenzio interminabile fu rotto dai passi di lei che si facevano più vicini e Inuyasha inspirò ed espirò lentamente prima di rilassare il corpo e voltarsi verso di lei.

Il sudore che gli imperlava il viso e macchiava la veste colpì Kagome più del dovuto, la quale lo intese come manifestazione più tangibile della lotta interiore che il mezzo demone stava combattendo e delle ansie di cui lei era in parte responsabile. Si sentì più in colpa, ma era anche conscia di non saper controllare davvero le sue reazioni ed era con questa consapevolezza che doveva parlargli, chiedergli di perdonarla anche se avrebbe compiuto gli stessi errori e, in cambio, lei avrebbe sempre ricordato che Inuyasha era lì accanto a lei per sostenerla e fermarla laddove ce ne fosse bisogno – proprio come le aveva già dimostrato. Non per farle del male o ferirla.

“Se non ti spiace attendere qualche minuto, c’è un ruscello qui dietro che posso usare per lavarmi,” prima di cominciare. Inuyasha la guardò eloquente.

“No,” rispose lei, sporgendosi in avanti come per fermarlo. Sentiva come se la sicurezza di qualche istante prima sarebbe scomparsa se non avesse più visto i segni della sua fatica; voleva continuare a vedere cosa aveva contribuito a provocare.

Inuyasha fu sorpreso dalla sua veemenza, ciononostante, l’accontentò e si limitò a utilizzare un panno per asciugare le gocce che dalla frangetta gli cadevano sugli occhi.

“Ti devo delle scuse.”

Senza farla continuare, lui arcuò un sopracciglio mentre altra rabbia gli nasceva nel petto per quella scelta di parole – non rivolta a lei, ma a colui che le faceva attribuire colpe non sue. “Non mi devi niente,” ribatté secco per poi pentirsi del tono. Ammorbidì lo sguardo, mise da parte l’asciugamano e la guardò dritta negli occhi. “Le circostanze attuali non sono colpa nostra e le nostre reazioni sono frutto di queste. Certo, parlano anche le nostre paure, ma non ce l’ho per te per quello che è successo l’altro giorno – non te ne ho fatto una colpa nemmeno per un instante.”

Kagome annuì, sorpresa, forse a causa delle esperienze passate al villaggio o perché, in fondo, ancora non conosceva del tutto Inuyasha, ma aveva avuto temuto una sua reazione e anche per questo aveva rimandato tanto il confronto. La sua risposta, tuttavia, le fece tirare un sospiro di sollievo e guardare al resto della conversazione con più fiducia in se stessa, consolata anche dalla maturità che Inuyasha stava dimostrando. Si chiese anche se si rendeva conto di aver ammesso di aver paura.

“Ti chiedo scusa lo stesso,” ripeté comunque, “perché so che finirò per commettere gli stessi errori – errori che, come hai appena detto, sono dovuti anche a delle mie paure.” Notò i suoi pugni stringersi e da quello che aveva imparato di lui – e dei demoni in generale – sapeva che si sentiva in parte responsabile per non essere in grado di cancellarle. Si avvicinò e allungò la mano verso di lui per aprire il pugno e intrecciare le loro dita. A quel punto incrociò di nuovo i suoi occhi. “Però, se continuerai a darmi il tuo sostegno, se mi perdonerai per quanto ti farò ancora soffrire, sono convinta che supererò pian piano ognuna di esse.”

“Kagome,” mormorò, colpito e angosciato allo stesso tempo. Anche se l’intera situazione lo faceva penare, non avrebbe mai voluto che lei si sentisse in colpa anche per quello – aveva già troppi pensieri che la opprimevano e non era necessario angosciarsi per lui. Tuttavia, non si rendeva conto che lo stesso sentimento che lo faceva disperare per l’amata portava quest’ultima a preoccuparsi per lui e che a quello scambio non c’era soluzione, se non il giurarsi sostegno reciproco. Entrambi dovevano imparare a dividere il peso che gravava sulle loro spalle e a non aver paura di fare un danno all’altro condividendo la propria pena.

Ma lo avrebbero capito presto.

“Non devi nemmeno chiedermelo. Fin quando me lo permetterai, resterò accanto a te. E non solo per domani e il giorno dopo ancora, ma per il resto della nostra vita.”

La sacerdotessa annuì di nuovo. “Non c’è più bisogno di dubitare allora,” gli sorrise, per la prima volta dopo quella notte con un sorriso sincero e iniziando a comprendere ciò che avrebbe dovuto fare per superare la sfida ardua che le si parava di fronte.


 

***


 

La tranquillità che il confronto di quel giorno aveva instillato nelle loro anime, tuttavia, non durò molto: arrivò, infatti, presto notizia di un evento che avrebbe ricordato loro che c’erano ancora molti ostacoli da superare prima di poter abbracciare la loro relazione con la serenità che era loro dovuta.

Era intenti a desinare quando un soldato fece irruzione nella stanza, trafelato, senza nemmeno aspettare di essere annunciato. E così facendo mise subito in allarme i commensali.

Toga scattò immediatamente in piedi, dimenticando ciò che stava per dire un secondo prima e con occhi da rapace studiò il suo sottoposto, leggendo sul suo viso ogni segno che gli indicava una tragedia imminente – un'altra.

Il demone, che mancava all’appello da quando era partita la spedizione diretta a Sud, era sporco di fango e di sangue, ma Toga non seppe dire subito se quest‘ultimo apparteneva a lui o a qualcun altro: erano troppi gli odori che si mescolavano sul suo corpo, tanto da mandare in sovraccarico il suo olfatto, cosa che gli accadeva di rado. Eppure, ciò che lo spaventò di più erano gli occhi spaventati e quel petto che si alzava e abbassava con fatica, come se il soldato facesse fatica a stabilizzare il proprio respiro, anche solo a catturare l’aria che gli serviva. Non era una reazione normale per un demone che, rispetto a un semplice essere umano, era abituato a sforzi maggiori – e i suoi sottoposti ancora di più. Sapeva, dopo tutto, che di fronte a lui non vi era un inesperto youkai di basso rango.

Aspettò, comunque, alcuni secondi, cosicché il giovane rivelasse il motivo di quell’arrivo irruento prima di interrogarlo egli stesso. Non dovette aspettare a lungo.

“Signore, avevamo quasi completato l’evacuazione dei villaggi a Sud che erano stati colpiti, quando il nemico ci ha colto di sorpresa e attaccati. Abbiamo fatto il possibile.”

“Chi era il vostro nemico?” chiese il Generale, pur sapendo già la risposta.

“Il demone vestito di bianco, Toga-sama.”

Ed eccola, infine, la notizia che avevano atteso in quei giorni, il ritorno di quell’essere: Toga aveva passato le notti a chiedersi quando si sarebbe rifatto vivo, a cosa la rabbia lo avrebbe condotto una volta scoperto che la sua preda gli era stata portata via così presto. Ora temeva il resto del messaggio che il soldato era venuto a comunicargli.

“In quanti siete tornati? Siete riusciti a salvare gli abitanti che ancora non avevano lasciato quelle terre?”

“Sì, mio signore, abbiamo salvato tutti, a parte qualche anziano che si ostinava a non voler lasciare la sua casa.” Poi la paura tornò potente negli occhi del messaggero e prima ancora che aprisse la bocca Toga aveva già udito la sua frase funesta: “Molti dei nostri, purtroppo, sono stati presi alle spalle. Mi rincresce darle notizia di tale inettitudine; eravamo tutti addestrati per fronteggiare un’evenienza simile.” Calò il capo mentre, allo stesso tempo, faceva lo stesso con la voce. “Il fumo ci ha riempito le narici mettendo fuori funzione il nostro olfatto, mentre il pianto dei bambini e le urla degli adulti-”

L’Inu-no-Taisho alzò il braccio per interromperlo e poi, facendo uno sforzo immane, prese un respiro profondo e gli fece un cenno di testa, congedandolo. Non gli disse nulla, ma il giovane capì lo stesso.

Si inchinò un’ultima volta e poi lasciò la stanza, richiudendo lesto la porta dietro di sé.

A quel punto, Toga abbandonò ogni apparenza e si accasciò di nuovo sulla sedia, prendendo grandi e lente boccate d’aria per controllarsi, ma incapace di continuare a reggere l’immagine del guerriero forte di fronte alla sua famiglia. Non che ne avesse bisogno. Non aveva timore di crollare con loro che – nell'evenienza – lo avrebbero supportato. Inoltre, se non lo avesse fatto in quell’istante, avrebbe rischiato di lasciarsi andare di fronte al proprio esercito ed era l’ultima cosa di cui i suoi sottoposti aveva bisogno. Per loro doveva essere forte, ma i suoi cari, nel frattempo, lo avrebbero sorretto nel privato senza fargliene una colpa.

O quasi tutti, sorrise tra sé e sé, perché già immaginava le parole e l’espressione ripugnata Sesshomaru se lo avesse visto in quel momento.

“Anata?” lo chiamò Izayoi vedendolo così sopraffatto, mentre Inuyasha e Kagome osservavano silenziosi.

Nell’udire la sua voce, Toga incontrò il suo sguardo, poi quello del figlio e della compagna di lui, quasi temendo ciò che vi avrebbe visto. “Forse non avrei dovuto lasciarli da soli, forse saremmo dovuti tornati subito, non appena abbiamo visto che Kagome era sana e salva. Non sappiamo quanti siano davvero rimasti...” e lo spaventava saperlo, lo spaventava quel senso di colpa che sarebbe aumentato di conseguenza e di cui lui ora non aveva bisogno. Doveva essere lucido e reagire come un Generale degno del suo titolo per potersi preparare alla prossima mossa di quell’essere di cui sapevano ancora poco, se non che era un novizio – un novizio comunque in grado di uccidere senza scrupolo pur di far arrivare il proprio messaggio.

Ed era certo che quello non sarebbe stata l’ultima volta.

“Non è niente di nuovo,” intervenne infine Inuyasha. “Hai comandanti addestrati a questo tipo di situazione e, in passato, hai affrontato nemici ben peggiori di questa bestia. Io potrò non aver preso parte alle tue campagne più pericolose, ma conosco i racconti, così come ho spesso udito le testimonianze di quegli stessi demoni che sono nel tuo esercito da secoli. Ogni volta che partiamo corriamo il rischio di non tornare, ogni volta potremmo incontrare qualcuno che supera le nostre aspettative, che ci coglie di sorpresa, perché questa è la terra che abitiamo: ancora inesplorata e piena di mistero, non importa quanto a luogo l’abbiamo perlustrata da capo a fondo. Quindi, per favore, padre,” il figlio lo fissò più serio che mai e Toga riconobbe l’espressione severa che aveva visto spesso sul volto di Sesshomaru, rimanendone sorpreso. “Non voglio sentirti parlare di colpe in questo momento, visto che ciò che è accaduto non è nulla di nuovo e tu dovresti essere, invece, già a organizzare il rientro di quei corpi nel modo più veloce possibile, così da poter poi preparare una degna risposta al messaggio che quel demone ha voluto recapitarci. Sei stato tu ad insegnarmi cosa vuol dire essere un Generale e, anche se non lo sarò mai, ho ancora molto da imparare. Ciò vuol dire che non puoi permetterti di mostrarmi debolezze quando non ce n’è reale bisogno.” Le sue parole erano state dure – più dure di quel che avrebbe immaginato Inuyasha stesso quando era intervenuto – eppure, nonostante comprendesse a pieno i sentimenti del genitore, sapeva che non era ancora arrivato il momento di lasciarsi andare. Aveva bisogno di lui per vedere come stavano davvero le cose e, per farlo, non aveva paura di osare. Suo padre gli era sempre stato d’aiuto, gli aveva mostrato la verità tutte le volte in cui era stato troppo cieco per vederla o, all’occorrenza, lo aveva trascinato con la forza quando Inuyasha aveva rifiutato di alzarsi. Ora doveva ricambiare il favore.

Dopo tutto, per le parole rassicuranti ci sarebbe stata sempre sua madre.

“Inuyasha!” esclamarono a bocca aperta sia Izayoi che Kagome, non potendo credere alle loro orecchie. Lui le ignorò, gli occhi ancora fissi su Toga, il quale, dopo aver ricambiato lo sguardo per mezzo secondo, scoppiò a ridere, sorprendendo tutti.

Non si era aspettato la predica proprio da lui, era stato sicuro fino a un istante prima di potersi mostrare debole dinnanzi a lui, eppure, non poteva non trovarsi d’accordo con ciò che gli era stato detto – e aveva letto anche il suo messaggio implicito in quelle parole, la schiettezza con cui gli aveva dichiarato che non avrebbe ricevuto conforto da parte sua. L’appoggio, però, lo aveva tutto.

“Hai ragione,” annuì. “Ho peccato di ingenuità credendo che, di fronte a un nemico di cui sappiamo ancora così poco, eventualità del genere non sarebbero potute accadere. Hai ragione,” ripeté, “devo prendermi le mie responsabilità e lo farò seduta stante.” Si rialzò repentino, sul volto nessuna traccia del sentimento che lo aveva colpito fino a qualche secondo prima. “Non abbiamo tempo per piangerci addosso né è nel mio stile.” Si voltò poi verso la moglie e la sacerdotessa. “Izayoi, Kagome, per questa sera credo che dovremo finire prima. Inuyasha, tu verrai con me invece,” comunicò al figlio che non si era aspettato altro.

Nulla era andato come previsto quella sera, sebbene si fosse aspettato una mossa del nemico da un momento all’altro, eppure, non tutto era andato storto al di là delle notizie per nulla rassicuranti.

Aveva notato, infatti, l’aria più serena e, soprattutto, gli sguardi che si erano scambiati Inuyasha e Kagome, i quali avevano fatto intendere che qualsiasi cosa li avesse divisi dal loro ritorno a palazzo era stata appianata o, per lo meno, stava per essere risolta. I pochi giorni che erano passati erano stati così pregni di angoscia e attesa da far quasi credere che in realtà di tempo ne era passato molto di più, e ora che li rivedeva di nuovo sereni si sentiva sollevato nonostante i sensi di colpa che per il momento aveva accantonato. E questo perché una piccolissima parte di lui aveva davvero temuto che il nemico si fosse intrufolato senza scampo nella neonata relazione tra i due. Ma gli avevano dimostrato il contrario e questo confermava che chiunque li avessi presi di mira li stava davvero sottovalutando. Loro erano troppo forti per essere abbattuti da mosse così codarde.

E, infine, quell’espressione che aveva letto sul volto di Inuyasha, la determinazione e anche la severità nei suoi occhi, gli avevano rivelato quanto fosse cresciuto il suo secondogenito da quando gli ingranaggi del destino si erano messi in moto.

A ben vedere, quei pochi mesi erano nulla in confronto ai 200 anni del mezzo demone, eppure, le esperienze che aveva vissuto ultimamente lo avevano fatto maturare come tanti anni di lezioni ed esercitazioni non erano riusciti. E lui lo aveva visto tutto in quello sguardo, che gli aveva anche rammentato qualcosa di buono di Sesshomaru.

Ora poteva solo sperare che mentre erano occupati a sconfiggere Onigumo – o chiunque egli fosse diventato – anche il primogenito avrebbe avuto modo di imparare da suo fratello, di vedere presto negli occhi di Sesshomaru qualcosa di buono che gli ricordasse Inuyasha.

Le cattive notizie non erano finite, però, e nei prossimi giorni ne sarebbe arrivata una anche peggiore ai loro cancelli.


 

***


 

In un giorno apparentemente normale, quando ancora la valle era in subbuglio a causa degli ultimi avvenimenti, due guardie se ne stavano in riga a difendere la loro parte dei cancelli esterni.

La prima delle due si agitò all’improvviso, notando qualcosa in lontananza. Assottigliò lo sguardo in direzione della figura che si stava avvicinando e prima ancora di poterla mettere a fuoco arricciò il naso in disgusto a causa dell’odore che portava con sé: morte e decomposizione. Si mise subito all’erta e fece un cenno al suo compagno. Infine l’uomo fu vicino abbastanza per permettere loro di distinguere le sue forme, i suoi vestiti erano quelli di un contadino, logori e sporchi, il viso stanco in contrasto con il sorriso inquietante che sfoggiava, e dietro di sé trascinava un carretto; alle due guardie servì poco a capire che l’odore di morte proveniva proprio da lui e non dalle due persone che stava trasportando. Ciononostante, prima ancora di indagare, gli puntarono le lame alla gola e gli intimarono di allontanarsi.

Lui rise, maniacale, e alzando le mani in gesto di resa lasciò ai due la visuale che finora aveva oscurato: due donne erano accasciate sul mezzo del contadino, ma se pur malconce, potevano sentire i loro deboli battiti e i respiri laboriosi. Erano ancora vive, ma non lo sarebbero state ancora per lungo senza intervento. La seconda guardia lanciò un sottile segnale acuto – uno utilizzato solo in casi di emergenza – e così facendo si assicurò che arrivassero degli aiuti mentre lui, insieme al compagno, avrebbe ancora tenuto sott’occhio l’uomo misterioso affinché non scappasse.

Dopo tutto ciò che era accaduto era naturale essere scettici di fronte a un’evenienza simile, soprattutto se gli umani non avevano alcun motivo per arrischiarsi da quelle parti e in quelle condizioni. Per di più, loro due erano troppo ben addestrati per credere che quella visita fosse innocente. Eppure, nonostante la sicurezza di quelle riflessioni, sebbene si reputassero in grado di mantenere la situazione sotto controllo, il sorriso costante dell’uomo mise loro ancora più apprensione degli ultimi eventi; temevano un capovolgimento improvviso a cui non sarebbero riusciti a rispondere.

Dopo quelli che sembrarono secondi interminabili sentirono dei passi avvicinarsi e subito dopo l’arrivo dell’Inu-no-Taisho insieme al secondogenito. Era per loro che avevano mandato il segnale e non furono delusi dalla prontezza del loro capo, soprattutto in giorni così tesi.

“Cosa sta succedendo qui?” esordì Toga, più per apparenza visto che aveva già posato gli occhi sulle donne e percepito l’odore disgustoso dell’uomo. La cosa non lo faceva sentire per nulla tranquillo e aveva idea che la sensazione non sarebbe cambiata una volta ricevute le informazioni.

“Oh, proprio le persone che stavo aspettando,” rispose ridendo lo straniero, la voce squillante in contrasto con il suo apparente stato di morto. “Il signore di queste terre e il figlio mezzosangue.” Si inchinò ma per scherno – non per altro. “Siete stati molto gentili a chiamarli per me; mi avete evitato perdite di tempo,” continuò rivolto alle guardie che ancora puntavano le spade alla sua gola, e quando una di esse la fece scivolare per intimargli di stare zitto, il sangue che ne sgorgò era nero pece e mischiato a una strana schiuma.

Mentre Toga faceva segno ai due guaritori giunti con loro di recuperare il corpo delle donne, guardò l’uomo con occhio duro e impassibile di fronte alla sua recita. “Chi saresti tu e perché parli e ti muovi ancora?”

Un'altra risata riverberò attorno a loro. “Il tuo naso non ti sta mentendo, Generale, io sono già morto, ma ho ancora abbastanza fiato per riferirti il messaggio del mio padrone.”

Inuyasha mise mano alla Tessaiga, stanco di quell’atteggiamento e desideroso di ricevere subite risposte, ma il padre fu più veloce e in un attimo aveva allontanato i suoi sottoposti e si era avvicinato al punto da troneggiare imponente sul non-morto. La sua reazione confermò ciò che aveva teorizzato non appena aveva posato gli occhi su di lui: quel cadavere era utilizzato come semplicemente contenitore per colui che lo stava comandando che, purtroppo, non sembrava essere nelle vicinanze. Aveva solo un nome in mente, ma non fu quello che l’altro pronunciò.

“Porto un messaggio da Naraku,” continuò quello senza essere per nulla turbato dalla vicinanza di Toga o dalla sua aura minacciosa.

“Naraku?” ripeté Inuyasha che non riconobbe il nome.

“È così che si fa chiamare ora colui che era stato Onigumo? Non gli è bastato cambiare aspetto e natura. Dico bene?” chiese subito Toga, come se non fosse per nulla sorpreso.

Il sorriso della marionetta si accentuò. “Naturalmente. Dopo tutto, di Onigumo non è rimasto più nulla, nemmeno il figlio.” Toga rimase impassibile mentre Inuyasha tirava il fiato. “Ma c’è una cosa che era appartenuta a lui quando era ancora umano e vorrebbe riavere indietro. Una cosa che, si dia il caso, gli abbiate rubato voi. La rivuole indietro.” Il tono ora era diventato minaccioso, indicando che colui che lo stava manovrando – Naraku – era più che affetto dal discorso.

“Non abbiamo niente che appartenga a quell’essere.”

“E sia, fai anche finta di niente, Generale.” Sorrise ancora di più, tanto da mostrare i denti marci. “Tuttavia, se entro tre giorni non gli sarà ridata indietro, le vostre compagne – la tua, quella del tuo primogenito – più tutte le donne del villaggio degli sterminatori faranno la stessa fine di quelle che avete appena accolto. Oh, ve l’ho detto che qualsiasi cosa proviate sono spacciate?” E con un’ultima inquietante risata si accasciò a terra, definitivamente morto, senza che nessuno dei due demoni potesse più cavargli altro da bocca se non quella stessa schiuma che era fuoriuscita prima insieme al sangue nero.

Naraku aveva avuto ciò che voleva e ora il pover’uomo non gli serviva più a nulla; aveva già concluso i suoi giochi. Toga voltò le spalle al corpo, fece segno alle guardie di sollevarlo – anche lui meritava una sepoltura, ancor più perché vittima di Naraku – e poi trascinò di peso Inuyasha dentro le mura. C’era troppo da discutere per permettersi di diventare preda dei sentimenti; era tempo di agire sul serio.


 

***


 

La scena che li accolse tornati al castello non fu rassicurante: Kagome era china sulle due donne e stava abbassando loro le palpebre – un gesto che Toga sapeva gli umani facevano solo con i morti – mentre i due guaritori stavano mettendo via i loro strumenti mentre scuotevano la testa sconsolati. Non ci era voluto molto affinché la profezia del morto si rivelasse vera.

“Non c’è stato nulla da fare, Toga-sama,” spiegò uno dei due demoni non appena lo notò. “Le due povere donne hanno cominciato ad avere delle convulsioni non appena le abbiamo poggiate a terra e tempo alcuni secondi ed erano morte.”

“Una scena tremenda,” aggiunse la compagna che si era avvicinata. “Vorrei non avessero incontrato un simile fato.”

“Mi dispiace,” si scusò Kagome, che nel frattempo si era rialzata, “nemmeno le mie conoscenze avrebbero potuto fare molto.”

“Sciocchezze,” sbottò Inuyasha, i cui nervi erano già da tempo logorati. “Non hai di che scusarti quindi smettila con queste stronzate. Con tutta probabilità erano state maledette.” Poi, prima di continuare e rivelare cos’altro avevano scoperto, chiuse la bocca. Se le avesse detto che dietro la loro morte c’era l’ossessione malata di quel mostro nei suoi confronti Kagome non si sarebbe perdonata e i sensi di colpa l’avrebbero distrutta.

Il padre gli rivolse un’occhiata penetrante, comprendendo il motivo dietro il suo silenzio, ma non per questo pensava che avrebbero potuto mantenere il segreto a lungo, non se c’era l’impellente bisogno di un piano ben strutturato.

Poi, tutti gli occhi dei presenti tornarono sulle due sfortunate: si chiesero chi fossero, da dove provenissero, chi le stesse aspettando e nel frattempo provarono a immaginare di quali altre torture erano state vittime solo perché Naraku aveva voluto portare loro un messaggio. Ancora una volta, rifletté Toga, quell’essere aveva giocato sporco, servendosi di altre persone e senza mai farsi avanti. C’era da aspettarsi che sarebbe rimasto un codardo fino alla fine; dopo tutto, dubitava che fosse in grado di fare altro o affrontarli faccia a faccia. E su quello avrebbero dovuto fare leva: dovevano metterlo alle strette e strappargli quell’arrogante senso di sicurezza da sotto i piedi. Mentre ragionava in quel modo sentì Inuyasha tirare il fiato all’improvviso e, come lui, tutti si voltarono verso il mezzo demon con gli occhi sgranati fissi sulla prima delle due vittime, la più grande.

Sarebbe stato impossibile nascondere il terrore che tutta la sua figura improvvisamente trasudava e lui nemmeno ci provò, troppo preso da ciò che aveva scoperto. Gli altri avrebbero voluto chiedere cosa avesse scatenato la sua reazione, ma allo stesso tempo erano sconvolti da quel cambio repentino, da quello sguardo scuro e pieno di paura e dal tremolio involontario di cui lui, forse, nemmeno si era accorto.

Senza alzare il volto, il mezzo demone parlò: “Mamma.”

Non era una richiesta di aiuto né un richiamo e Toga lo comprese subito. Riportò gli occhi sulla donna e, in un secondo, comprese la maschera d’orrore indossata dal figlio. Come non se fosse accorto prima era un mistero, ma non importava molto, non se il quadro si era fatto mille volte più inquietante e le azioni di Naraku più spaventose.

Tutto nella figura della donna, dalla lunghezza dei capelli, il loro colore, l’acconciatura, il colore della pelle – che non aveva ancora assunto i connotati della morte – la forma degli occhi e delle labbra, ricordava ai due demoni cane madre e moglie; erano pochi i particolari che le distinguevano e passavano in secondo piano davanti a tanta somiglianza. Era chiaro che la vittima fosse stata scelta con cura e ciò metteva ancora i più brividi.

“Sì, tesoro?” rispose nel frattempo Izayoi che non si era accorta ancora di nulla e si stava chiedendo come mai Inuyasha l’avesse chiamata in quello stato o il perché del cambiamento del marito.

“La situazione è più grave di quel che sembrava anche solo un minuto fa,” aggiunse Toga, ignorandola per un momento e rivolgendosi a Inuyasha.

“Cosa avrà voluto dire quell’uomo quando ha parlato della compagna di Sesshomaru?” Ora stava guardando la seconda vittima, ma i suoi tratti non gli ricordavano nessuno né Sesshomaru aveva mai approcciato l’argomento. Certo, non sarebbe mai andato a dirlo a lui, eppure non aveva mai fatto segreto del suo disprezzo per qualcosa di ridicolo come le anime gemelle o inutile come una compagna. Non se ne era mai interessato quindi faticava a immaginare che l’avesse trovata.

“Non ne sono certo,” rispose Toga mentre, accanto a loro, Kagome e Izayoi continuavano a guardarli, perplesse e ancora al buio. “Ma dubito che la ragazza sia stata scelta per caso.” Con il mento fece un cenno alla più giovane che appariva anche più piccola di Kagome che non aveva più di diciassette anni.

“Come fa quel Naraku a sapere così tanto? Cose che nemmeno tu sai? E, soprattutto, perché un’umana?” Gli risultava impossibile credere che Sesshomaru fosse diventato lui stesso vittima del destino, anche se una piccola parte di lui – quella che al momento non era impegnata a preoccuparsi per la sorte dell’amata e della madre – rideva. Proprio a colui che aveva sempre disdegnato il sangue umano era stata destinata un’umana.

“Il destino ha in serbo per noi regali che non avremmo mai immaginato,” commentò serafico Toga. “Pensavo lo avessi capito ormai.” Gli lanciò un’occhiata significativa dopo aver guardato brevemente Kagome. “Ma non è ciò di cui dobbiamo preoccuparci ora; è arrivato il momento di mandare una squadra a cercarlo. Prima che sia troppo tardi dobbiamo trovare Sesshomaru e metterlo a conoscenza delle minacce fatte alla sua presunta compagna. E questa volta, che lui voglia o meno, mi ascolterà.” Del terrore provato poco prima non v’era più traccia e ora rimaneva solo il padre intransigente e il Generale che aveva sconfitto nemici più temibili di un umano trasformatosi in mezzo demone.

Tuttavia, aveva appena finito di parlare quando si udirono dei rumori alle loro spalle e il figliol prodigo annunciare il proprio ritorno nel peggiore dei modi.

“Non ci sarà bisogno di mandare alcun soldato,” cominciò. “E visto che sono stato io a riportare qui la sacerdotessa, sarò io stesso a ricondurla da quel Naraku,” annunciò con solennità, rivelando a tutti che era stato sempre in ascolto, almeno per quel che bastava.

Toga si stupì di non essersene accorto prima. Avrebbe potuto castigarsi per non aver prestato attenzione a ciò che lo circondava o avanzare mille scuse, ma con il senno di poi avrebbe ammesso che, dopo tutto, il figlio lo aveva già superato da tempo. Peccato solo che l’arroganza che lo contraddistingueva ancora lo frenava e annullava i suoi progressi. Sul momento, però, pensò solo a come la situazione continuasse a precipitare, secondo dopo secondo, senza che lui potesse davvero fare molto per fermare la caduta.




 


N/A: Le cose cominciano a farsi serie per davvero. Come andrà a finire? Non lo so nemmeno io o, meglio, le idee ci sono, vedremo poi le dita sulla tastiera dove mi porteranno. 
Nel frattempo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero di leggere i vostri pareri qui sotto nei commenti. 

Un abbraccio!
   
 
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