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Autore: Puffardella    26/02/2023    1 recensioni
L’animo umano è come la terra sulla quale è stato messo per vivere. La sofferenza a cui a volte è sottoposto si può paragonare all’incendio che travolge un campo. Dopo la furia del fuoco apparirà desolato, e vuoto, e invivibile. Invece, proprio quel trattamento gli darà nuovo vigore, lo renderà più fertile.
Allo stesso modo, solo dopo aver provato un grande dolore ci si riaccosta alla vita con rinnovato entusiasmo, perché è quando hai perso molto che capisci quanto sia importante non dare per scontato le cose che hanno il potere di renderti felice.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Marina è già in piedi. La sento trafficare in cucina mentre canticchia felice un motivetto allegro. Mi siedo sul letto, mi stiracchio i muscoli della schiena e la raggiungo. Sta disponendo sul vassoio delle fette biscottate e un vasetto di marmellata.
È scalza, e indossa la mia maglia.
«Ora so dove cercare i miei indumenti quando non li trovo» le dico scherzosamente.
«Mi piace il tuo odore. Mi piace averti addosso» dice con candore.
La guardo a lungo, estasiato. «Ma tu sei vera?» le chiedo infine, intimamente emozionato.
Abbiamo fatto colazione in terrazza e, ispirato dal quadro che ha iniziato a dipingere, le ho proposto, con slancio: «Andiamo al mare, ai Cancelli...»
Lei ha riso, in quel suo modo caratteristico.
«Ce l’hai la macchina stavolta?»
Ho riso anche io e le ho assicurato di sì. Ci ha pensato un po’ su.
«Non hai un datore di lavoro a cui rendere conto?»
«Nessun datore di lavoro. Nessun impegno particolare, per oggi.»
Ed è vero. Rachele è dai nonni, all’asilo la porteranno loro. Esce alle quattro, e fino a quell’ora posso ritenermi libero da ogni responsabilità. Potrei farlo anche dopo le quattro, se volessi. Basterebbe fare una telefonata e avvisare Amelia, o Walter, e ci penserebbero loro alla mia bimba, ma non voglio. Voglio ricominciare a prendermi cura di mia figlia, provare a recuperare un po’ del tempo perduto. Perciò andrò a prenderla io, oggi pomeriggio. Ma è presto, e desidero passare altro tempo con lei.
Il viso di Marina si illumina. «Adoro i Cancelli!» esclama.

Marina si blocca alla vista della mia BMW. Ha assunto un’espressione indefinibile.
«Vesti Armani e vai in giro con macchine di lusso… Che lavoro hai detto che fai?» mi chiede preoccupata. Quasi mi sento in colpa. Disinserisco l’allarme. «Architetto.»
Il suo sguardo si fa infelice e questo mi atterrisce.
«Perché?» le chiedo preoccupato. Lei scuote piano la testa e tenta di recuperare un po’ di spensieratezza. Accenna un debole sorriso. «Così…»
Saliti in macchina le chiedo di aprire il cruscotto, e quando vi trova dentro il cd di Adele il sorriso le si allarga e torna ad essere Marina, la mia fatina delle lucciole.

Dicono che le convivenze durino poco ai giorni nostri, che ci si stanchi presto del proprio partner. Ho sempre pensato che, dietro una buona parte di questi fallimenti, ci sia il troppo parlare, il voler bruciare le tappe. I ragazzi sono diventati cellulare-dipendenti. Ovunque vanno si portano dietro il telefonino, e ci smanettano di continuo. Ogni tre minuti ricevono e spediscono un messaggio. È solo naturale che dopo pochi mesi si stanchino. Un buon dialogo è alla base di un rapporto duraturo, ma se ti sei già raccontato tutto durante il corteggiamento, dopo non ti resta molto di cui parlare.
Sono molte le cose che non ho mai detto a Sara, tante quelle che lei doveva ancora raccontare a me. Pensavamo che avremmo avuto il tempo per farlo. Eppure conversavamo tantissimo. Parlavamo di tutto, e fra una chiacchiera frivola e l’altra, trovavamo spazio per le cose importanti, quelle che ci raccontavano di noi, che ci permettevano di riempire il puzzle della nostra vita un pezzo per volta, di svelare la nostra identità, senza fretta, ma con sincerità. Di noi due conoscevamo quanto c’era da sapere, il resto lo avremmo appreso in seguito. Per questo non mi stancavo mai di lei…
Marina è diversa da Sara, e allo stesso tempo così stranamente simile a lei.
Sara era una donna pragmatica, alta, elegante, riservata, allegra, solare, virtuosa… Sara profumava di fiori di primavera e sole. Marina è volubile, timida ed estroversa nello stesso tempo, distratta, carnale, eterogenea. Profuma di piante selvatiche e rugiada di bosco. Ed entrambe sono generose, oneste, passionali. Genuine. E anche Marina, come Sara, ha il dono della riservatezza, della pazienza.
Camminiamo a piedi nudi sulla riva di questa spiaggia infinita, chilometri e chilometri di sabbia chiara, e parliamo senza sosta. Ma non di noi due. Parliamo di ciò che ruota intorno alle nostre vite, le cose che ci sfiorano ogni giorno ma che restano fuori. Del nostro intimo, di ciò che abbiamo dentro e di chi siamo, di quello parleremo in seguito, se un seguito ci sarà. Non voglio pensarci adesso, al seguito. Ora ho solo voglia di stare con lei. Voglio godermi questo momento senza rovinarlo con false aspettative e infantili speranze. Anche le strutture più solide hanno un punto debole, ed io ho imparato sulla mia pelle che niente dura per sempre.

Il tempo scorre via in fretta quando si è felici. Dopo la passeggiata sulla spiaggia ci siamo fermati a mangiare in un ristorante sul lungomare, a Torvaianica. Non mi sembrava il caso di pranzare a Ostia. A parte Walter, nessuno sa di Marina, né desidero farlo sapere. Marina è come per il mio dolore per Sara: affare mio.
Quando mi sono reso conto che si stava facendo tardi, gliel’ho fatto presente a malincuore. Le ho detto che desideravo saldarle il conto del quadro, e che le banche avrebbero chiuso a momenti. Lei non mi ha risposto subito. Ha messo colore alle guance e ha abbassato gli occhi.
«Preferisco tenermi la tua giacca. Sempre se è quello che vuoi anche tu…» ha bisbigliato.
Non ho avuto dubbi sul significato di questa richiesta. Finché c’è un conto in sospeso fra di noi, esiste sempre un pretesto per continuare a vederci.
Trovo questo pensiero di una bellezza e di una dolcezza infinite. Le sposto una ciocca di capelli dagli occhi e le sollevo il viso. Vorrei ringraziarla per essere riuscita a farmi provare nuovamente piacevoli emozioni, ma mi trattengo. Anche questo mi riservo di farlo in un altro momento. Annuisco. Ciò nonostante, Rachele sta per uscire dall’asilo ed io devo congedarmi, mio malgrado.
«Io però ho un impegno inderogabile. Non posso trascurarlo…» le ho detto, senza spiegarle altro.
Anche Rachele è un discorso che affronteremo un’altra volta. Quando sarà il momento.

In macchina le ho chiesto il numero di cellulare.
«Non ce l’ho» mi ha risposto.
«Non hai il cellulare?»
«Lo avevo, ma me ne sono liberata. Del cellulare e del computer. Ti costringono a interminabili attese. Distruggono l’armonia di un rapporto, di qualsiasi rapporto…»
Ho riflettuto a lungo su quell’affermazione, affascinato. Ciò nonostante, mi è sembrato un concetto così fuori dalla realtà dei nostri giorni da non risultare sensato.
«E se qualcuno avesse bisogno di te?» ho obiettato.
Lei ha illuminato il viso con un ampio sorriso. «Se qualcuno ha bisogno di me, viene da me» è stata la sua risposta.
«Va bene, ma come fai con tutto il resto?»
«Tipo?»
«Il lavoro, ad esempio…» e a questa mia idiota affermazione è scoppiata a ridere fragorosamente.
«Lavoro in una gelateria. I clienti di una gelateria, in genere, decidono di aver voglia di un gelato al momento, mentre passeggiano, non lo ordinano preventivamente per telefono.»
È seguito un silenzio carico di riflessioni, che si è protratto per tutto il resto del tragitto. Quando ho parcheggiato la macchina sotto casa sua, le ho rivolto uno sguardo smarrito.
«Ma se io avessi voglia di sentire la tua voce, di notte?» ho insistito, in preda ad un profondo, infantile sconforto. Stavolta è stato il turno di Marina guardarmi come se fossi un cucciolo ferito. Ha preso un mazzo di chiavi dalla borsa, ne ha sfilate due dal mucchio e me le ha offerte.
«Quando avrai bisogno di sentire la mia voce, non dovrai fare altro che raggiungermi. E se sarò già a letto, basterà che tu ti stenda vicino a me…»
Questo mi ha detto, ed io ho avuto voglia di abbracciarla forte, e di piangere forte, ancora una volta.
Solo che stavolta, se avessi ceduto alle lacrime, sarebbero state di gioia.
   
 
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