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Autore: Gaia Bessie    28/02/2023    2 recensioni
[Bridgerton]
«Mi basta una parola» le disse, allungandosi per prenderle una mano. «E vi porto via di qui».
Fu allora che glielo disse, in un sussurro.
«Avreste potuto farlo» mormorò. «Ve lo avevo chiesto».
Ma Colin Bridgerton le aveva detto che non desiderava sposarla (due volte) e lei, che differentemente non poteva agire, gli aveva creduto.
[Partecipa alla "To Be Writing Challenge 2023" indetta da BellaLuna sul Forum "Ferisce più la penna"]
Colin/Penelope
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Duemilaminuti

 
 
Ti chiamerei anche se non prende
Ti cercherei dove non si vede
Dovesse rimanermi niente
E non importa se fa male
A piedi scalzi sulla neve
Non ho paura di cadere
 
La trovò Colin.
Lei a malapena se ne rese conto, che era Colin e non uno qualsiasi dei suoi fratelli o un passante, un prete, Eloise, sua madre, chiunque. Non se ne rese conto perché, quando lui la chiamò per nome lei, quel nome, non lo sentì. E pure le scavò una scia d’acido lungo l’esofago nel sentirsi chiamare per nome perché Penelope, quel nome lì, non lo voleva sentire più, nemmeno da lui.
Lui fece finta di non accorgersene, o magari non se ne accorse per davvero – che aveva il polso macchiato d’inchiostro, e nascondeva un livido, e le labbra blu come se si fossero gelate nel tentativo di farle preservare i respiri. Se avesse avuto un briciolo di voce, l’avrebbe sentita, ma Penelope lo guardò e scosse il capo, senza dire niente. Per un momento, minuscolo, Colin si domandò se lo avesse riconosciuto.
«Vi stavamo cercando tutti» le sussurrò, chinandosi alla sua altezza. «Eloise era fuori di sé dalla preoccupazione, così come vostra madre e vostro…».
Lei sobbalzò. Sembrava strano che avesse ancora la forza per farlo, col vestito sporco di neve che sgradevolmente le aderiva alla pelle, e i capelli pieni di brina.
Però, quando Colin disse quella parola lì, marito, lei quasi pianse (e se non lo fece, era perché le mancava la forza di farlo). Non disse comunque niente e, forse, serbava quelle parole per quando le avrebbero chiesto una spiegazione, se le fosse stata richiesta.
Penelope non lo supplicò di non riportarla a casa sua. Forse, si disse Colin, sarebbe stato quasi rassicurante se lo avesse fatto, se gli avesse dato qualcosa, una qualsiasi inutile convinzione, cui appigliarsi mentre si rendeva conto che lei ancora tremava. E non avrebbe smesso.
Non gli venne in mente che avrebbe potuto portarla a casa di sua madre, o da Daphne, con il pretesto di farle avere le migliori cure. Non gli venne in mente, o forse lo fece e prontamente soppresse quel pensiero, perché Penelope aveva emesso un sospiro rassegnato mentre lui se la caricava in spalla, mormorando che la sua carrozza era lì vicino. E c’era un fuoco caldo, vestiti asciutti, qualcosa da mangiare che la aspettavano a casa.
Lei, che aveva qualcosa di rigido perfino mentre si sedeva in carrozza, con l’orlo della gonna che gocciolava sui piedi. Colin si rese conto in quel momento, con un brivido di terrore, che non indossava le scarpe. Ma non le chiese perché – che senso avrebbe avuto? – né Penelope probabilmente glielo avrebbe confessato, perché il giorno prima era uscita, di notte, con il nevischio che già sporcava Londra di un manto grigiobianco e non era tornata più. Suo marito aveva atteso tutta la notte e metà giornata successiva per preoccuparsi e, a dire il vero, a Colin non era parso affatto preoccupato. Aveva, in un certo senso, quasi una vena di soddisfazione che gli macchiava il viso e si era detto che capiva molte cose (lei che aveva le labbra blu, sì, ma tremava anche prima).
«Mi dispiace» le disse. «Avrei dovuto portare con me una coperta, o qualcosa di simile».
Perché, nemmeno per un secondo, Colin Bridgerton aveva dubitato che sarebbe stato lui a trovarla. Si era silenziosamente tacciato di presunzione, e ne aveva, ma era sinceramente certo che sarebbe stato l’unico in grado di notarla. Anche con un vestito grigio, anche in mezzo alla neve.
«Non importa» soffiò lei. «Davvero».
Colin ingoiò tutte le domande che avrebbe dovuto farle – se aveva avuto paura: perché lei, che lo guardava e non aveva più fiato per respirare, gli avrebbe detto che della paura non le importava più, come del dolore. Lui avrebbe capito. Purtroppo, capiva sempre.
«Vi porto a casa».
Non lo domandò perché, dannazione, se si fosse permesso di presentargliela come una domanda avrebbe sperato che Penelope dicesse di no. Che lo guardasse e gli dicesse che lei, a casa sua, non voleva tornarci più.
Solo che lei lo guardò per davvero, ma scosse la testa come per dirgli (e Colin lo sapeva bene) che quel tempo era già finito. Perché, che lui la prendesse tra le braccia per portarla in una casa che non era la loro, ormai, non contava niente o forse anche meno di quel niente. Lei glielo aveva chiesto.
Mesi prima, Penelope glielo aveva chiesto. Non aveva pianto, perché se lo avesse fatto lui probabilmente avrebbe detto di sì e non se ne sarebbe pentito, ma lo aveva guardato e gli aveva detto portatemi via. Colin non aveva avuto il tempo di rispondere, e comunque avrebbe detto di sì, perché poi lei aveva scosso il capo: scusatemi, era una richiesta stupida. Sono solo molto ansiosa.
Aveva avuto ragione.
Sembrava un secolo che a Londra continuava a nevicare, fiocco dopo fiocco, e lei era sempre lì sepolta in mezzo al niente. Lui non aveva il coraggio di dirle che l’avrebbe portata via di lì, se lei glielo avesse chiesto, un’altra volta soltanto.
«Eloise vi aspetta lì» le disse, come per rassicurarla. «L’abbiamo convinta che non sarebbe stata d’aiuto, qui fuori».
Però avrebbe capito, pensò Penelope distrattamente. Solo che, al suo posto, Eloise sarebbe arrivata molto più lontano e, forse, non l’avrebbero trovata mai. Non glielo disse.
Perché se avesse aperto bocca l’avrebbe supplicato di portarla via di lì e, lo sapeva, non sarebbe sopravvissuta alla propria mente se Colin le avesse detto di no.
«Penelope…».
Lei scosse il capo, non disse una parola.
«Mi basta una parola» le disse, allungandosi per prenderle una mano. «E vi porto via di qui».
Fu allora che glielo disse, in un sussurro.
«Avreste potuto farlo» mormorò. «Ve lo avevo chiesto».
Ma Colin Bridgerton le aveva detto che non desiderava sposarla (due volte) e lei, che differentemente non poteva agire, gli aveva creduto.
 
***
 
Pensavo di poter guarire il tuo cuore da tutte le voci che senti
Però il risultato non cambia nemmeno se cambi gli addendi
Pensavo di poter usare la voce ma dentro di me ora la voce non c’è
 
Eloise era furiosa – aveva passato tre giorni a brontolare, con chiunque le si parasse davanti, così furiosamente che le si era arrochita la voce. Si era lamentata con sua madre, con sua sorella, con Gregory che aveva avuto la pessima idea di prendersi qualche giorno di riposo dall’università, e poi era iniziato il pellegrinaggio: Anthony, Benedict, Daphne. Aveva scritto, furiosamente, a Francesca almeno tre o quattro lettere in due giorni.
A Colin non aveva detto mezza parola. L’aveva guardato, un secondo, e in silenzio aveva sibilato era compito tuo. Sua sorella lo sapeva, gliene aveva dato dimostrazione più volte, ancor prima che lui arrivasse alla stessa conclusione. Glielo aveva sbattuto in faccia, che era compito suo (salvarla).
Eloise aveva inghiottito rabbia e delusione finché, quando la povera Francesca aveva infine risposto a una quindicina di lettere inviate a distanza di poche ore l’una dall’altra, aveva gridato. Le rimaneva poca voce e si era detta che era un sacrificio tollerabile, pur di dirgli che aveva rovinato tutto quanto: che lo sapevano tutti, da lei al marito di Daphne alla figlia di Anthony, che Penelope lo amava. Che aveva sperato che lui la salvasse, sì, ma andava bene anche se l’avesse rapita. Tutto, pur di trascinarla via da quel gelo. Le sarebbe stato bene anche se non l’avesse voluta sposare, in fondo: non lo avrebbe mai detto ad alta voce, ma certamente lo aveva pensato. E Colin, che si annoiava in quella vita che si era fatto ricamare addosso, aveva perso quell’occasione. Portarla via di lì.
E, quando Eloise gli aveva gridato dietro che aveva rovinato tutto quanto, lui non aveva saputo risponderle. Nemmeno quando sua madre, Lady Violet, aveva berciato contro la figlia dicendole che non doveva usare quel linguaggio, Colin era riuscito a dire una parola. Perché anche sua madre, mentre riprendeva Eloise per il contegno poco signorile, aveva stampato in faccia un sorriso mesto che suonava come un hai ragione, figlia mia.
Penelope era, per sua madre, un’altra figlia – il giorno in cui Eloise era corsa a casa, turbata, dicendole che la sua migliore amica si stava facendo fare del male, Lady Violet aveva chinato il capo. Si era trovata a spiegare che succede, a volte, che alcuni matrimoni non siano fortunati, che alcuni uomini non siano stati educati a dovere dalle loro madri. Che sperava che non fosse uno dei suoi, a comportarsi in quel modo, che ne sarebbe morta. Eloise non aveva capito, anche se da capire c’era davvero poco.
Ma quel che aveva compreso lo aveva spiegato a Colin, con rancore silenzioso, ogni volta che ne aveva avuto l’occasione. Lui le diceva sempre che avrebbe voluto salvarla.
Solo che poi non l’aveva fatto.
«Pensi che si presenteranno, stasera?» Daphne era venuta in visita a sua madre, per prendere una pausa dai preparativi del ballo che aveva organizzato nella tenuta del marito. «Ho mandato l’invito, ma non ho ricevuto risposta».
«Chi?».
Colin domandò prima che Eloise potesse rispondere alla sorella, posando sul tavolino il piattino con la tazza di tè, già gelida.
«I Grey».
Lo sguardo gli cadde su sua sorella Eloise, mentre Daphne sbriciolava un biscotto. Sembrava che si fosse congelata anche lei, quel pomeriggio di tre settimane prima, in mezzo alla neve. Penelope non si era più vista in giro, da allora, non una serata mondana o anche soltanto una passeggiata in mezzo alle strade, ormai sbrinate, di Londra.
«Non credo verranno» rispose Eloise, stringendo i denti. «Non ho notizie di Penelope da giorni».
Si notava tutto il suo sforzo per non far trasparire l’angoscia e la frustrazione da dietro quelle parole – non lo guardò. Se lo avesse fatto, Colin probabilmente avrebbe dovuto lasciare la stanza, con il pensiero martellante di non aver fatto niente per salvarla.
«Penso farò una passeggiata» sbottò, quando ancora Daphne ed Eloise parlavano costernate dell’infelice matrimonio dei due Grey. «Sorelle, penso ci vedremo stasera».
Uscì a piedi, senza nemmeno sapere dove lo stavano portando i propri passi: Colin Bridgerton camminò in tondo per tutta Londra, prima di scoprire che inevitabilmente finiva sempre a casa sua. Pensava che magari l’avrebbe scorta dalle finestre mentre leggeva un libro (le piaceva ancora, leggere?) o mentre provava l’abito per quella sera. Lo pensava, pur sapendo che Penelope per un po’ non si sarebbe vista in giro, lo pensava perché voleva che lei si potesse vedere. Che stesse bene.
Qualche volta gli sembrava, ed era un sogno a occhi aperti oppure una fantasia, di sentirla suonare. A volume azzerato perché diceva, e magari mentiva, di non sapere cantare.
Lui la sentiva comunque, cantare, se la immaginava mentre cercava un accordo, incespicava e perdeva le parole.
Non ebbe il coraggio di fermarsi, bussare, dire che era venuto a sincerarsi della condizione di vostra grazia, la contessa. Perché il maggiordomo gli avrebbe detto, come ogni volta, che Lady Grey si sentiva stanca, aveva un gran mal di testa e aveva dato disposizione di non essere disturbata. No, non desiderava un medico e non avrebbe preso parte al ballo di quella sera.
Penelope non ballava più. Anche prima non è che la si vedesse sempre in pista ma, le rare volte in cui qualcuno s’immolava, non sfigurava così tanto.
Mentre si allontanava, gli parve di sentire suonare – che forse era l’unico suono che Penelope fosse in grado di produrre: la cosa peggiore era questo. Colin era passato davanti quella casa a ogni ora di ogni giorno di mesi e anni e secoli.
E, nonostante tutto, nonostante quegli accordi così perfetti da sembrare un gioco di luci nella mente di Colin, non si sentiva niente. Penelope non gridava mai.
 
***
 
Ed ho usato duemilaminuti per capire in fondo di me cosa pensi
Ho trovato solo la rabbia forse siamo troppo diversi
Ho capito che non era amore ma soltanto un gioco che avevi creato per me
 
A sorpresa, si presentò.
Aveva un vestito insolitamente smorto, si vedeva l’assenza della madre da quella scelta di tessuti: da sposata, Penelope aveva prediletto abiti chiari, azzurrini, grigi, bianchi. Cercava di comunicare una purezza d’intenti che suo marito non riconosceva. Gliel’aveva detto e lei, con gli occhi che bruciavano perché avevano perso le lacrime, aveva giurato che sarebbe morta piuttosto che riferirlo a qualcun altro. Nemmeno Eloise lo sapeva, che pure aveva visto che, quando Thomas entrava in sala, le tremavano le mani.
Thomas le aveva detto, scandendolo bene, che non ci aveva creduto, nemmeno per un secondo. Le aveva detto, piano, che sapeva (cosa, aveva detto Penelope, cosa).
«Preparati» Thomas a malapena sollevò il capo dalla propria tazza di tè. «Il ballo degli Hastings».
Penelope non replicò – chinò il capo e si diresse verso le proprie stanze. Era come camminare sugli spilli sapendo che, prima o poi, qualcosa le sarebbe affondato nella carne. Aveva impiegato minuti e ore e mesi e anni e secoli per cercare di capire come fare a compiacerlo per scoprire, dopo secondi, che non era possibile.
Aveva qualcosa dentro. Non irrisolto, qualcosa che faceva scintille (e l’avrebbe bruciata) e la sfogava su di lei. Pensava che non potesse fare più male di così ma, a un certo punto, nemmeno quello doleva più. Era la consapevolezza del fatto che poteva scappare, avrebbe potuto farlo – se Colin avesse detto di sì. Non si era illusa nemmeno per un secondo, che lui potesse volerla (e non l’aveva voluta).
Penelope lo sapeva che, se Colin le avesse detto di sì, pur senza volerlo, si sarebbe condannato a una vita che non faceva per lui. Una vita con lei.
«Stringi di più i lacci, Eleanor» disse alla cameriera, atona. «Mi raccomando».
«Ma, mia signora…».
Lei la guardò, non disse niente – che non sarebbe servito a niente, stringersi nel corsetto fino a privarsi delle parole, che c’era sempre un passo in più che le avrebbe fatto storcere la caviglia. Però, ci provava, teneva a mente cosa lo aveva già fatto arrabbiare (tutto quanto).
«Portami il belletto» sussurrò. «Mi sembro pallida. Odia vedermi pallida».
Eleanor incespicò nei propri piedi mentre le portava la boccetta di rosso – non le disse che non era pallida e non le donava affatto, il carminio in viso, pareva una colata di sangue lungo lo zigomo. Lei lo applicò comunque, generosamente, senza sfumarlo.
Sorrise, nello specchio.
Sembrava che le sanguinasse la faccia, appena stendeva un poco le labbra.
 
***
 
E dimmi se c’è stato amore tra quelle parole
E poi dammi duemilaminuti anzi duemila ore
Tu che senza volerlo mi hai insegnato a respirare
Poi sei scappato ed hai rubato tutta la mia voce
Tutta la mia voce
 
«Lord Grey, lieto di vederla» Penelope avrebbe voluto gridare. «Vi trovo magnificamente in forma, come sempre».
Thomas lo guardò, sdegnoso, borbottando qualcosa sulle sue giunture e l’umidità di Londra in primavera. Penelope aveva smesso di pensare liberamente da quando si era resa conto che, probabilmente, quei pensieri le si incidevano in fronte. E lui avrebbe potuto leggerli.
Era vecchio.
Penelope sapeva di non doverlo pensare, che lui l’avrebbe sentita come se lo avesse detto ad alta voce lì, nella sala da ballo degli Hastings, di fronte a tutta l’alta società londinese. Ma era vecchio per davvero, Thomas, aveva compiuto di recente cinquant’anni (e ne dimostrava settanta) ed era tutto un nodo e un dolore unico, se non quando era arrabbiato.
«Sì, la pioggia ha dato noia a molti» commentò Colin, scrollando le spalle. «Un vero peccato che non vi sentiate del vostro più cordiale umore: vostra moglie potrebbe voler danzare».
Thomas Grey grugnì qualcosa, consapevole del fatto che Colin lo aveva raggirato: gli disse, masticando le parole, che se ci teneva poteva farla ballare lui e grazie tanto. Guardò sua moglie e lei, che ormai aveva imparato a leggerlo, lo vide chiaramente – l’aveva già fatta ballare.
«Vi andrebbe di concedermi un ballo, Lady Grey?».
A lei si fermò il cuore. Penelope lo guardò e seppe che, se avesse detto di sì, se avesse fatto intendere che lei voleva disperatamente staccarsi dal fianco di suo marito. E magari non tornare mai più.
Forse Colin capì, perché non le diede il tempo di formulare un cortese rifiuto e, scusandosi con un lieve cenno del capo con suo marito, le porse il braccio.
«Andate» latrò suo marito, sdegnoso. «Non fate aspettare Mr. Bridgerton, Penelope».
Lei eseguì, rigida.
A ogni passo, mentre Colin la guidava verso la pista da ballo, Penelope continuò a ripetersi che avrebbe potuto portarla via di lì, se solamente avesse voluto (e non lo aveva fatto).
Cercava di non dimenticarlo mai.
«Come state?».
Colin lo sussurrò appena le note iniziarono a scandire il ritmo di un valzer. Faceva attenzione a non stringerla troppo, sotto lo sguardo del marito, e pure perché lei sembrava così stanca che avrebbe potuto spezzarsi con un soffio di vento.
«Bene» soffiò lei, con una smorfia. «Sto bene».
Lui non le credette nemmeno per un secondo, ma non la smentì – le rivolse un’occhiata esitante, incerto se proseguire il discorso: lei, perdendo per un istante il controllo sui propri pensieri, si domandò se per caso non potesse vederci amore, interesse, anche affetto, qualunque cosa in quelle due parole. Ma lei era ancora lì e portava un anello al dito che pesava come un macigno e aveva perso la voce a forza di trattenere il pianto.
«Penelope, io…» Colin sospirò, stanco. «Chiedetemelo di nuovo».
Solo che ormai il tempo era finito e lei glielo aveva chiesto, inghiottendo lacrime e sangue, e lui le aveva già risposto che non si può sempre fuggire – aveva sottinteso, dolorosamente, che non l’amava, ma non gli interessava nemmeno quel minimo che serviva per volerla portare via di lì. Colin Bridgerton non era colpevole di averle permesso di sposare un altro.
«No».
Colin Bridgerton era colpevole di averla lasciata senza parole nel momento in cui la voce le sarebbe servita di più.
«Vi prego» sussurrò lui, sulle ultime note. Per un momento le parve sinceramente disperato. «Mi basterebbe un cenno e vi porterei via di qui».
Penelope, per un momento, lo guardò.
Poi la riportò al fianco di suo marito e si resa conto che potevano passare duemila minuti, ore, giorni e secoli ma lei non sarebbe mai tornata a respirare. Solo che non poteva fargli alcun cenno.
Temeva che Thomas avrebbe compreso tutto quanto, glielo avrebbe letto in fronte e Colin sarebbe stato spacciato. Perché già la guardava come se fosse qualcosa da salvare e lei non riusciva a dire che ormai era tardi e non c’era più nulla da salvare.
 
***
 
Io mi ricordo quando tornavi a casa stanco
E sotterravi i tuoi problemi dentro fiumi d’alcol
E ogni volta mi dicevi che la colpa era la mia
Non ti importava di distruggere i nostri momenti
Lividi sopra il mio corpo erano solo i segni
Che quel male che ti porti non andrà più via
 
Era diventata un’abitudine.
Colin sapeva che non avrebbe dovuto – passeggiare avanti e indietro di fronte la tenuta dei Grey, in città, cercare suoni, un’ombra, un segno, qualsiasi cosa. Ma Penelope taceva.
Conduceva una vita ritirata, a malapena si presentava agli eventi mondani, se poteva si faceva dispensare dal marito. E anche Thomas Grey, di sedersi nei salotti della creme di Londra, non aveva poi così tanta voglia.
Colin però la cercava. Disperatamente ne inseguiva l’ombra tra un ballo e l’altro, la cercava nel sospiro rassegnato di Eloise quando passava l’ora del tè e lei ancora non si era presentata (mesi, anni, settimane), la cercava nell’occhiata piena di compatimento che le riservava Daphne, che pure forse era troppo felice per accorgersene davvero. Lui avrebbe voluto gridare. Contro sua madre, le avrebbe detto, come avete potuto dar via vostra figlia a un essere simile?
E contro se stesso che, quando Penelope si era gettata ai suoi piedi e gli aveva chiesto (e aveva pianto prima, durante, dopo) di portarla via di lì, aveva detto che non poteva farlo. Avrebbe potuto. Solo che, quando Colin si era reso conto che il modo per portarla via di lì era sposarla, si era detto che non lo poteva fare. Nella sua mente, nei lidi quieti dove collezionava quell’insoddisfazione e quell’irrequietezza che aveva portato in giro per l’Europa, sapeva che avrebbe potuto per davvero. Ma non aveva voluto.
Per un momento, quando lei lo aveva guardato e aveva atteso un miracolo che non sarebbe giunto mai, Colin si era domandato se lei fosse stata disponibile a farsi disonorare pur di andar via di lì. Quel pensiero lo aveva atterrito ed era dovuto scappare, perché di coesistere con l’aria atterrita di Penelope con gli abiti bianchi non era in grado.
Lo sapeva che, se lei avesse insistito, se gli avesse detto un altro vi prego lui l’avrebbe presa lì. Su qualunque superfice disponibile, adesso, poi. L’avrebbe portata con sé perché sapeva che Penelope non si sarebbe difesa da sola. Forse nemmeno se ne sarebbe pentito, ma sarebbe anche cambiato. Che era ciò che lo atterriva (vedersi diverso).
Adesso era vederla piangere – ci aveva pensato, se ne era ancora in grado o aveva disimparato anche quello, era arrivato al punto di volerglielo gridare: ma, se Penelope voce non ne aveva più, a Colin per la prima volta mancavano le parole.
«Colin?».
Sentì un pigolio, poi vide il vestito (giallo): non capitava spesso che Penelope riesumasse uno dei suoi vestiti di ragazzina ma, adesso che lo guardava ed era accecante come un girasole, capiva perché. Non si notava, lui stesso aveva imparato a conoscerla come una macchia color limone, ma Penelope era ferita. E non solo dentro, non le avevano rubato solamente la voce.
«Penelope, voi…» gli mancarono le parole. Tese la mano, ma non la toccò. «Io non…».
«Cosa?».
C’era il sole e lei era vestita di quel colore, ma faceva comunque freddo: Colin non avrebbe potuto giurarci, ma avrebbe detto che nascondeva impronte di giallo anche sulla gola, che parevano due pollici. E sentiva odore di liquore, attaccato alla pelle, forse il Gin delle colonie, e lei aveva l’aria di chi temeva anche la propria ombra e soprattutto quella.
«Permettetemelo» sussurrò, a capo chino. «Di aiutarvi».
Lei non gli disse che era tardi, ma scosse il capo e una colata di capelli le tagliò il viso. Forse lo pensò, che era tardi, perché era mezzogiorno e lei doveva andare dalla modista o chissà dove, ma era tardi per quello, sì, e per una marea di altre cose.
«Non dovete essere in pena per me» accennò un movimento del capo, si incamminò, seguita dalla propria ombra. «Ne sono consapevole, Mr. Bridgerton: è stata colpa mia».
La seguiva una cameriera giovane, dallo sguardo perennemente costernato.
«Colpa di cosa?» domandò lui, e questa volta davvero la prese per un braccio. Lei sobbalzò. «Spiegatemi».
«Sono in ritardo, spero mi scuserete» sussurrò Penelope, senza guardarlo. «Mi farebbe piacere chiacchierare ancora con voi, ma... parlate con mio marito: sono sicura che gli farà piacere ospitarvi per un tè, un pomeriggio».
La cameriera lo guardò che già Penelope si era incamminata – annuì. Perché lo sapeva la viscontessa vedova Bridgerton, lo sapeva la nuova duchessa di Hastings, lo sapevano anche Eloise Bridgerton e sua sorella minore, che quindi voleva dire che lo sapevano tutti quanti e l’intera Londra. Anche Colin.
Lord Grey, che passava le giornate in Parlamento a borbottare amareggiato contro gli scozzesi, i cattolici, i francesi, gli spagnoli, la Prussia e la Russia e non per forza in quest’ordine, tornava a casa stanco. E si versava un bicchiere e un altro bicchiere, di qualsiasi cosa, e un bicchiere dopo andava a coricarsi.
E batteva sua moglie perché anche quando sognava prendeva vie che non gli piacevano ed era peggio di scozzesi, cattolici, francesi, spagnoli, la Prussia e la Russia, anche in ordine inverso, perché anche quand’era sveglia Penelope gli sfuggiva come acqua tra le mani. Figuriamoci quando dormiva.
 
***
 
Pensavo di poter guardare le cose da un punto di vista diverso
Però il tuo riflesso non cambia
Non entri nel mio universo
Pensavo di poter usare la voce ma ora dentro di me una voce non c’è
(Mara Sattei, Duemilaminuti)
 
«Lo ucciderò».
Colin glielo disse pianissimo, ma lei lo sentì con chiarezza (e sobbalzò) – Penelope alzò gli occhi dalle proprie mani, giunte in grembo, abbandonata su una sedia nella sala di ballo dell’ennesimo nobile di cui non ricordava le fattezze.
«Non a cosa vi stiate riferendo» mormorò, tenendo gli occhi puntati sulla pista da ballo. «Avete bevuto?».
Lo ferì, forse deliberatamente.
«Non sono vostro marito» sibilò, offeso. «Penelope, io non ce la faccio più, a vedervi così».
«Ero così anche prima» si guardò attorno, sospirò. «Colin, io…».
«Non potete impedirmelo» affermò. «Potete scegliere, lo sapete: venite via con me, possiamo andare in un posto dove non potrà ferirvi. Venite con me, altrimenti dovrò ucciderlo. Non posso, io davvero non posso più…».
S’incrinò. Vicino a un tavolo pieno di dolci, Colin Bridgerton guardò Lady Grey, la migliore amica di sua sorella, la ragazzina che non aveva mai degnato di uno sguardo che non fosse a malapena disinteressato, la guardò e le disse – tra duemila minuti.
Penelope avrebbe voluto credergli, lo avrebbe voluto per davvero: riflesso nel vetro di una finestra, però, Colin era sempre uguale. Era lei, cambiata, che non sapeva come spiegargli che il mondo aveva compiuto troppi movimenti e ora non sapeva più come fermare quella danza.
«Ballate?».
Gli disse di sì – in ogni modo, si disse, ormai era fatta: suo marito l’aveva vista parlargli, l’aveva visto guardarlo (e lui l’aveva guardata, sì, guardata come se non la conoscesse) e cosa era, un ballo, poi?
Gli disse di sì perché era scoccata la mezzanotte e il ballo non finiva più, e tutti la guardavano e borbottavano perché dalla scollatura dell’abito si intravedevano un collier di lividi. Ci fosse ancora stata Lady Whistledown avrebbe detto che poco si abbinavano al suo abito, ma quei tempi erano finiti e, in verità, erano solo un punto delle cose che dovevano finire.
D’altronde mancavano millenovecentonovantanove minuti e lei era stanca, anche se Colin la stava quasi sorreggendo.
Incrociò lo sguardo di suo marito.
«Era l’ultima volta» mormorò Colin. «Rimanete con me. Tra poco, Anthony andrà a raccontargli che…».
Che gli scozzesi sono la piaga del Parlamento e i francesi sono la piaga dell’Europa, così gli spagnoli, e chissà cosa accade in Prussia e in Russia. In che ordine?
Sapeva di dover dire di no, ma ancora Penelope sentiva di non avere voce – e che male c’era, si disse, a sperare.
Perché Colin sorrideva, guardandola, e non l’aveva salvata quando avrebbe dovuto, ma comunque silenziosamente le stava promettendo che era ora. Di tornare a respirare e, magari, di ritrovare le parole.
   
 
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