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Autore: Ahimadala    01/03/2023    1 recensioni
Hermione Granger ha fatto il possibile per restituire la memoria ai suoi genitori dopo la fine della guerra.
Tuttavia, nel tentativo di combattere il suo stesso incantesimo, qualcosa é andato storto.
L' eroina del mondo magico si ritroverá con un insolito e rarissimo dono, che la costringerà a scoprire stravolgenti ed imbarazzanti verità.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Lucius/Narcissa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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 La testa di Hermione faceva male. Sentiva il cervello pulsare contro le pareti della sua scatola cranica, provocandole continue scariche di dolore. Si portó le mani alle tempie ancora prima di aprire gli occhi. 

Quando finalmente li aprì, dovette sbattere le palpebre più volte per abituarsi all'oscurità che la circondava. 

C’era un fischio nelle sue orecchie, e appena provò ad alzarsi fu sopraffatta da un forte senso di vertigine. Si fermò, prendendo dei respiri profondi. E poi ci provò di nuovo, più piano questa volta. 

Poggiò le mani sul materasso sotto di lei. La stanza non aveva un odore particolare, ma quel profumo di disinfettante e medicine era spiacevolmente familiare. 

Quando i suoi occhi finalmente si abituarono al buio, iniziò a guardarsi intorno. Riconosceva vagamente questo posto. L’odore di pulito che emanava dalle lenzuola fredde, il materasso sottile, i cuscini troppo grossi. Non era nel letto di casa sua. Eppure, nonostante credesse di riconoscere il luogo in cui si trovava, c'era troppo silenzio tutt'intorno a lei.  

Dopo essersi messa a sedere sul letto, attese qualche secondo che la sua testa smettesse di girare. Un lamento da parte del suo stomaco la portò a chiedersi che ore fossero e da quanto tempo non mangiava.

Lentamente, fece scivolare una gamba dopo l'altra oltre il bordo del letto. Appena uno dei suoi piedi toccò il pavimento freddo la porta della camera si spalancò.

Sbatté le palpebre per la luce che entró dal corridoio, mentre un'infermiera le andava incontro. Indossava la tipica uniforme dei dipendenti del San Mungo, eppure non l’aveva mai vista prima nelle innumerevoli volte in cui era stata qui. 

Si avvicinò al suo letto con un sorriso stampato in volto ed una cartella in mano. Nonostante il mal di testa, il fischio nelle orecchie e gli occhi che facevano fatica ad abituarsi alla luce, Hermione cercò il cartellino sul petto della donna, dove avrebbe dovuto leggere il suo nome. 

Non c'era. 

“Non si alzi” disse la donna, avvicinandosi al letto. Con delicatezza le afferrò i piedi, rimettendoli sul materasso. Poi aggiustò il cuscino alle sue spalle. Hermione non protestò: si sentiva fin troppo stanca, e persino tenere gli occhi aperti era uno sforzo. Avrebbe solo voluto chiuderli e riposare, ma non poteva farlo, c’era qualcosa… qualcosa che non andava. 

“Dove-” deglutì. “Dove sono?”

“Non se lo ricorda?" La donna si allontanò dal letto. “Ha avuto una crisi, l’hanno portata qui in urgenza”.

“Co-cosa?”

“Ha aggredito una sua collega al lavoro questa mattina, signorina Granger”.

Una fitta di dolore alla testa impedí ad Hermione di rispondere, poi sentì la bile risalire lungo la gola. Vomitò sul pavimento, mentre la stanza spoglia tutt'intorno continuava a girare. 

La donna, sempre con il suo tocco delicato, si avvicinò per reggerle i capelli. “Adesso è sconvolta, signorina Granger. La sua magia le ha giocato un brutto scherzo, era ridotta molto male quando l’abbiamo trovata”.

“N-non” cercò di combattere contro i conati. “Non è andata così” la gola le bruciava ed il suo stomaco continuava a rigirarsi su sé stesso. 

“Non si preoccupi, capiremo cos’ha che non va. Adesso si riposi”.

Hermione non ebbe la forza di opporsi a quelle mani gentili che le poggiarono la testa contro il cuscino e alla pesantezza delle sue stesse palpebre. Aveva la bocca asciutta. 

“Ecco, beva”. 

Quando sentí il bordo di un bicchiere contro le proprie labbra, non oppose resistenza, lasciando che l’acqua fresca le accarezzasse la gola e desse sollievo. 

E poi la sua mente e il suo corpo esausto si abbandonarono all’oscurità, che l’avvolse di nuovo. 


Quando riaprì gli occhi, il mal di testa era meno insistente. Dalla luce che vedeva oltre le sue palpebre chiuse dedusse che era ormai giorno, ovunque si trovasse. Attese qualche secondo prima di aprire gli occhi, prendendo una serie di respiri profondi. 

La stanza tutt’intorno era silenziosa, per ciò che le sue orecchie erano in grado di percepire, ma forse avrebbe dovuto spingersi oltre. Nonostante la stanchezza che ancora avvertiva, provò a usare il suo potere per udire i pensieri di qualcuno fuori dalla sua stanza. Quel poco che riuscì a percepire era ovattato e distante, come se avesse i tappi alle orecchie. 

Decise di aprire lentamente gli occhi e poi scese dal letto, un piede dopo l’altro. Indossava solo la biancheria intima sotto il camice ospedaliero che le avevano messo addosso. Si guardò intorno nella stanza. Fortunatamente, i suoi vestiti erano adagiati su una poltrona vicino la finestra.

Quando si avvicinò per prenderli, notò qualcosa di strano. La maglietta sulla sedia non era la stessa che aveva indosso nel momento in cui…

Come era arrivata qui? 

Aveva appena scritto a Draco, poi aveva controllato la posta e aveva aperto… 

Si appoggiò contro la poltrona mentre un senso di vertigine le faceva mancare la terra sotto i piedi. Respiró, concentrandosi sulla sensazione del pavimento freddo sotto di lei.  

Fissò di nuovo i suoi vestiti sulla poltrona. Quella maglia… Ricordava di averla cambiata quando aveva lasciato il ministero, prima di andare a trovare Ginny, e poi-

Ginny. Non ricordava di averla vista. 

I ricordi iniziarono a farsi confusi, e insieme al senso di vertigine che la costrinse a sedersi, iniziò a provare una forte nausea. Se non avesse avuto lo stomaco così vuoto, afflitto dai morsi della fame, probabilmente avrebbe già vomitato. 

Quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato? Aveva acquistato del gelato, ricordava. Ma lo aveva poi mangiato? 

Ginny, doveva vedersi con Ginny. Era uscita dal lavoro…

O forse era stata al ministero. Riguardò la sua camicia. Era quella che aveva indossato al lavoro, così come le scarpe che giacevano a terra sotto la poltrona. Ma lei era rientrata a casa, si era cambiata, aveva…

Stava parlando con Cameron, si ricordò. All’improvviso il volto della donna divenne l’unica immagine chiara nella sua memoria, emergendo sullo sfondo sfocato del resto dei suoi ricordi, che avrebbero potuto appartenere a quella giornata come a qualunque altra. 

Provò lentamente ad alzarsi, reggendosi con una mano al muro per impedire al suo senso di vertigine di farla cadere. Non si fidava del suo stesso equilibrio. 

Prese un altro profondo respiro, e un passo dopo l’altro raggiunse la porta. Si ritrovò davanti un corridoio vuoto e silenzioso, e alla fine dello stesso un’altro spazio che sembrava vagamente simile ad una reception. Eppure non si sentiva stabile abbastanza sui propri piedi, e l’idea di percorrere quei pochi metri  le fece venire le vertigini. 

“Signorina Granger” 

Si voltò, troppo velocemente però, finendo per vomitare per terra bile e succhi gastrici. La stessa infermiera della sera prima le tenne i capelli, offrendole poi un asciugamano con cui pulirsi. 

 “Non dovrebbe stare in piedi dopo

 quello che le è successo”.

La trascinò di nuovo dentro la stanza. Nonostante il malessere fisico, Hermione era lucida abbastanza da capire che sarebbe stato saggio non lasciar trapelare immediatamente i suoi dubbi. Provò a frugare nella mente dell’infermiera, ma era come percepire un segnale a scatti. Per ogni parola che scivolava fuori, la donna rialzava il suo scuro mentale. 

 Dopo qualche secondo sentì di star per vomitare di nuovo e lasció andare qualsiasi tentativo di leggerle nel pensiero. Ci avrebbe riprovato quando sarebbe stata meglio. 

“Che ore sono?”

“Sono le 12 del mattino, ha dormito come un sasso questa notte, credevamo fosse il caso di non svegliarla”.

Deglutì. I suoi ultimi ricordi risalivano al pomeriggio, no, al mattino precedente. Quando aveva affrontato Cameron nel suo ufficio. 

“Non è venuto nessuno ancora?”

L’infermiera strinse le labbra. “Dopo quello che è successo, la signora Prichett ha sporto denuncia, perciò non può ricevere visite finchè non sarà chiuso il caso”.

Sentì la rabbia ribollire. Cameron aveva sporto denuncia? E per cosa, poi…

“Quale caso?”

“Non si ricorda?” chiese la donna, mentre la aiutava a mettersi a letto. Per un secondo, parve ad Hermione che le sue labbra si piegarono in un sorriso inquietante, nonostante il suo bel viso.  

Le sistemò il cuscino. “L’ha aggreddita. Non è stato intenzionale, certo, questo lo ha riconosciuto anche la signora Prichett. C’è qualcosa di strano in lei dal suo incidente, sostiene, e ha dichiarato che avrebbe fatto cadere l’accusa se lei si fosse decisa a farvi visitare una volta per tutte”. 

Hermione, nonostante lo stordimento che provava, sentì montare la rabbia. Non poteva essere vero, non ricordava, no…

“Dove è successo?” domandò. 

“Oh povera cara, la sua memoria gioca davvero brutti scherzi. Era al ministero, nel suo ufficio. Non sareste dovuta rientrare a lavoro così presto dopo quel brutto incidente, soprattutto senza essersi fatta visitare”. 

La donna le mise tra le mani un bicchiere colmo di una pozione. Hermione tentó di esaminarla senza farsi notare. 

“Bevete questo, e riposate ancora un po’”. 

Hermione avvicinò il bicchiere alle labbra, sotto gli occhi della donna che continuavano a scrutarla. Finse di bere, tenendolo lì per qualche secondo. Quando ingoiò aria e saliva, gli occhi della donna finalmente smisero di fissarla. 

"Povera ragazza" le disse. "Dormite, per oggi. Domani verranno a farvi delle domande”. 



“Ok signorina Granger, ricorda quello che è successo?”

Era un dottore diverso da quelli che l’avevano sempre visitata quello che si trovava davanti a lei adesso. Eppure, c’era qualcosa di vagamente familiare nel modo in cui apriva e chiudeva gli occhi dopo ogni domanda, nel suo modo di reggere la cartella sotto un braccio quando si spostava, e persino nella sua scrittura, per quel poco che era riuscita a scorgere. 

Aveva provato, non appena era entrato nella sua stanza, a leggere all’interno della sua mente. Il muro di difese che aveva incontrato non era così saldo, come se avesse studiato poco e in fretta l’occlumanzia. Per prepararsi a quell’incontro. 

Chiunque fossero questi dottori, qualsiasi cosa stesse succedendo, Hermione sapeva per certo due cose: Cameron, in qualche modo, l’aveva spedita qui. Non ricordava cosa fosse successo, ma tutti le avevano riportato sempre la stessa storia. Cameron l'aveva denunciata per averla aggredita, nonostante lei fosse certa di non averle mai torto un capello, per quanto l’avesse desiderato. La seconda cosa di cui era certa era che almeno una persona, tra tutte queste, voleva scoprirne di più sul suo dono. Perciò, dopo il suo primo ed unico tentativo di leggere nella mente dell’uomo, quando questo aveva sussultato e un sorriso inquietante si era formato sulle sue labbra, Hermione aveva deciso di smettere di provare. 

La sua testa era ancora confusa, e la cosa migliore che potesse fare, al momento, era evitare di prendere qualsiasi pozione le dessero e fingersi innocente. Nella speranza che, presto o tardi, le avrebbero permesso di ricevere delle visite. 

Doveva parlare con qualcuno, o mettere i suoi pensieri, i suoi ricordi sempre più confusi, per iscritto prima che svanissero ulteriormente. Iniziava ad avere il brutto presentimento che qualcuno la stesse manipolando. 

Tuttavia si sforzó di mantenere la calma e non lasciarsi prendere dal panico, ripetendosi che il motivo principale per cui era qui era una ragione politica. 

Non avrebbe dovuto rientrare al ministero, o se non altro forse avrebbe dovuto farlo più preparata. Non poteva essere una coincidenza che fosse successo immediatamente dopo il suo ritorno. Ebbe voglia di rompere qualcosa, sentì la sua magia crescere e agitarsi e- 

“Oh no, la prego” insistè il medico davanti a lei. “Per favore, non si agiti. La sua pressione sta salendo”. 

Si strofinò gli occhi con una mano. 

“Crediamo che lei, signorina, non stia molto bene dal suo incidente di qualche mese fa. Si è fatta dimettere troppo presto, e le sue condizioni non hanno fatto altro che peggiorare da allora”. 

Ad Hermione non piaceva affatto la direzione del suo discorso. Purtroppo, il suo brutto presentimento venne presto confermato. 

“La sua magia ha reagito in modo strano, signorina Granger, dunque dovremmo condurre dei test su lei ed i suoi genitori”. 

Il silenzio calò nella stanza, ed Hermione si rese conto che tutti i presenti la stavano studiando attentamente. Era come un animale in trappola. La cosa migliore era dare loro la reazione che si aspettavano da parte sua, sebbene non fosse completamente certa di quale fosse. 

Molto lentamente, annuì, evitando di incontrare i loro occhi. 

Era stata un idiota a lasciare che i suoi genitori restassero al San Mungo. Avrebbe semplicemente dovuto lasciarli andare ed accettare che non a tutto si può trovare una soluzione. Era stata una stupida a continuare ad insistere, a continuare a sperare che ci fosse un modo… 

“Bene” annuì il dottore. “Si ricorda la sequenza di incantesimi che aveva utilizzato?”

Si finse confusa. O per lo meno, più di quanto non si sentisse già. Fece saettare i suoi occhi tra i presenti, e poi si lasciò sfuggire un singhiozzo. “Io-” deglutì. “Il dr. Friedrich diceva che-” singhiozzò ancora, e poi cercò di mettere in campo la sua miglior performance, portandosi le mani sul volto. “E’ tutta colpa mia. Quando ho cancellato i loro ricordi, ho danneggiato il loro cervello babbano. Non sono stata brava abbastanza”. 

Ci fu un colpo di tosse, probabilmente per l’imbarazzo della situazione, e quando osò sbirciare oltre le sue dita, alcuni degli infermieri avevano lasciato la stanza. “D’accordo, non deve rispondere per forza adesso. Si riposi, potremo parlare più tardi”. 

Annuì alle parole del dottore, fingendo di tirar su con il naso. “Vorrei vedere i miei amici”. 

“Non può ricevere visite” la sua voce e la sua espressione si indurirono all’improvviso. “Per motivi legali. Mi dispiace”. 

Finse di continuare a piangere, finché finalmente il dottore e i due infermieri rimasti non lasciarono la sua stanza. 



Hermione fissava i corpi addormentati dei suoi genitori, ed in quel momento sentí tutte le cose nelle quali aveva riposto speranze abbandonarla: il fatto che avrebbe potuto salvarli, che tutto sarebbe tornato come prima, che una volta finita la guerra loro avrebbero recuperato la memoria e sarebbe stato come se nulla fosse successo. Solo adesso, finalmente, sentiva di aver finalmente accettato il fatto che nulla di tutto quello sarebbe successo. 

Ogni cosa ha un prezzo, e quello era il suo. Aveva scelto di pagarlo,  per la salvezza dei suoi genitori, e lo avrebbe fatto di nuovo, ancora e ancora. 

Adesso, si era resa conto, era pronta a lasciarli andare. Ad accettare che fossero salvi e andassero avanti con la loro vita, anche se lei non ne avrebbe fatto più parte.

Se solo fosse riuscita ad uscire da qui, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata riportarli alle loro vite, ad essere Wendell e Monica Wilkins, una coppia felice e senza figli. 

No, non se. Quando. Quando uscirà da qui. 

Uno dei guaritori, sempre giovane e mai visto nelle precedenti volte in cui era stata qui, le si avvicinò e le mise in mano una bacchetta. “Purtroppo la vostra bacchetta è andata persa nell’incidente” disse. 

Incidente. Più Hermione si sforzava di ricordare il cosiddetto incidente, e ciò che era successo dopo, più le veniva mal di testa. 

Strinse tra le dita la bacchetta che le diedero, con aria accondiscendente. La stessa vibrò appena la prese, ma era una cosa positiva, perchè non aveva alcuna intenzione di fare ciò che le stavano per chiedere.

“Adesso vogliamo che ripeta lo stesso identico incantesimo di quel giorno” disse il dottore davanti a lei. 

Annuì, sforzandosi di non tremare, un po’ per la rabbia ed il nervosismo, che tuttavia avrebbe sfogato su di loro non appena fosse uscita da qui, ed un po’ per il mal di testa crescente. 

Sapeva che non sarebbe uscita da qui finchè non avrebbe dato loro ciò che volevano. O almeno, questo era quello loro dovevano credere. 

Sollevò la bacchetta. E poi, prima che le dessero il via, prima che la sua mano fu perfettamente dritta davanti a sè, lanciò uno stupeficium non verbale. 

La luce bianca lasciò la bacchetta con una tale forza che venne spinta all’indietro, tanto da urtare il muro alle sue spalle. La bacchetta rotolò sul pavimento, e al mal di testa che già sentiva si aggiunse un tremendo mal di schiena. 

Venne aiutata ad alzarsi, ma appena la misero in piedi finse di nuovo di cadere, come se le sue ginocchia non potessero reggerla. “Dovremmo provare con un'altra bacchetta” si avvicinò di nuovo il dottore. Hermione colse uno strano movimento della sua mano, ma lui la nascose rapidamente dentro una delle tasche del camice. “Che cosa conteneva il nucleo della sua?”

Hermione sbattè le palpebre mentre due giovani infermieri la tenevano da entrambe le braccia. Poi piegò le labbra, come se stesse di nuovo per mettersi a piangere. 

“D’accordo, d’accordo” l’uomo si tolse gli occhiali, ed Hermione notò qualcosa di strano nei suoi occhi. Erano sempre stati di quel colore? Sembravano più scuri… “Riportatela in camera”. 

Hermione, comunque, lasciò andare qualche singhiozzo, assicurandosi che tutti lo sentissero e la vedessero solo una ragazzina che piange dalla quale non avrebbero ottenuto nulla. 


Era notte fonda, doveva essersi addormentata per qualche ora, nonostante avesse fatto il possibile per cercare di rimanere sveglia. Tuttavia era stanca, e solo il sonno riusciva a liberarla dal mal di testa, sebbene non fosse più così forte come quando si era svegliata la prima volta. 

Aveva il brutto, pessimo, presentimento, di sapere benissimo perchè si sentiva in quel modo. Si alzò in piedi. Fuori dalla sua finestra era ancora buio, il che suggeriva fosse notte fonda. Era la sua unica occasione per provare a sgattaiolare fuori, o per lo meno aggirarsi per i corridoi nella speranza di incontrare un volto conosciuto o ricavare qualcosa di utile, qualsiasi cosa.

Il corridoio fuori dalla sua camera era completamente buio, ma con una mano contro il muro iniziò ad avviarsi lentamente verso il punto in cui aveva scorto una piccola reception, aiutandosi solo grazie alla luce della luna che entrava dalle piccole finestrelle in alto. Il pavimento era freddo sotto i suoi piedi nudi, e scoprì con sollievo e un po’ di sorpresa che il bancone era vuoto. 

Era tutto così silenzioso. Non quel tipico silenzio che si sente la notte, quando tutti dormono. Sembrava quasi che lei fosse l’unica persona presente. 

Lentamente, poggiò la mano sulla maniglia più vicina a lei, il metallo freddo sotto le sue dita, e sforzandosi di non far alcun rumore provò ad aprire la porta. Era chiusa. Fece lo stesso con quella successiva e quella dopo ancora, ma entrambe sembravano esser state chiuse a chiave. 

Ripeté il gesto fino all'ultima porta del corridoio, tuttavia, proprio nel momento in cui stava per sfiorare quella maniglia, si bloccò. Quando abbassò lo sguardo, notò che le luci della stanza erano accese. C’era qualcuno all’interno. Appoggiò l’orecchio alla porta, ma non riuscì a sentire nulla.. 

Si allontanò un po’, reggendosi al muro mentre il suo cuore iniziava a battere rapidamente, e prese un respiro profondo. Chiunque fossero le persone all'interno, in questo momento non si sarebbero aspettati che lei potesse essere lì: i loro scudi non erano alzati, e quelle goffe barriere mentali non poterono nulla contro la sua intrusione. 

Scivolò nella mente più vicina alla porta, notando qualcosa di vagamente familiare in quei pensieri, come se li conoscesse già. Come se la conoscesse già, la donna i cui pensieri stava violando.

E oh, la conosceva e come. 

Fissò la stanza attraverso i suoi occhi. Era un laboratorio… un laboratorio di pozioni. Il dottore, lo riconosceva, era Prichett. Quell'uomo inquietante, stempiato e con gli occhiali. E gli ingredienti che aveva davanti a sè… Quella che stava preparando era una pozione polisucco. 

Cercò di farsi piccola dentro la testa di Cameron, di osservare senza interferire e dar segno della sua presenza.

“E’ passato fin troppo tempo” diceva la sua voce. Hermione si sentì ribollire dalla rabbia. “Che sia chiaro, non l’ho portata qui affinchè tu facessi i tuoi stupidi esperimenti. Domani la costringeremo a firmare le dimissioni e la lasceremo andare. Ho ottenuto ciò che dovevo”.

L’uomo continuò a tagliare gli ingredienti che aveva sul banco. “Non ho ancora visto nessun articolo sorellina. Nè su di lei, nè sulla tua promozione”.

“Arriverà domani. E il mio lavoro non è nulla di cui tu debba preoccuparti. Non mi interessa delle tue stupide teorie. L’importante è che sia fuori dal ministero e che sembri una sua decisione” Hermione la sentì sorridere, sentì nella sua mente il senso di soddisfazione che la invase a quel pensiero, insieme ad un piccolo accenno di paura, e di sollievo dopo un terrore appena scampato. 

“Se solo avessi una possibilità, il potere che potremmo, che tu potresti ottener-”

Cameron sollevò una mano, interrompendolo. “Non mi importa nulla. Il potere che voglio me lo darà lei quando avrò finito il mio lavoro con Hermione Granger. E succederà domani”. Si voltò, ed Hermione vide la porta con i suoi occhi. 

“Buonanotte, fratellino”

Fece a malapena in tempo a correre nella sua stanza, lasciando la porta parzialmente aperta e infilandosi sotto le coperte con il cuore che le martellava nel petto ed il respiro pesante. Se solo fosse riuscita a scavare un altro po’ nella mente di Cameron,  a scoprire chi fosse questa lei… 

Ma lo avrebbe fatto. A tempo debito avrebbe fatto in modo che tutti pagassero per quello che era successo. 


La vestirono, quella mattina la fecero vestire e la trascinarono in un ufficio Non c’era un nome sulla targhetta dorata davanti alla porta, ma solamente il nome del reparto:  Salute Mentale ospedale San Mungo

Doveva essere  in un’altra ala dell’ospedale, rispetto a quella dove era stata le altre volte, perchè qualcosa, qui tutt’intorno, era troppo silenzioso. 

C'era il solito dottore dietro la scrivania. O forse, avrebbe dovuto dire, quello a cui avevano rubato il volto. Eppure… c'era solo un modo. Un solo ed unico modo in cui avrebbe potuto tirarsi fuori da questa situazione. Perciò lasció che la facessero accomodare su una poltrona di pelle davanti ad una elegante scrivania piena di scartoffie, di fronte all'uomo dietro il quale era certa di nascondesse il dr. Pritchett. 

O, peggio ancora, sua sorella. 

"Ha due opzioni, signorina Granger" inizió l'uomo non appena Hermione fu davanti a lui.

Annuí, attendendo che proseguisse con il discorso. 

"La sua prima opzione è rimanere qui. Lasciare che conduciamo altri test su lei e i suoi genitori, in modo che possa finalmente-" Hermione strinse gli occhi, osservando il modo in cui sembrava far fatica a trovare le parole giuste. "Guarire, ecco. Per essere certi che spiacevoli episodi come quello del suo incidente non si verifichino di nuovo". 

Le sorrise. E nonostante il volto bello e giovane dell'uomo che stava impersonificando, quel sorriso inquietante fece accapponare la pelle della grifona. 

Hermione attese, ancora. Quando tuttavia fu chiaro che non avrebbe continuato fu lei a chiedere: "e la seconda?"

Il dottore sollevò una pergamena dalla scrivania. "Data la denuncia della signora Pritchett, se non accetta di lasciarci condurre altri test per capire cosa ha provocato questo suo incidente e risolvere il suo problema" Hermione dovette stringere i pugni, infilzandosi le unghie nella carne per trattenere la rabbia. "È costretta a dimettersi dalla sua posizione al ministero. E deve firmare per accettare che non potrà più ricoprire alcun ruolo pubblico all'interno della società magica". 

Il cuore sprofondò nel petto di Hermione. E insieme ad esso alcune lacrime le solcarono le guance. Non c'era bisogno di fingere, questa volta. 

Incontró un ultima volta quegli occhi. Oggi del colore giusto, nocciola, con un po' di ambra all'interno. Non scuri come lo erano stati ieri. E pensó che quell'idiota non era nemmeno capace di produrre una pozione polisucco come si deve. Doveva farlo e basta. Comunque, non avrebbe risolto le cose rimanendo dov'era, conservando quel lavoro. 

Afferró la piuma e la intinse nell'inchiostro, e quasi strappò via la pergamena dalle sue mani per la fretta di afferrarla e firmare. 

Rimase a fissare il suo nome, quelle lettere dipinte sulla carta color avorio, anche mentre il dottore si alzava. 

"Bene, le infermiere hanno già sistemato le sue cose. Scriveremo a qualcuno di venirla a prendere. Il suo contatto di emergenza è ancora il signor Potter, esatto?"

Hermione annuí, continuando a fissare quelle parole. 

Aveva firmato. 

E nonostante avesse dovuto sentirsi oppressa, schiacciata dal peso di ciò che stava lasciando, si sentí invece libera. 

   
 
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