Giorno
28 ottobre “Parti
extra”
E
andiamo avanti con lo
sbolognamento dei prompt plasmati sulla mia versione di Mictlancihuatl,
ormai
obsoleta come Internet Explorer e, pertanto, destinata a fare la sua
stessa
fine (Alma, piccina mia, ti voglio bene lo stesso).
Questo
capitolo è ambientato
durante le feste dei morti nel periodo azteco, “la
mia” Mictlancihuatl non è
ancora sposa di Mictlantechutli, ma solo la serva, quindi siamo ancora
nel
Quarto Sole. È necessario aver letto il capitolo
precedentemente pubblicato,
che inizialmente era stato concepito come prologo ma che poi ho
separato, vista
la lunghezza, giacché torneranno alcuni riferimenti
lì espressi.
Eeee… non so se
vi è capitato di cercare
l’iconografia delle principali divinità azteche.
Il corpo di Xocipilli (quello
“vero”), a cui è dedicato il POV di
questo capitolo, è coperto di… parti extra:
piante e funghi con proprietà psicoattive. Anche questa
immagine di Xocipilli
di Kokoro lo è, quindi… neurone fanwriter in
movimento! Facebook
Anche per
Allen ho creato un contrappasso da pagare durante la sua vita da umano
e,
finalmente, la espongo. A proposito di Allen,
povero, nelle mie
fanfiction l’ho massacrato! Nell’ultimo volume,
però, mi ha fatto una
tenerezza… l’ho rivalutato. Molto. Bubino, ti
avevo mal giudicato ;__;
Parti
extra
Xocipilli
aveva sperato che,
ottenuta la sua vendetta, avrebbe trovato un po’ di pace. Per
giorni, mesi,
anni, secoli, aveva sperato che il tormento per
ciò che il principe dei
fiori aveva fatto alla sua dolce sposa Mayahuel mentre era in vita,
ossia averla
condannata a morte per mano delle tzitzimine solo perché si
era lamentato della
sua condotta, si sarebbe attenuato. In fondo, aveva tolto a
Quetzalcoatl ciò
che il Serpente Piumato aveva tolto a lui: la vita della donna che
amava. Eppure, la
vendetta non era servita, e a
Xocipilli non era rimasto null’altro a tirarlo su che lo
stordimento provocato
dall’uso delle sue stesse droghe, che si generavano sulle sue
braccia come
parti extra del suo corpo. Trovava un triste conforto anche nel consumo
eccessivo di pulque: l’unico modo, estremamente labile, per
avere ancora
Mayahuel con sé dopo che la dea si era trasformata in una
pianta di agave.
Sebbene
il suo stato d’animo
fosse ben lungi dall’essere risollevato da tali eccessi,
Xocipilli poteva
godere almeno della consolazione di aver trascinato con sé,
nel baratro, anche
l’odiato Quetzalcoatl. Tale consolazione, tuttavia, era
presto venuta meno
quando si era reso conto che, a differenza sua, il Serpente Piumato
poteva
confidare nell’aiuto e nella presenza di amici e fratelli che
gli erano rimasti
accanto. Sia pure con iniziale difficoltà, stava proseguendo
con la sua vita, forse
perché, aveva pensato il principe dei fiori, anche per il
Serpente Piumato,
alla fine, una donna umana non valeva quanto una dea, e non valeva la
pena
portare il lutto per l’eternità. In effetti,
sembrava che Itztlacoliuhqui
Ixquimilli gli avesse risollevato parecchio il morale.
Se
già questo ebbe l’effetto di
irritare Xocipilli, presto si aggiunse una nuova ragione per alzare a
dismisura
i suoi livelli di frustrazione.
Raramente
Xocipilli si mescolava
tra i mortali. Non disdegnava di assistere, talvolta, alle feste
dedicate alle
divinità: giacché gli umani facevano uso dei suoi
doni – le droghe che aprivano
la mente dei sacerdoti, donando visioni mistiche, e che calmavano le
vittime
destinate al sacrificio - il minimo che il dio dei fiori potesse fare
era
andare a reclamare i tributi che gli versavano; ma questo era ben altra
cosa
rispetto a partecipare alle feste con loro, tra di loro.
Anche altre
divinità lo facevano, senza ovviamente palesare la propria
identità,
soprattutto se la festività era espressamente in loro onore.
Alle
festività in onore di altri
dèi, Xocipilli capitava di partecipare più che
altro per approfittare di umani
abbastanza “in estasi” (leggasi: drogati marci) su
cui sfogarsi. Rimase dunque
interdetto quando, durante le festività in onore dei morti,
aveva casualmente
trovato per le strade i petali di un fiore di cui aveva ceduto dominio,
e che
mai avrebbe pensato di vedere di nuovo… cempasuchil.
No,
ragionò il dio, non potevano
essere nel mondo dei vivi!
Il
luogo pullulava di esseri
umani, molti più del solito, eppure molti di essi
erano… incorporei. Xocipilli
poteva percepirli e, ne era consapevole, anche le altre
divinità presenti
riuscivano a farlo. D’altro canto, quelle anime degnarono a
malapena di uno
sguardo le divinità, prese com’erano dal restare
appresso ai cari ancora in
vita. Anime di defunti fuori dal Mictlan? Che pazzia era quella?
“Mictlantechutli
è forse uscito
di senno?” esclamò a gran voce, suscitando
l’ilarità di Itzapapalotl e
Huitzipolotchli, che si erano imbucati alla festa senza vergogna e lo
avevano
facilmente adocchiato nella bolgia di gente che percorreva le vie della
città
di Tenochtitlàn.
“Ma
come, Xocipilli? Sono anni
che i defunti festeggiano i Giorni dei morti in questo mondo e te ne
accorgi
solo oggi? Le tue droghe devono averti fritto il cervello!”
esclamò il Colibrì
del Sud accennando a qualcuno in lontananza.
Xocipilli
voltò lo sguardo verso
quanto indicato da Huitzilopotchli, seguendo involontariamente la via
dei
petali lasciati a terra… fu allora che la vide.
Uno scheletro femminile,
con lunghi e ondulati capelli sciolti sulle spalle, vagava per le
strade,
osservando i morti con l’aria di chi vigila su bambini
intenti a giocare e
inspirando il profumo di un cempasuchil tra le sue mani. I capelli, ora
biancastri,
avevano quasi tratto in inganno il dio dei fiori, ma poi
comprese… quel
vestito rosso… e quei fiori! Malintzin?!
“Ma
dovrebbe essere sepolta nel
Mictlan!” esclamò ad alta voce il dio dei fiori,
paonazzo. Lo scheletro, udendo
quelle parole, si voltò proprio in direzione della
divinità. Diede segno di
aver riconosciuto colui che gli aveva fatto dono di quei fiori a lei
tanto
cari: gli rivolse a malapena un’occhiata e lo
salutò con la manina ossuta in
segno di scherno, prima di proseguire per la sua strada, senza degnare
più di
uno sguardo nessuna delle divinità presenti.
“Ma…
ci ha ignorato” constatò
Huitzilopochtli, senza dare alcun segno di essere offeso.
“Beh,
è chiaro che sta lavorando…
non ha l’aria di essere qui per fare baldoria… al
contrario di noi” commentò
pratica Itzapapalotl.
“Ma
siamo divinità… le siamo
superiori!” protestò Xocipilli, indignato per la
mancanza di rispetto che lo
scheletro aveva riservato loro.
“Questo
è vero. Ma appartiene al
Mictlan adesso. Il suo unico dio è Mictlantechutli. Noi
siamo passati in
secondo piano, operando in tutt’altra giurisdizione rispetto
alla sua” replicò
calma Itzapapalotl.
“Tutti
i morti diventano
monoteisti, dopotutto. Le anime dell’Omeyocan, ad esempio
stravedono solo per
me. Le donne, soprattutto!” si autoincensò
Huitzilopochtli.
“Sono
qui anche le anime
dell’Omeyocan?” chiese sempre più
confuso il dio dei fiori.
“Veramente
no” rispose l’altro
con leggerezza.
“E
questo mi riporta alla domanda
iniziale. Mictlantechutli è forse uscito di senno?”
“Ah,
direi proprio di no! Ma
qualcosa mi dice che c’entra quella fanciulla…
ahi!” la gomitata nella costola
di Itzapapalotl troncò il desiderio del colibrì
di chiacchierare. “Adesso
dobbiamo lasciarti Xocipilli: abbiamo perso Tlaloc tra la
folla!” concluse
vivacemente Huitzilopoctli.
“Probabilmente
è già al tempio,
tra poco ci saranno i sacrifici! Ci si vede in giro,
Xocipilli!” si congedò
Itzapapalot e, senza attendere replica, le due divinità
tolsero il disturbo.
Sempre
quella dannata ragazza di
mezzo! Infastidito oltre ogni dire, il dio dei fiori
dimenticò totalmente i
suoi programmi di sesso, alcool e droga. Ne aveva appena deciso un
altro.
Lo
scheletro della donna che, un
tempo, era stata Malintzin non aveva motivo di nascondersi, ma non si
lasciava
neppure avvicinare tanto facilmente. Tuttavia, Xocipilli la
seguì con
ostinazione. Quando credette di averla finalmente raggiunta, il dio si
accorse
di averla persa di vista. Si trovava in un quartiere isolato, con il
terreno
sterrato, umile. Non c’era nessuno: erano tutti a godersi il
culmine della
festa, i sacrifici umani. Proprio quando stava per imprecare contro
l’esistenza
della ragazza, Xocipilli si sentì lanciare addosso qualcosa
di bioluminescente,
che lo colpì al bicipite, graffiandolo lievemente. Ne
giunsero altri due a
distanza di tempo ravvicinato, che colpirono i suoi avambracci.
Infastidito,
Xocipilli guardò verso la direzione di provenienza. In
penombra, scorse lo
scheletro.
“Ti
perderai i sacrifici,
restando qui. Pensavo ti piacesse quel tipo di spettacolo”
esordì la fanciulla,
mentre staccava un luminoso petalo dal cempasuchil tra le sue mani.
“Quel
giorno non ero venuto a
vedere un sacrificio. Ero venuto a veder morire te” il veleno
nelle sue parole
era così pesante che potevano quasi tagliare
l’aria con un coltello.
“Lo
immaginavo”. Gli lanciò
addosso il petalo ma stavolta Xocipilli lo prese in mano al volo. Con
sua
sorpresa, il petalo non era morbido, delicato: era rigido, sottile, coi
bordi
taglienti. Si ferì le dita, aumentando la sua irritazione.
La
ragazza lanciò altri petali,
uno dopo l’altro.
“Tu
mi hai tolto la vita. Non
sarei dovuta morire quel giorno”. La maggior parte dei petali
venne deviata ma
alcuni petali andarono a segno, finendo contro le braccia di Xocipilli.
Per
toglierseli di dosso, la divinità dovette graffiarsi di
nuovo. Niente di grave,
visto che i graffi erano superficiali. Tutto qui quello che
l’umana sapeva fare
con i suoi cempasuchil? Che patetica creatura!
“Non
ero una vittima sacrificale
predestinata! Sono finita su quell’altare per tuo
capriccio!”
“E
quindi cosa dovrei fare?
Riparare al danno? Sentiamo” domandò in tono
canzonatorio. Trovava
soddisfacente l’idea di sentirsi chiedere
qualcosa… e negargliela. Oh sì, si
sarebbe strappato via la pelle come Xipe-Totec, piuttosto che
accontentare una
richiesta di quella donna!
“Il
tuo corpo produce sostanze
stupefacenti. Voglio qualcosa che lenisca il dolore fisico”.
“Il
tuo Signore Mictlantechutli
ti sevizia? Ne sono lieto”.
“Che
domanda abbietta, o somma
divinità dei fiori” lo biasimò la donna
con una smorfia. O meglio, con quello
che poteva somigliare ad una smorfia, data la mancanza di muscoli e
pelle a
darle delle espressioni nitide.
“Comunque,
non serve a me, ma
agli umani. Sembra che abbiano bisogno di un aiutino extra per lenire i
dolori
delle infermità per le quali non vi è altro esito
che la morte”.
“La
mia risposta è no” con questa
risposta, Xocipilli credeva di aver chiuso l’argomento.
“Non
vuoi aiutare gli umani a
soffrire di meno nel momento del trapasso?”.
“Affatto.
Anzi, già mi secca che
usino le droghe per stordire le vittime prima del sacrificio. Avrei
voluto
vedere la tua espressione atterrita davanti all’altare, quel
giorno” concluse
con un sorriso malvagio. Sapeva che, per la maggior parte dei
guerrieri, la
morte sull’altare era un grande onore, premiato con il
soggiorno nell’Omeyocan,
il Regno del dio della guerra Huitzilopoctli. Tuttavia, poteva capitare
che la
paura dell’ignoto o del dolore prendesse il sopravvento sulla
fede, soprattutto
se i prigionieri di guerra andavano a servire divinità di
popolazioni nemiche.
“Non
mi importa” continuò con
leggerezza Mictlancihuatl.
“Come,
non ti importa?” chiese
confuso. Non le importava della sua gioia nel saperla morta o non le
importava
di avere le sue droghe?
“Intendo
dire che non mi
interessa ciò che vuoi tu. Mentre fantasticavi su come
avresti potuto rendere
la mia morte più dolorosa (sei davvero un essere
deplorevole, lasciatelo dire),
mi hai dato ciò che ti ho chiesto”.
“…già
dato?” domandò l’altro,
ancora più confuso di prima.
Per
tutta risposta,
Mictlancihuatl indicò verso i piedi del dio. Xocipilli
guardò, e fu allora che
si rese conto: alcuni frammenti delle piantine e dei funghi che
crescevano sui
suoi avambracci erano caduti sul terreno, tagliati dai petali di
cempasuchil,
anch’essi per terra… e buona parte di queste
materie organiche divine erano
bagnate dal poco sangue che Xocipilli aveva versato quando aveva
afferrato con
le dita uno dei petali, inconsapevole del bordo affilato. Un dono
involontario
pronto ad essere raccolto dalla terra degli umani: un nuovo tipo di
sostanza
stupefacente nata dall’unione tra le sostanze psicotrope di
Xocipilli e i fiori
dei morti. Piante con proprietà oppioidi, in grado di lenire
i dolori più
lancinanti, ma pronti a spedirti nel Mictlan per direttissima se
eccedevi,
anche solo di poco, con la dose strettamente necessaria.
“Ti
ringrazio per collaborazione”
concluse la donna con sottile ironia.
Quetzalcoatl
stava andando avanti
con la sua vita; Malintzin andava e veniva dal Mictlan come voleva, in
possesso
di un potere sconosciuto al dio dei fiori; e adesso, un suo dominio gli
era
stato estorto con l’inganno. La conseguenza era piuttosto
prevedibile:
Xocipilli perse completamente le staffe.
Con
un grido terribile, si
avventò su Mictlancihuatl, intenzionata a frantumare ogni
singolo osso di cui
era composto il suo scheletro; la ragazza, dal canto suo,
sembrò congelarsi sul
posto per la sorpresa o, forse, per lo spavento: forse, far infuriare
una
divinità non era stata la cosa più saggia da
fare…
Al
contrario delle aspettative,
il colpo non venne mai: Xolotl, comparso all’ultimo momento
come dal nulla,
stava trattenendo la mano di Xocipilli. A debita distanza, nuove anime
stavano
osservando: erano le vittime appena sacrificate.
“Se
intendi distruggere una
proprietà del mio Signore Mictlantechutli, dovrai
risponderne a lui: è questo
che desideri, Xocipilli?”
Lo
sguardo del dio dei fiori
lasciò intendere che era pronto a prendere sul serio quella
opzione.
“Mictlancihuatl
è qui per un
unico compito assegnatole dal suo padrone: se ha fatto
dell’altro, non solo
senza il consenso del mio Signore, ma persino arrecando disturbo a
un’altra
divinità, allora sarà punita
severamente” concluse Xolotl.
“Allora
che sia punita qui,
adesso, davanti ai miei occhi!” pretese Xocipilli, ma Xolotl
scosse la testa.
“Deve
ancora portare a termine il
suo compito, e la mano che può elargire qualsiasi punizione
è solo quella del
mio Signore. Addio, Xocipilli”.
Quest’ultimo
non poté far altro
che rinunciare ai suoi propositi omicidi: pertanto, si
ritirò, non senza prima
aver scoccato uno sguardo di puro odio verso la ragazza.
“È
quasi l’alba” le comunicò
Xolotl.
“Xolotl,
dici che il nostro
Signore si potrebbe arrabbiare per quello che ho fatto?”
chiese Mictlancihuatl
mentre accarezzava, per un istante, l’idea di darsi alla
fuga, timorosa per
l’eventuale collera di Mictlantechutli. Ma durò
solo per un attimo: aveva
assunto volontariamente un dovere, vigilare sul viaggio delle anime da
e verso
il Mictlan, e lo avrebbe portato a termine.
“Hai
recato offesa ad una
divinità. Questa è una cosa che si paga caro,
come avresti dovuto già ben
imparare. E per cosa? Per donare sollievo agli umani?”
“Ti
sembra che sia nella
posizione di fare doni? Faccio esclusivamente ciò che serve
al Mictlan, né più,
né meno”.
Senza
aggiungere altro – aveva
ben compreso che Xolotl non era intervenuto per aiutarla, dopotutto -
concentrò
il suo potere sul fiore che teneva ancora tra le mani. Non importava
quanti
petali avesse strappato, il fiore restava comunque rigoglioso e
luminoso.
Presto, anche i petali che aveva lasciato a ciascuna anima uscita dal
Mictlan
avrebbero brillato allo stesso modo, a segnalare che era
l’ora di tornare nel
Mictlan. Solo quando anche l’ultima anima fosse ripartita
verso la sua
destinazione finale, Mictlacihuatl avrebbe potuto rientrare nel
Mictlan. A quel
punto, il suo compito si sarebbe concluso, e allora avrebbe reso conto
delle
sue azioni al suo Signore.
***
“Cos’hai
combinato, stavolta?”
Mictlantechutli si limitò a sospirare, in attesa di ricevere
una spiegazione
dalla ragazza. Xolotl non riusciva a credere
all’atteggiamento del suo Signore.
Un tempo, Mictlantechutli avrebbe usato un tono irato e non avrebbe
ascoltato
alcuna patetica scusa o supplica di Malintzin. Un servitore che osava
fare
qualcosa di diverso da quanto espressamente ordinato dal suo Signore
avrebbe,
di norma, passato l’eternità a pentirsene. Adesso,
sembrava un maestro pronto
ad ascoltare l’ennesima, innocua marachella fatta dalla
più discola delle sue
allieve, senza una vera intenzione di punirla.
“Più
o meno quello che ho fatto
da quando ho iniziato a recuperare le ossa disperse direttamente in
superficie:
volevo contribuire a rendere più sereno il
Mictlan”. A Mictlantechutli non
sfuggì il movimento della mano di Mictlancihuatl: una lieve
carezza alla
tempia. Le era dunque tornato il mal di testa, ma sembrava aver
cercato, e
trovato, sollievo da sola.
“Non
era necessario”.
“Signore,
continuate a recarvi
nel Chiucnāhuāpan, dove
dimorano le anime, con la
vostra arma. Era necessario” replicò con tono
vagamente addolcito.
“Sai
chi erano le anime che ho
appena distrutto?” la interrogò il suo sovrano.
“Erano
malati terminali, mio
Signore. Il dolore provato alla loro dipartita è stato
talmente prolungato,
talmente intenso, da non essere riusciti a liberarsene del tutto,
quando sono
giunti qui. Quel rimasuglio li ha agitati troppo”.
“Non
accadrà più”.
“No,
non accadrà più”. Gli umani
avrebbero presto appreso come usare a loro vantaggio le sostanze del
nuovo
fiore.
Mictlantechutli
non aveva mai
risposto alla domanda che gli fece Painal tempo addietro. Conosceva la
risposta, ovviamente, ma tanti indizi non facevano una prova.
Xolotl,
che aveva assistito a
quello scambio, decise di intervenire. “Ha recato una grave
offesa a
Xochipilli, mio Signore. Questo affronto deve essere punito molto
severamente.
Così è l’usanza”. Per quanto
bene possa aver fatto alla causa del Mictlan e
alla preservazione del tesoro del suo sovrano, non si poteva rischiare
un
incidente diplomatico tra divinità. O almeno,
così Xolotl pensava.
La
risposta giunse totalmente
inaspettata alle orecchie tanto di Xolotl quanto di Mictlancihuatl, che
era già
rassegnata ad essere punita come ai vecchi tempi. “La ragazza
si è presa il suo
riscatto”.
“Signore,
intendete quindi
lasciar correre?” chiese Xolotl, sbigottito.
Mictlantechutli
non aveva
dimenticato di aver accolto nel suo Regno la
ragazza perché convinto da
altri che fosse una donna superba. Lui stesso era stato ingannato, e
non
l’avrebbe perdonato.
“La
ragazza non avrebbe dovuto
essere sacrificata. Ha scelto un risarcimento e se
l’è preso”.
L’ipotesi
inespressa di Painal
era divenuta, col tempo, anche la sua. Per confermarla, o eventualmente
confutarla,
aveva ordinato alla fanciulla di scortare le anime fuori dal Mictlan, e
di
riportarle indietro, per ridurre gli effetti della malinconia delle
anime
separate dalle persone che avevano amato in vita, effetto collaterale
del dono
di Quetzalcoatl all’umanità. A seguito del
successo di quella rischiosa
operazione, Mictlantechutli aveva concluso che la ragazza avrebbe avuto
tutto
il diritto di prendersi ciò che le spettava, anche da una
divinità come
Xocipilli. Ovviamente, in qualunque altro caso,
dell’ingiustizia subita da
un’umana non gli sarebbe importato di meno.
Mictlancihuatl
sgranò gli occhi e
guardò il suo Signore come se lo vedesse per la prima volta.
Quegli occhi
sembravano chiedergli di spiegare ancora.
“Se
contrai un debito, o non
riscuoti un credito, tale mancanza grava sull’anima
immortale. Ma non mi
aspetto che tu capisca: gli umani sono estremamente incoscienti quando
si
tratta di scaricare il peso di un proprio debito su qualcun
altro”.
Xolotl
si rasserenò un poco.
“Dunque lo avete fatto per preservare Xocipilli”
ignorava il motivo per cui il
debito verso un’umana avrebbe dovuto influenzare la sorte di
una divinità, ma
accettava la spiegazione del suo Signore.
D’altro
canto, gli occhi sgranati
di Mictlancihuatl non accennavano a cambiare; anzi, come folgorata da
una
rivelazione, si protese lievemente verso Mictlantechutli. “Vi
prego,
insegnatemi ancora”.
Questa
volta, fu il turno di
Mictlantechutli di sgranare gli occhi.
***
Qualche
giorno prima di Natale
Era del Quinto Sole, anno del calendario occidentale 2011.
“Quante
volte ancora dovrò
perdere me stesso?” aveva chiesto Allen alla sua fidanzata.
Nemmeno
abbracciarla, ed essere a sua volta stretto tra le braccia di Ebenezer,
riusciva a reprimere l’angoscia che stava provando mentre
aggiungeva “E in
quali altri modi orribili?”. Allen aveva sperimentato
differenti modi di
morire, in cinquecento anni. Talvolta aveva perso la vita in modo
banale, altre
volte in modo decisamente creativo. Sfortunatamente, Allen se le
ricordava una
per una, assai più nitidamente dei momenti di vita vissuta.
Memento
mori, ricordati
che devi morire.
Sfortunatamente
per Allen, alla
consapevolezza di essere mortale, se ne era aggiunta
un’altra, ben più
angosciante. Tutte le morti che aveva passato, per quanto differenti,
avevano
avuto un denominatore comune: erano state tutte estremamente
lente, maledettamente
dolorose. Gli esseri umani sono stati, nei secoli, assai
creativi
nell’ideare metodi e strumenti di tortura, o di esecuzione,
per prolungare
l’agonia del povero malcapitato costretto a subirle.
Talvolta, era la sorte
stessa a mettere Allen nel posto sbagliato al
momento sbagliato, e in
quel caso, la dipartita dolorosa sarebbe stato solo il frutto di
sfortuna, la
quale sarebbe diventata sua crudele carnefice. Anche nascere nel posto
sbagliato del mondo, come gli era accaduto diverse volte in quei
cinquecento
anni, poteva essere causa indiretta di una morte terribile per malattie
crudeli.
Se
non fosse stato per il patto
scellerato tra Quetzalcoatl e Mictlancihuatl, Xocipilli, assieme
all’intero
pantheon azteco, avrebbe potuto mantenere il suo status, la sua potenza
e la
sua immortalità. Tale accanimento nel vivere il dolore
fisico al momento della
morte aggiungeva una chiara intenzione di persecuzione, da chi o da
cosa poteva
solo immaginare.
In
una vita passata, addirittura,
era stato alla mercè di una donna di fede che, pur avendo
ricevuto molte
donazioni per i suoi ospedali, lasciava languire i malati, tra cui vi
era Allen
stesso, poiché convinta che la sofferenza
avvicinasse a Dio. Per la
cronaca, quando giunse l’ora della pia donna, essa aveva
ricevuto le migliori
cure dagli ottimi medici di un prestigioso ospedale. Fu in
quell’occasione che
il sospetto si trasformò in certezza.
Xocipilli
aveva negato alla
Signora dei Morti qualcosa che avrebbe potuto rendere il trapasso dei
mortali
da un mondo all’altro meno doloroso.
Aveva desiderato che lei stessa,
quando era stata una fanciulla mortale davanti all’altare del
sacrificio, non
venisse esentata dalla sofferenza che la lama, affondata nel suo petto,
le
aveva provocato. Ora, tutte le sue incarnazioni umane terminavano la
propria
esistenza desiderando e invocando la morte, la fine della sofferenza
come se
fosse il più grande dei piaceri. Invece, come la crudele
parodia di un
videogioco, Xocipilli ritornava a nuova vita con il solito monito nella
mente: memento
mori…
Solitamente,
Mictlantechutli non
si interessava degli ultimi istanti di vita degli umani: quella non era
faccenda che lo riguardasse, in quanto legata alla fine della
vita, non all’inizio
della morte. Tuttavia la sua sposa era stata pregata, nei
secoli, affinché
concedesse ai suoi fedeli una dolce morte, rapida, senza sofferenza,
senza
umiliazione. Il Signore del Regno dei morti si era assicurato di far
rimpiangere a Xocipilli l’aver tormentato sua moglie persino
nella sua nuova
vita nella morte, negandogli qualunque tipo di benedizione che il
Mictlan
potesse dare ad un essere umano.
Chissà
se pentirsi delle sue
azioni passate, rinunciare al rancore verso Mictlancihuatl e perdonare
Quetzalcoatl avrebbe potuto salvare Allen, in qualche modo, da quel
destino…
FINE