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Autore: adrienne riordan    05/03/2023    0 recensioni
[La calaca de azùcar]
La vita a Esqueleto sembra tranquilla ma non lo è affatto. A farne le spese saranno i suoi abitanti, quelli nuovi, quelli vecchi e... quelli antichi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giorno 28 ottobre “Parti extra”

E andiamo avanti con lo sbolognamento dei prompt plasmati sulla mia versione di Mictlancihuatl, ormai obsoleta come Internet Explorer e, pertanto, destinata a fare la sua stessa fine (Alma, piccina mia, ti voglio bene lo stesso).

Questo capitolo è ambientato durante le feste dei morti nel periodo azteco, “la mia” Mictlancihuatl non è ancora sposa di Mictlantechutli, ma solo la serva, quindi siamo ancora nel Quarto Sole. È necessario aver letto il capitolo precedentemente pubblicato, che inizialmente era stato concepito come prologo ma che poi ho separato, vista la lunghezza, giacché torneranno alcuni riferimenti lì espressi.

 Eeee… non so se vi è capitato di cercare l’iconografia delle principali divinità azteche. Il corpo di Xocipilli (quello “vero”), a cui è dedicato il POV di questo capitolo, è coperto di… parti extra: piante e funghi con proprietà psicoattive. Anche questa immagine di Xocipilli di Kokoro lo è, quindi… neurone fanwriter in movimento!  Facebook 

Anche per Allen ho creato un contrappasso da pagare durante la sua vita da umano e, finalmente, la espongo. A proposito di Allen, povero, nelle mie fanfiction l’ho massacrato! Nell’ultimo volume, però, mi ha fatto una tenerezza… l’ho rivalutato. Molto. Bubino, ti avevo mal giudicato ;__;

 

Parti extra

Xocipilli aveva sperato che, ottenuta la sua vendetta, avrebbe trovato un po’ di pace. Per giorni, mesi, anni, secoli, aveva sperato che il tormento per ciò che il principe dei fiori aveva fatto alla sua dolce sposa Mayahuel mentre era in vita, ossia averla condannata a morte per mano delle tzitzimine solo perché si era lamentato della sua condotta, si sarebbe attenuato. In fondo, aveva tolto a Quetzalcoatl ciò che il Serpente Piumato aveva tolto a lui: la vita della donna che amava.  Eppure, la vendetta non era servita, e a Xocipilli non era rimasto null’altro a tirarlo su che lo stordimento provocato dall’uso delle sue stesse droghe, che si generavano sulle sue braccia come parti extra del suo corpo. Trovava un triste conforto anche nel consumo eccessivo di pulque: l’unico modo, estremamente labile, per avere ancora Mayahuel con sé dopo che la dea si era trasformata in una pianta di agave.

Sebbene il suo stato d’animo fosse ben lungi dall’essere risollevato da tali eccessi, Xocipilli poteva godere almeno della consolazione di aver trascinato con sé, nel baratro, anche l’odiato Quetzalcoatl. Tale consolazione, tuttavia, era presto venuta meno quando si era reso conto che, a differenza sua, il Serpente Piumato poteva confidare nell’aiuto e nella presenza di amici e fratelli che gli erano rimasti accanto. Sia pure con iniziale difficoltà, stava proseguendo con la sua vita, forse perché, aveva pensato il principe dei fiori, anche per il Serpente Piumato, alla fine, una donna umana non valeva quanto una dea, e non valeva la pena portare il lutto per l’eternità. In effetti, sembrava che Itztlacoliuhqui Ixquimilli gli avesse risollevato parecchio il morale. 

Se già questo ebbe l’effetto di irritare Xocipilli, presto si aggiunse una nuova ragione per alzare a dismisura i suoi livelli di frustrazione.

Raramente Xocipilli si mescolava tra i mortali. Non disdegnava di assistere, talvolta, alle feste dedicate alle divinità: giacché gli umani facevano uso dei suoi doni – le droghe che aprivano la mente dei sacerdoti, donando visioni mistiche, e che calmavano le vittime destinate al sacrificio - il minimo che il dio dei fiori potesse fare era andare a reclamare i tributi che gli versavano; ma questo era ben altra cosa rispetto a partecipare alle feste con loro, tra di loro. Anche altre divinità lo facevano, senza ovviamente palesare la propria identità, soprattutto se la festività era espressamente in loro onore.

Alle festività in onore di altri dèi, Xocipilli capitava di partecipare più che altro per approfittare di umani abbastanza “in estasi” (leggasi: drogati marci) su cui sfogarsi. Rimase dunque interdetto quando, durante le festività in onore dei morti, aveva casualmente trovato per le strade i petali di un fiore di cui aveva ceduto dominio, e che mai avrebbe pensato di vedere di nuovo… cempasuchil.

No, ragionò il dio, non potevano essere nel mondo dei vivi!

Il luogo pullulava di esseri umani, molti più del solito, eppure molti di essi erano… incorporei. Xocipilli poteva percepirli e, ne era consapevole, anche le altre divinità presenti riuscivano a farlo. D’altro canto, quelle anime degnarono a malapena di uno sguardo le divinità, prese com’erano dal restare appresso ai cari ancora in vita. Anime di defunti fuori dal Mictlan? Che pazzia era quella?

“Mictlantechutli è forse uscito di senno?” esclamò a gran voce, suscitando l’ilarità di Itzapapalotl e Huitzipolotchli, che si erano imbucati alla festa senza vergogna e lo avevano facilmente adocchiato nella bolgia di gente che percorreva le vie della città di Tenochtitlàn.

“Ma come, Xocipilli? Sono anni che i defunti festeggiano i Giorni dei morti in questo mondo e te ne accorgi solo oggi? Le tue droghe devono averti fritto il cervello!” esclamò il Colibrì del Sud accennando a qualcuno in lontananza.

Xocipilli voltò lo sguardo verso quanto indicato da Huitzilopotchli, seguendo involontariamente la via dei petali lasciati a terra… fu allora che la vide. Uno scheletro femminile, con lunghi e ondulati capelli sciolti sulle spalle, vagava per le strade, osservando i morti con l’aria di chi vigila su bambini intenti a giocare e inspirando il profumo di un cempasuchil tra le sue mani. I capelli, ora biancastri, avevano quasi tratto in inganno il dio dei fiori, ma poi comprese… quel vestito rosso… e quei fiori! Malintzin?!

“Ma dovrebbe essere sepolta nel Mictlan!” esclamò ad alta voce il dio dei fiori, paonazzo. Lo scheletro, udendo quelle parole, si voltò proprio in direzione della divinità. Diede segno di aver riconosciuto colui che gli aveva fatto dono di quei fiori a lei tanto cari: gli rivolse a malapena un’occhiata e lo salutò con la manina ossuta in segno di scherno, prima di proseguire per la sua strada, senza degnare più di uno sguardo nessuna delle divinità presenti.

“Ma… ci ha ignorato” constatò Huitzilopochtli, senza dare alcun segno di essere offeso.

“Beh, è chiaro che sta lavorando… non ha l’aria di essere qui per fare baldoria… al contrario di noi” commentò pratica Itzapapalotl.

“Ma siamo divinità… le siamo superiori!” protestò Xocipilli, indignato per la mancanza di rispetto che lo scheletro aveva riservato loro.

“Questo è vero. Ma appartiene al Mictlan adesso. Il suo unico dio è Mictlantechutli. Noi siamo passati in secondo piano, operando in tutt’altra giurisdizione rispetto alla sua” replicò calma Itzapapalotl.

“Tutti i morti diventano monoteisti, dopotutto. Le anime dell’Omeyocan, ad esempio stravedono solo per me. Le donne, soprattutto!” si autoincensò Huitzilopochtli.

“Sono qui anche le anime dell’Omeyocan?” chiese sempre più confuso il dio dei fiori.

“Veramente no” rispose l’altro con leggerezza.

“E questo mi riporta alla domanda iniziale. Mictlantechutli è forse uscito di senno?”

“Ah, direi proprio di no! Ma qualcosa mi dice che c’entra quella fanciulla… ahi!” la gomitata nella costola di Itzapapalotl troncò il desiderio del colibrì di chiacchierare. “Adesso dobbiamo lasciarti Xocipilli: abbiamo perso Tlaloc tra la folla!” concluse vivacemente Huitzilopoctli.

“Probabilmente è già al tempio, tra poco ci saranno i sacrifici! Ci si vede in giro, Xocipilli!” si congedò Itzapapalot e, senza attendere replica, le due divinità tolsero il disturbo.

Sempre quella dannata ragazza di mezzo! Infastidito oltre ogni dire, il dio dei fiori dimenticò totalmente i suoi programmi di sesso, alcool e droga. Ne aveva appena deciso un altro.

 

Lo scheletro della donna che, un tempo, era stata Malintzin non aveva motivo di nascondersi, ma non si lasciava neppure avvicinare tanto facilmente. Tuttavia, Xocipilli la seguì con ostinazione. Quando credette di averla finalmente raggiunta, il dio si accorse di averla persa di vista. Si trovava in un quartiere isolato, con il terreno sterrato, umile. Non c’era nessuno: erano tutti a godersi il culmine della festa, i sacrifici umani. Proprio quando stava per imprecare contro l’esistenza della ragazza, Xocipilli si sentì lanciare addosso qualcosa di bioluminescente, che lo colpì al bicipite, graffiandolo lievemente. Ne giunsero altri due a distanza di tempo ravvicinato, che colpirono i suoi avambracci. Infastidito, Xocipilli guardò verso la direzione di provenienza. In penombra, scorse lo scheletro.

“Ti perderai i sacrifici, restando qui. Pensavo ti piacesse quel tipo di spettacolo” esordì la fanciulla, mentre staccava un luminoso petalo dal cempasuchil tra le sue mani.

“Quel giorno non ero venuto a vedere un sacrificio. Ero venuto a veder morire te” il veleno nelle sue parole era così pesante che potevano quasi tagliare l’aria con un coltello.

“Lo immaginavo”. Gli lanciò addosso il petalo ma stavolta Xocipilli lo prese in mano al volo. Con sua sorpresa, il petalo non era morbido, delicato: era rigido, sottile, coi bordi taglienti. Si ferì le dita, aumentando la sua irritazione.

La ragazza lanciò altri petali, uno dopo l’altro.

“Tu mi hai tolto la vita. Non sarei dovuta morire quel giorno”. La maggior parte dei petali venne deviata ma alcuni petali andarono a segno, finendo contro le braccia di Xocipilli. Per toglierseli di dosso, la divinità dovette graffiarsi di nuovo. Niente di grave, visto che i graffi erano superficiali. Tutto qui quello che l’umana sapeva fare con i suoi cempasuchil? Che patetica creatura!

“Non ero una vittima sacrificale predestinata! Sono finita su quell’altare per tuo capriccio!”

“E quindi cosa dovrei fare? Riparare al danno? Sentiamo” domandò in tono canzonatorio. Trovava soddisfacente l’idea di sentirsi chiedere qualcosa… e negargliela. Oh sì, si sarebbe strappato via la pelle come Xipe-Totec, piuttosto che accontentare una richiesta di quella donna!

“Il tuo corpo produce sostanze stupefacenti. Voglio qualcosa che lenisca il dolore fisico”.

“Il tuo Signore Mictlantechutli ti sevizia? Ne sono lieto”.

“Che domanda abbietta, o somma divinità dei fiori” lo biasimò la donna con una smorfia. O meglio, con quello che poteva somigliare ad una smorfia, data la mancanza di muscoli e pelle a darle delle espressioni nitide.

“Comunque, non serve a me, ma agli umani. Sembra che abbiano bisogno di un aiutino extra per lenire i dolori delle infermità per le quali non vi è altro esito che la morte”.

“La mia risposta è no” con questa risposta, Xocipilli credeva di aver chiuso l’argomento.

“Non vuoi aiutare gli umani a soffrire di meno nel momento del trapasso?”.

“Affatto. Anzi, già mi secca che usino le droghe per stordire le vittime prima del sacrificio. Avrei voluto vedere la tua espressione atterrita davanti all’altare, quel giorno” concluse con un sorriso malvagio. Sapeva che, per la maggior parte dei guerrieri, la morte sull’altare era un grande onore, premiato con il soggiorno nell’Omeyocan, il Regno del dio della guerra Huitzilopoctli. Tuttavia, poteva capitare che la paura dell’ignoto o del dolore prendesse il sopravvento sulla fede, soprattutto se i prigionieri di guerra andavano a servire divinità di popolazioni nemiche.

“Non mi importa” continuò con leggerezza Mictlancihuatl.

“Come, non ti importa?” chiese confuso. Non le importava della sua gioia nel saperla morta o non le importava di avere le sue droghe?

“Intendo dire che non mi interessa ciò che vuoi tu. Mentre fantasticavi su come avresti potuto rendere la mia morte più dolorosa (sei davvero un essere deplorevole, lasciatelo dire), mi hai dato ciò che ti ho chiesto”.

“…già dato?” domandò l’altro, ancora più confuso di prima.

Per tutta risposta, Mictlancihuatl indicò verso i piedi del dio. Xocipilli guardò, e fu allora che si rese conto: alcuni frammenti delle piantine e dei funghi che crescevano sui suoi avambracci erano caduti sul terreno, tagliati dai petali di cempasuchil, anch’essi per terra… e buona parte di queste materie organiche divine erano bagnate dal poco sangue che Xocipilli aveva versato quando aveva afferrato con le dita uno dei petali, inconsapevole del bordo affilato. Un dono involontario pronto ad essere raccolto dalla terra degli umani: un nuovo tipo di sostanza stupefacente nata dall’unione tra le sostanze psicotrope di Xocipilli e i fiori dei morti. Piante con proprietà oppioidi, in grado di lenire i dolori più lancinanti, ma pronti a spedirti nel Mictlan per direttissima se eccedevi, anche solo di poco, con la dose strettamente necessaria.

“Ti ringrazio per collaborazione” concluse la donna con sottile ironia.

Quetzalcoatl stava andando avanti con la sua vita; Malintzin andava e veniva dal Mictlan come voleva, in possesso di un potere sconosciuto al dio dei fiori; e adesso, un suo dominio gli era stato estorto con l’inganno. La conseguenza era piuttosto prevedibile: Xocipilli perse completamente le staffe.

Con un grido terribile, si avventò su Mictlancihuatl, intenzionata a frantumare ogni singolo osso di cui era composto il suo scheletro; la ragazza, dal canto suo, sembrò congelarsi sul posto per la sorpresa o, forse, per lo spavento: forse, far infuriare una divinità non era stata la cosa più saggia da fare…

Al contrario delle aspettative, il colpo non venne mai: Xolotl, comparso all’ultimo momento come dal nulla, stava trattenendo la mano di Xocipilli. A debita distanza, nuove anime stavano osservando: erano le vittime appena sacrificate.

“Se intendi distruggere una proprietà del mio Signore Mictlantechutli, dovrai risponderne a lui: è questo che desideri, Xocipilli?”

Lo sguardo del dio dei fiori lasciò intendere che era pronto a prendere sul serio quella opzione.

“Mictlancihuatl è qui per un unico compito assegnatole dal suo padrone: se ha fatto dell’altro, non solo senza il consenso del mio Signore, ma persino arrecando disturbo a un’altra divinità, allora sarà punita severamente” concluse Xolotl.

“Allora che sia punita qui, adesso, davanti ai miei occhi!” pretese Xocipilli, ma Xolotl scosse la testa.

“Deve ancora portare a termine il suo compito, e la mano che può elargire qualsiasi punizione è solo quella del mio Signore. Addio, Xocipilli”.

Quest’ultimo non poté far altro che rinunciare ai suoi propositi omicidi: pertanto, si ritirò, non senza prima aver scoccato uno sguardo di puro odio verso la ragazza.

“È quasi l’alba” le comunicò Xolotl.

“Xolotl, dici che il nostro Signore si potrebbe arrabbiare per quello che ho fatto?” chiese Mictlancihuatl mentre accarezzava, per un istante, l’idea di darsi alla fuga, timorosa per l’eventuale collera di Mictlantechutli. Ma durò solo per un attimo: aveva assunto volontariamente un dovere, vigilare sul viaggio delle anime da e verso il Mictlan, e lo avrebbe portato a termine.

“Hai recato offesa ad una divinità. Questa è una cosa che si paga caro, come avresti dovuto già ben imparare. E per cosa? Per donare sollievo agli umani?”

“Ti sembra che sia nella posizione di fare doni? Faccio esclusivamente ciò che serve al Mictlan, né più, né meno”.

Senza aggiungere altro – aveva ben compreso che Xolotl non era intervenuto per aiutarla, dopotutto - concentrò il suo potere sul fiore che teneva ancora tra le mani. Non importava quanti petali avesse strappato, il fiore restava comunque rigoglioso e luminoso. Presto, anche i petali che aveva lasciato a ciascuna anima uscita dal Mictlan avrebbero brillato allo stesso modo, a segnalare che era l’ora di tornare nel Mictlan. Solo quando anche l’ultima anima fosse ripartita verso la sua destinazione finale, Mictlacihuatl avrebbe potuto rientrare nel Mictlan. A quel punto, il suo compito si sarebbe concluso, e allora avrebbe reso conto delle sue azioni al suo Signore.

***

 

“Cos’hai combinato, stavolta?” Mictlantechutli si limitò a sospirare, in attesa di ricevere una spiegazione dalla ragazza. Xolotl non riusciva a credere all’atteggiamento del suo Signore. Un tempo, Mictlantechutli avrebbe usato un tono irato e non avrebbe ascoltato alcuna patetica scusa o supplica di Malintzin. Un servitore che osava fare qualcosa di diverso da quanto espressamente ordinato dal suo Signore avrebbe, di norma, passato l’eternità a pentirsene. Adesso, sembrava un maestro pronto ad ascoltare l’ennesima, innocua marachella fatta dalla più discola delle sue allieve, senza una vera intenzione di punirla.

“Più o meno quello che ho fatto da quando ho iniziato a recuperare le ossa disperse direttamente in superficie: volevo contribuire a rendere più sereno il Mictlan”. A Mictlantechutli non sfuggì il movimento della mano di Mictlancihuatl: una lieve carezza alla tempia. Le era dunque tornato il mal di testa, ma sembrava aver cercato, e trovato, sollievo da sola.

“Non era necessario”.

“Signore, continuate a recarvi nel Chiucnāhuāpan, dove dimorano le anime, con la vostra arma. Era necessario” replicò con tono vagamente addolcito.

“Sai chi erano le anime che ho appena distrutto?” la interrogò il suo sovrano.

“Erano malati terminali, mio Signore. Il dolore provato alla loro dipartita è stato talmente prolungato, talmente intenso, da non essere riusciti a liberarsene del tutto, quando sono giunti qui. Quel rimasuglio li ha agitati troppo”.

“Non accadrà più”.

“No, non accadrà più”. Gli umani avrebbero presto appreso come usare a loro vantaggio le sostanze del nuovo fiore.

Mictlantechutli non aveva mai risposto alla domanda che gli fece Painal tempo addietro. Conosceva la risposta, ovviamente, ma tanti indizi non facevano una prova.

Xolotl, che aveva assistito a quello scambio, decise di intervenire. “Ha recato una grave offesa a Xochipilli, mio Signore. Questo affronto deve essere punito molto severamente. Così è l’usanza”. Per quanto bene possa aver fatto alla causa del Mictlan e alla preservazione del tesoro del suo sovrano, non si poteva rischiare un incidente diplomatico tra divinità. O almeno, così Xolotl pensava.

La risposta giunse totalmente inaspettata alle orecchie tanto di Xolotl quanto di Mictlancihuatl, che era già rassegnata ad essere punita come ai vecchi tempi. “La ragazza si è presa il suo riscatto”.

“Signore, intendete quindi lasciar correre?” chiese Xolotl, sbigottito.

Mictlantechutli non aveva dimenticato di aver accolto nel suo Regno la ragazza perché convinto da altri che fosse una donna superba. Lui stesso era stato ingannato, e non l’avrebbe perdonato.

“La ragazza non avrebbe dovuto essere sacrificata. Ha scelto un risarcimento e se l’è preso”.

L’ipotesi inespressa di Painal era divenuta, col tempo, anche la sua. Per confermarla, o eventualmente confutarla, aveva ordinato alla fanciulla di scortare le anime fuori dal Mictlan, e di riportarle indietro, per ridurre gli effetti della malinconia delle anime separate dalle persone che avevano amato in vita, effetto collaterale del dono di Quetzalcoatl all’umanità. A seguito del successo di quella rischiosa operazione, Mictlantechutli aveva concluso che la ragazza avrebbe avuto tutto il diritto di prendersi ciò che le spettava, anche da una divinità come Xocipilli. Ovviamente, in qualunque altro caso, dell’ingiustizia subita da un’umana non gli sarebbe importato di meno.

Mictlancihuatl sgranò gli occhi e guardò il suo Signore come se lo vedesse per la prima volta. Quegli occhi sembravano chiedergli di spiegare ancora.

“Se contrai un debito, o non riscuoti un credito, tale mancanza grava sull’anima immortale. Ma non mi aspetto che tu capisca: gli umani sono estremamente incoscienti quando si tratta di scaricare il peso di un proprio debito su qualcun altro”.

Xolotl si rasserenò un poco. “Dunque lo avete fatto per preservare Xocipilli” ignorava il motivo per cui il debito verso un’umana avrebbe dovuto influenzare la sorte di una divinità, ma accettava la spiegazione del suo Signore.

D’altro canto, gli occhi sgranati di Mictlancihuatl non accennavano a cambiare; anzi, come folgorata da una rivelazione, si protese lievemente verso Mictlantechutli. “Vi prego, insegnatemi ancora”.

Questa volta, fu il turno di Mictlantechutli di sgranare gli occhi.

***

Qualche giorno prima di Natale Era del Quinto Sole, anno del calendario occidentale 2011.

“Quante volte ancora dovrò perdere me stesso?” aveva chiesto Allen alla sua fidanzata. Nemmeno abbracciarla, ed essere a sua volta stretto tra le braccia di Ebenezer, riusciva a reprimere l’angoscia che stava provando mentre aggiungeva “E in quali altri modi orribili?”. Allen aveva sperimentato differenti modi di morire, in cinquecento anni. Talvolta aveva perso la vita in modo banale, altre volte in modo decisamente creativo. Sfortunatamente, Allen se le ricordava una per una, assai più nitidamente dei momenti di vita vissuta.

Memento mori, ricordati che devi morire.

Sfortunatamente per Allen, alla consapevolezza di essere mortale, se ne era aggiunta un’altra, ben più angosciante. Tutte le morti che aveva passato, per quanto differenti, avevano avuto un denominatore comune: erano state tutte estremamente lente, maledettamente dolorose. Gli esseri umani sono stati, nei secoli, assai creativi nell’ideare metodi e strumenti di tortura, o di esecuzione, per prolungare l’agonia del povero malcapitato costretto a subirle. Talvolta, era la sorte stessa a mettere Allen nel posto sbagliato al momento sbagliato, e in quel caso, la dipartita dolorosa sarebbe stato solo il frutto di sfortuna, la quale sarebbe diventata sua crudele carnefice. Anche nascere nel posto sbagliato del mondo, come gli era accaduto diverse volte in quei cinquecento anni, poteva essere causa indiretta di una morte terribile per malattie crudeli.

Se non fosse stato per il patto scellerato tra Quetzalcoatl e Mictlancihuatl, Xocipilli, assieme all’intero pantheon azteco, avrebbe potuto mantenere il suo status, la sua potenza e la sua immortalità. Tale accanimento nel vivere il dolore fisico al momento della morte aggiungeva una chiara intenzione di persecuzione, da chi o da cosa poteva solo immaginare.

In una vita passata, addirittura, era stato alla mercè di una donna di fede che, pur avendo ricevuto molte donazioni per i suoi ospedali, lasciava languire i malati, tra cui vi era Allen stesso, poiché convinta che la sofferenza avvicinasse a Dio. Per la cronaca, quando giunse l’ora della pia donna, essa aveva ricevuto le migliori cure dagli ottimi medici di un prestigioso ospedale. Fu in quell’occasione che il sospetto si trasformò in certezza.

Xocipilli aveva negato alla Signora dei Morti qualcosa che avrebbe potuto rendere il trapasso dei mortali da un mondo all’altro meno doloroso. Aveva desiderato che lei stessa, quando era stata una fanciulla mortale davanti all’altare del sacrificio, non venisse esentata dalla sofferenza che la lama, affondata nel suo petto, le aveva provocato. Ora, tutte le sue incarnazioni umane terminavano la propria esistenza desiderando e invocando la morte, la fine della sofferenza come se fosse il più grande dei piaceri. Invece, come la crudele parodia di un videogioco, Xocipilli ritornava a nuova vita con il solito monito nella mente: memento mori

Solitamente, Mictlantechutli non si interessava degli ultimi istanti di vita degli umani: quella non era faccenda che lo riguardasse, in quanto legata alla fine della vita, non all’inizio della morte. Tuttavia la sua sposa era stata pregata, nei secoli, affinché concedesse ai suoi fedeli una dolce morte, rapida, senza sofferenza, senza umiliazione. Il Signore del Regno dei morti si era assicurato di far rimpiangere a Xocipilli l’aver tormentato sua moglie persino nella sua nuova vita nella morte, negandogli qualunque tipo di benedizione che il Mictlan potesse dare ad un essere umano.

Chissà se pentirsi delle sue azioni passate, rinunciare al rancore verso Mictlancihuatl e perdonare Quetzalcoatl avrebbe potuto salvare Allen, in qualche modo, da quel destino…

FINE

 

 

  
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