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Autore: Milly_Sunshine    13/03/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. Il contesto è "generale/ vago" perché "persone adulte che vivono nei primi anni '90" non è contemplato.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SEGRETI DI FAMIGLIA

Carolina era più piccola di Enrico, aveva solo sette anni. Di solito i bambini di quell'età lo annoiavano, ma la figlia della signora della reception non era come loro. Certo, Enrico non la frequentava di sua spontanea volontà, ma da quando sua madre non c'era più, spesso veniva affidato alla signora della porta accanto, la nonna di Carolina, appunto. Lavorava a casa come sarta e la regola aurea, tra quelle mura, era quella di non fare troppi danni e non necessitare di continua sorveglianza.
Carolina era una bambina tranquilla, che spesso stava seduta al tavolo della cucina a disegnare qualcosa sui suoi quaderni, un po' persa nel proprio mondo. Enrico ne approfittava per fare i compiti, non perché fosse uno studente tanto motivato, quanto piuttosto perché suo padre non mancava mai di chiedergli se li avesse fatti, quando la sera tardi tornava dal lavoro e lo veniva a prendere. Si era accorto già da molto tempo che la strada più facile era dedicare allo studio il tempo sufficiente ad avere un rendimento di buon livello, per evitare le lunghe prediche a cui erano sottoposti molti suoi compagni di scuola.
Enrico diede un'ultima occhiata al quaderno di geometria, rileggendo la soluzione che aveva dato al problema. Stava per chiuderlo, quando si accorse che Carolina, trafficando con uno dei quotidiani vecchi che spesso sua nonna lasciava in giro, aveva sospeso per un attimo la propria attività e lo stava fissando.
Fu Enrico il primo a parlare. Con un sorriso, le domandò: «Cosa fai?»
Anche Carolina sorrise, ma non rispose. Gli chiese, piuttosto: «Cosa fai tu?»
Enrico fu tentato di darle una lunga spiegazione a proposito di come avesse calcolato l'area di un triangolo rettangolo inscritto in una circonferenza, chiedendosi quale applicazione pratica ciò avesse nella vita quotidiana, ma si rese conto che non era quanto la sua piccola amica voleva sapere.
«Cose di scuola.»
Carolina iniziò a ripiegare una pagina di giornale, poi a tracciare qualche linea con una matita.
«Tu, invece?» volle sapere Enrico. «Tu cosa fai?» Quando la bambina prese in mano un paio di forbici, realizzò: «Stai ritagliando una catena di omini, vero?»
Carolina scosse la testa.
«No, non sono omini.»
«Donnine, allora» realizzò Enrico. «Una catena di donnine in girotondo.»
«No» insisté Carolina.
«Cosa, allora?»
«Aspetta e vedrai.»
Enrico attese, senza grosse aspettative. Era ormai cresciuto per quelle trovate, cercava solo di essere gentile con Carolina. La bambina si era sempre comportata bene con lui, invece di tormentarlo in maniera assillante come facevano certi fratelli o sorelle minori dei suoi compagni di scuola, sempre giustificati dai genitori perché erano piccoli e in quanto tali dovecano essere sopportati a oltranza. La figlia della signora della reception era diversa e gli sembrava doveroso trattarla come meritava.
Dopo avere lavorato brevemente con le forbici, Carolina osservò: «Ecco, ho finito.»
Iniziò ad aprire quello che rimaneva del foglio di giornale. Non erano omini e, per quanto sembrassero indossare un abito lungo fino ai piedi, non erano nemmeno donnine. Erano uniti gli uni agli altri non da braccia, ma da forme che ricordavano delle ali.
«Sono angeli?» chiese Enrico.
Carolina annuì.
«Sì, sono angeli, come la tua mamma.»
Enrico si irrigidì, ma riuscì comunque a dire qualcosa di appropriato, o almeno, che gli apparisse tale.
«Come la mia mamma e come il tuo papà.»
Lo sguardo di totale stupore che vide comparire sul volto di Carolina gli fece capire di essersi sbagliato. Aveva sempre creduto che il padre della bambina fosse morto, ma apparentemente non era così.
«Papà è solo andato via» rispose Carolina, «Quando non ero ancora nata.»
«Oh, non lo sapevo.»
«Non importa. Ti manca tua madre?»
Enrico annuì.
«Sì, tanto. E a te? Ti manca tuo padre?»
«N-no.» Carolina esitò. «Non lo so. Non lo conosco.»
Enrico sorrise, cercando di rassicurarla. La catena di angeli giaceva sul tavolo e la bambina stava ripiegando il vecchio giornale.
Rimasero in silenzio entrambi a lungo, poi Carolina osservò: «Ho già una mamma e una nonna. Non mi serve anche un papà.»
Probabilmente per lei le cose funzionavano così. Non poteva sentire la mancanza di una persona che non c'era mai stata.
«Hai ragione» rispose Enrico, proprio mentre la nonna di Carolina entrava in cucina.
Vide che erano seduti composti e che la stanza non era in disordine, quindi parve piuttosto compiaciuta. Indicò la sveglia sulla credenza e disse a Carolina: «Tra poco torna tua madre, è ora di preparare la cena.»
Enrico e Carolina si scambiarono uno sguardo. Le parole della nonna erano piuttosto chiare: era giunto il momento di apparecchiare la tavola, quindi dovevano liberarla. Enrico spostò il quaderno di geometria e poi aiutò Carolina a togliere di mezzo il giornale. Il loro pomeriggio era finito, ma ce ne sarebbero stati molti altri.
 

Enrico posò il portaritratti sulla mensola. Era da tempo che quella vecchia fotografia che lo ritraeva insieme a Carolina, durante la loro infanzia, non vedeva la luce. Negli ultimi appartamenti nei quali era vissuto era sempre rimasta chiusa insieme alla propria cornice in uno degli scatoloni che per anni aveva portato da un posto all'altro.
Non sapeva perché avesse deciso di esporla. Dopo la loro cena insieme, si erano limitati a scambiarsi qualche parola quando si incontravano al lavoro. Enrico aveva iniziato da pochi giorni e non gli era ancora capitato di vedere Vincenzo. Se era giusto quanto aveva sentito dire da Carletti, il giovane Gottardi era partito per una vacanza insieme alla fidanzata, che di lì a qualche mese sarebbe divenuta sua moglie. Con Carolina, non era più accaduto che venisse menzionato.
Sistemata la foto, Enrico uscì a fare due passi. Era sera tardi, ormai, ma già da tempo si era abituato ad avere orari ben diversi dalla quasi totalità delle altre persone, quelle che lavoravano dalle otto alle diciassette o dalle nove alle diciotto.
La maggior parte delle tapparelle erano già abbassate e le finestre dalle quali si intravedevano luci accese non erano più tante. Lungo la strada, passavano già poche auto. Di giorno non faceva più molto freddo, ma la sera le temperature si abbassavano ancora parecchio. La giacca che aveva indossato non era abbastanza pesante. Dopo qualche centinaio di metri fu tentato di tornare indietro, ma vide che il bar che frequentava da ragazzo era ancora aperto.
Non vi era ancora tornato, dopo il suo ritorno, ma tanto valeva andare a dare un'occhiata.
Era appena entrato quando una voce femminile puntualizzò: «Chiudiamo alle undici.»
In effetti quell'orario era già passato da oltre quaranta minuti, le sedie erano tutte appoggiate sui tavoli e la persona che aveva parlato stava lavando il pavimento.
«Scusa» disse Enrico, sorridendo. «In ogni caso è un piacere rivederti. Anche se, secondo me, stavi meglio rossa.»
«Enrico!» esclamò Olimpia, sua ex compagna di scuola alle elementari e alle medie, nonché figlia dei titolari del bar. «Che cosa ci fai qui? Non ti avevo riconosciuto.»
Enrico ribatté: «E tu cosa ci fai con quei capelli biondo cenere?»
Olimpia chiarì: «Ho cambiato tinta, il rosso fuoco mi aveva stancata, e non è successo da poco. Da quanto tempo non ci vediamo? Saranno passati sei o sette anni come minimo.»
Enrico annuì.
«Sette, forse anche otto. È un vero peccato che tu mi stia mandando via.»
«Puoi restare.»
«Sei sicura che non disturbo?»
Olimpia gli indicò un lato del locale.
«Là il pavimento è già asciutto. Puoi andare a sederti, se vuoi.»
«Non importa, posso restare in piedi.»
«Sarai pur capace di tirare giù una sedia.»
«Va bene, va bene, come vuoi.» Enrico andò verso un tavolino e ne prese giù una sulla quale si accomodò. «Mi parli un po' di te o vuoi che io ti parli di me?»
«Puoi parlare prima tu» suggerì Olimpia. «La tua vita è stata sicuramente più movimentata della mia.»
Enrico si preparò a fare diverse omissioni, poi la informò: «Ho cambiato tanti posti e tanti lavori. Sono stato perfino in un ristorante di uno chef stellato. Però non mi piaceva, non mi è mai andata giù l'idea di far pagare cifre spropositate per porzioni piccolissime a gente maledettamente raffinata o desiderosa di sembrarlo. Non era la mia strada.»
«Ti sei fidanzato?»
«No.»
Olimpia ridacchiò.
«Sei sempre stato uno spirito libero!»
«Anche tu.»
La barista sbuffò.
«Magari avessi continuato a esserlo!»
Enrico azzardò: «Hai incontrato il principe azzurro, ma rimpiangi la tua vecchia vita?»
«Forse era lui a rimpiangerla» replicò Olimpia. «Non eravamo sposati nemmeno da un anno quando mi ha lasciata.»
«Mi dispiace.»
«A me no, è andata meglio così. Preferisco non avere più un marito piuttosto che essere intrappolata in un matrimonio infelice.»
«I tuoi genitori lavorano ancora qui al bar?»
«Sì, per fortuna non tocca sempre a me il turno della sera. A proposito di genitori, tuo padre come sta? So che non abita più da queste parti, né lavora più all'albergo.»
Enrico preferì rimanere vago.
«Adesso ci lavoro io.»
Olimpia lo guardò con gli occhi spalancati.
«Sul serio?!»
«La cosa ti turba?»
Olimpia scosse la testa.
«No, ma ho sentito dire che tuo padre non fosse rimasto in buoni rapporti con Roberto Gottardi.» Posò lo spazzolone accanto al secchio e si diresse verso Enrico. Prese una sedia e si accomodò di fronte a lui. «Non so con esattezza cosa sia successo, ma circolano molte voci in proposito.»
«E tu ascolti le voci?»
«Il cliente ha sempre ragione, dicono. E se il cliente decide di fare un monologo nel mio bar a proposito di tuo padre che non lavora più nell'albergo di Gottardi, ho il dovere morale di starlo a sentire con aria accondiscendente.»
«Capisco.»
«Immagino, comunque, che a quel gran figo di Vincenzo Gottardi non importi nulla di quello che succedeva tra suo padre e i vecchi dipendenti» ipotizzò Olimpia. «È per questo che ti ha assunto?»
«Sono stato assunto dal direttore, non da Vincenzo personalmente» puntualizzò Enrico, «Ma soprattutto non pensavo avesse fatto colpo su di te. Un gran figo, hai detto, o sbaglio?»
«Non sbagli. Ti confesso che ho sempre avuto un debole per lui, fin dalla prima volta in cui l'ho visto insieme a te. Ha due occhi bellissimi, così azzurri... che poi, azzurro è generico, come colore. I suoi occhi sembrano viola.»
«Stiamo parlando di Vincenzo Gottardi o di Elizabeth Taylor?»
«Stiamo parlando di Vincenzo Gottardi. A proposito, è impegnato o è libero? Perché se fosse libero, uno come lui me lo farei più che volentieri!»
Enrico non si stupì delle parole di Olimpia. Non si aspettava che fosse attratta da Vincenzo, ma era esattamente il modo in cui aveva sempre parlato degli uomini che le interessavano.
Avrebbe dovuto replicare, ma non lo fece, perché un'idea malsana gli stava balenando in testa. A Olimpia non passò inosservata la sua esitazione.
«Sei sconvolto?»
«No, figurati.»
«Lo so, non parlo come dovrebbe parlare una donna di trentasei anni al cospetto di un vecchio amico.»
«Proprio perché sei al cospetto di un vecchio amico è giusto che tu non ti trattenga.» Enrico rise. «Sai, mi fa piacere sapere che dopo tutti questi anni non è cambiato niente.»
Olimpia gli strizzò un occhio.
«E non cambierà. Voglio dire, io e te siamo sempre stati amici e amici rimaniamo.»
«Guarda che non ho intenzione di provarci con te» puntualizzò Enrico. «Anzi, magari posso darti una mano con Vincenzo, se vuoi.»
«Tu e Vincenzo siete ancora amici?»
«Siamo due completi estranei, in realtà.»
«E come pensi di farci incontrare?»
«Mi verrà un'idea.»
Olimpia ridacchiò.
«Dai, smettiamola di dire cazzate. Sai meglio di me che io e Vincenzo non ci vedremo e che i suoi occhi viola - non guardarmi così, a me sembrano davvero viola - resteranno solo una fantasia adolescenziale.»
Enrico chiarì: «Guarda che non sto scherzando. L'hai detto tu stessa che uno come Gottardi te lo faresti volentieri. Non è necessario che vai fino in fondo, se non vuoi. Però, se sei d'accordo, posso fare in modo di farvi incontrare. Devi lasciarmi un po' di tempo. Te l'ho detto, io e Vincenzo non ci vediamo e non ci parliamo da tanti anni, non l'ho nemmeno mai incontrato, da quando sono tornato.» Omise il dettaglio a proposito della presunta vacanza per la quale era partito con la futura moglie. «In un modo o nell'altro posso cavarmela, se è questo che vuoi.»
Olimpia lo fissò con fermezza.
«Cos'hai in mente?»
«Niente.»
«Non dirmi cazzate, che sai che non ci casco. E sai anche che, quando non mi dici le cose come stanno, mi fai salire la voglia di prenderti a calci nel culo. Cosa vuoi che faccia con Gottardi?» Per qualche istante rimase in silenzio, ma prima che Enrico potesse replicare, ci tenne a fare una precisazione. «Quando ti chiedo cosa vuoi che faccia, non ti sto chiedendo se devo averci un rapporto completo o fermarmi ai preliminari, che sia chiaro. Voglio che mi spieghi per filo e per segno perché vuoi che mi avvicini a Vincenzo.»
Enrico si arrese. Sapeva di potersi fidare di Olimpia.
«Io e la famiglia Gottardi abbiamo un conto in sospeso. Il padre di Vincenzo ha licenziato mio padre e circolano brutte voci sul suo conto. Non ha fatto nessuna delle cose di cui è stato accusato. Non ha sottratto denaro alle casse dell'albergo. Non...»
Olimpia lo interruppe: «Dicono che sia partito, che viva all'estero, adesso. Nessuno sa esattamente dove, ma sembra che se ne sia andato insieme alla donna con cui stava insieme in segreto. Dicono che abbia nascosto dei soldi in un conto in banca di un paese straniero.»
«Dicono, dicono, dicono. Hai mai spiegato ai tuoi clienti che potrebbero parlare di politica o di calcio come fanno le persone normali, invece di impicciarsi nei fatti di mio padre?» replicò Enrico. «E comunque mio padre non stava con nessuna donna. Voglio dire, avrà avuto qualche storia dopo la morte di mia madre, ma non ha mai parlato di una fidanzata. Di sicuro non si è portato nessuna in un paese straniero non meglio specificato in cui vive con i soldi sottratti a Roberto Gottardi. Sono un mucchio di stronzate.»
«Non dubito che, se chiedessi ai miei clienti di parlare di politica o di calcio invece che di tuo padre, ti renderei molto felice» precisò Olimpia, «Ma finirebbero semplicemente per cambiare bar, se vietassi certi argomenti. Io perderei dei clienti e loro continuerebbero i loro pettegolezzi.»
«Credi alle loro storie?»
«So di non sapere. È per questo che ti ho chiesto di tuo padre, per sentire la verità da te.»
Enrico ammise: «Non so dove sia, ma ha versato i contributi allo Stato per trentacinque anni.»
«E quindi?»
«Quindi è in pensione. Ha una fonte di reddito con cui vivere senza rubare.»
Olimpia era palesemente curiosa.
«È vero che sta all'estero?»
«Quale parte di "non so dove sia" non ti è chiara?»
«Perdonami, ma mi pare una vicenda molto strana.»
Enrico convenne: «Sì, hai ragione, è una vicenda strana. Però non ha rubato niente, Roberto Gottardi l'ha incastrato per non so quale motivo. È per questo che ti ho proposto di avvicinarti a Vincenzo. Vorrei che, in modo da non destare sospetti, tu gli parlassi di mio padre e cercassi di capire cosa nasconde.»
Temeva un rifiuto, ma Olimpia gli parve ben disposta ad accettare la proposta, quando gli chiese, interessata all'aspetto materiale: «Cosa me ne verrebbe in cambio?»
«Un paio di occhi viola. E con questo non voglio dire che siano davvero viola.»
«Va bene, però lascia che ti faccia un'ultima domanda.»
«Su Vincenzo?»
«No, su tuo padre.»
Enrico sbuffò.
«Se proprio non puoi farne a meno.»
«Credimi, Enrico, non voglio sembrarti irritante, solo che questa storia è degna di una soap opera» ribatté Olimpia. «Ho sentito dire perfino che la donna con cui tuo padre è scappato, in gioventù frequentasse quell'ex carcerato che poi fu ucciso.»
«Mio padre non è scappato e non c'è nessuna donna» replicò Enrico, «Quindi questa donna non aveva frequentazioni con carcerati morti ammazzati. A proposito, sei sicura che ti sembri una soap opera? A me pare più un thriller di bassa qualità. Certo che i pettegoli non sanno più cosa inventarsi. Mandare in pensione la gente a cinquant'anni è proprio una brutta idea! Uomini che potrebbero ancora rendersi utili trascorrono le loro giornate a parlare di storie insensate al bar! Ex carcerati senza un'identità ben precisa uccisi? Che assurdità!»
«Parla piano, che i nostri governanti potrebbero sentirti e decidere di alzare l'età pensionabile, e poi saremmo noi a pagarne le conseguenze» borbottò Olimpia. «Comunque quello là un'identità precisa ce l'aveva. Ne hanno parlato anche in TV, più di una volta. Vitali, si chiamava, o qualcosa del genere.»
Il cuore di Enrico perse un battito.
«Vuoi dire Alfredo Vitale?»
Olimpia non si accorse che quel nome aveva risvegliato in lui strane sensazioni e si limitò a rispondere: «Sì, penso di sì. Ne hai sentito parlare anche tu?»
«Sì. Voglio dire, alla radio, non c'entra un cazzo con la presunta donna di mio padre. Non ce l'ha nemmeno, una donna.» Enrico ne era convinto, anche se era certo di avere già udito quel nome, in tempi non sospetti. «Quando una storia è poco chiara, la gente non fa altro che inventare particolari. Chissà come avranno fatto ad arrivare a quel Vitale? Secondo me rimarrà un mistero senza spiegazioni. Però qualcosa lo devo spiegare, ed è che Roberto Gottardi ha inventato un sacco di falsità per screditare mio padre. A te l'onore di scoprire la verità da Occhi Viola, usando qualunque mezzo.»
Olimpia fece una mezza risata.
«Occhi Viola, bel soprannome. Da oggi lo chiamerò sempre così.»
Si salutarono pochi minuti dopo, con l'intento di delineare un piano d'azione nel prossimo futuro. Enrico tornò a casa, scosso dai brividi. Non avrebbe saputo dire se fosse a causa del freddo di quella serata o a della "visita" inaspettata che Alfredo Vitale e la sua scomparsa gli avevano appena fatto.

   
 
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